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Il presbitero nel Nuovo Testamento
Valerio Barbieri*1
Ogni trattato teologico che si rispetti comincia con la ricerca e l’analisi dei fondamenti biblici. Così anche in questo primo numero della nostra rivista si è ritenuto opportuno aprire la riflessione sul presbitero diocesano con un articolo che mettesse in luce ciò che su tale ministero ci consegna la Scrittura. Trattandosi di un ministero della Chiesa, il campo di studio si restringe necessariamente al Nuovo Testamento, anche se non mancheranno accenni alle istituzioni giudaiche, delle quali il ministero cristiano è un’evoluzione.
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Chi pensa di leggere il NT e trovare una Chiesa del I secolo già strutturata, con una gerarchia ben definita (vescovo-presbiteri-diaconi), ne rimane deluso e magari anche un po’ disorientato: siamo abituati a pensare che le cose più o meno siano sempre state come le conosciamo noi adesso. Nel primo paragrafo cercherò dunque di illustrare come a partire dalla Pentecoste, col passare degli anni, man mano che la fede cristiana si diffondeva, abbiano preso consistenza nella Chiesa alcune figure ministeriali di governo della comunità cristiana e come, con la graduale scomparsa degli apostoli, esse si siano sempre di più definite.
Nel secondo paragrafo mi concentrerò sulla parola presbyteros: sulle sue occorrenze e sulle caratteristiche del ministero cristiano che essa identifica.
Nel terzo e ultimo paragrafo tenterò una sintesi, mettendo in evidenza come alcune caratteristiche del presbitero diocesano siano già presenti nei presbyteroi di cui parla il NT.
* Docente di Sacra Scrittura presso lo Studio Teologico Interdiocesano “Mons. E. Bartoletti” di Pisa, affiliato alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.
1. IL MINISTERO NELLA CHIESA DEL I SECOLO1
1.1. Le prime comunità giudeocristiane
Nella prima parte degli Atti degli Apostoli troviamo narrati la nascita e i primi anni di vita della comunità giudeocristiana di Gerusalemme e, in seguito, la diffusione della fede cristiana nelle regioni circostanti a causa delle prime persecuzioni. In questa fase iniziale le comunità cristiane sono saldamente in mano agli apostoli. Gli Atti raccontano di Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo, Barnaba. Ben presto il numero dei discepoli aumenta considerevolmente e cominciano a comparire a fianco degli apostoli alcuni collaboratori, vere e proprie figure ministeriali. Il primo e più famoso esempio è quello dei “sette” che sono scelti per occuparsi delle mense dei poveri in At 6,1-5:
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
Si tratta sempre però di persone designate dagli apostoli e ad essi strettamente legate.
Un altro elemento importante da tenere in considerazione, di cui ci testimonia soprattutto la Prima Lettera ai Tessalonicesi di Paolo, scritta nei primi anni ’50, è l’attesa del ritorno imminente del Cristo risorto: i primi cristiani si aspettavano da un momento all’altro la Parusia, tanto che Paolo ipotizza di poter essere ancora in vita quel giorno:
1] La periodizzazione assunta in questo paragrafo risale ad A. Lemaire (cf. A. Lemaire, «Dai servizi ai ministeri. I servizi ecclesiali nei primi due secoli», Concilium 8/1972, 18591875) e rielaborata in seguito da E. Castellucci (cf. E. casteLLucci, Il ministero ordinato, Queriniana, Brescia 2002, 33-45).
«Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti» (1Ts 4,15). Questa attesa, insieme alla presenza dei Dodici, che simboleggiavano la realizzazione dell’Israele degli ultimi tempi, evitava alla comunità cristiana la preoccupazione di strutturarsi per il futuro2 .
1.2. Le prime comunità tra i pagani sotto il controllo degli apostoli
In un secondo tempo il Vangelo comincia a diffondersi tra i pagani per tutto il bacino del Mediterraneo. Ce ne danno testimonianza ancora una volta gli Atti e l’epistolario paolino. Si comprende che la Parusia non sarà imminente e si comincia ad avvertire quindi la necessità di strutturare la vita della comunità. In questa fase gli apostoli mantengono un ruolo unico, ma compaiono tutta una serie di figure ministeriali; si moltiplicano i collaboratori in vista di veri e propri successori3: si parla di profeti, dottori, anziani (presbyteroi), sorveglianti (episkopoi), diaconi (diakonoi). E di tanti collaboratori si riporta il nome: Silvano, Timoteo, Tito, Aquila, Priscilla, etc… I ministeri concorrono all’edificazione della comunità: alcuni uomini scelti per il bene di tutti. Questo è chiarissimo a Paolo, che, nelle sue lettere autentiche, che sono di questo periodo, scrive sempre a tutta la comunità e non solo ai responsabili4 .
1.3. La diffusione delle comunità dopo la morte degli apostoli
Dopo la morte degli apostoli, venendo meno queste figure autorevoli, si comincia a sottolineare il ruolo di chi presiede la comunità e ne garantisce l’unità5. Sembrano però delinearsi due diverse modalità di governo delle comunità cristiane, a seconda dell’ambiente culturale dal quale esse provengono: quelle paoline rispecchiano più l’ambiente greco-ellenistico e sono governate da epikopoi e diakonoi; quella di Gerusalemme, come altre comunità di ambiente giudaico, dai pre-
2] E. casteLLucci, Il ministero ordinato, 35. 3] Ibid., 37. 4] Cf. A. JauBert, «Le Lettere di Paolo: il fatto comunitario», in J. deLorme (ed.), Il ministero e i ministeri secondo il Nuovo Testamento. Documentazione esegetica e riflessione teologica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1977, 303-354. 5] E. casteLLucci, Il ministero ordinato, 38.
sbyteroi, un collegio di anziani, che sappiamo essere un’istituzione già presente nel giudaismo della diaspora, dove esiste un consiglio sinagogale di anziani incaricati di osservare se i Giudei vivono adeguatamente la fede6; a Gerusalemme gli anziani sono i membri laici del sinedrio: ad essi si riferiscono quasi sempre i Sinottici e gli Atti con il termine presbyteroi7 .
Soltanto all’inizio del II secolo abbiamo la fusione di queste tre figure ministeriali e già Ignazio d’Antiochia, morto martire nel 107 d.C., nelle sue lettere fa riferimento a comunità guidate da un episkopos, attorno al quale sta un collegio di presbyteroi e un certo numero di diakonoi. Questa è la struttura della gerarchia che si è conservata fino ai nostri giorni.
2. IL MINISTERO DEI PRESBYTEROI NEL NUOVO TESTAMENTO
2.1. Il termine presbyteros e le sue occorrenze nel Nuovo Testamento
Il termine presbyteros è il comparativo di presbys, “anziano”, e quindi letteralmente significa “più anziano”. Nel NT è attestato ben 65 volte, quasi sempre al plurale, e, oltre ad indicare in qualche caso semplicemente le persone più anziane di età (Lc 15,25; Gv 8,9; At 2,17; 1Tm 5,1-2; 1Pt 5,5), esso è usato con almeno altri tre significati specifici8 che prenderemo in esame. 1) Il numero più corposo di ricorrenze fa riferimento ai membri laici del sinedrio, che provenivano da famiglie ricche e sul piano teologico seguivano l’alta nobiltà sacerdotale di mentalità sadducea9 . Nei Sinottici essi vengono nominati da Gesù nel primo annuncio della passione (Mt 16,21; Mc 8,31; Lc 9,22); sono tra coloro che gli rivolgono la domanda sull’autorità con la quale opera (Mt 21,23; Mc 11,27; Lc 20,1); sono citati tra i mandanti del suo arresto (Mt
6] Ibid., 63. 7] Ibid. 8] h. BaLz-G. schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1998, 1092. 9] Ibid.
26,47; Mc 14,43); interloquiscono con lui al momento della cattura (Lc 22,54); si radunano presso il sommo sacerdote Caifa, prima per chiedere l’arresto di Gesù (Mt 26,3), poi per il processo sommario (Mt 26,57; Lc 22,54); sono presenti durante tutte le fasi concitate della passione (Mt 27,1.3.12.20) fino alla scena degli scherni sotto la croce (Mt 27,41); infine cospirano coi sacerdoti per mettere in giro la menzogna riguardo al furto del corpo di Gesù (Mt 28,12). Negli Atti gli anziani sono coinvolti nella prima persecuzione degli apostoli (4,5.8.23); sono sobillati contro Stefano (6,12); a loro si chiede aiuto per cospirare contro Paolo quando torna a Gerusalemme (23,14); sono tra coloro che lo accusano di fronte al governatore Felice (24,1) e al suo successore Festo (25,15).
Vi sono poi alcune altre occorrenze che non riguardano il sinedrio, ma fanno comunque riferimento a istituzioni o alla tradizione giudaiche. In Lc 7,3 il termine è usato in riferimento agli anziani giudei della comunità sinagogale, inviati dal centurione di Cafarnao a Gesù per chiedere la guarigione del servo: «Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafarnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo» (Lc 7,1-3). In Mt 15,2 e Mc 7,3.5 con la parola presbyteroi ci si riferisce alla tradizione degli antichi, ovvero ai farisei che in passato hanno elaborato la Torah di Mosè in senso casuistico10: «In quel tempo alcuni farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme, si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi (presbyteroi). Infatti quando prendono cibo non si lavano le mani!”» (Mt 15,1-2). In Eb 11,2 si fa invece riferimento agli antenati che hanno testimoniato la fede: «Per questa fede i nostri antenati (presbyteroi) sono stati approvati da Dio». 2) Nel libro dell’Apocalisse il termine presbyteros ricorre ben 12 volte11, sempre al plurale e sempre in riferimento a ventiquattro personaggi anziani, quelli che la vecchia traduzione CEI chiamava i “vegliardi” (mentre ora invece traduce letteralmente con “anziani”), i
10] Ibid., 1093. 11] Ap 4,4.10; 5,5.6.8.11.14; 7,11.13; 11,16; 14,3; 19,4.
quali nella visione che l’autore ha della Gerusalemme celeste, si trovano in vesti bianche di fronte al trono dell’agnello e hanno una funzione di rappresentanza e di adorazione12: «Attorno al trono c’erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro anziani (presbyteroi) avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo» (Ap 4,4). 3) Vi sono infine 17 volte in cui il termine presbyteros è usato in riferimento a diverse figure ministeriali di “anziani” cristiani.
La maggioranza delle occorrenze le troviamo negli Atti. Per Luca gli anziani della comunità cristiana sono un consiglio direttivo verosimilmente analogo al sinedrio del giudaismo e al collegio degli anziani delle città ellenistiche13. Per quanto riguarda la comunità di Gerusalemme gli anziani sono i destinatari della colletta fatta ad Antiochia per i cristiani della Chiesa madre (11,30); partecipano all’assemblea apostolica, il cosiddetto “Concilio di Gerusalemme” (15,2.4.6.22.23); sono nominati in riferimento al decreto emanato da quest’ultimo (15,23; 16,4); guidano la comunità insieme a Giacomo, fratello del Signore (21,3).
Sempre negli Atti troviamo il termine presbyteros per indicare gli anziani a capo delle comunità fondate da Paolo: in 14,23 si ricorda che Paolo e Barnaba, durante il loro primo viaggio missionario, dopo aver digiunato e pregato, hanno scelto alcuni anziani per le comunità da loro fondate: «Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto»; in At 20,17 Paolo, in viaggio verso Gerusalemme, a Mileto incontra gli anziani della comunità di Efeso da lui fondata: «Da Mileto mandò a chiamare a Èfeso gli anziani della Chiesa».
Nelle lettere pastorali e cattoliche si constata la stessa realtà: in Tt 1,5, su incarico dello stesso Paolo, Tito ha istituito un collegio di anziani nella comunità di Creta: «Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato»; in 1Tm 5,17-19 si invitano gli anziani a dedicarsi alla predicazione e all’insegnamento e ci si raccomanda che siano difesi dalle false accuse: «I presbìteri che esercitano bene la presidenza siano considerati merite-
12] h. BaLz-G. schneider, Dizionario Esegetico del…, 1095. 13] Ibid., 1094.
voli di un duplice riconoscimento, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento. Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia, e: Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non accettare accuse contro un presbìtero se non vi sono due o tre testimoni»; in 1Pt 5,1ss. l’autore si rivolge agli anziani (definendosi “anziano come loro”, letteralmente synpresbyteros) e li istruisce su come svolgere il ministero pastorale nella comunità cristiana: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi…»; in Gc 5,14 troviamo l’invito a chiamare gli anziani della Chiesa quando qualcuno è malato: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbìteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore».
Si discostano un po’ dalle precedenti le due occorrenze al singolare che troviamo nel primo versetto di 2Gv e 3Gv: «Io, il Presbìtero, alla Signora eletta da Dio e ai suoi figli, che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti quelli che hanno conosciuto la verità»; «Io, il Presbìtero, al carissimo Gaio, che amo nella verità». Il mittente si definisce presbyteros, ma non sembra far riferimento all’appartenenza ad un collegio di anziani, ma piuttosto appare come un titolo onorifico attribuito a chi è portatore e trasmettitore della tradizione apostolica14. Anche la versione italiana CEI 2008 usa in questi due casi la “P” maiuscola per evidenziare forse proprio il fatto che si tratta di un titolo e non di un ministero.
2.2. Gli episkopoi e il loro rapporto con i presbyteroi
Nel NT, accanto alla figura dei presbyteroi, compaiono anche gli episkopoi. Il termine episkopos deriva dal verbo episkopein, “sorvegliare”, e significa quindi “sorvegliante”, “sovrintendente”, “ispettore”. È di origine profana e in italiano si traduce con la parola “vescovo”. Proprio la sua origine profana fa ipotizzare che le comunità cristiane si siano ispirate a figure della società greca che avevano incarichi ispettivi, direttivi o almeno amministrativi. Si avanza però anche l’ipotesi che, nonostante il termine sia di derivazione profana, l’episkopos della Chiesa in realtà possa derivare dai sovrintendenti del tempio al tempo
14] Ibid., 1095.
del giudaismo o dai capi delle sinagoghe giudaiche15. In ogni caso vale la pena elencare e analizzare anche le occorrenze di questo termine, perché fa riferimento ad una figura ministeriale della Chiesa, che nel I secolo non è ancora ben definita e spesso si affianca o si confonde, nel NT, con quella dei presbyteroi.
Soltanto 5 volte il NT parla di episkopoi. In 1Pt 2,25 è Cristo stesso ad essere definito «pastore e custode (episkopos)» delle anime. Pur non essendo una citazione che fa riferimento diretto ad un ministero nella Chiesa, ritengo che sia molto interessante, perché è coerente con quello che poi la tradizione comprenderà sulla figura e sul ministero del vescovo, che diventerà, a immagine di Cristo, il pastore e lo sposo della Chiesa.
In Fil 1,1 abbiamo la citazione più antica ed è l’unico passo delle lettere paoline autentiche in cui alcuni membri della comunità sono chiamati episkopoi: «Paolo e Timòteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi». Compaiono nel saluto iniziale accanto ai diakonoi. Si ritiene che sia ancora troppo presto per pensare che con questo termine Paolo possa intendere delle persone con un ruolo di guida, ma piuttosto figure con incarichi amministrativi corrispondenti agli episkopoi del mondo profano. A sostegno di questa ipotesi c’è il fatto che nella lettera Paolo ringrazia la comunità di Filippi per la colletta per la Chiesa di Gerusalemme: gli episkopoi potrebbero essere stati gli incaricati della colletta16 .
In 1Tm 3,2 Paolo, invece, dopo aver detto che chi «aspira all’episcopato (episkope), desidera un nobile lavoro» (3,1), elenca tutte le caratteristiche che un episkopos deve avere. Sono indicazioni che egli dà al suo discepolo Timoteo, perché possa discernere chi è chiamato da Dio a questo ministero: «Questa parola è degna di fede: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare…». Da Tt 1,5-7 però si evince che presbyteroi ed episkopoi sono per l’autore la stessa cosa. All’inizio di questa lettera Paolo incarica Tito di stabilire presbyteroi in ogni comunità e comincia ad elencare le caratteristiche che devono
15] Ibid., 1334. 16] Ibid., 1335.
avere. Poi passa al singolare: «Il vescovo infatti…» (1,7), come se stesse appunto parlando delle stesse persone dei versetti precedenti:
Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato. Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati. Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile: non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagni disonesti (1,5-7).
Un’ultima citazione la troviamo in At 20,28 e anche in questo caso si assiste ad una identificazione dei presbyteroi con gli episkopoi. Paolo, parlando agli anziani della Chiesa di Efeso ricorda loro di essere stati posti dal Signore come episkopoi per vigilare sul gregge: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi (episkopoi) per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio».
3. Alcune caratteristiche del presbitero diocesano già presenti nel Nuovo Testamento
In questo ultimo paragrafo ci proponiamo di mettere in evidenza come alcune caratteristiche del presbitero diocesano cattolico, evidenziate anche dai documenti del Concilio Vaticano II e dalla riflessione post-conciliare, siano già presenti nei presbiteri della Chiesa del I secolo. La trattazione non potrà essere approfondita, ma alcune di queste caratteristiche trovano uno sviluppo ulteriore in altri articoli della nostra rivista.
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come non ci sia una distinzione netta nel NT tra presbyteroi ed episkopoi. Quindi ritengo opportuno prendere in considerazione nel complesso ciò che si evince da entrambe le figure ministeriali. Si potrebbe parlare, almeno in alcune occorrenze, di presbyteroi/episkopoi.
Una prima caratteristica che emerge chiaramente è la collegialità. In continuità con le istituzioni e la tradizione giudaiche, nel NT si fa sempre riferimento ad un collegio di presbyteroi. Ad eccezione delle lettere di Giovanni, in cui l’autore si definisce il presbyteros, ma che sembra più un titolo onorifico che un ministero, il termine compare
sempre al plurale. Nelle comunità c’è sempre un gruppo di persone che condividono questo ministero. Oggi, alla luce della riflessione conciliare, si cerca di recuperare la dimensione del presbiterio, della comunione presbiterale, ma ancora si risente di un passato in cui il presbitero, in particolare il parroco, era diventata una figura di riferimento forte, anche dal punto di vista sociale, e se ne era perso il legame con gli altri presbiteri. Si ripete con forza da decenni che il presbitero non esiste senza presbiterio.
Un’altra caratteristica è la stabilità, quella che in termini moderni e giuridici definiremmo come l’incardinazione. I presbyteroi sono strettamente legati alla loro comunità. Ogni Chiesa ha i suoi presbyteroi e non si dà il caso che essi si spostino da una comunità all’altra, né è attestata alcuna forma di itineranza. Il legame tra presbitero e Chiesa locale è già stato debole anche nel passato, basti pensare alla problematica dei cosiddetti “chierici vaganti”. Oggi si ripropone con una certa gravità. I presbiteri diocesani passano con notevole facilità da una diocesi all’altra e in molti casi da famiglie religiose al clero diocesano. Si assiste con frequenza anche a passaggi di candidati al sacerdozio dalla propria Chiesa d’origine ad un’altra Chiesa locale. Si sta anche diffondendo una dottrina, non in linea con la tradizione, secondo la quale si diverrebbe presbiteri per tutta la Chiesa e non solo per una Chiesa particolare. Non è questo il luogo per approfondire tale questione. Abbiamo comunque visto come nel NT invece i presbyteroi sono scelti tra gli appartenenti alla comunità e non è attestata la provenienza da un’altra Chiesa.
Una terza caratteristica è il ruolo di guida della comunità, che si struttura a vari livelli. Il presbyteros/episkopos è innanzitutto annunciatore della Parola. Tale dovere di annuncio comporta anche il grave compito di vigilare su se stessi e sul gregge (At 20,28). E la vigilanza non è da intendersi in primo luogo sul piano morale/comportamentale, ma piuttosto dottrinale: sono le false dottrine che mettono a repentaglio l’integrità del gregge. E la santità del ministro, che si evince dalla sana dottrina, e solo conseguentemente da un comportamento ineccepibile, è fondamentale perché egli possa essere una vera guida della comunità. Anche qui si aprono molte possibilità di approfondimento. Credo, per esempio, che oggi si insista molto sull’integrità morale dei ministri della Chiesa e si sia molto intransigenti, anche giustamente. A mio parere, invece, si è molto tolleranti con chi assume posizioni
dottrinali spesso discutibili o mette a repentaglio la fede del popolo, per esempio, stravolgendo la liturgia. Ci si accontenta molto spesso solo del fatto che i ministri della Chiesa siano delle “brave persone” e aiutino i poveri. C’è ancora molto da camminare sul piano della formazione permanente del clero, perché solo un ministro che cura la propria preparazione teologica è capace di leggere le sfide del tempo presente alla luce della retta fede nel solco della tradizione. E questa ritengo sia una condizione imprescindibile per poter essere all’altezza di guidare la comunità cristiana.
26 | Simone Giusti