Italia Russia e dintorni. Piccola rassegna topologica del viaggiare

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Italia Russia e dintorni Piccola rassegna tipologica del viaggiare a cura di Ugo Persi Saggi di Rossana Bonadei, Marco Caratozzolo, Rosanna Casari, Valentina Gluťkova, Tat’jana Nicolescu, Ugo Persi, Andrej Polonskij

Stilo Editrice


Universitaria Collana di scienze filologiche, artistiche e umane Comitato scientifico Mariella Basile (Univ. degli Studi di Bari) Marco Caratozzolo (Univ. degli Studi di Bari) Domenico Lassandro (Univ. degli Studi di Bari) Ferdinando Pappalardo (Univ. degli Studi di Bari) Domenico Ribatti (Univ. degli Studi di Bari) Antonia Chiara Scardicchio (Univ. degli Studi di Foggia)

La presente pubblicazione è stata realizzata grazie al supporto finanziario del Dipartimento di Lingue, letterature straniere e comunicazione dell’Università degli Studi di Bergamo (Fondo 60PERS11).

isbn 978-88-6479-083-1 © Stilo Editrice www.stiloeditrice.it Stampato nel mese di giugno 2013 presso Arti Grafiche Favia, Modugno (BA)


SOMMARIO Presentazione di Ugo Persi

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Introduzione Travelogue: una metodologia per la conoscenza dello spazio

di Andrej Polonskij

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Viaggio in Georgia di Rossana Bonadei

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Viaggiare in taxi, tra reportage e romanzo: Gajto Gazdanov e Andrej Sedych di Marco Caratozzolo

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Viaggio alle prigioni siberiane: dalle memorie del garibaldino francese

Émile Andreoli

di Rosanna Casari

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I viaggi d’affari: un fenomeno culturale di Valentina Gluškova

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Andrej Belyj e il suo viaggio in Africa di Tat’jana Nicolescu

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Viaggi nel «Paese dei sovieti» di Ugo Persi Vincenzo Cardarelli: Viaggio di un poeta in Russia Corrado Alvaro: Viaggio in Russia Italo Calvino: Taccuino di viaggio nell’Unione Sovietica Carlo Levi: Il futuro ha un cuore antico Curzio Malaparte: Io, in Russia e in Cina Anna Maria Ortese: Il treno russo Alberto Moravia: Un mese in U.R.S.S. Gina Lagorio: Russia oltre l’Urss

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Il viaggio di Isaak Levitan al lago filosofico di Ugo Persi

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«Germania – una fiaba russa»,

Reno compiuto 1984 da Vasilij Michajlovič Peskov, pubblicista, giornalista e fotoreporter russo del giornale «Komsomol’skaja pravda» di Andrej Polonskij

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Appendice fotografica

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ovvero il singolare viaggio lungo il nell’anno


Presentazione Infatti, nella maniera in cui sono affetti rispetto agli stranieri e rispetto ai cittadini, gli uomini provano la stessa affezione anche rispetto all’elocuzione. Per questo si deve rendere straniero il linguaggio corrente: giacché ‘le elocuzioni’ di quelli che sono distanti sono meravigliose, e ciò che è meraviglioso è piacevole. Aristotele1

Quante sono le specificazioni che si possono applicare al concetto di ‘viaggio’? Non infinite, ma certamente molte; per ricordarne alcune alla rinfusa: «viaggio intorno al mondo», «viaggio astrale», «viaggio intorno alla mia stanza», «viaggio di nozze», «viaggio nell’ignoto», «viaggio di piacere», «viaggio nell’inconscio»… Che il viaggio sia quello più consueto dell’andarsene in altre contrade o qualcosa di diverso, di più astratto, metaforico, tutte queste sue varie categorie hanno comunque un elemento implicito che le accomuna, l’alterità. Essa è la condizione necessaria affinché il viaggio si realizzi; se manca l’‘altrove’, o l’‘altro’, sia esso noto o ignoto, il viaggio non ha senso, non si può viaggiare per restare dove si sta o come si è. E quandanche l’‘altro’ sia noto, il solo desiderio di recarvisi, d’incontrarlo ancora, è segno che in esso si intuiscono aspetti ignoti, celati, prima non sperimentati, verso i quali siamo attratti. Del resto, come afferma Eric Leed, «le trasformazioni dell’esistenza sociale nel viaggio indicano che non c’è un “io” senza l’“altro”, e che in fondo l’identità si crea con specchi e riflessi. Quando quei riflessi mutano, o si deformano, le identità si trasformano»2. 1. Aristotele, Retorica, III, 2, 1404b 8-12, in Id., Retorica e Poetica, UTET Libreria, Torino 2006, p. 317. 2. E.J. Leed, La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, il Mulino, Bologna 1992, p. 252.

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Alterità: un concetto insito nella natura stessa dell’uomo, delle cose, del mondo; il misantropo più refrattario può fare a meno dei suoi simili ma non può fare a meno dell’‘altro’, ed è tutto dire se persino il Dio della Genesi, il cui spirito, solo, si librava sulla terra desolata e buia, sentì la necessità di creare prima la luce perché la terra apparisse e divenisse ‘altro’, e poi altro e altro ancora, per ben sette volte constatando che ciò era buono. Eppure, forse proprio perché ci è tanto consustanziale, l’alterità è stata presa in considerazione come problema, come oggetto di riflessione al di là dell’esperienza quotidiana dell’incontro, di volta in volta felice o sciagurato, con l’anima gemella o con lo straniero invasore, specialmente e più intensamente a partire dalla prima metà del Novecento. In quell’epoca, sull’onda dell’incremento degli studi sociologici si sono poste le basi per tale riflessione, e nella seconda metà l’impegno della filosofia in questo campo ha preso sempre più l’aspetto di una ricerca applicata in relazione alle esigenze stesse del mondo che stava cambiando i propri connotati, rapidamente come mai in precedenza. È probabilmente Georg Simmel a dare il via nel 1908 a una serie di riflessioni e contributi che nel secondo dopoguerra andrà crescendo sempre più, e lo dà con Exkurs über den Fremden [‘Digressione sullo straniero’] che in poche pagine tocca quasi tutti i concetti fondamentali che da altri verranno sviluppati nei decenni successivi3. Carl Schmitt, con Der Begriff des Politischen4 del 1932, pone una pietra miliare ineludibile, sebbene inquietante, negli studi in materia di alterità; le sue riflessioni conosceranno uno sviluppo, maturato 3. Si tratta di un capitolo di G. Simmel, Soziologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, Duncker & Humblot, Leipzig 19081; edizione italiana: G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998. 4. Edizione italiana C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’, in Id., Le categorie del ‘politico’. Saggi di teoria politica, a cura di G. Miglio, P. Schiera, il Mulino, Bologna 1972, pp. 101-165.

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anche dall’esperienza della detenzione subita fra il 1945 e il 1947, con Ex captivitate salus5. Per restare in ambito germanico è giusto ricordare, anche se in sede di indagine letteraria e non filosofica, il fondamentale studio di Hans Mayer, Aussenseiter6. Di particolare valore è il contributo dato dalla scuola francese, rappresentato soprattutto dagli studi di Jean Baudrillard, Émile Benveniste, Jacques Derrida, Marc Guillaume, Julia Kristeva, Emmanuel Lévinas, Paul Ricœur, Pierre-André Taguieff, Tzvetan Todorov7. Meno numeroso ma rappresentativo il contributo degli italiani8. Tuttavia, leggendo i pensieri simmeliani dell’Exkurs risulta evidente in quale misura essi rappresentino una sorta di ‘Urtext’ di tutto quanto è stato pensato e scritto in seguito e come ciascun pensiero abbia costituito il seme, di sostanza estremamente compatta, da cui sarebbero poi germogliati 5. C. Schmitt, Ex captivitate salus. Esperienze degli anni 1945-1947, traduzione italiana di Carlo Mainoldi, Adelphi, Milano 1987. Schmitt, considerato il ‘giurista di Hitler’, conobbe la reclusione da parte degli Alleati e rischiò di finire sotto processo a Norimberga, ma venne infine prosciolto dalle accuse. 6. Edizione italiana H. Mayer, I diversi, Garzanti, Milano 1977. 7. Alcuni titoli fra i tanti: J. Baudrillard, L’altro visto da sé, Costa & Nolan, Genova 1997; J. Baudrillard, M. Guillaume, Figures de l’altérité, Descartes & Cie, Paris 1994; É. Benveniste, Ospitalità, in Id., Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, 2 voll., Einaudi, Torino 1976-1986, vol. I, Economia, parentela, società, 1976; J. Derrida, Politiche dell’amicizia, Cortina, Milano 1995; E. Hirsch, Racismes. L’autre et son visage, Cerf, Paris 1988; J. Kristeva, Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano 1990; E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983; P. Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 2011; P.-A. Taguieff, La forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e sull’antirazzismo, il Mulino, Bologna 1994; Tz. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Einaudi, Torino 1991. 8. Si ricordino, per esempio: G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995; A. Ponzio, Scrittura, dialogo e alterità. Tra Bachtin e Lévinas, La Nuova Italia, Scandicci 1994; C. Resta, L’Estraneo. Ostilità e ospitalità nel pensiero del Novecento, il melangolo, Genova 2008.

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questo o quel contributo scientifico fondamentali che a loro volta avrebbero reso fluida, articolata, quella sostanza. L’uomo, l’europeo, l’occidentale in viaggio per terre lontane incontrava sul suo cammino genti e cose che gli apparivano stravaganti, diverse, ‘altre’, ma era consapevole che quelli erano incontri che potevano tutt’al più lasciare traccia nella sua memoria, ma che solo in rari casi avrebbero cambiato la sua vita e, comunque, una volta tornato a casa se ne sarebbe staccato ed essi sarebbero restati là, nel loro ‘altrui’, mentre lui sarebbe tornato in seno al suo ‘proprio’. Del resto, molto significativo a tal proposito è quanto annota John Pemble circa l’atteggiamento degli inglesi a contatto con i popoli del Sud: Essi arrivavano nei Paesi mediterranei con idee misantropiche, influenzati da un clima culturale che era ostile all’ottimismo del diciottesimo secolo e incoraggiava un atteggiamento molto meno generoso nei confronti dell’umanità. In particolare esso attribuiva “alla gente” – la maggioranza socialmente inferiore – una nuova e pericolosa identità9.

Simmel, usando un paradosso, giunge a dire che «gli abitanti di Sirio a rigor di termini non è che ci siano estranei – almeno nell’accezione prevista dalla sociologia – per noi essi non esistono affatto, stanno al di là del lontano e del vicino»10. «Alterité radicale», la chiama Marc Guillaume, inassimilabile, incomprensibile, persino impensabile. Nel mondo odierno tutto è cambiato: l’‘altro’ non si accontenta più di restare nel suo ‘altrui’ ma entra, a volte di prepotenza, a volte alla disperata, nel nostro ‘proprio’, vi resta, vi si mescola, pur restando ‘altro’; «nella nostra percezione», 9. J. Pemble, La passione del Sud. Viaggi mediterranei nell’Ottocento, il Mulino, Bologna 1998, p. 155. 10. G. Simmel, Exkurs über den Fremden, citazione da http://socio.ch/sim/ unt9f.htm; la traduzione è mia.

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afferma ancora Simmel, «la posizione dello straniero si acuisce quando egli, invece di abbandonare nuovamente il luogo della sua attività, vi si fissa», anche se lo straniero per sua natura non è un ‘proprietario terriero’, laddove il termine ‘terra’ non è inteso solamente in senso fisico, ma anche in quello astratto di sostanza vitale fissata, se non a un luogo spaziale, comunque a uno ideale del circondario sociale11.

Lo straniero non solo diviene a fatica «proprietario terriero» e solamente in rari casi, ma nella pratica spesso si realizza quanto afferma Schmitt nella teoria; l’essenza del ‘politico’ secondo il filosofo si basa infatti sul binomio amico/nemico, e il nemico è l’‘altro’, tout court. Fornendoci un’interpretazione di questo concetto, Caterina Resta scrive: «L’altro in quanto altro mi fa paura. Scandagliare questa paura, […] la rivelerà, infine, come paura, prima ancora di perdere la vita, di smarrirsi, di perdere la propria identità a causa della contaminazione con l’altro»; e, contrapponendo la proposta di Lévinas di «aprire le porte» allo straniero che va considerato ospite e non ostile, prosegue: «per Schmitt, poiché l’altro in quanto straniero è il Nemico, sarà necessario piuttosto chiuderle più che mai e serrare le fila in un ‘Noi’ contro di un ‘Loro’»12. Non tutte le posizioni sono così radicali, antidemocratiche e pessimiste, sebbene risulti problematico uscire dalla logica «meglio un nemico dichiarato che un amico interessato», una logica che, paradossalmente, si è imposta dopo il crollo del Muro. Lévinas nel suo approccio al concetto di alterità si trova su una posizione diametralmente opposta a quella di Schmitt, come diametralmente opposte sono le loro figure storiche e le loro esistenze. E questa posizione levinasiana è ben sunteggiata da Augusto Ponzio: «L’io è 11. Ibid. 12. Resta, L’Estraneo cit., p. 26.

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tale in presenza d’altri; perché in quanto io è originariamente convocato, interpellato, dall’altro, dal volto stesso dell’altro, dal suo sguardo. È io in quanto l’altro lo ri-guarda»13. Per tutte queste ragioni l’alterità è divenuta nella nostra epoca un tema di vasto interesse e si vanno moltiplicando gli studi sui vari aspetti in cui essa si presenta, soprattutto nell’ambito della comunicazione interculturale. Come giustamente osserva Éric Méchoulan, è una banalità sottolineare che oggigiorno il nostro mondo sembra invaso dalla figura dell’altro, vuoi sotto la forma politica di un ospitale multiculturalismo che rende equivalenti, ossia indifferenti, tutte le culture, vuoi sotto la forma etica di una valorizzazione dell’alterità che di nuovo suscita una indifferenza generale dei valori… Ci si trova così (anche se non sempre) nell’ambito di un turismo dell’alterità14.

Fra i molteplici aspetti dell’alterità, considerata anche la polisemia stessa insita in questo termine, non poteva mancare quello del viaggio, o del viaggiare, se il riferimento non è solo al fatto in quanto tale ma anche alle sue modalità. Se, per citare ancora Simmel, «la disposizione al commercio di transito e ancora di più alla transazione monetaria dà allo straniero il carattere specifico della mobilità», è pur vero che le diverse modalità del viaggiare sono accomunate da un’intenzione più ampia, che può assumere sì connotati mercantili ma anche di semplice scambio, e quindi arricchimento culturale. Tuttavia è ormai un dato acquisito, come già rilevava Victor Segalen15 13. A. Ponzio, Introduzione, in E. Lévinas, Dall’altro all’io, Meltemi, Roma 2002, p. 19. 14. É. Méchoulan, Outre l’autre, in S. Harel, P. Ouellet (a cura di), Quel autre? L’altérité en question, VLB Éditeur, Montréal 2007, p. 153; la traduzione è mia. 15. Brest 1878-Huelgoat 1919; Segalen fu scrittore, etnografo, medico e grande viaggiatore, autore di Essai sur l’exotisme, pubblicato postumo nel 1978.

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all’inizio del Novecento, che una volta esplorata, scoperta e conquistata la Terra, e percepito che essa è una palla chiusa su se stessa, l’era dei viaggi è finita, perché il viaggio nella percezione che ne abbiamo ha una traiettoria idealmente retta in quanto proiettata, se non verso l’infinito, certo verso l’ignoto; mentre, una volta acquisita la consapevolezza della palla, tutto comincerà a girare attorno a se stesso, e quando su una sfera ci allontaniamo da un punto, nel contempo ci riavviciniamo a esso. «Ora sappiamo di essere in un mondo orbitale in qualche modo chiuso su di sé», osserva Baudrillard, pertanto è necessario rispettare la legge di tale concentricità alla quale non si può sfuggire. Nel contempo, come dice Segalen, è necessario andare alla ricerca di un esotismo radicale. È necessario cercare nell’orbitalità una specie di esorbitazione, di esorbitalità, che verrebbe a infrangere il piatto destino rappresentato dal turismo16.

George Eliot in una lettera rilevava argutamente tale «piattezza» già nel 1869 riferendosi ai britannici sulle rive del Mediterraneo: «L’unica cosa eccezionale che oggigiorno la gente può raccontarti di avere fatto è di essere rimasta a casa»17. Diverso il discorso per la Russia che, nel passare dei secoli – e soprattutto l’Unione Sovietica per settant’anni – ha rappresentato un’ottima risposta all’esigenza di «esorbitalità», sia sotto il profilo geo-culturale che ideologico-politico. Nella prospettiva del turismo dell’alterità, quindi, ma con qualche ambizione a guardare oltre, o meglio, indietro, verso 16. Baudrillard, Guillaume, Figures cit., p. 83; la traduzione è mia. 17. Citato da Pemble, La passione del Sud cit., p. 9. Sulla questione della ‘piattezza’ del turismo odierno, in prospettiva psicologica Felice Perussia difende il turista medio dallo ‘stereotipo’ negativo che lo caratterizza; si veda F. Perussia, Note sulla psicologia della testimonianza di viaggio, in E. Bianchi (a cura di), Geografie private. I resoconti di viaggio come lettura del territorio, Unicopli, Milano 1985, pp. 125-142.

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un ricupero del concetto di viaggio nell’alterità, il presente volumetto desidera inserirsi nel discorso sulle modalità del viaggiare, molto vivace anche in ambito accademico italorusso, con una serie di contributi di varia natura e variamente collocati nel tempo che riflettono tuttavia il forte legame fra Russia ed Europa occidentale, legame inteso qui come spostamenti, scambi, viaggi, migrazioni. Nell’articolo di Marco Caratozzolo Viaggiare in taxi, tra reportage e romanzo, ad esempio, il viaggiare si esprime in forma duplice, oltre che affatto originale. Duplice perché tratta del mondo degli emigranti russi a Parigi, la «prima emigrazione», viaggiatori sia in quanto migranti sia perché, una volta stabilitisi, per mestiere viaggiano; originale perché i loro viaggi si svolgono a bordo dei taxi. Per scoprire, alla fine, che anche il loro viaggiare ha un aspetto duplice: si spostano da un punto all’altro del labirinto urbano, ma viaggiano anche fra i meandri dell’animo umano quando entrano in contatto, talvolta in confidenza, con i propri clienti. Quella dell’emigrazione russa a Parigi, oltre a quanto si può ancora dire e a quanto è già stato detto, è al tempo stesso un bell’esempio e un bell’esercizio di ‘alterità’: un cospicuo gruppo etnico, spinto da tragici eventi, si trasferisce in un Paese straniero; vorrebbe, soprattutto per garantirsi il sostentamento, interagire con l’organismo in cui si è introdotto, che però lo accetta senza entusiasmo; il gruppo etnico, da parte sua, non cerca l’integrazione perché ritiene di trovarsi nell’altro organismo solo per necessità ed è spiritualmente tutto proteso verso il ritorno al Paese di origine che crede, inizialmente, sia a portata di mano. Ed è talmente proteso a quel traguardo da creare in ambiente parigino una sorta di serra russa in cui poter coltivare, narrare le tradizioni avite, con risultati anche straordinari; una serra le cui piante, private di nuovi innesti dal passare del tempo, alla fine rivelerà la propria desolazione.

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Andrej Belyj, il celebre autore di Pietroburgo, non aveva voluto emigrare e vide partire per la Francia, la Germania o altri lidi, molti di quegli intellettuali che entreranno nella storia letteraria russa come la già ricordata «prima emigrazione». Spinto più dal desiderio di rientrare nel giro antroposofico e soprattutto di ricostruire il suo matrimonio con Asja Turgeneva, nel 1921 riesce a ottenere dalle autorità sovietiche il permesso di espatrio e va a Berlino, altro grande centro di aggregazione di emigrati russi. Nel 1922 proprio nella capitale germanica verrà pubblicato un suo libro sul viaggio che aveva portato lui e Asja attraverso l’Italia e poi in Tunisia ed Egitto, Appunti di viaggio. La letteratura odeporica sui viaggi dei russi in Italia è assai ricca e spazia dal XVI secolo ai giorni nostri, ma le pietre miliari sono probabilmente due: la corrispondenza di Nikolaj Gogol’ residente a Roma dal 1832 al 1842 e la monumentale opera dello storico dell’arte Pavel Muratov, Obrazy Italii [‘Immagini d’Italia’], i cui due primi volumi uscirono fra il 1911 e il 191218. Il diario del viaggio in Italia di Belyj, perciò, si pone in una lunga e prestigiosa serie di testi. Meno noti e studiati sono i viaggi dei russi in Africa e in generale il contributo russo alla cultura letteraria dell’orientalismo, eccezion fatta per quello che si considera l’Oriente russo, ossia la Crimea e il Caucaso. Lo studio di Tat’jana Nicolescu su Andrej Belyj e il suo viaggio in Africa è per questa ragione un contributo ancor più pregevole e atteso. Se le autorità sovietiche avevano rilasciato il permesso di espatrio a Belyj probabilmente solo per l’imbarazzo seguito alla morte di Aleksandr Blok, avvenuta per cause comunque naturali, e quella di Nikolaj Gumilëv, anche lui celebre poeta e marito di Anna Achmatova, fucilato, il visto di entrata in 18. Va detto che la monumentale opera di Muratov non è un travelogue in senso stretto, ma un fondamentale contributo scientifico alla conoscenza della cultura artistica italiana.

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Unione Sovietica era altrettanto difficile da ottenere, soprattutto nel periodo staliniano, ma già negli anni Venti. Eppure è proprio alla fine di quest’ultimo decennio che iniziano i viaggi di alcuni importanti scrittori italiani. Da Vincenzo Cardarelli a Gina Lagorio, Viaggi nel «Paese dei sovieti», riecheggiando il curioso nome messo in voga da Cesco Tomaselli, presenta una serie di reportage di scrittori e scrittori-giornalisti quasi tutti di orientamento progressista che a contatto con la vera Unione Sovietica – non quella trionfante propagandata dopo la guerra a tremila chilometri di distanza – scoprono anche i tratti della vecchia bonaria Russia che si credevano ormai del tutto cancellati. Uno studio che, presentando lo sguardo di alcuni italiani sull’Unione Sovietica, conferma il fatto che non esiste, come giustamente nota Rossana Bonadei, «uno ‘sguardo turistico assoluto’ ma sguardi differenziati che si sono costruiti nel tempo lungo le vicende sociali, l’ideologia, l’estetica, anch’essi testualizzati e suturati, pronti a innescare l’emozione intertestuale del paesaggio»19. Sulla prospettiva opposta, quella di un giornalista sovietico in Occidente, si concentra lo studio di Andrej Polonskij «Germania – una fiaba russa», ovvero l’inconsueto viaggio lungo il Reno compiuto nell’anno 1984 da Vasilij Michajlovič Peskov, pubblicista, giornalista e fotoreporter russo del giornale «Komsomol’skaja pravda». Il lungo titolo, che riecheggia quelli tipici dei racconti di viaggio dei tempi passati, traccia le coordinate del capitolo dedicato alla Germania contenuto in un testo odeporico fra i più interessanti dell’epoca, Viaggi, scritto da uno dei giornalisti più noti e amati in Unione Sovietica. Non è senza interesse notare che Peskov chiama i propri viaggi non con il comune putešestvija, ma con un termine anch’esso odoroso di tempo passato, stranstvija, che accoglie in sé il concetto 19. R. Bonadei, I luoghi nel mosaico degli sguardi, in R. Bonadei, U. Volli (a cura di), Lo sguardo del turista e il racconto dei luoghi, Franco Angeli, Milano 2003, p. 17.

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di quelle lontananze sconosciute e per questo pericolose che anche Puškin evoca in un suo verso: «E dove la sorte m’invierà la morte? in battaglia, in viaggio, nei flutti?». E davvero il mestiere di reporter aveva condotto il giornalista in ogni parte del mondo, dall’Alaska all’Antartide. Tuttavia, nel racconto di Peskov sulla Germania di rischioso non v’è nulla, anzi, tutto ispira fiducia, ordine, sicurezza, e Andrej Polonskij mette in evidenza la convinzione del giornalista che, nonostante i due Paesi siano legati dalla loro storia molto più di quanto possa apparire, i russi devono ancora molto apprendere dai vicini tedeschi, e quello di Peskov è un indiretto invito ai propri compatrioti a compiere un viaggio «cognitivo». Era il 1991 quando uscì il volume, e certe cose si potevano già dire. Anche Valentina Gluškova nell’articolo I viaggi d’affari: un fenomeno culturale torna con insistenza sul concetto di apprendimento, conoscenza, in russo poznanie, ma lo applica a una modalità particolare del viaggiare, quella del turismo d’affari. Partendo da una prospettiva generale del fenomeno, l’autrice passa a riflessioni che toccano più da vicino la realtà del businessman russo odierno. Dal periodo post-perestrojka, nel quale ancora non si era sviluppata questa forma di viaggio e prevaleva invece un turismo principalmente edonistico, si è passati successivamente a uno sviluppo sempre più rapido dei viaggi d’affari, per giungere in questi ultimi anni a un’evoluzione culturale di questo fenomeno che tende ormai a coniugare l’aspetto professionale con quello conoscitivo. Di contenuto e intonazione affatto diversa l’articolo di Rosanna Casari Viaggio alle prigioni siberiane. L’ideale politico aveva spinto un gruppetto di valorosi ex garibaldini a spostarsi dall’Italia in Polonia: volevano lottare a fianco del popolo polacco per la sua libertà così come avevano già lottato per la libertà di quello italiano. I russi, che governavano quella parte di Polonia, li catturarono per poi spedirli ai lavori forzati in Siberia. Iniziò così un interminabile viaggio a piedi,

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per circa seimila chilometri, un’autentica epopea in sedicesimo le cui tappe sono state ricostruite dall’autrice sulla base di documenti noti ma poco studiati, che non solo gettano luce su una parte di Russia allora quasi sconosciuta, vista da alcuni occidentali, ma, e soprattutto, su una modalità di viaggio affatto inconsueta, ancorché sventurata e imposta. I viaggi di cui ci riferisce Rossana Bonadei in Viaggio in Georgia si svolgono non a piedi, ma a cavallo, e non in Russia, ma in un Paese da essa acquisito all’inizio dell’Ottocento, la Georgia, appunto, che sarebbe poi divenuto il suo ‘sogno esotico’, il suo Oriente. Un’ardita donna inglese e un militare italiano in servizio nell’esercito dello zar sono i protagonisti di autentiche avventure in una terra conosciuta da millenni, l’antica Colchide, ma nell’Ottocento quasi sconosciuta nella sua realtà geografica ed etnografica. Una piccola rassegna, quella che qui presentiamo, con l’unica ambizione di portare un contributo al dibattito culturologico sull’‘alterità’ mediante riflessioni sul viaggio, l’attività umana che forse più e meglio d’ogni altra si presta a impostare il tema della comunicazione interculturale. Ugo Persi


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