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Presbitero diocesano e diritto canonico. Antinomia o vitale possibilità?

Matteo Giavazzi*1

Sostenere l’esistenza di una relazione profonda tra la vita pastorale del presbitero diocesano e il diritto della Chiesa, proprio nel tempo che stiamo vivendo, pare essere alquanto insidioso. Da un lato, emerge la complessità dello scenario attuale, che, sulla scia del soggettivismo e del relativismo, esprime in modo massiccio, anche a livello ecclesiale, una critica profonda nei confronti del diritto. Dall’altro, si intravede la fatica a delineare le caratteristiche essenziali del ruolo del presbitero e, in maniera particolare, di colui che svolge il suo ministero sacro nell’ambito della Diocesi. Per poter offrire una prospettiva canonistica adeguata di questa relazione che, molto spesso, sembra fragile e precaria occorre, innanzitutto, partire dal chiarimento dei termini sottesi, ovvero “diritto canonico” e “presbitero diocesano”.

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L’espressione diritto canonico, in primis, fa riferimento alla realtà della Chiesa che, proprio in quanto Popolo di Dio, ha un volto sociale e necessita di principi in grado di guidare il suo cammino storico verso la salvezza, dono gratuito di Dio per ogni uomo. In tal senso, parlare di diritto significa riferirsi a un ordinamento, ovvero a un insieme di norme e istituzioni pensate per sostenere i fedeli nella loro vita di ogni giorno. Inoltre, dobbiamo sin da subito mettere in risalto come il diritto canonico non sia identificabile con il Codice di Diritto Canonico. Quest’ultimo, infatti, è uno strumento pratico che, per altro, esiste solo dal 1917. Il diritto della Chiesa, invece, è ben di più, poiché contiene tutte le leggi, le regole e le indicazioni offerte dal Magistero nella bimillenaria storia della fede cristiana (si pensi, ad esempio, ai libri liturgici, ai documenti emanati dai Romani Pontefici, dalle Congregazioni romane o dai Vescovi diocesani).

* Vicecancelliere della Curia Vescovile di Livorno.

Il termine presbitero diocesano, poi, dice un orientamento ben preciso rispetto alla nostra ricerca. Esso, infatti, indica il sacerdote, ovvero quel battezzato che, grazie all’Ordinazione sacra, viene configurato a Cristo, per mezzo dell’azione consacratoria del Vescovo1. In quest’ottica, il legame con il Vescovo non è accessorio, poiché fonda e sostiene la vita presbiterale. Il prete, infatti, non può essere considerato come un “libero battitore” ma, al contrario, ha il dovere morale, come ogni cristiano, di agire sempre in comunione con la Chiesa e, in particolare, con il Pastore proprio della Diocesi e con i suoi confratelli, che formano il presbiterio2. L’aggettivo “diocesano”, in tal senso, non è secondario, in quanto mette in luce come il sacerdote non possa svolgere nessun ministero da solo. Egli, infatti, è sponsalmente legato (o, diremmo meglio, incardinato) a una Chiesa particolare (Diocesi), guidata dal Vescovo.

Già nella sommaria presentazione dei termini, dunque, possiamo facilmente comprendere l’ampiezza della questione. Se, sotto un certo aspetto, essa tocca fondamentalmente la vita del sacerdote, in un altro senso non si può dimenticare il legame tra ministero presbiterale e Chiesa3. In questo breve testo, pertanto, cercheremo, seppur in maniera sintetica, di offrire un contributo circa il ruolo del diritto canonico nella vita interiore del sacerdote e nella sua azione ministeriale, con il fine di proporre una risposta positiva alla domanda enucleata

1] «La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo. Per questo motivo, il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell’iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo Capo» (conciLio ecumenico vaticano ii, Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis, 7 dicembre 1965, n. 2, AAS 58 (1966) 992; Enchiridion Vaticanum n. 1, 1165; d’ora in poi anche PO). 2] «I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell’onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell’Ordine, a immagine di Cristo, Sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento» (conciLio ecumenico vaticano ii, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 28, AAS 57 (1965), 34; Enchiridion Vaticanum n. 1, 539; d’ora in poi anche LG). 3] A tal proposito, Sant’Agostino affermava: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza» (aGostino, Sermo 340,1: PL 38,148). Ogni ministero sacerdotale non serve primariamente al soggetto ma, innanzitutto, esiste perché la Chiesa si edifichi, arricchendosi di nuovi figli.

nel titolo. In altre parole, ci chiederemo se il rapporto tra presbitero e diritto consista solamente in un peso di norme di cui farsi carico o se, all’opposto, possa darsi come vitale possibilità per realizzare la propria chiamata alla santità all’interno del Popolo di Dio.

1. CIRCA LA FORMAZIONE DEL PRESBITERO

Un primo aspetto fondamentale, in grado di tematizzare il rapporto tra presbitero e diritto, tocca la formazione. Sotto questo profilo, il Decreto conciliare Optatam totius afferma come, nell’affrontare il diritto canonico, si debba tener presente il mistero della Chiesa4. Questo principio, già a livello generale, offre una lettura corretta ed equilibrata del volto giuridico ecclesiale. In primo luogo, risponde ai tentativi, massicci nel post-concilio, di eliminare il diritto. Tra questi, possiamo ricordare il pastoralismo, che ha inteso lo ius canonicum come un sistema capace di limitare il ministero dell’evangelizzazione, mettendo barriere e vincoli alla libertà dei fedeli5. In secondo luogo, fa emergere la necessità di legare l’esperienza del diritto a quella del Mistico Corpo di Cristo. In tal senso, il sacerdote non può svolgere il suo ministero se non operando, in quanto battezzato, in comunione amorosa con la Chiesa, madre premurosa e feconda6. Ciò parte sin dalla formazione in seminario, per poi continuare nella vita quotidiana, spesa a favore del gregge.

1.1. La formazione del seminario

Il seminario, lungi dall’essere un passaggio obbligato, non può non configurarsi come un tempo necessario per formare una persona, almeno a livello minimale, sull’essenza del ministero sacerdotale e,

4] Cf. conciLio ecumenico vaticano ii, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 28 ottobre 1965, n. 16d, AAS 58 (1966), 723; Enchiridion Vaticanum n. 1, 845; d’ora in poi OT. 5] Cf. d. cenaLmor - J. miras, Il diritto della Chiesa. Corso di diritto canonico, Università della Santa Croce, Roma 2005, 47-52. 6] Il can 209, inserito tra i doveri-diritti fondamentali dei battezzati, ricorda l’importanza della comunione con la Chiesa. «Can. 209. §1. I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa. §2. Adempiano con grande diligenza i doveri cui sono tenuti sia nei confronti della Chiesa universale, sia nei confronti della Chiesa particolare alla quale appartengono, secondo le disposizioni del diritto».

contemporaneamente, sull’imprescindibile dimensione dell’amore a una determinata Diocesi che, dopo averne analizzato la verità della vocazione, lo chiamerà per sempre al suo servizio. In primo piano, nella scelta, sta il dono della grazia divina, che si esprime attraverso la sapiente mediazione della Chiesa. Essa chiama e guida il cammino del soggetto, rendendolo consapevole del valore della vocazione, da esercitarsi sempre come dono7, a servizio di quella porzione Popolo di Dio che si identifica essenzialmente con la Diocesi d’incardinazione (cf. can 369 CIC). Già in questo fondamentale e delicato periodo, il diritto svolge un ruolo importante e prezioso.

Innanzitutto, promuove la retta coscienza del seminarista, mostrandogli i doveri e i diritti connessi alla vita presbiterale e, in maniera propositiva, offrendo un ritratto della vita sacerdotale. Si può ricordare, ad esempio, la questione della scelta celibataria. Su questo tema, il can. 247 CIC chiede che i candidati «siano preparati mediante un’adeguata educazione a vivere lo stato del celibato e imparino ad apprezzarlo come dono peculiare di Dio. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri sacri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale». La norma, in questo senso, lungi dal voler imbrigliare la persona, desidera aiutarla ad un’adesione piena e convinta alla vita pastorale e chiede ai formatori di non celare le fatiche tipiche del ministero8 .

Inoltre, il diritto canonico è un elemento imprescindibile nella formazione dottrinale e teologica del futuro presbitero. Quest’ultima, a norma del can. 252 CIC, deve essere impartita in modo da favorire tre aspetti: l’integra conoscenza di tutta la dottrina cattolica, fondata sulla Rivelazione; l’alimento della vita spirituale; l’acquisizione della

7] «Ogni autorità va, infatti, esercitata in spirito di servizio, come amoris officium e dedizione disinteressata per il bene del gregge (cf. Gv 10,11; 13,14)» (conGreGazione Per iL cLero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 11 febbraio 2013, n. 25; d’ora in poi DMVP). 8] Circa il celibato, bisogna sottolineare che «tale aspetto della formazione va particolarmente curato, poiché parte delle defezioni sacerdotali ha, come radice, oltre alla fragilità delle motivazioni, anche ingenuità e imprudenze che possono rivelarsi fatali» (redazione di quaderni di diritto eccLesiaLe (curr.), Codice di Diritto Canonico commentato: testo ufficiale latino, traduzione italiana, fonti, interpretazioni autentiche, legislazione complementare della Conferenza episcopale italiana, commento, testo originale dei canoni modificati, indice analitico, Ancora, Milano 20195, 265).

capacità di annunciare il Vangelo, difendendo le verità cristiane in maniera appropriata9 .

Infine, lo studio del diritto promuove la preparazione pastorale del futuro presbitero. Da un lato, evita un vulnus di tipo soggettivistico, mettendo in luce come il ministero non sia un possesso personale ma piuttosto un dono da esercitarsi sempre cum Ecclesia. Dall’altro, positivamente, riafferma la centralità della cura delle anime, permettendo un approccio al diritto non di stampo rigidamente normativo, bensì sempre accompagnato da carità, umanità ed equità10 .

1.2. La formazione permanente

Alla formazione iniziale, analizzata sopra, si deve sempre accompagnare anche quella permanente, che aiuta e incoraggia il ministero. Soprattutto in questo tempo, costantemente soggetto a cambiamenti, la formazione rappresenta «una necessità imprescindibile nella vita e nell’esercizio del ministero di ogni presbitero; infatti l’atteggiamento interiore del sacerdote deve essere caratterizzato da una disponibilità permanente alla volontà di Dio»11. Anche in questo caso, il diritto canonico si propone di esprimere il significato essenziale del lavoro educativo.

In primo luogo, nel can. 279 § 1 CIC, si sottolinea come la formazione sia un percorso che dura tutta la vita e riguarda la dottrina della Chiesa, «secondo quanto viene determinato particolarmente dai documenti dei Concili e dei Romani Pontefici, evitando le vane novità e la falsa scienza». Essa, dunque, gode di un carattere organico e si pone come un dovere di giustizia verso il popolo di Dio, che ha il diritto di essere guidato da un pastore rettamente preparato12 .

In secondo luogo, il Terzo Capitolo del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri offre alcune indicazioni preziose circa la for-

9] Cf. G. GhirLanda, Il Sacramento dell’ordine e la vita dei chierici (cann. 1008-1054; 232 297), Gregorian & Biblical Press, Roma 2019, 255. 10] Cf. a. miGLiavacca, «Il metodo dell’insegnamento del diritto canonico», in Il diritto canonico nel sapere teologico. Prospettive interdisciplinari. XXX Incontro di Studio. Passo della Mendola – Trento 30 giugno - 4 luglio 2003, Glossa, Milano 2004, 241. 11] conGreGazione Per iL cLero, Il dono della vocazione presbiterale. Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, 8 dicembre 2016, n. 56. 12] Cf. G. incitti, Il sacramento dell’Ordine nel Codice di diritto canonico: il ministero dalla formazione all’esercizio, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2013, 148.

mazione, mettendone in luce gli aspetti principali: essa è strumento di santificazione; va impartita dalla Chiesa; deve essere permanente, personalizzata, completa e umana; non può limitarsi a toccare la dimensione personale ma influenza l’azione pastorale del presbitero13 . Vengono anche determinati alcuni luoghi formativi imprescindibili (gli incontri sacerdotali, l’anno pastorale, i ritiri e gli esercizi, i tempi di riposo e la programmazione) e i soggetti (il Vescovo, il presbitero, i formatori e i centri accademici)14 .

In terzo luogo, in un senso più profondo, l’approccio giuridico permette al sacerdote una continua riflessione attorno alla sua stessa identità, che, oggi più che mai, rischia di essere tratteggiata con un approccio prevalentemente orizzontale-antropologico (ovvero, il sacerdozio visto come lavoro, servizio sociale, educativo o assistenziale), anziché con un orientamento alla propria salvezza e a quella del gregge15. Per essere buon pastore, e non mercenario, il prete deve indicare costantemente l’unica sorgente per una vita piena, vera e realizzata. In questo senso, egli ha bisogno di formarsi e conformarsi ogni giorno a Gesù Cristo, Capo e Pastore.

2. Circa la vita e il ministero sacerdotale

Dopo aver analizzato l’importanza del diritto canonico nell’ambito formativo, ci concentriamo ora sul cuore del rapporto tra ius e presbitero diocesano, ovvero sulle due dimensioni imprescindibili che scaturiscono dalla Sacra Ordinazione. Da un lato, analizziamo la vita del sacerdote che, guidato dalle norme della Chiesa, cerca di adempiere quotidianamente alla sua personale e cristiana chiamata alla santità. Dall’altro, tentiamo di rileggere il ministero come esercizio (pieno e, quindi, anche comprensivo dell’aspetto giuridico) della carità pastorale.

13] DMVP, nn. 87-98. 14] Ibid., nn. 99-110. 15] Questo concetto risulta sublimemente espresso dal Vangelo di Giovanni: «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce» (Gv 10,1-4).

2.1. La vita presbiterale come chiamata alla santità

La santità della vita, in maniera essenziale, trova riferimento nei doveri-diritti comuni a tutti i cristiani. Il can. 210 CIC, a tal proposito, afferma: «Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione». Questo dovere, fissato dalla legge canonica, promuove l’orientamento e lo stile che Dio chiede ai suoi figli: «siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2). Interessante è, per quanto attiene il nostro tema, l’inciso «secondo la propria condizione», che sta ad indicare come la santità sia da declinare sempre con la scelta di vita e di vocazione. San Francesco di Sales, nel suo Trattato sulla vita devota, scrive che «la devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona. […] Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta»16. La santità, dunque, è gioiosamente possibile in ogni situazione di vita, cristiana e sacerdotale. In questo orizzonte, si assesta l’invito alla santità propria del sacerdote, così come articolato nei canoni che analizzano i doveri-diritti del presbitero. Si tratta del can. 276 CIC17, che ora prendiamo in esame più analiticamente.

Nel primo paragrafo del canone, troviamo un’indicazione circa la vita presbiterale. Nella loro condotta di vita, i chierici sono tenuti in modo peculiare a tendere alla santità e ciò deriva essenzialmente dalla

16] francesco di saLes, Introduzione alla vita devota, Parte 1, Cap. 3. 17] «Can. 276 - §1. Nella loro condotta di vita i chierici sono tenuti in modo peculiare a tendere alla santità, in quanto, consacrati a Dio per un nuovo titolo mediante l’ordinazione, sono dispensatori dei misteri di Dio al servizio del Suo popolo. §2. Per essere in grado di perseguire tale perfezione: 1) innanzitutto adempiano fedelmente e indefessamente i doveri del ministero pastorale; 2) alimentino la propria vita spirituale alla duplice mensa della sacra Scrittura e dell’Eucaristia; i sacerdoti perciò sono caldamente invitati ad offrire ogni giorno il Sacrificio eucaristico, i diaconi poi a parteciparvi quotidianamente; 3) i sacerdoti e i diaconi aspiranti al presbiterato sono obbligati a recitare ogni giorno la liturgia delle ore secondo i libri liturgici propri e approvati; i diaconi permanenti nella misura definita dalla Conferenza Episcopale; 4) sono ugualmente tenuti a partecipare ai ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare; 5) sono sollecitati ad attendere regolarmente all’orazione mentale, ad accostarsi frequentemente al sacramento della penitenza, a coltivare una particolare devozione alla Vergine Madre di Dio, e ad usufruire degli altri mezzi di santificazione comuni e particolari».

loro consacrazione a Dio, mediante l’ordinazione, che li configura a Cristo, rendendoli dispensatori dei misteri divini al servizio del Suo popolo. Questa tensione deve essere sempre mantenuta nella vita del presbitero, anzi, ancor di più, ne è la linfa vitale. Come sottolinea Presbyterorum ordinis i sacerdoti, nella grande complessità in cui si trovano inseriti, devono sforzarsi di raggiungere una sempre maggiore armonia e unità tra vita spirituale e azione pastorale18 .

Nel secondo paragrafo, poi, il Legislatore indica alcuni mezzi che permettono di conseguire la santità: i doveri del ministero pastorale; la Sacra Scrittura e l’Eucaristia quotidiana; la Liturgia delle ore; i ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare; l’orazione mentale, la Penitenza, la devozione alla Vergine Madre di Dio; altri mezzi di santificazione comuni e particolari. In altri termini, la legge canonica, avversando una visione disincarnata della Chiesa e del ministero sacro, mette in luce come la santità non consista in qualcosa di astratto. Al contrario, per il presbitero, come d’altronde per ogni battezzato, la tensione salvifica non può non intersecarsi con l’adempimento di quei doveri, personali e pastorali, che il diritto stesso indica e promuove come corretti e fruttuosi19 .

2.2. Il ministero presbiterale come esercizio della carità pastorale La vita di santità, come abbiamo visto pocanzi, per il sacerdote si compie nel suo ministero, unendo mirabilmente la sua scelta personale con il servizio al gregge che gli viene affidato. Se, infatti, con santità intendiamo l’indicazione soprannaturale che guida la vita del chierico, l’espressione “carità pastorale” sintetizza la sua azione a favore del Popolo di Dio. Verrebbe ora da chiedersi se esista un rapporto antinomico tra carità e legge oppure, come abbiamo sintetizzato nel titolo

18] «Anche i presbiteri, immersi e agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla loro missione, possono domandarsi con vera angoscia come fare ad armonizzare la vita interiore con le esigenze dell’azione esterna. Ed effettivamente, per ottenere questa unità di vita non bastano né l’organizzazione puramente esteriore delle attività pastorali, né la sola pratica degli esercizi di pietà, quantunque siano di grande utilità. L’unità di vita può essere raggiunta invece dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l’esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera» (PO 14). 19] Cf. G. GhirLanda, Introduzione al diritto ecclesiale: lineamenti per una teologia del diritto nella Chiesa, 369-370.

di questo contributo, la loro relazione possa configurarsi come una vitale possibilità.

Carità o legge? Quanto spesso, nella bimillenaria storia della fede cristiana, questi termini si sono scontrati. Certamente, si tratta di due prospettive che godono di una certa autonomia: la legge è obbligazione, la carità è amore20. D’altra parte, separare queste componenti significa ignorare il nesso che le congiunge, ossia il fatto che la Chiesa non detiene solo una dimensione spirituale (come erroneamente sosteneva Lutero, padre dell’antigiuridismo ecclesiale), bensì anche un volto sociale e comunitario. In altri termini, come sentenzia la massima latina, ubi societas, ibi ius (dove c’è una società, lì c’è un diritto), la vita delle persone e, tra queste, dei sacerdoti, chiede delle regole, che li sostengano e incoraggino nel cammino.

Inoltre, all’interno del Popolo di Dio, il diritto non è «fine a se stesso, ma è un mezzo verso un fine trascendente. Come tutto nella Chiesa, così esso è al servizio della salus animarum, della cura delle anime. Deve contribuire ad aprire e spianare la via della Verità e della Grazia di Gesù verso i cuori degli uomini»21. Alla base dello ius, infatti, stanno le verità dogmatiche e i precetti morali e, per questo, il diritto canonico serve per mediare e incoraggiare lo sforzo evangelizzatore della Chiesa, annunciando l’immutabile deposito della fede22. La legge non è data per l’esteriorità, bensì si propone di condurre la storia del Popolo di Dio su questa terra, in attesa della patria del Cielo. A tal proposito, non possiamo non dare eco alle bellissime parole di Graneris, il quale afferma: «Se la Chiesa è un ovile, il diritto canonico è lo steccato. E lo steccato non è l’ovile; e forse non sarebbe neppure necessario. […] Ma poiché i lupi ci sono, e le pecore sono così, lo steccato, anche così come è, con le sue ruvidezze giuridiche, è utile a proteggere l’ovile. Questo è il compito della legislazione canonica»23. Tali riflessioni ci conducono, pertanto, a una lettura pastorale del diritto. Non si tratta di promuovere un legalismo senza amore, ma di proteggere il gregge,

20] Cf. v. faGioLo, «La carità pastorale secondo la legislazione della Chiesa», in v. faGioLo, Miscellanea. Diritto canonico e pastoralità, LEV, Città del Vaticano 2001, 342. 21] Pio Xii, Discorso ai professori e agli studenti della Università di Vienna, 3 giugno 1956, L’Osservatore Romano, 5 giugno 1956. 22] Cf. v. faGioLo, «La carità pastorale…», 348. 23] Cf. G. Graneris, Contributi Tomistici alla filosofia del diritto, S.E.I., Roma 1949, 53.

affinché i fedeli non siano «come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14).

Il diritto, in definitiva, si configura come uno strumento essenzialmente pastorale, teso a manifestare la carità che ogni sacerdote deve porre a fondamento di ogni sua azione. Una carità che sa farsi olio, per alleviare e lenire le ferite di ogni persona. Un’azione quotidiana e incessante, che diventa medicina per tanti uomini e donne feriti che il sacerdote incontra nel suo cammino24. In tal modo, la carità pastorale, spingendosi oltre il funzionalismo, si esprime come esercizio e manifestazione della carità di Cristo25. La legge canonica diviene così efficace indicatore del nucleo sorgivo del ministero sacerdotale e, di conseguenza, delinea un volto ben determinato del presbitero diocesano. Egli, infatti, non opera a suo arbitrio, bensì è uomo di comunione (con la Chiesa, innanzitutto) e di relazione con i fratelli. Così facendo, santifica se stesso e permette che, nella sua voce, le pecore riconoscano quella del Pastore, il Signore.

3. CIRCA L’ESERCIZIO DEI TRIA MUNERA

Dopo aver messo in luce alcune coordinate fondamentali attorno al rapporto tra diritto e presbitero diocesano, in questa terza e ultima parte, concentriamo la nostra attenzione sull’esercizio concreto dell’azione pastorale che, per essere sinteticamente descritta, viene spesso riferita ai tria munera. Con questo termine, nel linguaggio teologico e canonistico, si suole indicare la triplice funzione di Cristo, ovvero quella sacerdotale, profetica e regale26. In tal senso, il can. 204 CIC ricorda come i fedeli, incorporati a Cristo e costituiti Popolo di

24] Su questo tema, il Santo Padre Francesco ha scritto ai sacerdoti: «Grazie per tutte le volte in cui, lasciandovi commuovere nelle viscere, avete accolto quanti erano caduti, curato le loro ferite, offrendo calore ai loro cuori, mostrando tenerezza e compassione come il Samaritano della parabola (cf. Lc 10,25-37). Niente è così urgente come queste cose: prossimità, vicinanza, essere vicini alla carne del fratello sofferente. Quanto bene fa l’esempio di un sacerdote che si avvicina e non si allontana dalle ferite dei suoi fratelli! Riflesso del cuore del pastore che ha imparato il gusto spirituale di sentirsi uno con il suo popolo» (francesco, Lettera ai sacerdoti in occasione del 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, 4 agosto 2019, L’Osservatore Romano, 4 agosto 2019). 25] DMVP, nn. 54-55. 26] Cf. d. cenaLmor - J. miras, Il diritto della Chiesa…, 295.

Dio, sono resi partecipi, nel modo loro proprio, dei tria munera. Ci proponiamo di trattare ora ciascuno di questi aspetti, con il fine di enucleare l’essenza del ruolo del sacerdote. Punto prospettico di tali considerazioni vuole essere la cura pastorale, con particolare riferimento al ministero del parroco27 .

3.1. Munus docendi

Circa la funzione di insegnare (detta anche profetica), il Codice, nel can. 747, offre una sintesi, affermando come Cristo abbia affidato il deposito della fede alla Chiesa affinché essa, con l’assistenza dello Spirito Santo, custodisca santamente, scruti più profondamente, annunzi ed esponga fedelmente la verità rivelata, predicando il Vangelo a tutte le genti. Inoltre, nel secondo paragrafo, si trova anche configurato il compito di annuncio dei principi morali. Possiamo vedere come, già questo canone introduttorio al Terzo Libro del Codex, dica molto alla vita concreta del presbitero. Nella Chiesa, infatti, il ministero sacro deve sempre essere adempiuto con profondo rispetto e ossequio nei confronti di quanto insegnato dal Magistero. Dalla dottrina fino alla morale, il sacerdote non può annunciare se stesso o, peggio ancora, le sue personali idee o opinioni.

In altri termini, egli deve essere uomo di comunione perché nella comunione. Uomo sempre nella comunione con la Chiesa e, in specifico, con il Vescovo e i confratelli. Uomo, poi, di comunione, perché capace di relazioni sane e generanti, ricche di paternità. D’altronde, come insegna sapientemente la Nota esplicativa previa a Lumen Gentium, la parola “comunione” non vuole indicare un vago affetto ma una realtà organica28, ossia il tentativo concreto e incessante di lavorare insieme, per il bene del gregge.

A tal proposito, un’altra preziosa indicazione può essere rinvenuta nel can. 757 CIC, il quale ricorda quale sia il proprium dei presbiteri.

27] A tal proposito è bene riportare, per offrire un chiarimento, la definizione di parroco, contenuta nel can. 519 CIC: «Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto». 28] conciLio ecumenico vaticano ii, Nota esplicativa previa a Lumen Gentium, AAS 57 (1965), 73.

Essi, in quanto cooperatori dei Vescovi, hanno il compito di annunciare il Vangelo di Dio. Come sottolinea la norma, prima di tante altre cose, pur importanti e belle, ogni sacerdote è tenuto all’ufficio della predicazione, che risulta essere un preciso dovere (cf. PO 4) verso il popolo a lui affidato29 .

Con riferimento al parroco, il contenuto del munus docendi è espresso nel can. 528 § 1 CIC. In questo primo paragrafo, leggiamo: «Il parroco è tenuto a fare in modo che la parola di Dio sia integralmente annunciata a coloro che si trovano nella parrocchia; perciò curi che i fedeli laici siano istruiti nelle verità della fede, soprattutto con l’omelia delle domeniche e delle feste di precetto e con l’istruzione catechetica; favorisca inoltre le attività che promuovono lo spirito evangelico, anche in ordine alla giustizia sociale; abbia cura speciale della formazione cattolica dei fanciulli e dei giovani; si impegni in ogni modo, anche con la collaborazione dei fedeli, perché l’annuncio evangelico giunga anche a coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la vera fede». Basterebbe una meditazione su ciascuno di questi importanti aspetti per farci comprendere sia quanto è arduo e complesso essere presbitero sia quanto è fondamentale per un sacerdote rendere la sua vita e il suo ministero conforme al mistero che annuncia. Anche in questo caso, si nota facilmente come il diritto non stia a margine o all’esterno ma serva a promuovere il bene spirituale del sacerdote e dei fedeli.

3.2. Munus sanctificandi

Circa la funzione di santificare (detta anche sacerdotale), prendiamo come riferimento essenziale il can. 834 § 1 CIC, che, introducendo il Quarto Libro del Codice, ricorda come la Chiesa adempia al munus sanctificandi principalmente attraverso la sacra liturgia, esercizio della funzione sacerdotale di Cristo. Nella celebrazione dei Divini Misteri, e, in particolar modo dell’Eucaristia, il presbitero trova il principio, il mezzo e il fine del suo ministero. Come mette in evidenza Presbyterorum Ordinis, «tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d’apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucaristia è

29] redazione di quaderni di diritto eccLesiaLe (curr.), Codice di Diritto Canonico commentato, 657-658.

racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo»30 .

La centralità teologica della Santa Messa anima anche la vita e il ministero sacerdotale. Il sacerdote, chiamato ad assimilare la sua esistenza a Cristo, è invitato a viverla quotidianamente come fonte e culmine di ogni sua azione pastorale. Inoltre, egli darà attenzione a rendere la Liturgia un incontro sacro e fecondo tra Dio e il suo popolo. Non può accontentarsi di celebrare la “sua messa”, ripiena di se stesso e dei propri riti, inventati al momento oppure pensati a tavolino31. Al contrario, ogni ministro sacro, in comunione di mente e di cuore con il Romano Pontefice e il proprio Vescovo, deve celebrare la Santa Messa, obbedendo amorevolmente e fedelmente a quanto insegna la Chiesa.

Su questa scia, il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri indica come il compito precipuo del sacerdote sia la cura per la liturgia, ricordando come, in una civiltà sempre più sensibile alla comunicazione attraverso i segni e le immagini, egli debba guardarsi dalla scarsa attenzione agli aspetti simbolici del culto e, ancor di più, dalla trascuratezza, dalla superficialità e dal disordine, che rischiano di indebolire il senso profondo dell’atto liturgico. Per questo, il Direttorio spiega che «chi celebra male manifesta la debolezza della sua fede e non educa gli altri alla fede. Celebrare bene, invece, costituisce una prima importante catechesi sul Santo Sacrificio» e mette in luce alcuni aspetti di cui prendersi cura (la proprietà e la pulizia del luogo; l’architettura dell’altare e del tabernacolo; la nobiltà dei vasi sacri, dei paramenti, del canto e della musica; il sacro silenzio; l’uso dell’incenso nelle celebrazioni più solenni)32 .

Nel caso del parroco, il contenuto del munus sanctificandi è espresso nel can. 528 § 2 CIC. Questo paragrafo enuncia: «Il parroco faccia

30] PO, n. 5. 31] L’Enciclica Ecclesia de Eucharistia ribadisce che «la liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri. […] Anche nei nostri tempi, l’obbedienza alle norme liturgiche dovrebbe essere riscoperta e valorizzata come riflesso e testimonianza della Chiesa una e universale, resa presente in ogni celebrazione dell’Eucaristia. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa». (Giovanni PaoLo ii, Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, n. 52, AAS 95 (2003), 467-468). 32] DMVP, 67.

in modo che la santissima Eucaristia sia il centro dell’assemblea parrocchiale dei fedeli; si adoperi perché i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti e in special modo perché si accostino frequentemente al sacramento della santissima Eucaristia e della penitenza; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli siano formati alla preghiera, da praticare anche nella famiglia, e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra liturgia, di cui il parroco deve essere il moderatore nella sua parrocchia, sotto l’autorità del Vescovo diocesano e sulla quale è tenuto a vigilare perché non si insinuino abusi». Come abbiamo visto circa la funzione di insegnare, anche per l’aspetto sacramentale, il diritto si incarica di fornire indicazioni che, adempiendo alla giustizia e alla verità del culto, incoraggino il presbitero a essere immagine autentica di Cristo buon pastore.

3.3. Munus regendi

Per quanto attiene alla funzione di governare (detta anche regale), bisogna far cenno al concetto di sacra potestas (cf. LG 10, 18, 27). Esso sta ad indicare quella potestà che i Vescovi e i presbiteri ricevono da Cristo mediante la Sacra Ordinazione. Tale potestà, poi, consiste nella facoltà di agire in persona Christi e, conseguentemente, attiene ai tria munera33. Il sacerdote, infatti, proprio grazie alla configurazione al Signore, Pastore dei pastori, gode di un’autorità pastorale all’interno del Popolo di Dio.

Nell’esercizio della sua legittima autorità, ogni ministro sacro deve far prevalere l’aspetto del servizio e del dono totale per il bene del gregge (Lc 22,24-27; 1Pt 5,1-4), evitando due rischi. In primo luogo, il pericolo può essere quello di spadroneggiare sui fedeli a lui affidati, obliando la paternità e carità pastorale. In secondo luogo, egli deve vivere continuamente configurandosi a Cristo, nella consapevolezza che il suo ruolo non può essere confuso con quello della comunità da lui responsabilmente guidata34 .

Questi aspetti risultano ancor più chiari se applicati al parroco. A tal proposito, il can. 529 §1 e 2 CIC afferma: «§1. Per poter adempiere diligentemente l’ufficio di pastore, il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure; perciò visiti le famiglie, partecipando alle

33] Cf. d. cenaLmor - J. miras, Il diritto della Chiesa…, 204. 34] DMVP, 25.

sollecitudini dei fedeli, soprattutto alle loro angosce e ai loro lutti, confortandoli nel Signore e, se hanno mancato in qualche cosa, correggendoli con prudenza; assista con traboccante carità gli ammalati, soprattutto quelli vicini alla morte, nutrendoli con sollecitudine dei sacramenti e raccomandandone l’anima a Dio; con speciale diligenza sia vicino ai poveri e agli ammalati, agli afflitti, a coloro che sono soli, agli esuli e a tutti coloro che attraversano particolari difficoltà; si impegni anche perché gli sposi e i genitori siano sostenuti nell’adempimento dei loro doveri e favorisca l’incremento della vita cristiana nella famiglia. §2. Il parroco riconosca e promuova il ruolo che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, favorendo le loro associazioni che si propongono finalità religiose. Collabori col proprio Vescovo e col presbiterio della Diocesi, impegnandosi anche perché i fedeli si prendano cura di favorire la comunione parrocchiale, perché si sentano membri e della diocesi e della Chiesa universale e perché partecipino e sostengano le opere finalizzate a promuovere la comunione». Anche in questo caso, il diritto canonico non risulta essere un rigido e limitante insieme di leggi ma, al contrario, tocca la vita concreta del presbitero, chiedendogli di vivere nel ministero la carità cristiana e pastorale.

CONCLUSIONI

In questo contributo abbiamo tentato, seppur in maniera sintetica, di rispondere alla domanda contenuta nel titolo, che enuncia: Presbitero diocesano e diritto canonico. Antinomia o vitale possibilità? Ci siamo chiesti, in definitiva, se il rapporto tra ministero sacerdotale e norme giuridiche consista in qualcosa di giustapposto e faticoso o, al contrario, se si tratti di una possibilità feconda, in vista del bene del presbitero e della Chiesa.

Per offrire una soluzione alla querelle, ci siamo serviti di tre punti prospettici. In primo luogo, abbiamo analizzato il ruolo del diritto nella formazione del seminario e in quella permanente, mostrandone l’incidenza sia per l’identità del futuro sacerdote sia per l’esistenza presbiterale. Inoltre, nel secondo paragrafo, la nostra attenzione si è concentrata sulla vita di santità e sull’esercizio della carità pastorale, mettendo in luce come, nel sistema canonico, non ci sia opposizio-

ne tra interiorità ed esteriorità, poiché tutto converge all’edificazione della Chiesa. Infine, si è cercato di mostrare l’incidenza del diritto sull’esercizio dei tria munera, con particolare riferimento ai doveri del parroco.

Questo percorso, pur nella sua essenzialità, ci ha permesso di cogliere due aspetti fondamentali. Innanzitutto, ci siamo resi conto del fatto che non esiste reale opposizione tra diritto e carità pastorale, poiché si tratta di due aspetti che, seppur distinti, risultano complementari ed interconnessi. Poi, come hanno mostrato le argomentazioni contenute nei diversi paragrafi, abbiamo potuto notare che il diritto, proprio per la sua brevitas, riesce a offrire un vero e proprio ritratto del sacerdote, capace di aiutare e promuovere la sua missione nel mondo. In tal senso, possiamo sintetizzare la relazione tra presbitero diocesano e diritto canonico nei termini di una vitale possibilità: il sistema giuridico ecclesiale, infatti, protegge il cammino spirituale del pastore e del gregge, orientandoli alla salvezza delle anime, che, nella Chiesa, deve sempre essere la legge suprema (cf. can. 1752 CIC).

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