FXP Febbraio 2013 Numero 4

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editoriale 5 Pazienti modello medicina 7 Nel segno di Ippocrate 8 Il Giuramento di Ippocrate 10 Una voce autorevole al Falcone 11 La medicina non può rinunciare alla sua componente umanistica 14 MDB (metodo Di Bella) 17 Il poeta della scienza 24 Sclerosi multipla 26 Lo stato della ricerca 29 Vox populi, vox dei 31 Fiori di Bach 32 Carpe diem 36 Fitoterapia: perché tanto scetticismo 40 Poche semplici informazioni salvavita 42 Scrubs il quadrato 44 Il futuro del pianeta dipende solo da noi 46 L’amore per gli animali fotonotizia 48 Premio Nobel 2012 per la pace all’Unione europea psicologia 50 Che noia società 54 Homo sapiens o homo stupidus letteratura 56 La morte di Ivan Ill’ic poesie 57 Eros e Thanatos musica 58 Music Planet sport 60 Si corre per tanti motivi 62 Tutti pazzi per Ilario games 64 Avvertenza: i video giochi fanno male cinema 66 Un nuovo anno tra film e speranze svago 68 Prof si nasce 70 I giochi di FXP l’oroscopo 72 Oroscopo Maya

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pazienti modello

Si allunga l’aspettativa di vita, ma diminuisce l’aspettativa di vita sana

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ari studenti, cari lettori, ben ritrovati sulle pagine del nostro magazine. È trascorso molto tempo dal mio ultimo editoriale e nel mezzo abbiamo vissuto un altro incontro al Bookfeast: anche quest’anno è stata un’esperienza molto arricchente, della quale torno a ringraziarvi. Sono stata molto colpita dal tema scelto per il nostro numero monografico e come sempre i redattori di Fxp lo hanno sviscerato e affrontato sotto molti aspetti. Leggendo le ultime statistiche europee, emerge con chiarezza che l’aspettativa di vita di noi italiani è in costante aumento negli ultimi dieci anni, ma si è invece ridotta l’aspettativa di vita sana, soprattutto per le donne. Significa che viviamo di più, ma quegli anni che abbiamo “guadagnato” sono anni di malattia e di “cattiva vita”. È interessante osservare le statistiche sanitarie sulla sezione Heidi del sito della Commissione europea (Heidi è l’acronimo che indica il servizio statistica dell’Unione europea). Dal confronto con gli altri Paesi (è pos-

sibile mettere in relazione il dato italiano con quello di ogni singolo Paese o con la media del continente in un’infinità di variabili che è molto interessante correlare) del continente emerge che noi italiani abbiamo ridotto di molto la nostra qualità di vita. Meglio di noi non solo le svedesi, finlandesi, olandesi, come potrebbe essere scontato, ma anche le polacche, le ucraine, le portoghesi. Cosa succede? Perché ci ammaliamo di più? Stile di vita errato? Abbiamo lasciato nel cassetto quelle regole di vita che i nostri nonni longevi e più sani ci avevano tramandato? Se mi guardo intorno sento di accogliere questa spiegazione. Senza ridurre il tutto (il discorso è ben più complesso) al trito e ritrito “logorio della vita moderna” sono convinta che è nel nostro modo di affrontare la quotidianità che possiamo trovare una soluzione. Proprio recentemente l’Aifa, l’agenzia italiana per il farmaco, ha fatto sapere che è aumentato esponenzialmente l’acquisto di medicine di fascia C e di antidepressivi e psicofarmaci. Capite? Viviamo di più, assumiamo più medicine e però, giusto per fare un esempio, dal 2006 ad oggi le italiane hanno perso 10 anni di aspettativa di vita sana. Forse la ricetta, per rimanere in tema, non è quella giusta. Facciamo un passo indietro, impariamo a prenderci cura di noi stessi, corpo e mente in un unicum interrelato, facciamo in modo di non aver bisogno di medicine, non intossichiamo il nostro organismo con la chimica inutile, cerchiamo di essere sani, prima di diventare dei pazienti modello. Buona lettura! Stefania DIVERTITO (Direttore responsabile) (S_divertito@hotmail.com)


nel segno di IPPOCRATE

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ppocrate (460-370 a.C.) è considerato il fondatore della medicina occidentale. Il medico, emblema di un clima culturale tipicamente ellenico, conferisce a questa antica pratica la dignità e lo statuto epistemologico e metodologico di scienza. Per Ippocrate la medicina deve emanciparsi dalla magia e dalla religione e fondarsi sulla validità oggettiva del metodo empirico e razionale. Alcune delle intuizione che si trovano in quelle opere ippocratiche ritenute certamente autentiche, sorprendono per la loro sconcertante modernità. Innanzitutto il legame inscindibile tra la malattia, il carattere dell’uomo e l’ambiente in cui questi vive; un atteggiamento olistico che coglie l’uomo nel complesso in cui è inserito, che insegna ad individuare le corrispondenze e il nesso tra causa ed effetto, nel solco di una concezione tipicamente razionale e filosofica; così il sintomo è l’espressione evidente di uno squilibrio più profondo che investe non solo il corpo ma anche lo spirito (in tale prospettiva, ad esempio, Ippocrate considera la situazione politica come capace di favorire o danneggiare la salute dell’uomo). Un’altra concezione rilevante che pone il medico di Cos come fondamentale nella nascita della scienza medica è l’antidogmatismo, il rifiuto ad accettare acriticamente visioni e conoscenze precostituite; l’insofferenza nei confronti di ogni autorità che non si fondi sulla dimostrazione razionale, sulla condivisione delle informazioni, è tra gli aspetti del pensiero ippocratico che più di altri dovrebbe essere conservato e difeso oggigiorno. Ecco quindi che quelle pratiche di guarigione, appannaggio esclusivo di caste sacerdotali, vengono liberate dai lacci della superstizione e del potere per diventare libera ricerca e prassi medico-scientifica. Crediamo, tuttavia, che la grandezza di

Ippocrate e di quel mondo che egli rappresenta non consista solo e soprattutto nello statuto teoretico di scienza con cui viene fondata la medicina, quanto piuttosto nella prescrizione morale che deve guidare ogni gesto del medico, nella statura etica dello stesso, nella sua identità morale. È tale aspetto, profondamente umanistico, che deve essere rivalutato in un’epoca, come quella attuale, in cui spesso la scienza medica sembra dimenticare la sua nobile missione per diventare strumento nelle mani di interessi legati al profitto, al prestigio personale e al potere, in cui il malato – l’uomo – non rappresenta più il fine dell’azione medica, ma un semplice mezzo. Il malato, infatti, non è l’involucro di una malattia, ma una persona, con le sue paure, la sua storia, i suoi diritti e, in definitiva, la sua dignità. Troppo spesso queste indiscutibili evidenze vengone ignorate in una lotta contro la patologia dove l’uomo rimane come sullo sfondo, simile ad uno spettatore ignaro ed impotente. Il fatto che il Giuramento di Ippocrate, fino a qualche tempo fa obbligatorio per ogni giovane medico, sia diventato ora facoltativo, la dice lunga su tale cambiamento di prospettiva. La medicina, per quanto evoluta, rischia oggigiorno di perdere la propria anima, la propria identità. Per questo, noi di FXP, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di dare un contributo ad una presa di coscienza ormai non rinviabile e abbiamo dedicato il numero che state leggendo al medico greco, simbolo dello spirito più autentico della medicina. Riportiamo di seguito il celebre Giuramento. Buona immersione… Fabrizio COPERTINO (Vicedirettore)


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il giuramento di ippocrate Versione classica

Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest’ arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest’arte se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e nessun altro. Scegliero’ il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prende-

rò mai un’ iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l’aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch’io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell’ arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.

Versione moderna Consapevole dell’ importanza e della solennità dell’ atto che compio e dell’ impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’ uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie

doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’ esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione. Di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’ urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’ esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; di astenermi dall’ “accanimento” diagnostico e terapeutico.


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una voce autorevole al falcone

la medicina non può rinunciare alla sua componente umanistica

Incontro con il professor Enrico AITINI

Intervista al professor Enrico AITINI

a cura di Arianna BUCELLA, Linda SALICI e Lucia TONELLI (IVAs)

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l Tumore, è una massa di tessuto formato da cellule che non rispondono più in modo normale al sistema di controllo del ciclo cellulare e si dividono in modo eccessivo fino a formare masse cellulari anomale. Si è arrivati a capire che la crescita tumorale dipenda dall’angiogenesi, ovvero dalla formazione di nuovi vasi e quando il tumore li riceve ha un afflusso di sangue maggiore che lo fa crescere diventando più aggressivo. Inoltre l’ambiente influisce molto sul crearsi dei tumori e in una zona (come la pianura padana) dove il tasso d’inquinamento è molto elevato il rischio di insorgenza tumorale è maggiore. Passando dalle prime tappe dell’800 si è iniziato a conoscerlo in ambito di biologia molecolare, uno dei momenti più significativi della ricerca fu il 2 dicembre 1943, durante la seconda guerra mondiale, quando la forza aviatoria tedesca Luftwaffe sferrò un attacco nel porto di Bari, colarono a picco moltissime navi, tra cui il mercantile John Harvey. Questo trasportava cento tonnellate di prodotti chimici, mostarde azotate, composti particolari che erano stati racchiusi in fusti e autorizzati

danni che provoca. Sono anche utilizzati farmaci per bocca che hanno un buon profilo tossicologico e tollerabilità. Un passaggio notevole rispetto alla chemioterapia è stato quando, trovandosi davanti a tumori della prostata e della mammella, che sono spesso ormonosensibili, si fanno cure di tipo ormonale che vanil bellissimo libro scritto no a controllare gli ormoni, dal prof. AITINI insieme a queste sono terapie molto selettive, non danno tossiSandro BARNI cità particolari e sono molto ben tollerate. Devo dire per essere utilizzati come che anche dalla parte delle bombe chimiche. Molaziende farmaceutiche si sta ti marinai morirono, quelli cercando di creare dei farche si salvarono da li a pomaci con i minori effetti colchi giorni cominciarono laterali possibili.” a manifestare dei disturSpesso ci si pone la dobi particolari, degli effetti manda se il tumore sia eretossici sulla cute, ma moditario o no, e a questo strarono soprattutto delproposito l’oncologo rile febbri e delle emorragie sponde che attualmente inspiegabili. Questi venc’è un rischio generico per nero trasferiti nell’ospedale di New York e si capì che le famiglie “le conoscenze attuali ci dicono che solo quelle sostanze avevano alcuni tipi di famiglie erediportato un danno al mitano alcuni tipi di tumore, dollo osseo, colpendo così sono la minor parte”, i tipi progenitori delle cellule tumorali trasmettibili sono presenti nel sangue. il tumore della mammelle, Dall’incontro con il Dotdell’ovaio, e alcuni tumori tor Aitini, ematologo della del colon. scuola di Bologna e mediLo stato d’animo del paco con una specializzazioziente oncologico inoltre, ne oncologica nell’ospeè molto importante, questi dale di Mantova, è emerso deve essere sostenuto dalche “oggi come oggi non ci la famiglia e così affrontesono alternative alla cherà con maggior coraggio mioterapia, purtroppo siale cure . mo tutti consapevoli dei

a cura di Alice GHIROLDI (IIICri)

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uongiorno Dottor Aitini, innanzitutto la ringrazio per essere qui con me e potermi concedere un’intervista. In secondo luogo partirei subito con una domanda: come è ben noto, il suo lavoro è a stretto contatto con i sentimenti delle persone e con uno degli eventi più brutti che una persona possa vivere sulla propria pelle, la morte. Lei come affronta la sua professione, in maniera fredda e distaccata, oppure si fa coinvolgere dai casi dei suoi pazienti? Io personalmente sono comunque coinvolto, perché generalmente un paziente la cui malattia evolve in senso negativo, non è un paziente che si conosce un giorno e muore il giorno seguente, con il quale quindi non hai il tempo di stabilire un rapporto. In genere, il tumore è una malattia che evolve gradualmente nel tempo, grazie anche ai progressi terapeutici al giorno d’oggi che hanno consentito anche ai pazienti che non guariscono delle lunghe sopravvivenze. Durante questi lunghi lassi di tempo, succede che al di

là dell’aspetto puramente medico si mettono in gioco anche dei valori umani e delle conoscenze dei propri modi di intendere la vita. Nasce quindi un rapporto che esula in qualche modo o che è in qualche maniera collaterale al legame medico-paziente, nel senso di persone che offrono un aiuto e persone che hanno bisogno di un aiuto in termini puramente scientifici. È chiaro che c’è sempre una sofferenza, non solo da parte del medico, ma anche da parte dell’equipe, in quanto si instaurano delle relazioni così forti che intraprendono un percorso comune, perché alla fine diventa un “camminare insieme”, cercando di capire le difficoltà l’uno dell’altro. Capisco che il suo rapporto medico-paziente è fondamentalmente basato sulla fiducia e sulla sincerità. Perciò immagino che quando ha dovuto comunicare al paziente e alla sua famiglia i verdetti finali di questo “camminare insieme” non ha mai preferito omettere la verità. Sì, ovviamente dire la verità non significa consegnare un foglio con scritto una

diagnosi o una prognosi. Perché ci sia un corretto coinvolgimento del paziente sulla verità, ci deve essere una comunicazione (ricordando che la comunicazione, a differenza dell’informazione che è monodirezionale, implica due soggetti che si scambiano informazioni fra di loro, essendo bidirezionale), altrimenti si distruggerebbe una persona. La comunicazione diventa quindi un processo fondamentale sulla gestione delle verità diagnostiche, terapeutiche e prognostiche. L’ultima verità è sempre quella più imprecisa, su cui è difficile dare anche delle semplici informazioni corrette, in quanto ognuno di noi ha una propria storia e ognuno di noi reagisce alle terapie in modo differente. Sono quindi assolutamente contrario all’omissione della verità, salvo casi eccezionali, come ad esempio di persone molto anziane con una percentuale di sopravvivenza bassissima, consapevoli di ciò a cui vanno incontro, ovvero la morte. In casi come questi si può comunicare la situazione alla famiglia del paziente e decidere di ometterla al ma-


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lato. Il processo della comunicazione della verità non è uguale tutte le volte, c’è bisogno di una gradualità dell’informazione, in quanto un paziente può non essere preparato a sapere ciò che può accadergli. Quando una persona guarisce, lei come si sente? Mi sento veramente molto bene. Si provi a pensare a comunicare una brutta notizia e comunicarne una bella; mentre comunicare una cattiva notizia risulta difficile e penoso, comunicarne una positiva, magari a una persona cara, è un’esperienza bellissima, ci si sente sollevati. Bisogna dire che il tempo dedicato a comunicare le cattive notizie è relativamente poco, in quanto ci sono persone sensibili che colgono il saper esporre una notizia, come ci sono persone che come si suol dire, non hanno “tatto” e sono incapaci di trasmettere ciò che devono trasmettere. Ogni tanto mi viene fatta questa domanda: “ma lei preferisce un medico che sa comunicare bene o che conosce bene la medicina?” e rispondo che le due cose non sono inconciliabili e quindi impegniamoci su entrambi i fronti perché una buona relazione medico-paziente fa parte della cura. Un pensiero che spesso sostengo, è che molte

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Il professor AITINI in compagnia del nostro Dirigente scolastico Gianna DI RE

persone intraprendono la carriera di medico solo per interesse e non per vocazione. Lei cosa ne pensa? Io sono d’accordo. Come in tutte le professioni ci sono persone che intraprendono una carriera lavorativa solo per la remunerazione di essa, perché come si sa la professione di un medico è generalmente remunerativa. Io infatti sono contrario ai numeri chiusi nelle facoltà, perché se si vuole accettare la meritocrazia, a tutti bisogna lasciare un’opportunità. Volevo toccare l’argomento delle cure paliative. Secondo lei, questo percorso che si intraprende per aiutare la persona a morire dignitosamente, è un’arrendersi ad un eventuale guarigione? Parto con il presupposto che ognuno di noi deve farsi un’idea di finitudine, in quanto la medicina non è una stregoneria, non è neanche la bacchetta magica che risolve ogni problema. La medicina ha i propri limiti. Dico anche che tut-

te le persone sono curabili, ma non tutte sono guaribili. Questo significa che bisogna aiutare, accompagnare le persone verso la morte e quindi secondo me le cure palliative sono veramente molto importanti, quando attuate in modo corretto. È un sostenere il paziente e tutto l’ambiente familiare in un momento drammatico della vita. Credo che queste cure siano molto importanti se integrate alle cure oncologiche, in quanto non creano un senso di abbandono nel paziente. Perciò secondo me intraprendere le cure palliative non è un’arrendersi ad un eventuale guarigione, semplicemente un accompagnare la persona fino alla conclusione dei suoi giorni in maniera distinta. Lei cosa consiglia ai giovani che contraggono queste malattie e cosa consiglia alle famiglie che assistono a questi eventi?

La prima cosa è scegliere un centro e dei medici competenti e preparati, perché è una delle principali variabile. Quindi non andare a casaccio e non ascoltare i consigli di tutti. Ovviamente poi dipende dal tipo di tumore che si contrae, perché ci sono tumori con altissime possibilità di guarire e altri in cui ce ne sono bassissime. Con un tumore a bassa possibilità di guarigione bisogna fare un programma terapeutico che prendi in considerazione, in maniera abbastanza precoce, anche le cure paliative. L’approccio alla malattia tumorale deve essere multidisciplinare, offrendo quindi maggiori possibilità al paziente oncologico. Cosa pensa delle persone affette da tumore, consapevoli di avere una forma tumorale che con il tempo può essere guarita, ma decidono di non cominciare le cure chemioterapeutiche? Rispetto la volontà delle persone, perché credo che ogni persona abbia il diritto di scegliere. Tanto è vero che nessuno di noi può attuare una cura se non c’è il consenso informato e l’autorizzazione della persona stessa. Se mi si presenta un paziente con una forma tumorale, cerco sempre di informare la persona del fatto che può essere guarito, con la cura giusta ovvia-

mente. Oltre ad essere un oncologo, un docente universitario, lei scrive. Come mai questo suo approccio alla letteratura? Secondo me la medicina è una materia, una professione che deve coniugare gli

Enrico Aitini è nato a Mantova nel 1950. Medico chirurgo specializzato in ematologia (Bologna 1975) e in oncologia (Genova 1983), è direttore dal 2002 della U.O. di Oncologia Medica ed Ematologia dell’Ospedale di Mantova. Da alcuni anni è professore a contratto presso la Scuola di specializzazione in oncologia dell’Università di Parma. Membro dell’Associazione Medici Scrittori Italiani ha pubblicato due romanzi e diversi racconti, alcuni dei quali premiati in concorsi letterari.

aspetti scientifici agli aspetti umanistici, quindi la letteratura come la musica; io suono e sono appassionato di musica, così come sono appassionato di storia. La medicina è una disciplina che non può fare a meno né della componente scientifica, ovviamente, ma nemmeno della componente umanistica. E fortunatamente ci sono molti medici convinti di ciò, infatti ci sono molti medici che scrivono. Inoltre ho scritto anche degli articoli in in-

glese sulla comunicazione delle cattive notizie. Che aspettative ha per il futuro? È fiducioso nei giovani che vogliono mettersi in gioco e lottare insieme ai pazienti? Sì, molto. Sono molto fiducioso, e vorrei che venga data una scossa a questa società stantia sotto tanti punti di vista. Vorrei fare anche una confidenza: la discesa in campo di Renzi è stata una cosa utilissima, al di là che uno possa avere ideali politici differenti, perché ha in qualche modo smosso qualcosa che era inamovibile, anche se purtroppo sembra ritornare così. C’è bisogno che una componente giovanile entri in tutti i campi per portare la propria intelligenza, la propria fantasia e le proprie idee. Perché i Beatles sono stati così importanti? Hanno fatto delle canzoni straordinarie? Guardate che i loro testi non sono poi così complicati, ma socialmente sono uno dei fenomeni più importanti del secolo scorso, in quanto hanno rivoluzionato completamente i rapporti tra le generazioni passate e quelle future, perché il confronto, il parlare, il comprendersi o il non comprendersi accettando le idee altrui è un dato assolutamente positivo. È questo su cui dobbiamo batterci. Quindi ragazzi non abbattetevi e lottate, sempre!


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mdb (metodo di bella) L’alternativa dimenticata perché scomoda a cura di Andrea MANISCALCO (VBs)

Ecco il metodo, non accettato dalla medicina ufficiale, per la cura alternativa dei tumori. Esso, pare, consenta al paziente una guarigione totale dalla neoplasia, evitando ricadute e dannosi effetti collaterali provocati dalle terapie tradizionali, sfruttando l’azione sinergica di alcune sostanze naturali.

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na soluzione contro il cancro? Un’utopia, lo sanno anche i muri, e forse il giorno che verrà scoperta, il suo inventore verrà celebrato e lodato come un Dio. Rimanendo con i piedi per terra però, dobbiamo essere coscienti che la realtà è un’altra: il cancro c’è e ad oggi non è possibile prevenirlo totalmente, anche se la diagnosi precoce rimane sempre l’arma migliore. Tuttavia è possibile curarlo ed eventualmente debellarlo definitivamente. Le modalità di cura di una neoplasia riconosciute dalla medicina ufficiale, attualmente, sono tre: la chirurgia in sede neoplastica, la radioterapia e chemioterapia, usate singolarmente o sovente associate tra loro. La chirurgia in sede neoplastica è mirata all’asportazione chirurgica della massa tumorale, la radioterapia è una tecnica che impiega raggi X e gamma per bombardare la sede

fetti collaterali che queste pratiche producono. Per esempio nella chemioterapia, lasciando da parte la “classica” caduta di capelli, tra gli altri effetti collaterali possiamo annoverare: debilitazione generale del paziente durante tutto il periodo di trattamento (fatigue), effetti sul SNC, effetti a livello gastrico e renale, Il prof. Luigi Di Bella ridotta funzionalità del midollo osseo, del tumore e infine la sterilità, impotenchemioterapia è l’insieza, diabete, e/o addiritme dei farmaci e dei me- tura, l’insorgenza di un todi di somministraziotumore secondario! Ebne degli stessi con il fine bene sì, l’insorgenza di di ridurre la massa canuna nuova neoplasia, cerosa e frenare la proli- che per altro il pazienferazione citologica can- te non affronta nel micerosa. Ecco questi sono gliore dei modi, peri metodi più comuni, ap- ché reduce dalla fatigue provati dalla medicina del tumore precedente. ufficiale, anche se in reQuindi paradossalmenaltà ce ne sarebbero altri te si può affermare che i come la terapia ormona- chemioterapici svolgole e l’ipertermia artificia- no correttamente la loro le, ma sono poco diffusi. funzione, ma talvolta, Non si può negare che quando tutto sembra file metodologie ufficianito, altre cellule impazli sollevino seri dubbi ri- zite proliferano incesguardo la loro efficacia, santi e incontrollate per ma a far preoccupare dare vita a un nuovo tusono soprattutto gli efmore. Quindi il pazien-

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te fortemente debilitato dal tumore precedente ha ora una probabilità molto più bassa di sopravvivenza e molte volte viene accompagnato dal suo stesso tumore, a miglior vita. Certo, non è bello a dirsi, ma l’incidenza delle recidive soprattutto in alcune particolari neoplasie, è molto alta. Ma allora che beneficio possiamo trarre da un trattamento farmacologico antitumorale se è questo a procurarci talvolta un altro tumore e se, in definitiva, le aspettative di vita sono alquanto ridotte? Possibile che nell’epoca moderna e post-moderna non si sia riusciti ad ovviare al problema delle ricadute, o perlomeno ai dannosi effetti collaterali che provoca una chemio? Sono due domande “dal peso esistenziale” che sono state chiarite con metodi alternativi, dal tanto dibattuto Prof. Luigi Di Bella. Di Bella, medico di fama internazionale, professore universitario italiano e mente eccelsa dal sapere enciclopedico, è riuscito, grazie ad un cocktail di sostanze naturali e vitamine, a curare i tumori di un numero ingente di persone senza che esse presentassero alcun effetto collaterale e senza recidivare in altre neo-

plasie. Di Bella riteneva che il problema delle tecniche farmacologiche o radioterapiche, fosse quello che esse miravano a distruggere semplicemente il tumore o al limite fermare la proliferazione citologica dello stesso, miravano insomma all’effetto e non alla causa. Era necessario invece agire direttamente sulla causa del tumore. A questo proposito l’MDB propone una terapia causale appunto, volta a eliminare i fattori etiopatogenetici (causali) che portano all’insorgenza del tumore, modificando quel terreno biologico il cui sovvertimento consente l’ insorgenza della patologia neoplastica. Nello specifico bisognava agire su tanti determinati fattori fisiologici: inibendo l’ormone della crescita che ha sede nell’ipofisi con la somatostatina unita ai retinoidi, le vitamine E e D e la melatonina che “ridifferenzia” le cellule neoplastiche. I singoli componenti agiscono sinergicamente potenziando il loro effetto antitumorale e sviluppando così un’azione antiossidante, anti radicali liberi, potenziatrice dell’immunità, pro-apoptotica (morte programmata, simile al ricambio, della cellula tumorale), antiprolife-

rativa, pro-differenziante, antimetastatica, in assenza dei noti effetti tossici chemioterapici o radioterapici e soprattutto senza la preoccupazione fisica e psicologica di una recidiva. Molti penseranno: un genio! Ma perché allora non si applicano queste metodologie alla terapia del cancro? Perché la medicina ufficiale non è pronta ad approvarle, se è vero che esse funzionano? Perché non vengono fatte le dovute sperimentazioni da parte del Ministero della Salute, e quindi dallo stato oppure dalle case farmaceutiche? La risposta è semplice quanto inquietante. Molto probabilmente c’è un interresse lucrativo di fondo. Il ragionamento è semplice: se le case farmaceutiche guadagnano, perché la gente si ammalerà sempre, allora le stesse (attuando gravi pressioni e ingerenze sulle istituzioni sanitarie dello Stato) hanno tutto l’interesse a vendere i prodotti chemioterapici e a non aprirsi verso nuovi prodotti alternativi che le farebbero guadagnare meno; lo Stato, invece, secondo la Costituzione garante della salute dei cittadini, soffre di enormi conflitti di interesse che ne vanificano la missione il principio


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costituzionale. Insomma Di Bella costituisce un danno per l’economia di Big Pharma (l’insieme delle più potenti industrie del farmaco) proprio perché non si potrà più speculare sul cancro! E questo genio del XX, additato come un santone, un mago paragnosta che agiva contro la scienza, doveva essere emarginato o perlomeno il suo metodo doveva smettere di esistere, non a caso subì numerosi sabotaggi e attentati probabilmente architettati da chi ha tutto l’interesse ad arrestare questa

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nobile rivoluzione. Si crea così una fitta rete di polemiche, nell’Italia degli anni 80 e 90, con persone comuni, malati di cancro e giornalisti che si facevano un’opinione ben precisa sulla questione. Molti credevano che il metodo non funzionasse e che Di Bella fosse l’ennesimo santone cura tumori ed era pertanto un pericolo affrontare le sue terapie; altri invece che, come il sottoscritto, si sono avvalsi di uno studio accurato delle informazioni e di quel minimo di buon senso e logica che do-

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vrebbero guidare ogni giudizio, ritengono che il professor Di Bella sia stata una persona integra e un medico degno di questo nome, un medico – forse l’ultimo – che davvero si è impegnato in pieno spirito ippocratico, mettendo cioè al centro della sua attività il paziente e facendone il fine, mai il mezzo, di tutta l’azione medica. Di questa onestà e di questa umanità sono testimoni eloquenti la sua biografia, i suoi rigorosi protocolli scientifici e, soprattutto, le persone che ha curato e guarito.

il poeta della scienza

Intervista a Giuseppe Di Bella sulla vita e le metodologie terapeutiche messe a punto dal padre

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a cura di Federica SCAGLIONI (IIICri)

ari ragazzi Sono molto grato a Federica Scaglioni e al Comitato di Redazione per l’invito a pubblicare sul Vostro giornale una nota, mi fa molto piacere che non vi siete fatti condizionare dalla censura e la disinformazione sul MDB. Ringrazio anche Andrea Maniscalco per aver intuito perfettamente il significato, il senso profondo, la razionalità e scientificità del MDB, meglio di tanti “addetti ai lavori “ luminari e lampadari vari. Faccio una premessa, prima di rispondere alle Vostre domande. Per oltre cinquant’anni ho seguito le ricerche di mio padre, il Prof. Luigi Di Bella, l’evoluzione del suo pensiero scientifico, la sua esperienza clinico-diagnostica, gli effetti terapeutici, le vessazioni, i contrasti, le umiliazioni che hanno contraddistinto la sua lunga attività di docente universitario, di medico e di scienziato. La totale incapacità di ingraziarsi i potenti e procacciarsi protettori eccellenti, d’inserirsi nelle mafie di potere, la sua repulsione istintiva al servilismo, al compromesso, all’adulazione, alla di-

sonestà, unitamente ad un carattere schivo e al vizio imperdonabile di usare la parola per esprimere il proprio pensiero e non per dissimularlo, hanno penalizzato la sua carriera. Così come le meschinità e le invidie per i risultati clinici e scientifici conseguiti. Come tanti tra quelli che lo conoscono e lo frequentano ho avuto sempre netta la percezione che la vastità e la profondità delle sue conoscenze nelle scienze matematiche e nella chimica, farmacia, medicina, biologia, fisica, fossero totalmente al di sopra delle comuni capacità e inarrivabili per chi non fosse dotato d’intelletto e volontà superiori. Per questi motivi non ho partecipato direttamente alle sue ricerche ma le ho attentamente, entusiasticamente e costantemente seguite, cercando di fissare e ricordare ogni sua confidenza, ogni congresso, relazione, comunicazione o pubblicazione. Adesso sto pubblicando su riviste internazionali recensite nella massima banca dati medico scientifica, www.pubmed.gov i riscontri clinici del MDB in varie patologie neoplastiche, comunican-

do i dati a congressi nazionali europei, e mondiali (Relazioni congressuali reperibili sul sito www.metododibella.org. Ho cercato soprattutto di cogliere il senso autentico, il significato profondo, le possibilità insperate, aperte dalla continua evoluzione delle sue ricerche sperimentali, dell’esperienza terapeutica, dei criteri e strategie d’impiego, della sua mentalità medica, tesa a trasferire nella pratica clinica una mole unica di conoscenze teoriche, sperimentali e di esperienze. Ho appreso come la diagnosi, punto d’arrivo, traguardo e compendio delle capacità del medico, derivi da un raro equilibrio che è esatta valutazione d’ogni dato semiologico, e anamnestico, clinico e strumentale, da un’intuizione affinata dall’esperienza, sostenuta dalle capacità, rafforzata dalle conoscenze, vivificata dal buon senso. In questi cinquant’anni ho constatato che puntualmente intuizioni che si potrebbero definire storiche per il progresso scientifico e le scienze mediche, come le possibilità terapeutiche e il razionale impiego di Retinoidi, Melatonina, Soma-


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tostatina, sono state accolte con scettica indifferenza dal mondo scientifico e puntualmente confermate in media dopo 20 anni. La profondità sconcertante e sempre attuale del pensiero di un grande filosofo tedesco, Schopenhauer, sembra preludere alla vicenda del medico e scienziato Luigi Di Bella quando afferma che ogni grande verità (o scoperta scientifica) attraversa tre fasi: prima viene ridicolizzata, poi violentemente contrastata, infine accettata come ovvia. Il prof. Di Bella prima fu definito stregone, sciamano, poi contrastato con ogni mezzo, infine, hanno cercato di appropriarsi di quelle scoperte che avevano ridicolizzato e contrastato. Ho cercato di raccogliere e sintetizzare da conferenze, pubblicazioni, relazioni a congressi, lezioni magistrali del Prof. Di Bella, quanto si riferisce alla prevenzione e terapia dei tumori e delle malattie degenerative e di integrarlo e confermarlo con la rassegna aggiornata delle banche dati medico scientifiche mondiali. Non ho il benché minimo merito né parte nelle ricerche di mio padre, mia unica ambizione è diffondere e far conoscere la sua opera e il suo pensiero scientifico. Egregio professore, ci dica innanzitutto due parole su suo padre. Perché lo ha definito il poeta della scienza? Se tutti gli ammalati dessero ai farmaci risposte identi-

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Dott. Giuseppe Di Bella Specialista in ORL Specialista in Stomatologia Formazione professionale Laurea in medicina presso l’Università di Modena il 23.7.1965 con 110 e lode. Abilitazione presso la stessa università nel marzo 1966. Assistente volontario presso la clinica ORL dell’Università di Modena dal novembre 1965 al gennaio del 1970. Nel febbraio 1968 titolare di borsa di studio di addestramento didattico e scientifico presso la stessa clinica. Diploma di specializzazione in ORL nel luglio 1968 presso l’Università di Bologna con 70/70. Dal marzo 1967 iscritto all’Albo dei Medici Chirurghi. Dal febbraio 1970 assistente incaricato presso la divisione ORL dell’ospedale Maggiore di Bologna. Idoneità nazionale ad aiuto ORL nel 1971. Nel dicembre 1972 diploma di specializzazione in stomatologia presso l’Università di Modena. Idoneità nazionale in chirurgia maxillofacciale nel 1972. Nel 1975 assistente di ruolo preso la divisione ORL dell’ospedale Maggiore di Bologna. Primario di chirurgia maxillofaciale e Primario ORL

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nel 1975. Dal 1975 al 1984 responsabile del servizio ORL presso l’ospedale di Budrio-Bologna. Dal 1984 attività libero professionale. Dal 1968 a oggi circa 15.000 interventi in anestesia generale nell’ambito della specialità ORL. Attività scientifica Correlatore alla relazione ufficiale del 24º Congresso Nazionale ORL nel 1970, al 10º Congresso Mondiale di ORL a Venezia, al 6º Congresso Internazionale di Radiologia in ORL e al 20º Conventus della Società Latina di ORL. Correlatore, col Professor Luigi Di Bella, della monografia “Cancro, siamo sulla strada giusta?”. Trentadue relazioni a congressi nazionali e internazionali e pubblicazioni. Docente al corso internazionale di rinologia del 1978. Dal 1972 socio della European Rhynologic Society, della Società Medico Chirurgica di Bologna. Dal 1980 socio ordinario della Società Italiana di ORL e Chirurgia CervicoFacciale.

che e totalmente prevedibili, la medicina sarebbe solo una scienza, ma essendo la reattività individuale molto varia è un’arte. Richiede sensibilità, talento, intuito, spirito di osservazione, cultura, e la capacità di percepire gli aspetti profondi della natura e della vita .Nel medico questo va indissolubilmente congiunto ad un senso etico elevato, ad una specchiata onestà morale, all’amore per il prossimo, al concetto di sacralità della vita. Alla fine della sua esistenza il Prof Di Bella scrisse: ”L’animo mi dice che non sono vissuto inutilmente perché ho fatto del bene e ho gioito per il bene fatto. (...) È il bisogno di offrire una base di conforto a chi si avvia disperato verso un’ineluttabile fine; è la nostalgia di varcare le soglie dell’avvilente impotenza professionale malamente coperta da ambigue affermazioni e futuristiche, immaginarie promesse intanto che l’Umanità soffre , piange e muore. (...) Quando parlo con un ammalato, cerco di dare a lui un incoraggiamento, provo un sentimento intimo di non vederlo soffrire più. (...) Mi ripugna il denaro,non posso accettare di guadagnare attraverso la sofferenza e i bisogni dei malati che vengono a curarsi da me.” Secondo lei, non è assurda o, perlomeno, discutibile, l’idea di curare il cancro con farmaci altamente cancerogeni e im-

munodepressivi? La Vostra osservazione è esatta, ormai la letteratura medico scientifica ha documentato ampiamente ed esaurientemente le ragioni scientifiche e il riscontro clinico del sostanziale fallimento di questa concezione terapeutica. Tra le tante pubblicazioni recensite e reperibili nella massima banca dati ufficiale medico scientifica www.pubmed.gov basta leggere le seguenti: Nat.Med. 2012 Aug 5. doi: 10.1038/nm.2890. [Epub ahead of print]Treatmentinduced damage to the tumor microenvironment promotes prostate cancer therapy resistance through WNT16B.Sun Y, Campisi J, Higano C. Nature Medicine è probabilmente la più prestigiosa rivista scientifica, il dato sconcertante (il Prof Di Bella lo aveva anticipato oltre 40 anni fa) è stato ripreso anche dalle agenzie di stampa, es l’Agenzia Giornalistica Italia (AGI)ha titolato :Scoperta shock: la chemioterapia promuove la cancerogenesi. (AGI) - Parigi, 5 ago. - La chemioterapia usata da decenni per combattere il cancro in realta’ puo’ stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che sostiene la crescita e rende ‘immune’ il tumore a ulteriori trattamenti. La scoperta, “del tutto inat-

tesa”, e’ stata pubblicata sulla rivista Nature ed è frutto di uno studio statunitense sulle cellule del cancro alla prostata, tesa ad accertare come mai queste ultime siano cosi’ difficili da eliminare nel corpo umano mentre sono estremamente facili da uccidere in laboratorio. Sono stati analizzati gli effetti di un tipo di chemioterapia su tessuti raccolti da pazienti affetti da tumore alla prostata. Sono stati scoperti “evidenti danni nel Dna” nelle cellule sane intorno all’area colpita dal cancro. Queste ultime producevano quantita’ maggiori della proteina WNT16B che favorisce la sopravvivenza delle cellule tumorali. La scoperta che “l’aumento della WNT16B...interagisce con le vicine cellule tumorali facendole crescere, propagare e, piu’ importante di tutto, resistere ai successivi trattamenti anti-tumorali era del tutto inattesa”, ha spiegato il co-autore della ricerca Peter Nelson del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle nello stato di Washington La novita’ conferma tra l’altro un elemento noto da tempo tra gli oncologi: i tumori rispondono bene alle prime chemio salvo poi ricrescere rapidamente e sviluppando una resistenza maggiore ad ulteriori trattamenti chemioterapoci. Un dato dimostrato dalla percentuale di riproduzione delle cellule tumorali tra i vari trattamenti. “I nostri risultati indi-


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cano che il danno nelle cellule benigne puo direttamente contribuire a rafforzare la crescita ‘cinetica’ del cancro”, si legge nello studio che, hanno spiegato i ricercatori, ha trovato conferma anche nei tumori al seno e alle ovaie . Il dato è in pratica un denominatore comune a tutti i tumori .Una inaccettabile percentuale di mortalità dovuta alla chemioterapia è denunciata da un’agenzia della Reuters Healt [Wesport,CT 2001-05-17]: “Unexspected high mortality rated associated with chemoterapy regimen...” (“Non ci si aspettava un tasso di mortalità così elevato associato ai protocolli chemioterapici...”). Il dato è confermato dalla pubblicazione di Gerrard [Br.J. Cancer 1998 Jun 77(12) 2815] con l’undici per cento di decessi, non causati dal tumore ma unicamente da chemioterapia. E da quella di Ghesquières H, Ferlay C, Sebban C, Perol D, pubblicata da Ann Oncol. 2010 Apr;21(4):842-50. Epub 2009 Nov 13.Long-term follow-up of an ageadapted C5R protocol followed by radiotherapy in 99 newly diagnosed primary CNS lymphomas: a prospective multicentric phase II study of the Groupe d’Etude des Lymphomes de l’Adulte (GELA).Lo studio documenta come 17 pazienti su 100 possono morire non per il tumore, ma per gli effetti tossici della chemioterapia. La sopravvivenza dei malati di tumore, quella vera, delle verifiche scientifiche, non giornalistico-televisive, è essenzialmente dovuta alla chirurgia, molto meno alla radioterapia, e si riduce ad un 29% di sopravvivenza a 5 anni. Del 29% solo il 2,5% era dovuto alla chemio, come pubblicato da Morgan G. e AA “The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5- year survival in adult malignancies”, sulla prestigiosa rivista oncologica Clin. Oncol [2004 Dec.16(8):549-60]. Questa fondamentale pubblicazione si basa su 14 anni di osservazione, 225.000 pazienti, 22 varietà tumorali, per accertare il reale contributo della chemio al raggiungimento dei 5 anni di sopravvivenza. L’avvilente risultato: su cento ammalati la chemiote-

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rapia consente solo al 2,5% di raggiungere i 5 anni, dopo i quali, Lopez nello studio clinico “Long–term results…Experience at the 20 th…” GacMed Mex [1998 mar. Apr,134(2):145-5] ha accertato che metà dei pazienti sopravvissuti a cinque anni, nel lungo termine muore per tumore. Basta collegarsi al portale del National Cancer Institute, per comprendere quali gravi limiti abbiano le attuali terapie oncologiche. Che ruolo giocano i media rispetto alla formazione di una coscienza davvero autentica sull’argomento? Determinante, si ha l’impressione motivata e documentata che ci sia un’unica regia centralizzata di tutta la censura e disinformazione mondiale. Ad esempio, è vera tutta la propaganda sui continui successi terapeutici della medicina ufficiale, secondo cui il cancro è prossimo ad essere sconfitto? Da decenni lo vanno ripetendo, il dato è drammaticamente smentito dalla realtà I nostri docenti e genitori ci hanno raccontato di quando, sulla scia del clamore suscitato nell’opinione pubblica dai successi di suo padre, venne attuata la sperimentazione da parte del MdS che portò alla sconfessione del MDB; ci dice qualcosa a riguardo? La sperimentazione venne condotta secondo tutti i “crismi” scientifici? Soprattutto, come possiamo spiegare, giustificare il comportamento del Ministero (a quell’epoca titolare del Dicastero, mi pare fosse Rosi Bindi)? Basta collegarsi col sito ufficiale www.metododibella.org e accedere in prima pagina alla sezione ”In evidenza” in cui sotto il titolo sperimentazione MDB I, II sono riportate in centinaia di pagine documenti ufficiali, verbali ministeriali protocollati, rapporti dei NAS, relativi a tutte le numerose e gravi anomalie che hanno destituito di qualsiasi dignità e attendibilità scientifica la sperimentazione. Il MDB è utilizzabile ed efficace per qualunque forma di neoplasia? I rischi che la malattia si ripresenti sono più alti o

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più bassi rispetto al metodo ufficiale? Oltre che la certificazione scientifica antitumorale di ogni singolo componente del MDB ,sono già pubblicate e reperibili su www.pubmed.org statistiche sull’efficacia del MDB nei linfomi, tumori polmonari, tumori della mammelle, leucemie linfatiche e una quantità di “Case report”, cioè guarigioni stabili e complete di singoli casi di varie patologie tumorali. Sul sito ufficiale www. metododibella.org è reperibile la documentazione scientifica. I casi trattati con MDB pubblicati su riviste internazionali recensite da www.pubmed.org sono quasi ottocento. Prossima la pubblicazione di 55 casi di malattie linfoproliferative trattate con esiti positivi con MDB e risultati ampiamente superiori a quelli ufficiali della letteratura in termini di sopravvivenza, risposta obiettiva e qualità di vita. Per ipotesi, una persona già in cura con le terapie ufficiali potrebbe passare al MDB? La sua guarigione sarebbe compromessa dalle precedenti cure chemioterapiche? In parte sì, per i motivi documentati dalle riviste citate, essenzialmente perché la chemio può ridurre, anche considerevolmente in una certa percentuale di casi (non in tutti) il volume tumorale ,ma questo effetto è temporaneo e si ac-

compagna ad una destabilizzazione delle strutture biologiche portanti nello stesso momento in cui si provocano raffiche di mutazioni, ognuna delle quali seleziona cloni di cellule tumorali sempre più resistenti, tossiche, proliferative, mobili. Cosa pensa dell’OMS? Sono reali gli enormi conflitti di interesse da più parti denunciati? Il fatto che la scienza ufficiale non riconosca il MDB, comporta limiti allo sviluppo della ricerca a riguardo? Le collusioni di cui parlate sono ancora in grandissima percentuale nascoste e drammaticamente ignorate e/o sottovalutate da una pubblica opinione totalmente disinformata, ignara della gravità, profondità e vastità dell’inquinamento del profitto sulla ricerca e sulla pratica clinica. Abbiamo l’impressione che, ultimamente, il MDB tenda ad essere rivalutato anche negli ambienti medico-scientifici. Forse perché la verità, alla fine, si impone necessariamente? La comunità scientifica, ha già recepito e pubblicato i dati clinico-scientifici sul MDB, ma proporzionalmente all’incremento inarrestabile della conferma delle basi razionali, biochimiche, molecolari e cliniche del MDB, sta montando un’ostilità sorda e

minacciosa, una censura sempre più ferrea accompagnata ad una disinformazione continua, diffusa e ossessiva. Basta digitare “Di Bella” su Google per vedere comparire a lato un’ inserzione diffamatoria di Wikipedia, che ha cancellato tutti i dati scientifici e le CENTINAIA di pubblicazioni del Prof Di Bella e quelle numerose recenti sulla banca dati mondiale, (potete verificare, se inserite una delle pubblicazioni già recensite nella banca dati ufficiale mondiale, es “The Di Bella Method” viene rapidamente cancellata da Wikipedia) per poi sostenere il falso: L’assenza di basi scientifiche e riscontri clinici sul MDB. I circoli di potere globali che gestiscono la salute e il cancro sicuramente saranno costretti, loro malgrado, a prendere atto del MDB. Avverrà in futuro, molto lentamente, gli interessi sono troppo ampi, diffusi, profondi e inconfessabili. La caduta di credibilità e prestigio di organizzazioni sanitarie italiane e mondiali asservite al profitto sarà completa e verticale squalificando definitivamente istituzioni politiche, finanziarie, industriali e accademiche internazionali intimamente collegate nello sfruttamento della salute e della più ricca delle malattie, il cancro. Grazie mille, dottore, per la disponibilità Grazie a voi.


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UNA TESTIMONIANZA

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ari lettori di FXP, io mi sono accostato al prof. Di Bella alcuni anni fa per molteplici motivi. Credo da sempre nella medicina alternativa, quella che non cura con i megapilloloni che vanno ad incrementare le tasche delle case farmaceutiche. Dall’altra parte non rinnego totalmente la medicina ufficiale che in alcuni casi fa autentici miracoli. E tra un momento te ne darò testimonianza. Ritengo che sia la nostra razionalità, la nostra voglia di conoscere, di reagire positivamente, di sopravvivere agli eventi nefasti come la malattia, che può fare la differenza in molti casi. Abbandonarsi alle ricette del medico e subire passivamente una malattia non può che portare a risultati negativi. Il metodo di Bella parte dal presupposto di aiutare il nostro organismo in difficoltà con sostanze non tossiche e non invalidanti. Offre una cura preventiva, e un vero metodo con tanto di protocolli specifici per curare ogni tipo di tumore. Io mi sono affiancato alla cura Di Bella in quanto ho avuto bisnonno, nonno e padre morti di tumore allo stomaco. Essendoci una predisposizione ereditaria ho creduto opportuno rivolgermi al dr. Rossi di Reggiolo, facente parte dell’equipe. Più che la cura Di Bella che si fa una volta malati di cancro ho assunto il mix di retinoidi + vitami-

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na C + Atiten + melatonina coniugata che i medici della sua equipe prescrivono per aumentare le difese immunitarie e prevenire in un certo qual modo il cancro. L’ho fatta a cicli alterni di 6 mesi. La stessa cosa la propone il metodo Pantellini che ti suggerisce di usare l’Ascorbato di Potassio per difenderti quotidianamente dal cancro. Oppure che ti propone Padre Zago che ti consiglia di disintossicarti e rinforzare le tue difese immunitarie usando l’Aloe Arborenscens. C’è chi da anni usa, infine, la Formula Caisse, un mix di erbe “miracolose” per curare e prevenire il cancro. Leggendo questi nomi e documentandovi su internet scoprirete un mondo sommerso che vi stupirà. Io ho visto il padre di un mio amico di Casaloldo sopravvivere per circa 2 anni ad un cancro in fase terminale al pancreas. Gli avevano dato 10 giorni di vita all’ospedale di Asola. Da moribondo dopo tre mesi era tornato a mangiare copiosamente e a lavorare nell’orto seguendo scrupolosamente la cura di Bella. Poi un crollo verticale e una morte rapidissima. Ma quei 18 mesi suo figlio mi ricorda sempre che gli sono stati regalati da una cura che, anche se per poco, ha fatto davvero un piccolo grande miracolo. Una cura non tossica, non invasiva, non traumatizzante. Con la chemioterapia ufficiale ho visto la maggior parte dei miei amici e delle mie amiche morire. Ma non ti posso negare che la mia

ex fidanzata è stata guarita da un linfoma di Hodking con chemioterapia + radioterapia convenzionale. Un’esperienza che ho vissuto da vicino. Anche Di Bella dice di curare questo tumore del sistema linfatico ma non ho conoscenze personali in merito. Credo che nelle cure farmaceutiche ci siano molti interessi e, allo stesso tempo, credo molto nella prevenzione che si fa in modo corretto aiutando il proprio organismo con sostanze che lo disintossichino e lo preservino/aiutino da tutte le porcherie che respiriamo e ingurgitiamo anche con la semplice frutta e verdura (le cose che tutti ci raccomandano di mangiare ogni giorno) che sono ahimè impestate di sostanze tossiche (pesticidi, antifunginei, maturanti). Senza ricorrere a questi metodi anti-tumore c’è un medico, il dott. Mozzi, che propone la sua dieta dei cosiddetti gruppi sanguigni. Sono teorie per nulla infondate: niente diete a punti o a zona per calare il sedere, ma un modo corretto di alimentarsi, proprio di ogni gruppo sanguigno. Conosco gente che ha ottenuto risultati strabilianti senza prendere una pillola ma attenendosi scrupolosamente alle sue indicazioni eliminando alimenti del tutto non raccomandabili. Una dieta non fatta per calare ma per far star meglio il proprio organismo.

Marco MORELLI Direttore responsabile della rivista Mantovachiamagarda


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sclerosi multipla

Si apre una nuova speranza, grazie al coraggio e all’impegno di un professore italiano a cura di Andrea PIAZZA (IVAs)

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i sta sempre più diffondendo negli ultimi anni una malattia degenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale: la sclerosi multipla. Solo in italia essa colpisce più di 60mila persone. Questo disturbo può manifestarsi con una vastissima gamma di sintomi neurologici e spesso progredisce fino alla disabilità fisica e cognitiva. A oggi non esiste ancora una cura certa, infatti, anche se il meccanismo con cui la malattia si manifesta è stato ben compreso, l’esatta eziologia è ancora sconosciuta. Per questo migliaia di scienziati e studiosi in tutto il mondo stanno tutt’ora facendo ricerche per cercare perlomeno di migliorare la vita dei pazienti. Tra questi vi è il Professor Paolo Zamboni, direttore del Centro Malattie Vascolari di Ferrara. Egli è conosciuto a livello mondiale per aver, nel 2008, scoperto una “nuova” malattia dell’apparato circolatorio: la CCSVI (acronimo di Insufficienza Venosa Cronica Cerebro-Spinale). Essa rappresenta, in parole povere, una malformazione genetica di alcune vene (in particolare quelle giugulari) che tra-

il Professor Paolo Zamboni

sportano il sangue dal cuore al cervello, creando così delle “zone di chiusura”, le quali impediscono al sangue stesso di poter circolare, facendo sì che ristagni nel cervello. Naturalmente queste strettoie determinano un ritardo nella pulizia del cervello dalla CO2 e dalle tossine, il che porta a determinare uno stimolo infiammatorio; la SM è una malattia infiammatoria degenerativa del sistema nervoso centrale e quindi soffre quando c’è l’associazione con questa condizione. Lo studio coordinato dal Prof. Zamboni, riferisce una associazione, nel 75% dei casi (dato raccolto dalla rivista BMC Medicine) tra queste due malattie, questo significa che alla maggior parte dei pazienti con

Sclerosi Multipla presi in esame è stata diagnosticata anche la CCSVI. Questa associazione è stata riscontrata a livello ubiquitario (è stata trovata infatti in Europa, Medio Oriente, Stati Uniti ecc.), tra persone con background genetici ed espozione a fattori ambientali differenti; questo ci suggerisce che essa probabilmente si sviluppa indipendentemente da questi fattori. Il congresso scientifico internazionale ECTRIMS (European Committee for Treatment And Research in Multiple Sclerosis) del 2010 è giunto però alla conclusione che, allo stato delle ricerche disponibili, la CCSVI non sarebbe la causa, ma piuttosto una conseguenza della SM. Altri stu-

di italiani, tra cui quello del dottor Pietro Maria Bavera, hanno invece confermato la validità dell’ipotesi formulata dal professor Zamboni. L’opinione degli studiosi di tutto il mondo è divisa. Chi meglio dei pazienti operati col metodo del professore italiano può darci allora un’idea degli straordinari benefici che possa portare un semplice intervento di angioplastica dilatativa (ossia vengono aperte vene ostruite gonfiando un palloncino introdotto per mezzo di un catetere). Sul web si possono trovare facilmente decine di testimonianze. È l’esempio di Massimo,

un ragazzo affetto da SM, che presentava difficoltà pronunciata nella deambulazione e disturbi di rigidità e di equilibrio. Dopo aver sentito di questa nuova cura si è subito rivolto ad un medico, e si è sottoposto all’intervento nel settembre 2010. Da allora la sua vita è cambiata drasticamente, con progressi significativi nel modo di camminare, ma non solo, anche miglioramenti nel sonno e nel controllo vescicale e, grazie a una ritrovata capacità di concentrazione, è anche riuscito a laurearsi in ingegneria. Fortunatamente nel luglio 2012 sono partiti stu-

di finanziati dalla regione Emilia-Romagna volti a dimostrare l’efficacia e la sicurezza che l’intervento proposto da Zamboni ha sui pazienti affetti da SM. Perché però in tutti questi anni questa via innovativa è passata sotto traccia da parte di molti medici? Probabilmente a causa di inconfessabili interessi economici. Ora, non abbiamo certo le competenze per dire se questa cura possa funzionare o meno, ma se anche non fosse una strada risolutiva, ma comunque sia di sollievo per molti altri ammalati come Massimo, perché bocciarla, negarla oppure nasconderla?


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lo stato della ricerca

Intervista ad Horacio Tate, uno dei tanti cervelli in fuga a cura di Joned SARWAR (ex-Studente)

Horacio Tate è argentino, ha cominciato la scuola in Argentina e si è poi trasferito in Italia, grazie alla doppia cittadinanza data dai nonni italiani. Ha quindi frequentato il liceo scientifico e cominciato gli studi universitari alla Statale di Milano. Trasferitosi all’università di Cambridge ha conseguito una laurea in Patologia. Ora lavora come ricercatore all’ospedale universitario Addenbrooks di Cambridge.

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ome si è svolta la tua carriera universitaria e come sei approdato alla ricerca biomedica? Ho iniziato Biologia alla statale di milano, ma non mi sono trovato bene, perchè c’era troppa gente, tanta teoria e poca pratica e quindi ho pensato di guardare alle alternative all’estero. Ho guardato allora alle università anglosassoni, inglesi e scozzesi, e mi sono sembrate piu’ interessanti soprattutto per le lauree scientifiche perchè, nonostante il numero di materie fosse inferiore, c’erano molte piu’ ore di laboratorio. Dopo un anno alla statale e dopo aver lavorato per un anno, mi sono quindi trasferito a Cambridge. Ho studiato scienze naturali, che è un corso molto vario e modulare che include tutte le scienze da fisica, a biologia, a matematica. Quello che mi è piaciuto del corso sono la profondità nella trattazione degli argomenti ed allo stesso tempo le molte ore di pratica e laboratorio che vengono affrontate come un vero e proprio avviamento alla ricerca. Alla fine del mio corso

mi sono specializzato in patologia ed ho preparato la tesi con un gruppo di ricerca all’ospedale Addenbrooks, sempre a Cambridge, dove ancora oggi lavoro. Faccio parte del gruppo ACCI (Addenbrooke’s Centre for Clinical Investigation) che sta studiando l’influenza genetica sulle malattie cardiovascolari, in quanto la predisposizione genetica è un fattore importante unito alla dieta o alla mancanza di esercizio fisico. Siamo finanziati dalla British Heart Foundation, un ente benefico focalizzato sulle malattie cardiovascolari che rappresentano la prima causa di morte nel Regno Unito, prima ancora dei tumori. In generale come avviene il finanziamento della ricerca biomedica? Fino a qualche anno fa era piu’ semplice ottenere finanziamenti in quanto ba-

stava che l’università approvasse un tuo progetto di ricerca. Oggi, invece, sono le pubblicazioni che contano, senza non si ottengono fondi. Ciò porta a pubblicare lavori non precisi o a “ri­pubblicare” contenuti pre-esistenti, magari con qualche ritocco ad hoc. Questo è un grosso problema perchè mina alla base le prerogative e la bellezza della ricerca che stanno nella sua utilità, nel suo interesse pubblico e nella passione del ricercatore. In secondo luogo si ricorre sempre piu’ spesso ad intese tra università e entità private, quali case farmaceutiche o aziende di biotecnologia, quando queste vedono prospettive di guadagno in determinati campi, provocando lo sdegno della “vecchia scuola” di accademici che non concepiscono il binomio ricercaprofitto. In ogni caso ormai si tagliano fondi ovunque, a causa della crisi e di politiche governative focalizzate sul profitto a breve termine, sebbene il Regno Unito sia sempre stato all’avanguardia sul finanziamento pubblico della ricerca. In riferimento alla ricer-

ca finanziata da privati, ci sono preferenze in campi o malattie particolari? Il problema grave del finanziamento da privati è che questi non finanzieranno mai ricerche che vanno fatte, ma non sono redditizie. Un caso su tanti sono le malattie genetiche rare, che colpendo pochi individui non possono certo portare a guadagni milionari. Non si tratta soltanto di una questione morale, di migliorare la vita di queste poche persone, ma anche di adottare una visione a lungo termine. Infatti, la ricerca in se stessa può produrre altra ricerca e arrivare inaspettatamente a cure per malattie non inizialmente considerate, per cui escludere determinati campi a priori può ledere gli interessi stessi di coloro che non vogliono finanziarli. Anche il sistema europeo comincia, secondo me, ad avvicinarsi a quello liberista e basato sul profitto che si trova in America, venendo meno a quelle politiche sociali che da sempre caratterizzano il Vecchio continente. C’è poi il problema molto grave dei brevetti. Posso capire che un inventore voglia proteggere la propria creatura, ma ciò che sta accadendo sempre più è che si brevettino scoperte piuttosto che creazioni, e la differenza è molto netta. Supponiamo di brevettare una sequenza di un organismo che poi si scopre essere utile alla ricerca su un determinato cancro. A questo punto

sfruttando il brevetto chiediamo royalties (compensi per lo sfruttamento del brevetto, ndr) enormi a chiunque voglia fare ricerca su quel cancro utilizzando la nostra sequenza. Viene da sè che i costi per quella ricerca si alzino notevolmente fino a diventare proibitivi e ciò su larga scala limita decisamente la libertà e varietà di altre ricerche. Non lo sappiamo, ma potremmo speculare che senza brevetti saremmo già potuti arrivare ad una cura per alcuni tipi di tumore. Quali libertà e limiti si pongono quindi al ricercatore? Per quanto riguarda i brevetti spesso si ricorre ad una collaborazione con altre università o ditte proprietarie dei brevetti, o, in alternativa, si tentano approcci nuovi che pero’ rischiano di rallentare di molto il lavoro, pur potendo portare a nuove scoperte come si diceva. Le libertà sono sempre meno per noi, prendendo di nuovo ad esempio le pubblicazioni è necessario pubblicare ciò che vogliono i finanziatori a meno che questi non siano enti senza scopo di lucro. Io non ho mai voluto fare ricerca in una casa farmaceutica perchè non mi piace ricercare per profitto e non per il “bene” della società, per usare dei paroloni. E poi le case farmaceutiche hanno notoriamente una storia nera. Hai mai avuto esperienza diretta di questa “storia

nera”, o conosci persone che l’hanno avuta? Sì ne ho conosciute. In realtà quello che mi sarebbe piaciuto fare è ricercare sulla terapia genica. Nelle malattie genetiche, un errore nella sequenza [genetica, ndr] provoca una sintesi incorretta di determinate proteine. Per alcune malattie, come l’emofilia, le cure attuali consistono nell’utilizzo di proteine secche, distillate da sangue particolare acquistato da case farmaceutiche, che poi vengono diluite e messe in infusione per essere assunte, evitando complesse trasfusioni di sangue. Questi prodotti costano moltissimo, centinaia di euro per flaconcino che si traducono in grossi guadagni per i venditori. Ciò che è successo negli anni ‘90 è stata una diffusione generalizzata di epatite C, HIV, HCV dovuta alla somministrazione di emoderivati da sangue infetto [vedi Duilio Poggiolini, emoderivati infetti, ndr], per cui le case farmaceutiche hanno deciso di utilizzare proteine sintetizzate da biotecnologie, ma non prima di avere esaurito le scorte contaminate, che sapevano essere tali già anni prima che gli scandali scoppiassero. Ora quindi ci si affida a questi prodotti da biotecnologie che però sono molto costosi. Con la terapia genica si potrebbe tramite un vettore (virus o altro) introdurre la sequenza corretta nelle cellule del malato in modo da forzare la sintesi di proteine corrette,


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il che condurrebbe, se non ad una guarigione completa, ad una malattia “lieve” e trattabile e soprattutto all’indipendenza da costosi farmaci forniti da case farmaceutiche. Vedi ora perchè la ricerca in questi campi è portata avanti soltanto da enti pubblici e charities [enti non a scopo di lucro, ndr]. Per non parlare del circolo vizioso nel quale il sistema sanitario nazionale cade nel tentativo di risparmiare. Ad esempio, per determinati farmaci si tengono gare d’appalto in cui una sola azienda vince la maggiorparte delle commissioni. Tuttavia, poichè le aste si tengono ogni due anni,

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è possibile che ad un certo punto ad un paziente sia somministrato un farmaco leggermente diverso che però può portare alla produzione di anticorpi contro lo stesso farmaco. E la soluzione a questa situazione è un trattamento di shock che costa molto più del farmaco iniziale. In poche parole, lo Stato spende di più, il paziente sta peggio e tutto per una strategia di mercato.. Allora vedi qualche luce all’orizzonte oltre alle nubi nere? Parlavo appunto dell’emofilia perchè in Inghilterra un consorzio di università e ospedali ha recentemente iniziato la fase clini-

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ca di terapia genica per un particolare tipo di emofilia e pare stia andando molto bene. E ancora una volta nessun privato ha investito in questa ricerca. Un altro caso è quello della fibrosi cistica, infatti, a Londra hanno iniziato la fase clinica di uno spray che trasmette il vettore e sta andando anche qui molto bene. In generale credo che la fine dei brevetti e l’espansione dei farmaci generici, unita alla crisi economica che colpisce anche le case farmaceutiche, possa portare grandi benefici alle persone, poichè il sistema attuale è a mio parere perverso e amorale.

vox populi, vox dei

Nonostante l’OMS le equipari a niente più che un placebo, sempre più persone si affidano alle cure omeopatiche a cura di Francesca GROSSI (VAs)

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l termine omeopatia (dal greco “homoios” che significa simile e “pathos” che significa dolore) fu coniato per la prima volta dal medico tedesco Samuel Hahnemann. Nato nel 1775 a Meissen, in Sassonia, tossicologo e farmacologo inizia a lavorare come medico all’età di 24 anni. Rimasto deluso dalla medicina tradizionale in generale, decide di non esercitarla più e si dedica alla traduzione di varie opere tra le quali un trattato medico del dottore scozzese William Cullen. Hahnemann colpito dallo scritto intraprese una serie di esperimenti per verificare quanto letto. Quello che il medico voleva dimostrare era la pratica secondo cui ogni sostanza farmacologica attiva capace di provocare, a dose ponderale, nell’individuo sano determinati sintomi, può anche eliminare sintomi simili nell’individuo malato, somministrando un basso dosaggio. Sperimentando questo su se stesso e sui suoi familiari Hahnemann si accorse fin da subito di ottenere dei peggioramenti spesso passeggeri all’inizio delle sue terapie. Decise quindi di diminui-

te innocui sia per bambini molto piccoli che per le donne che ne fanno uso durante la gravidanza. L’ omeopatia quindi, si pone come una valida alternativa alla medicina tradizionale, che invece ogni anno miete vittime per gli innumerevoli e spesso devastanti effetti collaterali. Le statistiche confermano l’interesse crescente nei confronti della “medicina dolce”. Soltanto in Italia, negli ultimi 15 anni , il numero dei pazienti che si affidano all’omeopatia è cresciuto del 65%, rappresentato soprattutto dalle donne e in particolare dalle mamme, che dopo esperienze negative Il medico tedesco Samuel Hahnemann con metodi tradizionali, si orientano verso prolui battezzata “dinamizzadotti omeopatici che sono zione”. Questo processo completamente atossici e di “diluizione” rappresennon posseggono additita allo stesso tempo il pun- vi. Naturalmente i consideto di forza ed il principale revoli interessi delle case motivo per cui l’omeopafarmaceutiche costituiscotia viene continuamente no un altro palese motivo attaccata. Il punto di forper cui la medicina alterza dell’omeopatia consiste nativa viene continuamennel fatto che grazie all’alte sminuita e in alcuni casi ta diluizione, non provoaddirittura demonizzata. ca alcun effetto collaterale L’attacco più forte all’omesui pazienti ai quali viene opatia è arrivato nel magsomministrata. Ne deriva gio del 2010 da parte dei che i medicamenti omeomedici inglesi riuniti intorpatici sono assolutamenno alla British Medical Asre la quantità di sostanza medicamentosa somministrata ai malati: è l’origine delle diluizioni successive. Presto il medico tedesco si rese conto che queste diluizioni invece di diminuire l’efficacia terapeutica, la rafforzavano, se la sostanza veniva agitata vigorosamente tra una e l’altra, una procedura da


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sociation. Durante la conferenza annuale, i giovani medici hanno bollato la medicina alternativa come “stregoneria” dal momento che non presenta basi scientifiche che possano confermare la validità dei suoi rimedi. Hanno inoltre denunciato l’uso della medicina alternativa, spiegando che il servizio sanitario inglese non dovrebbe sperperare i soldi dei contribuenti, visto che tale pratica non avrebbe alcun merito terapeutico. L’ accusa di stregoneria deriva dal fatto che la scientificità dell’omeopatia è stata già contraddetta dal numero di Avogadro (quando si

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supera una certa diluizione all’interno del rimedio omeopatico non è più presente nessuna molecola). Questo è testimoniato dal fatto che l’omeopatia viene spesso utilizzata per curare patologie lievi come raffreddori e tosse, che con il passare dei giorni guarirebbero anche spontaneamente. L’assenza di principi attivi all’ interno dei farmaci omeopatici li rende simili ad “acqua fresca”, tanto che sostituendo per gioco le etichette dei vari flaconi omeopatici nessuno scienziato saprebbe ricollocarle al loro posto, e questo perché non

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sono più presenti molecole specifiche che rendano riconoscibile un prodotto rispetto a un altro. Per quanto riguarda gli effetti collaterali dei farmaci tradizionali i medici rispondono che sono compensati dalla loro scientifica efficacia. Tuttavia, l’omeopatia continua a crescere e, nonostante i veti dei medici inglesi e dell’OMS (i cui conflitti d’interesse con l’industria farmaceutica sono macroscopici), la sua efficacia risulta empirica dimostrata dal consenso delle persone: vox populi, vox Dei.

Fiori di Bach

La soluzione personalizzata per ciascuno di noi, semplice e gustosa.

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ome molti di voi sapranno i Fiori di Bach sono uno dei più personali rimedi rimedi ai nostri problemi! Scoperti nella prima metà del Novecento dal medico inglese Edward Bach, sono in totale 38, ciascuno indicato per un particolare carattere o stato d’animo, ai quali è stata aggiunta una combinazione detta “Rescue” da utilizzare in caso di immediata necessità. Per scegliere il rimedio adatto alla nostra persona basta riflettere non sul sintomo, ma sugli stati emotivi che proviamo in quei momenti e sul tipo di persona che siamo. Essi infatti si prefiggono di curare ogni tipo di ansia o di problema passeggero tramite l’assunzione di 2 gocce disciolte in un bic-

a cura di Chiara PIVA (VAs) a Mount Vernon in cui il dottore risiedeva. Per quanto riguarda la produzione le infiorescenze delle piante più delicate infatti vengono lasciate in una ciotola colma d’acqua per alcune ore; i fiori delle piante più legnose vengono invece sottoposte a bol“Il nostro lavoro consiste litura. In entramchiere d’acqua nell’aderire esclusivamen- bi i casi vengono te alla semplicità e alla impiegati il branper un purezza di questo dy a 40° come totale di metodo di guarigione” conservante e la 4 volte al Dr. Edward Bach, 1936 tintura madre. giorno. A partire dalla Grazie al diffusione delle succose genuino tramandarsi dei gocce, il Bach Centre orrimedi floreali del natuganizza anche corsi a caropata e alla conduziorattere educativo con lo ne dell’azienda a cui ora scopo di preservare queè a capo Judy Howard, gli ideali di semplicità e la produzione può ancopurezza che da sempre ra garantire il totale utine sono stati una carattelizzo di prodotti naturali colti da quegli stessi giar- ristica fondante. dini semiselvatici intorno Lo stesso dottore sosteneva infatti che “Non occorre nessuna scienza né alcuna conoscenza oltre ai semplici metodi descritti qui; trarrà il maggior beneficio da questo dono di Dio chi lo conserverà in tutta la sua purezza, svincolato da scienza e da teorie, perché tutto in Natura è semplice”.


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carpe diem

Vivete appieno ogni istante irripetibile della vostra vita a cura di Bianca CAZAMIR (VAitc)

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ono passati solo 3 mesi ed i ricordi sono tutti molto nitidi, come sicuramente lo saranno per il resto della mia vita. Era un caldo e spensierato pomeriggio di fine luglio, in piscina coi miei amici, quando ho iniziato ad avvertire un dolore al fianco destro. Col passare delle ore, il dolore è aumentato sempre più finché, la sera dopo, è diventato insopportabile, tanto da spingermi ad andare al Pronto Soccorso. In seguito alla visita, il sospetto principale era

una “banale” appendicite. Mi hanno fatto alcune analisi del sangue ed un’ecografia, in seguito alle quali mi hanno detto di tornare in ospedale la mattina seguente per una visita specialistica dall’urologo. Dopo una flebo di antidolorifico, sono quindi tornata a casa. Il giorno dopo l’urologo mi ha visitata con priorità assoluta, facendomi passare davanti a tutti gli altri pazienti, il che già mi insospettiva. Non avendo però la più pallida idea di cosa fosse

emerso dall’ecografia, mi sentivo molto straniata. Nemmeno in seguito a questa visita ho avuto modo di conoscere qualche dettaglio in più, perciò non mi restava che fare la TAC appena prescritta. Anche questa, ovviamente, con priorità assoluta. L’attesa della risposta, benché sia durata concretamente poche ore, è sembrata un’eternità. Solo dopo mezzogiorno i risultati sono stati disponibili e l’urologo, avendoli in mano, mi ha chiamata fuori dall’ospedale, in-

sieme a mia madre, tra una sigaretta e l’altra, per comunicarci gli esiti. Quello che è emerso dalla TAC non era sicuramente nelle nostre previsioni: una massa di 9cm sul rene destro, ben capsulata. “Ben capsulata”, sono queste le parole che successivamente hanno tenuto alta la speranza. Ma sul momento, le uniche parole che risuonavano nella mia mente, quanto in quella di mia madre (almeno credo), erano “tumore”, “intervento” ed “asportazione del rene”. Per il resto, solo occhi sgranati di fronte ad una notizia simile, lacrime, incredulità mista a panico ed angoscia. Prima di effettuare ogni diagnosi, però, l’urologo ha preferito confrontarsi con l’équipe del reparto di Urologia di Mantova. Così, il giorno dopo mi sono recata in città, dove altri medici hanno analizzato i referti, con la speranza di avere qualche risposta in più. Anche in questo caso i dettagli hanno tardato ad arrivare e, una volta pronti, non erano né soddisfacenti, né tanto meno rassicuranti: la maggior parte dei medici concordava

infatti sul fatto che, vista l’insorgenza in giovane età, potesse trattarsi del Tumore di Wilms, una rara forma di tumore del rene che colpisce in età infantile. Ovviamente, per una diagnosi sicura, erano necessari altri accertamenti. Essendo la biopsia alquanto rischiosa, hanno perciò optato per l’intervento diretto. Quindi avrei dovuto aspettare un altro mese per sapere di cosa si trattava con certezza. L’intervento è stato fissato per la fine di agosto. Ripensandoci, credo di aver vissuto quel mese, giorno per giorno, attimo per attimo, come il più intenso della mia vita. Con quel pizzico di incoscienza necessario per alzarmi la mattina ed andare avanti. Così, in meno di un mese, ho detto e fatto tutto (o quasi) quello che desideravo dire e fare, col pensiero, sempre in agguato, della morte. Un pensiero che per molti potrebbe assumere una connotazione negativa. Non per me, non in quei giorni, vissuti come fossero gli ultimi. È triste pensare che per vivere davvero ci sia voluta la presenza dell’elemen-

to “morte”. Voglio dire, è un po’ come pensare alla fine del mondo. Nessuno ha la certezza di quando questa arriverà, ma considerate tutte le profezie (discutibili o meno) relative ad esse, sono molti (chiamateli fanatici, se volete) coloro che vivono questi mesi come i più intensi e vivi mesi della propria vita. Un po’ come loro, ho approfittato di ogni singolo attimo a mia disposizione, non sapendo per quanto ancora ne avessi potuto godere. Posso quindi dire che da una forza così negativa come la “morte”, è scaturita un’energia talmente potente come la “vita”. Penso di aver vissuto spesso in “modalità stand-by”, almeno fino a quel giorno. Così, i giorni passavano e la data dell’intervento si avvicinava sempre più. Così come l’energia accumulata iniziava a lasciare spazio al terrore. Paradossalmente, non avendo mai subito un intervento, quello che più mi spaventava era proprio l’operazione in sé, l’anestesia, il non risvegliarmi più; non tanto il motivo per cui mi avessero dovuta operare né tanto meno le conse-


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guenze. Così, tornata dalle vacanze il giorno prima, l’ultimo di agosto sono entrata in ospedale per il ricovero. Varcata la soglia della sala operatoria, all’apparenza tranquilla, anzi, forte e combattiva (tutto ciò mi sembrava il minimo dovuto a chi mi stava accanto), dentro mi sentivo morire. Il terrore di aver visto e salutato le persone a cui tenevo per l’ultima volta si era assediato dentro di me, almeno fino al momento in cui è stato assorbito dal lungo sonno dell’anestesia. Mi sono risvegliata 9 ore più tardi, 3 di intervento e 6 di terapia intensiva, con flebo, drenaggi e tubi ovunque. Tutto sommato ero ancora viva, ma il dolore, attenuato solo in minima parte dai continui antidolorifici, oscurava ogni pensiero. Comunicatomi gli esiti dell’esame istologico compiuto in seguito all’operazione, non mi sono sentita gelare il sangue nel leggere “Carcinoma cromofobo” sulla lettera di dimissione; ero preparata al peggio. Ciò significava che l’ipotesi del Tumore di Wilms era errata, ma ben poco

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cambiava; sempre di un tumore maligno si trattava. Dopo una settimana di ospedale, dal punto di vista fisico la più dolorosa della mia vita, sono quindi tornata casa. Ci sono volute altre 2 o 3 settimane per alleviare il dolore e riprendere a camminare decentemente, ma ce l’ho fatta. Il tutto attenuato dal sapere che i tumori al rene, una volta rimossi, raramente causano ulteriori problemi. Ovviamente la possibilità di una recidiva, seppur remota, è sempre possibile. Sarò quindi seguita e monitorata dal centro Oncologico di Mantova così come da quello genetico, vista l’insolita insorgenza in giovane età di questa neoplasia. In conclusione, tengo a dire che è proprio vero che è in momenti simili che si capisce quali siano le vere persone che si hanno accanto. Non è una frase fatta, “i veri amici si vedono nel momento del bisogno”. E devo dire, con enorme tristezza, che molti di loro si sono rivelati solo ora, dopo anni, per quello che sono in realtà. Un accenno dovuto va anche e soprattutto ai miei genitori che nel

giro di poco si sono trovati ad affrontare i mesi più angoscianti della propria vita. Ho visto i segni della sofferenza sul volto di mia madre giorno per giorno aumentare, facendola invecchiare in un mese quanto solitamente si invecchia in 10 anni. Un dolore così intenso che solo dei genitori lo possono provare, un dolore che non vorrei mai vivere in vita mia; da qui la decisione, forse non definitiva, affrettata ed immatura, di non avere figli. Non per questo però vivrò la mia vita nella costante angoscia. In fin dei conti mi reputo molto fortunata; se quel dolore non si fosse presentato così intensamente, probabilmente avremmo scoperto il tutto troppo tardi, quando ormai ben poco sarebbe rimasto da fare. In conclusione, vi invito quindi tutti a vivere appieno ogni istante della vostra vita! Non deve essere un evento simile a darvi la carica perché ciò avvenga. Insomma, “Carpe diem”! Forse ogni tanto dovrei ricordarmelo anche io, sto già iniziando a dimenticarlo…


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fitoterapia: perchè tanto scetticismo? La natura offre tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno a cura di Francesca TEBALDINI (VAitc)

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ome non tutti sanno, la fitoterapia è una medicina alternativa che utilizza sostanze completamente naturali contenute nelle piante come rimedi di cura. È una delle più antiche pratiche usate dall’uomo per curare i propri disturbi: difatti già civiltà antichissime come quella degli egizi, dei greci e dei romani utilizzavano piante medicinali. Con l’avvento della chimica, la fitoterapia è stata accantonata, per poi essere riscoperta negli ultimi tempi. Molti farmaci comuni sono versioni sintetiche degli estratti vegetali che spesso, però, provocano un serie di effetti collaterali che rischiano di portare l’uomo verso una spirale senza fine: i danni procurati dai medicinali sintetici devono essere sanati da altri medicinali che, a loro volta, rischiano di fare danni e così via. Inoltre, il farmaco di sintesi spesso si limita a curare i sintomi senza agire sulle cause; la medicina fitoterapica

e la medicina alternativa in genere, si pongono invece l’obiettivo di alleviare la causa che sta alla base del disturbo. Nonostante i medicinali fitoterapici nella maggior parte dei casi non provochino effetti collaterali, prima di utilizzarli è bene rivolgersi a figure competenti. Figure che, purtroppo, esistono da pochi anni e limitatamente alla Gran Bretagna, la quale riconosce la categoria professionale di fitoterapeuti, con percorso formativo universitario e protezione legale del nome. Negli altri stati membri dell’Unione Europea, infatti, il termine fitoterapeuta non ha valore legale e la fitoterapia non

è un ramo riconosciuto della biomedicina, che spesso guarda ai metodi alternativi con scetticismo. Perché tutto questo? La risposta è da cercare nei rapporti, spesso illeciti, tra gli Stati e la BigPharma (il grande potere dell’industria farmaceutica). Quest’ultima infatti, ha dimostrato in più di un’occasione di avere più interessi nel loro profitto che nella salute delle persone. Come dimostra un’inchiesta svolta dall’amministrazione degli Stati Uniti, le industrie farmaceutiche distribuivano (e probabilmente distribuiscono) “mazzette” a politici, funzionari e medici di tutto il mondo per vedersi autorizzare i farmaci. Ma le pratiche della malasanità non finiscono qui: infatti una delle ultime strategie aziendali della BigPharma punta ai sani, non ai “soliti malati”. Come? Semplice, basta “gonfiare l’importanza di una malattia o, se occor-

re, inventarsela di sana pianta- spiega Gianfranco Domenighetti (docente di Comunicazione ed economia sanitaria presso l’Università della Svizzera italiana) in un’intervista rilasciata ad Emergency -le malattie restano più o meno le stesse e solo il 2,4% dei farmaci immessi sul mercato dal 1981 al 2008 rappresenta un vero importante progresso terapeutico, mentre le altre sono copie dell’esistente, a eccezione del prezzo, che è triplicato” continua l’eco-

nomista. Non è un caso che le campagne di prevenzione siano sempre più frequenti e che i valori-soglia considerati un tempo normali per glicemia o colesterolo siano stati progressivamente abbassati: per ognuno di questi aggiustamenti, il numero di persone cui prescrivere medicinali aumenta rapidamente. Sarà dunque l’influenza della BigPharma ad alimentare l’infondato scetticismo che affligge la fitoterapia? In Italia esiste la Società Italiana di Fitoterapia

(SiFit) che raccoglie intorno a sé molti tra gli studiosi italiani di piante medicinali. Dal 1992 la SiFit opera affinché l’uso delle sostanze vegetali sia riconosciuto per l’utilità che è in grado di sostenere nella medicina moderna e promuove la ricerca scientifica sulle piante medicinali. Ma come si può operare per il bene della gente finché chi governa rimane legato ai “profitti facili” ? Come si può dimenticare che la Natura offre tutto ciò di cui l’uomo ha necessità?



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poche semplici informazioni salvavita É doveroso per tutti noi conoscere le pratiche di primo soccorso a cura di Vera GERVASIO (IIICri) Ci siamo chiesti quanto sia importante la conoscenza delle pratiche di primo soccorso e la presenza di un defibrillatore nei luoghi di aggregazione, come la scuola. La medicina non è solo scienza e teoria ma anche prassi emergenziale. Per rispondere a questi dubbi ci siamo rivolti ad un professionista impegnato ogni giorno in prima linea: Imberti Pierluigi infermiere di Pronto Soccorso Spedali Civili di Brescia. Ecco cosa ci ha detto.

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isto i recenti casi accaduti, e che sono stati evidenziati dai mass media, di atleti famosi rimasti vittime di arresto cardiaco improvviso, mi sembra opportuno affrontare l’argomento. L’arresto cardiaco improvviso è un evento drammatico che nella maggior parte dei casi provoca la morte. Negli Stati Uniti circa 330.000 persone muoiono ogni anno per malattia coronarica, e di queste 250.000 muoiono prima di raggiungere l’ospedale. L’incidenza dell’arresto cardiaco improvviso è di circa 0.55 per 1000 abitanti per anno. Molti di questi soggetti tuttavia sopravvivono grazie a soccorso e cure appropriate; in tali casi la prontezza con la quale essi ricevono interventi atti a ripristinare le funzioni vitali compromesse è determinante. Per ogni minuto trascorso senza ricevere compressioni toraciche efficaci, un paziente in arresto cardiaco (AC)

perde il 7% di possibilità di essere salvato. Per tali evidenze, la comunità scientifica è da tempo concorde sul fatto che i concetti del Basic Life Support (BLS) e le conoscenze e capacità ad esso correlate debbano non solo essere patrimonio di tutti i sanitari, ma vadano estese a tutti i laici (non professionisti). L’algoritmo BLS, recentemente revisionato dall’American Heart Association ed esemplificato nell’incisiva immagine dei 5 anelli della “Catena della sopravvivenza”, sono i seguenti: - riconoscimento dell’AC e attivazione delle risorse professionali (contattare il numero di primo soccorso 118) - Avvio precoce della rianimazione cardiopolmo-

nare (CPR) da parte dei primi soccorritori, ovvero il massaggio cardiaco defibrillazione rapida: CPR più defibrillazione iniziati non oltre 3-5 minuti dal collasso possono produrre la sopravvivenza del soggetto in una percentuale di casi che va dal 49% al 75% - supporto vitale avanzato da parte di personale medico qualificato - cure post arresto cardiaco nei reparti di terapia intensiva Da quanto detto si evidenzia l’importanza dell’intervento immediato di un soccorritore laico e il fondamentale riconoscimento dei “segni” di un possibile AC, quali paziente incosciente che non risponde a stimoli verbali o dolorosi e man-

I 5 anelli della catena della sopravvivenza

lazione automatica esterna per mezzo del defibrillatore (AED). La scarica elettrica che esso genera va ad azzerare gli impulsi disordinati che causano la TV o FV dando AED - defibrillatore la possibilità al muscolo cardiaco di riparticanza di polso. In queste re grazie ad un impulso circostanze la prontezza del soccorritore e il simul- elettrico regolare. L’AED è uno strumento moltaneo inizio delle manoto semplice che prevevre di rianimazione (CPR) è determinante per la so- de però un breve corso per l’idoneità all’utilizzo. pravvivenza del soggetIn tutti gli ambienti quato colpito da AC in quanto, se non viene garantito li campi sportivi, palestre, un minimo di circolazione scuole, piscine e quant’altro, dove è praticato sport per tenere in vita le celo semplicemente si trova lule nervose del cervello, un punto di aggregaziomolto sensibili alla manne, dovrebbe essere incanza di O2 , dopo alcudispensabile la presenza ni minuti di anossia esse di un defibrillatore automorirebbero senza spematico esterno. È auspiranza di ripresa. cabile che questo accaAltro punto fondamenda il prima possibile per tale per il soccorso di un scongiurare altre vittime paziente vittima di AC è che, il più delle volte, pola defibrillazione precotrebbero essere salvate ce (terzo anello della caper mezzo del CPR e deltena). Ogni soggetto colla defibrillazione tramite pito, nei primi minuti presenta un ritmo cardiaco di tachicardia ventricolare (TV) o di fibrillazione ventricolare (FV), questi ritmi portano all’asistolia (cuore fermo) se non si interviene con la defibril-

AED. Tutti noi dovremmo sentirci in dovere di conoscere le pratiche per il soccorso di una vittima di AC, questo perchè molte morti, spesso di persone giovani, potrebbero essere evitate (ultimo caso del calciatore del Livorno Piermario Morosini, morto per mancanza di soccorso adeguato).

Posizionare il palmo della mano al centro del torace della vittima; sovrapporre l’altra mano intrecciando le dita; mantenere le braccia tese e perpendicolari al torace scaricando la pressione e il peso sul paziente; comprimere il torace ritmicamente ad una frequenza di 100 al minuto, ad ogni compressione il torace deve abbassarsi di 4-5 cm; dopo ogni compressione sollevarsi in modo da permettere al torace di rilasciarsi completamente senza perdere contatto tra le nostre mani e la vittima.


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scrubs

Il lato comico della medicina

a cura di Marika BARESI e Diana TRATTA (IVCs)

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uante serie TVdrammi sulla medicina subiamo ogni giorno? Partendo dal classico E.R. ai più recenti Dr.House e Grey’s anatomy dove possiamo notare dottori/fotomodelli (che sfidiamo chiunque a trovare in un comune ospedale!) che tra scuotimenti di capelli sempre perfetti, sensuali battiti di ciglia e passionali ‘tramini’, rigorosamente tra colleghi, riscontrano e, grazie a un’illuminazione divina, curano malattie che solo loro conoscono e che noi umani non possiamo nemmeno immaginare. Tra questa moltitudine di supereroi in camice bianco spiccano gli imbranati e divertenti medici del Sacro Cuore, ospedale che fa da sfondo alla sitcom statunitense Scrubs, che differiscono sia per aspetto fisico sia comportamentale dagli incredibili dottori che siamo soliti trovare in televisione. Scrubs è una serie tv ideata da Bill Lawrence, dove troviamo come protagonista John Michael Dorian, per gli amici J.D, un medico imbranato che in ogni puntata, seppur trovandosi in situazioni relativamente normali, dove ovviamente i nostri mitici ‘super dottori‘ non farebbero una piega e, tanto meno, sprecherebbero un episodio, riesce

“Quest’uomo ha una lampadina su per lo sfintere oppure il suo a farcolon ha avuto un’idea ci ridere rengeniale”

dendoci partecipi di assurde faccende causate per lo più dall’inserviente, il personaggio più enigmatico e, in un certo senso, anche più “fuori di testa” della serie, e dal dottor Cox, medico molto duro e sarcastico ma che in fondo è sempre pronto ad aiutare J.D e gli altri specializzandi. Troviamo poi il migliore amico di J.D ovvero Turk, un chirurgo molto competitivo che appare svariate volte negli episodi, sposato con Carla Espinosa, infermiera molto amica del nostro protagonista e che prende le sue difese ogni volta che questo viene attaccato da Dr. Cox; non possiamo inoltre dimenticarci del primario dell’ospedale, il dottor Bob Kelso, il vero antagonista della serie, odiato praticamente da tutti a causa del suo cinismo, nonostante mostri in alcuni episodi qualche tratto di uma-

nità. Ultima ma non ultima Elliot (il cui nome è dovuto al fatto che i suoi genitori volessero un maschio) collega, futura fidanzata, e successivamente moglie di J.D; dottoressa insicura, timida, molto competitiva e per certi versi comica. Ma visto che FXP è un giornalino serio e ogni articolo che contiene invita alla riflessione non vogliamo di certo essere da meno; non penserete mica che Scrubs sia solo baggianate tra corridoi ospedalieri e battute insensate, vero?! Beh, probabilmente è così.. ma, volendo, si può trovare un significato più “profondo” o, almeno, noi ci abbiamo provato: la medicina va presa sul serio, per carità, ma in fondo bisogna anche saper trovare il lato comico della vita e perché non farlo a casa propria, sul divano, dopo una faticosissima giornata sui banchi di scuola o dietro la cattedra (per i nostri amici professori ), di fronte al simpatico faccione di J.D? Insomma, ci sono i momenti in cui è richiesta una certa serietà ma anche quelli in cui ci si può concedere una risata! Che a noi Scrubs piaccia riteniamo si sia capito, ora non resta che a voi sintonizzarvi su MTV il giorno che preferite, esclusi sabato e domenica, alle 14.20 e farvi la vostra opinione!


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il futuro del pianeta dipende solo da noi

Incontro con il dottor Luca MERCALLI in occasione del Book Feast

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a cura di Chiara ZANONI (IVCs)

incontro del 19 Novembre con il dottor Luca Mercalli ha trattato uno degli argomenti più “caldi” e attuali degli ultimi anni. Nonostante si parli da molto di problemi ambientali, ora la situazione sembra essersi fatta più seria, complice sicuramente la crisi economica sempre più pressante. In un clima che sembra debba diventare di recessione Mercalli propone soluzioni per convivere meglio tra di noi e con il nostro ambiente, soluzioni che all’apparenza possono anche sembrare sacrifici, ma che in realtà potrebbero essere l’unica soluzione per rendere quantomeno abitabile il nostro pianeta anche in un prossimo futuro. Il dottor Mercalli ha iniziato la conferenza indicando i piccoli gesti che possiamo compiere ogni giorno per ridurre l’inquinamento ambientale, gesti che hanno un impatto in realtà davvero forte, in quanto è in base alle nostre esigenze e le nostre richieste che le industrie e le società producono. Ha poi lasciato spazio alle domande preparate da alcuni studenti, che hanno subito sollevato alcuni dei punti salienti riguardanti l’argomento

mero ingente di bottigliette di plastica comporta costi enormi, ed una delle “soluzioni” a cui si ricorre maggiormente è insabbiare il problema gettando i rifiuti nel mare, i quaIl dottor Luca MERCALLI li poi diventano cibo per vari animali i quali per la della conferenza. maggior parte muoiono In primo luogo si è parlaingerendo le sostanze conto dello smaltimento dei tenute in questi prodotti di rifiuti. Si tratta di un 30% scarto (ad es. gli ftalati, che di organico (150 kg cain un organismo vivente dauno), il cui smaltimento, almeno a livello teorico, possono provocare anche dovrebbe risultare relativa- l’ermafroditismo). mente semplice in paesi di Un’altra delle domande poste al dottor Mercalli ricampagna (come appunguardava la concezione di to Asola), poiché sarebprogresso rispetto ai probe facilmente utilizzabile blemi riscontrati fin ora. per concimare. In questo L’esperto ha subito precisamodo si eliminerebbero, to che esistono diversi tipi oltre ai costi, anche i dandi progresso, e che inoltre ni termodinamici e biogequesto viene spesso confuochimici dei camion che so con lo sviluppo e la crepassano per la raccolta scita, quasi fossero sinonidell’umido. Il dottor Mermi. In realtà, come è stato calli ha precisato che comunque un procedimento spiegato, la cosa di basilare importanza è assicuradel genere è ovviamenre i bisogni fondamentali, te irrealizzabile in città. Uno dei materiali più com- che sono finiti, al contrario dei desideri, infiniti. In queplessi da riciclare ci è stato sto modo si assicurerebbe spiegato essere la plastica. un tenore di vita dignitoso Prendendo come esempio a tutti e lo spreco sarebbe una semplice bottiglietta, analizzandola pezzo per ridotto al minimo (in questo senso dovrebbe essere pezzo ci si rende alla fine inteso il progresso); cosa di conto che essa è formafondamentale importanza ta da ben 5 prodotti diveral giorno d’oggi, considesi, alcuni dei quali non riciclabili; conseguentemente rando anche che comparando la terra ad una mela, lo smaltimento di un nu-

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le terre emerse utilizzabili sono solo la buccia di un terzo di essa, e tutti noi ora come ora ne stiamo oltremodo abusando. 40 anni fa (1972) Aurelio Peccei incaricò dei ricercatori del Massachusset’s Institute Of Technology di svolgere uno studio sui limiti dello sviluppo (anche se il titolo originale era, letteralmente, “i limiti della crescita”), che venne poi ripubblicato più volte. Illustrava come le risorse naturali dall’inizio del Novecento fossero calate in modo inversamente proporzionale a: produzione industriale, cibo e inquinamento. I grafici dell’aumento del consumo delle risorse sono, come mostrato dal dottor Mercalli, delle funzioni esponenziali, tendenti quindi all’infinito, ma avendo la terra risorse finite, andando avanti in questo modo si rischia il collasso del pianeta in un futuro non troppo remoto. L’idea dovrebbe quindi essere quella di un modello di progresso che non comporti la distruzione della terra, che poi in realtà non verrebbe nemmeno distrutta, in quanto è sopravvissuta a catastrofi naturali e decimazioni di popolazione ben più gravi. Il punto fondamentale è che senza un ambiente quantomeno vivibile, l’uomo non può esistere, poiché è la biosfera a sostenerci. In questo momento, e ci sono articoli pubblicati su diverse riviste accreditate che lo confermano, stiamo viven-

do al di sopra delle nostre possibilità; la terra però ha un sistema resiliente (elastico, come una rete) che le permette per un certo periodo di attutire i danni, superato quel lasso di tempo tuttavia, non è più possibile. Stiamo vivendo come se avessimo una terra e mezza, e proseguendo su questa strada, nel 2040 ne serviranno due. Riguardo la temperatura terrestre, è subito da notare l’aumento spropositato di CO² a causa dei gas effetto serra, che sono tra l’altro la causa principale del riscaldamento globale (il dottor Mercalli ci ha inoltre mostrato le foto di alcuni ghiacciai che si sono sciolti completamente o quasi in lassi di tempo davvero brevi). Un calcolatore di dati per il futuro ha evidenziato che, intervenendo, alla fine del secolo potrebbero esserci solo 3 gradi (invece di 6); attivandoci abbiamo quindi la possibilità di limitare consistevolmente i danni (ha inoltre fatto notare che si rischierebbe di arrivare al punto in cui la pianura padana diveneterebbe una specie di deserto) Vi è quindi la necessità di progettare società a energie rinnovabili, le quali offrono indubbiamente una minore efficienza (nel 2100, utilizzandole al 100% si arriverebbe comunque solo alla metà dell’efficienza energetica attuale), ma che sono anche l’unico modo per “salvare” il nostro pianeta, e prima ancora le nostre vite. Prendendo

ora in esame isolatamente l’Italia, e parlando del suo deficit ecologico, stiamo in questo momento vivendo con il quadruplo delle risorse disponibili. Il primo passo dovrebbe indubbiamente essere quello di far scendere l’utilizzo delle risorse a un po’ meno del triplo, almeno per ora, garantendo il necessario e tagliando il superfluo (come detto all’inizio). Installando inoltre i pannelli solari, viene riconosciuto un prezzo di favore del kilowatt/ora prodotto (poiché si risparmiano circa 200 kg di petrolio ogni kilowatt/ora), così che in 10 anni ci si ripaga della spesa dei pannelli. Le auto elettriche sono un’altra grande soluzione. Come verificato dallo stesso dottor Mercalli, ogni auto elettrica ha un’autonomia di circa 150 km giornalieri. A Milano questi sono all’incirca i kilometri percorsi in un giorno da un taxi. Quindi, se tutti i taxi di Milano venissero sostituiti con auto elettriche si risolverebbe il problema dello smog della zona C (questo solo se la ricarica della macchine viene effettuata utilizzando i pannelli, perché contrariamente utilizzando il carbone si risolve ben poco). I modi per “salvare” la nostra terra sono davvero tanti, ma prima di tutto è importante che ognuno di noi apra gli occhi e si renda conto che realmente parte tutto dai nostri gesti quotidiani.


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l’amore per gli animali

Ecco i vincitori dell’ultimo concorso fotografico promosso da FXP a cura di Linda SALICI e Lucia TONELLI (IVAs)

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iao ragazzi, è tornato in questo primo numero dell’anno scolastico 2012/2013 il concorso di fotografia. Vi mostriamo le foto che si sono classificate ai primi tre posti sul tema “L’amore per gli animali”. Abbiamo fatto il possibile per far partecipare al voto tutte le classi, ma abbiamo ricevuto scarsa partecipazione e disinteresse, quindi nel prossimo numero faremo votare solo le classi davvero interessate, in caso di incomprensioni o problemi ci scusiamo, cercheremo di migliorare nel prossimo numero. Per il prossimo giro di foto abbiamo scelto il tema ”I nuovi mostri” sperando in un maggiore coinvolgimento. Per attivare il concor-

so il numero minimo di fotografie da votare deve essere almeno di cinque, in caso contrario saremo costrette, nostro malgrado e con grande dispiacere, a concludere quest’esperienza. Vi ricordiamo che le foto vanno inviate a concorsofotografico@hotmail.com entro e non oltre il 28 febbraio 2013 e devono contenere le seguenti informazioni allegate: nome dell’autore della foto e della classe che frequenta, data dello scatto e soprattutto il titolo. Vi auguriamo buon divertimento nella ricerca della foto perfetta ricordandovi che la foto deve essere ESCLUSIVA, ovvero su internet non deve trovarsi una foto simile a quella inviata, pena il rifiuto della stessa.

nome: DANILA GEROLA Classe: INSEGNANTE Data: 14-05-2012 Luogo dello scatto: CASA MIA Titolo: DOLCEZZA

nome: CHIARA MICHELOTTI Classe: V A SCIENTIFICO Data: 03-04-2012 Luogo dello scatto: DALLAS ACQUARIUM Titolo: SLOTH-MOTION

nome: CHIARA MARCHETTI Classe: III C SCIENZE APPLICATE Data: 17-12-2011 Luogo dello scatto: ACQUAFREDDA (BS) Titolo: I HATE/LOVE YOU


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CHE NOIA!

Il malessere della società moderna

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a cura di Francesca GUINDANI e Silvia PIAZZA (VAs)

er Oscar Wilde è l’unico peccato per cui non c’è perdono. Petrarca la definisce nobile sentimento e Kant addirittura un pungolo che ci spinge ad agire!! Stiamo parlando della noia, un sentimento che ha un ruolo da protagonista nella nostra cultura. La noia è da sempre considerata responsabile di ogni genere di mali, dai comportamenti peccaminosi o immorali allo stress, fino al suicidio. Non solo, in tempi recenti è diventata un fenomeno di massa. Tutti sappiamo che significa annoiarsi, ma darne una definizione non è facile. Alcuni studi collegano la propensione alla noia con una ridotta attività del sistema limbico della ricompensa, o addirittura con un’alterazione nella secrezione di endogeni, che renderebbe lo stato di noia simile a una lieve sindrome di astinenza. Il pensiero psicoanalitico collega la noia alla soppressione del limite, all’incapacità di rinunciare ad un sogno di onnipotenza. In termini etimologici, la parola noia, deriva dal latino in odio habere, ossia avere in odio, detestare. Per Kant il concetto di noia è legato al tempo, cui si riferisce a due livelli diversi. Quello organico/meccanico, in cui il tempo è una

quantità calcolabile, e la dimensione spirituale che nasce dal nostro interesse, dalla volontà di riempire ogni attimo con una precisa finalità. Il presente, insomma, dovrebbe preparare il futuro, ed è quando questa attesa si spegne che subentra la noia. Lo stesso concetto è stato espresso in passato con termini diversi. Basti pensare al concetto di taedium vitae espresso da Seneca nelle Lettere a Lucilio “una noia che nasce dalla percezione del dolore del mondo …” Quando la noia è contagiosa: io sbadiglio. Perché gli sbadigli, respiri profondi accompagnati da contrazioni muscolari, atte a essere sintomo di noia, sono estremamente contagiosi? Uno studio recente, pubblicato sulla rivista “… One”, dimostra che lo sbadiglio si trasmette per lo più tra persone che si vogliono bene, come amici, parenti stretti, coppie. Sembra infatti, come ha

spiegato lo psicologo Andrew Gallap sulla rivista “Evolutionary Neuroscienze”, che gli sbadigli diventino molto più contagiosi d’estate e comunque quando fa molto caldo, per aumentare l’ossigenazione dell’organismo, oppure secondo teorie più recenti, per raffreddare il cervello, un po’ come avviene con la ventilazione di un computer. Tra i pensatori che hanno dedicato parte della loro attenzione al tema della noia vi è prima di tutti, Leopardi, che vedeva la noia come il “desiderio di felicità lasciato allo stato puro” (o meglio non finalizzato ad un progetto); segue Schopenhauer, per il quale la vita oscilla tra dolore e noia, dimostrazione dell’inutilità dell’esistenza umana. Per Kienk il discorso è un po’ diverso, tale pensatore afferma infatti: se la nostra vita avesse un senso positivo basterebbe a soddisfarci e la noia cesserebbe di esistere. È però Heidegger, più di tutti, il filosofo che si è dedicato maggiormente al problema della noia, in particolare la noia che si presenta all’uomo di fronte alla “perdita di senso dell’esistenza”. Il tema affrontato già da pensatori precedenti permane quindi ancora oggi nella vita di tutti gli uomi-

ni; in una qualsiasi relazione la noia è infatti simbolo di crisi, di mancanza di passione, intesa come benessere, voglia di vivere, equilibrio tra la propria vita e le proprie emozioni. Contrariamente a chi vede la noia in senso negativo, c’è poi il pensiero buddista, per il quale essa è un momento propedeutico dell’autocoscienza e soprattutto, a nostro riguardo, dell’iniziativa: Cristoforo Colombo avrebbe mai scoperto l’America

se non si fosse annoiato? Quante volte nelle notizie di cronaca nera si sentono episodi di violenza o aggressione verso esseri umani o animali, giustificati con la frase “…l’ho fatto perché mi annoiavo ..” eppure la noia non è mai stata considerata una vera patologia. Studi rivelano invece che la componente del tempo, per citare un esempio, risulta una delle principali dimostrazioni di tale disagio: una persona sogget-

ta a noia mostrerebbe una elevata difficoltà a percepire il tempo e a fare una stima più o meno precisa del suo trascorrere. Viene qui riportato, un elenco di 27 domande, elaborato dall’Università dell’Oregon con il nome di Boredom Proneness Scale, al quale il lettore può sottoporsi per “misurare la propria noia” potendo così scegliere di cambiare il proprio modo di percepire e vivere il mondo, o rimanere un “eterno annoiato”.

Test: Misura la tua noia

Ecco la ‘Boredom Proneness Scale’, il testo elaborato per misurare la propensione ad annoiarsi. Basta rispondere alle domande con un voto su una scala da 1 (molto in disaccordo) a 7 (molto d’accordo). Sapendo che 2 persone su 3 ottengono un punteggio compreso tra 81 e 117, mentre il 2,3% ha un punteggio a 63 o superiore a 135, valutate il vostro livello di noia! 1) Mi risulta facile concengior parte delle cose che cerebbe affrontare un trarmi su quello che faccio faccio maggior numero di sfide 2) Quando lavoro mi trovo 12) Il mio lavoro è rara21) Per la maggior parte spesso a pensare ad altri mente fonte di entusiasmo del tempo ho la sensazioproblemi 13) In qualunque situazione di lavorare al di sotto 3) Mi sembra che il tempo ne riesco a trovare qualcodelle mie capacità passi troppo lentamente sa di interessante da fare o 22) Molte persone mi de4) Spesso mi sento smarrida vedere finirebbero un creativo o to, senza sapere cosa fare 14) Mi capita spesso di sta- una persona dotata di im5) Spesso sono intrappola- re seduto a far niente maginazione to in situazioni in cui devo 15) Sono capace di aspet23) Ho tanti interessi e fare cose senza senso tare pazientemente non ho tempo di seguir6) Guardare dispositivi o 16) Mi trovo spesso con li tutti filmini a casa di amici è una tempo a disposizione e 24)Tra i miei amici, sono il noia mortale niente da fare più costante nelle proprie 7) Non sono mai a corto di 17) Divento impaziente attività progetti, di cose da fare quando sono costretto ad 25) Se non sono impegna8) Non ho problemi a diaspettare, per esempio in to in attività eccitanti o vertirmi da solo coda pericolose mi sembra di 9) Molte delle cose che 18) Mi capita spesso di morire di noia devo fare sono ripetitive o svegliarmi con una nuova 26) Novità e cambiamenmonotone idea in testa ti sono indispensabili per 10) Rispetto alla maggior 19) Sarebbe molto difficile rendermi davvero felice parte della gente ho bisoper me trovare un lavoro 27) Mi sembra che alla tegno di più stimoli per “fun- sufficientemente entusialevisione o al cinema si zionare” adeguatamente smante vedano sempre le stesse 11) Trovo eccitante la mag- 20) Nella mia vita mi piacose, roba vecchia



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homo sapiens o homo stupidus? Animali estinti, un monito per l’umanità a cura di Stefano SOLAZZI (IVAs)

Il fascino del pianeta Terra sta nella sua varietà di paesaggi, si passa dal freddo dei poli al caldo equatoriale delle foreste pluviali, dal clima temperato delle nostre zone a quello caratterizzato da fortissime escursioni termiche come nei deserti. Ogni luogo presenta caratteristiche diverse, dissimile scenario, differenti popolazioni, diversa flora e diversa fauna. Siamo tutti d’accordo nell’affermare che gli animali hanno un ruolo fondamentale all’interno di una certa zona? Si potrebbe immaginare un’Africa senza i propri animali caratteristici? Attraverso il corso di Madre Natura miriadi di specie animali sono evolute in nuove o si sono estinte completamente, questo è un dato di fatto, per estinzione si intende la cessazione dell’esistenza di una certa specie. Ma nell’epoca moderna, al di fuori del corso ordinario, la caccia sfrenata e la distruzione degli habitat naturali hanno portato svariate specie

animali alla completa cancellazione o alla decimazione; alcuni esseri riescono o sono riusciti ad adattarsi al nuovo ambiente, altri, dopo la modificazione del proprio habitat, si sono gradualmente estinti. A oggi le specie animali sono classificate secondo lo “Stato di conservazione” comprendente le seguenti categorie: LC(Rischio minino), NT(Prossimo alla minaccia), VU(Vulnerabile), EN(In pericolo), CR(Critico), EW(Estinto in natura, cioè specie che sopravvivono solo in cattività), EX(Estinto). Poiché lo stato di conservazione di un ani-

male non è facile da appurare, le estinzioni vengono solitamente confermate molto tempo dopo l’evento effettivo; per questo motivo esistono le sottocategorie: PEW(Probabilmente estinto in natura), PE(Probabilmente estinto), DD(Dati insufficienti), NE(Non valutato). Con ogni specie scomparsa se ne va una pagina della storia del nostro pianeta, per questo è sempre gradita una presa di coscienza ii questo senso; infatti, le azioni degli uomini di oggi portano alla distruzione di molti habitat naturali, primo tra tutti lo scioglimento dei ghiacci del Polo Nord che ha portato l’Orso Bianco(Ursus maritimus) a entrare nella categoria VU. Secondo le previsioni di Simon Stuart dello Iucn, l’Unione mondiale per la conservazione della natura e le ricerche del Berkeley Earth Project, l’Orso Bianco sarà EX entro 10 anni, se lo scioglimento dei ghiacci non si fermerà (sfatando il luogo comune che esso è causato solo dal riscalda-

mento globale, del resto si stanno creando i presupposti per la creazioni di impianti per l’estrazione di petrolio e gas naturale in quelle zone che stanno diventando più accessibili, proprio a causa dello scoglimento (“Polo Nord, il nuovo Eldorado del petrolio”, Chiara Caprio, Corriere della Sera). Parlare solo di quest’animale è riduttivo, infatti esistono numerose specie animali in quella zona del nostro pianeta che vedendosi distruggere progressivamente il loro ecosistema non sapranno come sopravvivere. Tra le specie animali europee estinte troviamo l’alce del Caucaso (estinta nel 1810), l’uro(un tipo di bovino, 1627), la tigre del caspio (1960), l’alca impenne (1852), il pfarrig (un pesce, 1900); in America la ritina di Steller (la “Vacca di mare”, 1767, scoperta nel 1741, sterminata in pochi anni), il coguaro orientale (sottospecie di puma dichiarato estinto il 2 Marzo 2011), il piccione migratore (1766). In Asia il lupo di Hokkairdo (1889), il cervo di Schomburgk (1938), la tigre di Bali (1937), le tigri di Giava e del Caspio (1980), l’orso gi-

gante della Kamchatka (1920). In Africa il quagga (una sottospecie di zebra, 1883), antilope azzurra (1799), il facocero del capo (1900), il dodo (un uccello endemico dell’isola Mauritius, 1651). Le specie a rischio sono innumerevoli, oltre il già citato Orso Polare troviano il Panda gigante, la foca monaca, la Tigre, la balenottera, lo scimpanzè, il picchio imperiale e molti ancora. Ormai l’estinzione di queste specie è irrecuperabile, si stanno portando avanti ricerche mirate alla clonazione del DNA di alcune di queste, ma i risultati non sono ancora visibili. Per non creare situazioni analoghe si può solo proteggere le specie animali a rischio e il loro habitat, reprimendo duramente la caccia e salvaguardarle dall’azione distruttiva dell’uomo. Esiste, in Giappone, un cimitero dove sono

conservate le lapidi delle specie animali che non sono più presenti sulla terra. Esso è parte di una presa di coscienza che si sta affermando in questo tempo, alcuni uomini, forse più umani di altri, capiscono l’importanza di difendere il pianeta insieme ai suoi essere viventi, comprese le piante. Madre Natura continuerà a essere sottomessa all’uomo o, prima o poi, ci estinguerà a sua volta? Si può speculare sulla superiorità dell’uomo, ma alcuni fatti recenti evidenziano la sua debolezza nei confronti del proprio pianeta. Siamo certo “Homo Sapiens”, il maggior esempio di vita intelligente sul nostro pianeta, ma in quanto tali dovremmo tenere conto delle nostre azioni rispettando la Terra. Dovremmo deciderci a valorizzare la vita, recuperare alcuni valori che abbiamo perso sottostando ai poteri falsi e illusori (politica, televisione, internet) e creare tutti insieme un mondo nuovo: dove saremo ospiti del nostro Pianeta (e con nuove scoperte, dell’Universo), uniti per la Vita e per la felicità di tutti.


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la morte di ivan ill’ic

eros e thanatos

La storia della metamorfosi di una coscienza a cura di Andrea BERGAMASCHI (IICri)

“L

a morte di Ivan Il’ic” è un romanzo di uno spessore e di una profondità struggente, è la storia della metamorfosi di una coscienza, dell’epilogo di una nonvita. Tolstoj, con il suo stile misurato, racconta di un uomo che cade inesorabilmente nella convenzionalità delle scelte e illustra l’ipocrisia che caratterizza una società chiusa nel suo meschino decoro borghese. L’au-

tore descrive accuratamente il percorso intrapreso da Ivan Il’ic, dai sintomi della malattia alla sua inesorabile fine. La disperazione in cui piomba è tangibile ma negli ultimi giorni di sofferenza il protagonista rompe l’inganno in cui aveva vissuto una vita intera e si ritrova finalmente uomo, Lev TOLSTOI - 1828/1910

anche a costo di ammettere che tutte le apparenze sono state enormi sbagli. Questo conduce il lettore a rispecchiare su di sè l’analisi introspettiva dello stesso protagonista, consapevole che la feroce menzogna che la vita rappresenta si sarebbe sciolta nell’istante in cui la speranza di vivere l’avrebbe lasciato. La fragilità di Ivan Il’ic racchiude, infatti, l’umanità intera. Umanità che si lascia cogliere impreparata perchè non ha ancora imparato a rimediare ai propri errori e, di conseguenza, a cambiare la propria storia. Il romanzo è di una chiarezza terribile, è una vicenda normalissima narrata in maniera unica. Ma quanti sono gli uomini ridotti a brandelli, svuotati dentro e fuori e resi fantasmi di loro stessi dalla morte? E tutto questo solo per l’incapacità di concepirla, di accettarla come rinascita dell’anima. “La morte di Ivan Il’ic” non è, quindi, un romanzo negativo, ma un inno alla vita da non perdere.

Dentro Me

Un sentimento giocondo Ribolle in me, è l’amore profondo che provo per te. Ma purtroppo ad un altro Il tuo core hai donato, e si strugge in un antro il mio ego adirato, ogni volta che lo vedo mi si stringe il cuore come se cercasse di trattenervi l’amore. Per me però provi un sol sentimento ed è l’amicizia, l’eterno tormento. Un dì capirai o almeno speriamo che non so più che fare per dirti che t’amo. Paolo BOTTURI (IVAs)

La Morte

La morte è come una vecchia amica sempre presente che ci aspetta oltre il valico della pazzia della mente come se in tutta la vita, come una guida ci avesse seguito e ci avesse consigliato di fare scelte a volte sbagliate talvolta, fortunatamente, non ascoltate. Ed è allora che essa adirata cerca forsennata di farci lo sgambetto per impedirci di percorrere della vita il sentiero retto. Ma è proprio così che va la vita, arriva come una fresca brezza in un caldo giorno d’estate, lasciando tutti piacevolmente sorpresi, e con la stessa rapidità essa se ne và, senza preavviso, lasciandoci qui a disperarci per quanto più caro avevamo, che è andato perduto. Paolo BOTTURI (IVAs)

Gustav Klimt Vita e morte


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music planet

Intervista agli Alley, interesse band emergente del territorio a cura di Niccolò DONINELLI (VAs) e Ludovico RUGGENENTI (IVCs) Salve a tutti cari lettori del Falconexpress, per l’edizione di quest’anno abbiamo pensato di riproporre il progetto del Music Planet, nato lo scorso anno scolastico. In questo numero abbiamo voluto esplorare il panorama musicale indipendente dell’intera provincia, in particolare ci siamo soffermati sul recente progetto di una band che ha già percorso le fatiche di un album autoprodotto e con l’ultimo disco si è dimostrata capace di rielaborare con suoni moderni il rock degli anni ‘70: gli Alley. Il gruppo: Davide Chiari (voce, chitarra, tastiere), Damiano Negrisoli (voce e chitarra solista), Giacomo Parisio (basso e voce), Samuele Pedrazzani (chitarra, voce, sassofono e tastiere), Moreno Barbieri (batteria).

Q

uando e come nascete? Davide: Il progetto di Alley nasce precisamente il 14 novembre 2011. Un sabato sera mi è capitato, come può capitare, di non uscire e di voler fare qualcosa di diverso, come quando uno non ha lo sbatti di voler andare fuori. Così in una notte è nato il primo progetto di Alley per una necessità di sfogo, qualcosa che era necessario immortalare in qualche modo. È successo in una notte, in cui ho fatto le incisioni; il giorno dopo ho fatto il mixaggio, il mastering

e tutto ciò che serviva. Infatti Alley non sono io e non sono loro, ma è piuttosto un’entità a se stante siccome, per l’appunto, Alley è il vicolino. Poi, siccome il progetto non poteva rimanere solo sull’album, mi sono trovato con “questi amiconi” per riproporre questi pezzi. La presentazione del primo album è avvenuta al Piper di castelnuovo il 3 giugno 2012, in cui abbiamo deciso di stravolgere i brani secondo i gusti personali di ognuno. Come si pone la vostra musica nei confronti dei gusti commerciali dei

giovani d’oggi? Giacomo: Secondo me ognuno è libero di ascoltare ciò che gli pare e piace, a patto che ci sia il rispetto per artisti che hanno innovato o lanciato dei generi di qualunque tipo. Purtroppo non siamo in un Paese molto acculturato musicalmente, non è solo colpa della gente ma anche di quanto viene proposto dai mass media. Davide: Più che altro considerano una fatica scegliere cosa ascoltare. Uno che scarica canzoni in blocco, magari non ha la voglia di approfondire e andarsi a sentire anche il resto delle canzoni dell’album. Samuele: Dal mio punto di vista non vogliamo porci come qualcosa di alternativo, infatti alcune canzoni possono essere benissimo pop. Davide: Viene preso il gusto collettivo, siccome conosciamo i nostri gusti e

limiti, in particolare durante i live, prendiamo queste influenze musicali e ne ricaviamo qualcosa. Pro e Contro dell’autoproduzione (un limite o un opportunità?) Davide: la due! Sicuramente una grande opportunità da sfruttare che ti permette di sviluppare un’identità artistica personale e ti offre la possibilità di “giocare” con effetti e suoni particolari che vanno a strutturare la personalità della combriccola

Le influenze? Davide: ce n’è una per ogni canzone! L’influenza principale arriva dai led zeppelin, gruppo preferito di sempre, per la varietà di colori delle loro canzoni e la capacità, tralasciando l’abilità tecnica, di spostarsi da pezzi rock al pop e non solo all’interno di un stesso album. [E dopo un rapido ascolto di noi intervistatori possiamo dire che questa è una caratteristica che si ritrova esattamente nell’album

e nel modo di suonare degl’Alley]; come Tales From The Pizzeria che mantiene un unico filone di logica ma vuole ogni canzone a se stante. Altre ispirazioni: i Roxy Music e, suggerito da Federico, Ben Hansen. Due parole per definire l’album. Davide: per forza due?! Io pensavo ad una: CUPIDIGIA (pronunciata con ambigua gestualità) Federico: è qui tutta la teatralità di quest’uomo.

Invitiamo quindi i lettori del falcone express ad ascoltare e comprare l’album, attraverso le coordinate presenti sulla pagina facebook di Alley e ringraziamo la combriccola per la disponibilità e per la simpatia con cui si presentano. Ricordiamo inoltre che il video completo dell’intervista sarà disponibile sulla medesima pagina fb . Un haug a tutti


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Si corre per tanti motivi

Segui il segno, corri il sogno: la mia prima maratona.

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a cura di Angelo BADINELLI (ex studente)

i corre per tanti motivi: per lavoro, per hobby, per il solo piacere di correre, per il fisico, per far battere il cuore; si corre con tanti motivi: con i propri amici, con tanti sconosciuti, con la propria squadra, con i propri pensieri; si corre per un kilometro, si corre per sempre; si corre con qualsiasi condizione meteo; si corre per uno scopo; si corre per un sogno; si corre per la vita; si corre per quelli che non possono; si corre…perché è fantastico correre. Ho iniziato a correre circa due anni fa, in un noiosissimo pomeriggio di agosto. Scarpe da ginnastica (non da corsa), maglietta e pantaloncini. E via. Mezz’ora di corsa, ma ogni cinque minuti ero costretto a fermarmi. Col tempo, con la costanza, con la pazienza, e soprattutto con la volontà, sono arrivato ad aumentare la mia resistenza sempre di più. Fino alla meta che tutti i runner sognano. Terminare una maratona. L’opportunità l’ho avuto il 25 novembre 2012, alla XXIX Firenze Marathon. Nella città che ha dato i natali al Sommo Poeta, si poteva notare già il percorso che sarebbe stato seguito da quasi diecimila podisti:

un sottile segno verde che si snodava tra le vie, che si avvicinava ai monumenti, che portava al bellissimo Parco Cascine, ai palazzi storici e passava alcuni ponti, tra cui il suggestivo Ponte Vecchio. Vi riporto la mia esperienza. La sveglia è abbastanza presto: sono le 5 e 20, è domenica mattina, il 25 novembre 2012 e fra poche ore parte la XXIX maratona di Firenze. La mia prima maratona. Colazione quasi leggera, poi risveglio muscolare; mi vesto (maglia lunga, il cielo è coperto), cerco di caricarmi. La motivazione è altissima, dal punto di vista fisico e mentale sto benissimo. Non resta che partire. Alle 8 sono già in zona partenza; deposito la borsa e sono praticamente pronto. Numero 9726. La partenza è alle 9 e 20; l’attesa è lunga. Fatto un

briciolo di allenamento, cerco la concentrazione psicologica adeguata. Controllo il tempo, che passa molto lentamente. Cerco di concentrarmi. È il momento: puntualissimo arriva il “via!”; per l’effetto imbuto passo dalla partenza dopo quattro minuti e facendo due calcoli i primi hanno già fatto più di un kilometro. La partenza è lenta, in fondo siamo quasi in diecimila; vedo Dj Linus, ma non lo disturbo. Non potrei mai disturbare il mio Mito. Dopo tre kilometri sono già in mezze maniche. Al sesto kilometro vedo i primi atleti, tutti del Kenya, che sono nell’altra corsia e già al tredicesimo. Passano i secondi e i metri e mi avvicino ad un primo traguardo. La mezza maratona. Arrivo al diciannovesimo km e vedo il pettorale numero 70. È Matteo Renzi, mi avvicino e gli dico due parole di incoraggiamento per la corsa e per le primarie, poi proseguo per la mia strada. Dopo 1h 53’ 29’’ finisco la mezza maratona: 21,097 km. Prendo il secondo gel e mi si profila un’idea, quella di finire la maratona in meno di quattro ore. In fondo, sto bene sia fisicamente sia psicologicamen-

te. Poi il pubblico presente incoraggia tantissimo. Sedici minuti dopo arriva la notizia che un keniota ha tagliato il traguardo e ha finito la maratona in due ore, nove minuti e cinquantanove secondi. Un mostro! Ma il maligno è sempre in agguato! Arriva il problema con la C maiuscola: crampi. Crampi poco dopo il ventitreesimo km. Allora penso che devo ritirarmi. Mica posso fare quasi venti kilometri camminando!!! In questo momento, penso a frasi che mi possono dare ancora carica. Il traguardo è lontano, ma la mia volontà è più forte; devo tirare fuori la tigre che c’è in me; devo dare il meglio di me stesso e superare il mio limite; e così via. Ma è un vero e proprio calvario fino al trentesimo km: ci arrivo correndo lentissimamente e camminando, camminando e correndo lentissimamente. Sono passate 2h 51’ 53’’ e il cielo lascia le nuvole e si tinge di azzurro. Il sole è alto e picchia e non bacia né belli né brutti, ma bacia noi maratoneti che amiamo un po’ di fatica. Così arrivo al punto ristoro, e qui mando giù limone e sali minerali a più non posso, mi bagno le gambe con la speranza di raffreddarle e riprendo a correre come all’inizio, senza problemi. Sembro rinato, sembra che io non abbia corso i trenta km precedenti. La linea verde continua tra

i punti più belli di Firenze: vedo lo stadio, le vie del centro, ripenso a Palazzo Pitti. Penso che tra pochi metri passerò sotto il Duomo, dove vedrò la cupola del Brunelleschi. E così avviene. Al trentacinquesimo km, eccolo lì. Come un guardiano, il Duomo si mette in mostra per noi runner, per darci ancora forza, per dirci che mancano circa sette km e il traguardo è alla nostra portata. Mi fermo ancora al ristoro e al punto spugnaggio e faccio lo stesso rituale fatto in precedenza. Kilometri trentasei, trentasette, trentotto. Superato quest’ultimo, ritornano i crampi (maledetti) e non mi perdo d’animo. Sono quasi arrivato e vedo il quarantesimo kilometro, superato dopo 4h 00’ 03’’. Media perfetta di dieci kilometri all’ora, media perfetta di sei minuti al kilometro. Come un orologio svizzero. Mancano solo 2195 metri e questi sembrano interminabili. Li faccio con la Cristina (categoria MF 40) e con il Gigi, un over sessantenne e con oltre trenta maratone all’attivo. Altro mostro! Prima del cartello del kilo-

metro 41, si vede il cartello del venticinquesimo miglio. Mancano solo 1609 cazzutissimi metri. Me li godo tutti perché sono gli ultimi metri della mia prima maratona. Nel frattempo, penso. Penso ad alcuni messaggi di incoraggiamento molto belli che mi sono arrivati per sms o via Fb; penso che a casa e a Castelnuovo c’è il tifo per me; sono contento perché ho visto Renzi e Dj Linus; penso al cieco che correva in compagnia della sua guida (i suoi occhi) e al prete che ha corso anch’egli la maratona. Intanto vado avanti e vedo il cartello con il numero 42. Io, la Cristina e il Gigi ci teniamo per mano. Mancano 195 metri. Si intravede Santa Croce, tutta nella sua maestà, che ci accoglie. Penso alla prossima maratona che voglio assolutamente fare perché, anche se la fatica e il dolore ci sono stati, non sono stati così tanto amati. Pochi metri e con le mani in alto supero il traguardo, in compagnia di tanti altri. Ho fatto 26,2 miglia (o 42,195 km). Il sogno del maratoneta si è avverato. Guardo il mio cronometro perché da quello ufficiale bisogna togliere l’effetto imbuto. 4h 13’ 48’’. Segno di croce, occhi al cielo. Mi mettono la medaglia al collo, che bacio subito. A stento trattengo le lacrime.


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tutti pazzi per ilario

La Società pallavolistica MURA di Asola festeggia i suoi primi quarant’anni a cura della Redazione Siamo davvero orgogliosi di poter annoverare nel nostro corpo docenti il prof. Ilario BONANDI, un educatore ed un atleta che ha saputo trasmettere nel corso della sua lunga e gloriosa attività quei valori dello sport (lealtà, solidarietà, passione, coraggio ecc.) che, oggigiorno, vengono spesso ignorati in nome di logiche legate al mercato e allo spettacolo. Riportiamo di seguito il bell’articolo scritto da Fiorenzo ZANELLA e pubblicato sulla Gazzetta di Mantova.

È

stata una bellissima festa di compleanno quella che ha visto protagonista la società pallavolistica Mura Asola: i 40 anni della società sono passati di fronte a più di duecento tra giocatori, ex giocatori, sportivi e amici grazie alle immagini proiettate e all’emozionante racconto fatto da quello che rappresenta la sintesi di questa società, l’allenatore Ilario Bonandi. È stato lui a fare gli onori di casa, passando in rassegna tutti i momenti emozionanti di questi anni, dalla fondazione del 1972, ai problemi dei primi anni Ottanta e ai grandi successi giovanili di fine anni Ottanta. Negli anni Novanta poi ancora successi con la squadra maggiore che ha raggiunto la B2 nazionale, mantenuta per ben 10 anni con la sola forza dei giocatori

reclutati dalle scuole locali, un successo che i molti ospiti non hanno mancato di rimarcare. Tra questi giova ricordare la presenza dei nazionali Andrea Anastasi (ora ct della Polonia) e Simone Giazzoli, ex giocatore della Pallavolo Mura Asola, oltre al presidente provinciale Ernesto Torre, lo sponsor storico Michele Mura, altro ex giocatore, e il presidente attuale Matteo Rivera. Presenti anche l’assessore provinciale Zaltieri e il vicesindaco di Asola Carminati. Tra i momenti di maggior emozione quelli in cui si è raccontata la partenza di questa società, col gruppo di ragazzi che hanno formato la squadra (Bonandi, Mura, Grazioli, Bergamini), grazie anche al supporto del

primo presidente Luigi Mura. A margine i ringraziamenti anche per il centro sportivo di Asola, per il Comune e per le scuole che hanno sempre sostenuto la società che ancora oggi è in grado di affrontare un campionato di Serie C e 5 campionati giovanili. Un commosso ricordo è andato infine allo storico autista della società Danilo Furlotti deceduto pochi anni fa. Al termine dei ringraziamenti tutti i partecipanti alla festa sono stati invitati ad un rinfresco con Bonandi che leggeva una e-mail del tecnico nazionale Julio Velasco che, per motivi familiari, non ha potuto partecipare, ma che ha voluto comunque ringraziare la società asolana per il suo lavoro.

A ILARIO Per l’impegno e la passione, per i valori profondi che ha saputo trasmettere. Da tutti i giovani che con lui e grazie a lui, nello sport hanno trovato la convinzione che solo la volontà, la costanza e il rispetto per gli altri conducono al vero successo. Asola, 25 settembre 2012


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avvertenza: i videogiochi fanno male La mia personale esperienza per mettervi in guardia dai rischi dei videogiochi a cura di Kevin BRUNELLI (IVAs)

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videogiochi, diffusi su larga scala dagli anni ‘70, sono ormai diventati un fenomeno culturale di massa, disponibili e conosciuti praticamente dovunque, fruiti da un’utenza sempre maggiore, costituita principalmente da giovani di

età compresa fra i 16 e i 28 anni. I videogiochi devono questo incredibile successo ai loro pregi, come il permettere di evadere un po’ dalla realtà per entrare in una fantasia dove siamo noi gli eroi protagonisti, dove possiamo

fare quello che vogliamo, dove possiamo crearci una nostra personalissima seconda vita, una vita virtuale. I videogiochi, purtroppo però, sono tutt’altro che salutari. Certo, possono stimolare alcune zone del cervello e portare determinati benefici, ma i rischi che si corrono giocandoci sono molti e molto alti. Sono tanti i genitori che pensano di tenere al sicuro i propri figli lasciandoli a casa a giocare ai videogames, in modo che evitino i pericoli della vita reale, ma questo è sbagliato per un paio di motivi. Innanzitutto, alcuni pericoli della vita reale offrono ai ragazzi occasioni di crescita, esperienze che è bene per loro vivere. In secondo luogo, questi ragazzi eviteranno di sicuro i pericoli reali, ma incapperanno in quelli “virtuali”. Giocare troppo ai videogiochi, infatti, porta a danni sia fisici sia mentali. Fisici perché i videogiocatori tendono a non fare molto movimento e

quindi spesso ingrassano e risentono anche di malformazioni alla spina dorsale, dovute alle rigide posture assunte mentre giocano. Ci sono poi i danni neurologici, come le convulsioni, che però si riscontrano particolarmente in soggetti affetti da epilessia fotosensitiva o da disturbi simili, che rendono il cervello intollerante a forti sbalzi di luminosità, proprio come quelli dei videogiochi. Molti videogames, in particolare quelli violenti come gli sparatutto, aumentano l’aggressività dei giocatori. Costoro, inoltre, mostrano di frequente problemi a comunicare e, specialmente, a socializzare con gli altri, non avendo vissuto abbastanza esperienze nella vita reale. Molti pensano che per ovviare a tutti questi problemi basti giocare di meno, organizzando meglio le ore di gioco. Questo è vero, ma non è facilmente attuabile. Infatti, i videogiochi portano con sé una vera e propria dipendenza, come una droga, che invoglia il giocatore a continuare e a continuare a giocare, sempre di più. Lo sostengono pure lo psicologo Douglas Gentile e il terapista Steve Pope, il quale ha affermato al Lancashi-

re Evening Post, un giornale inglese, che “passare due ore ai videogiochi equivale ad assumere una striscia di cocaina”. Comunque stiano veramente le cose, i videogiochi sono un fenomeno relativamente recente, quindi non si sa ancora con certezza cosa succederà da grandi ai bambini videogiocatori. Tra l’altro, è il videogioco che crea bambini problematici, o sono i bambini con delle difficoltà di crescita che sono più soggetti a lasciarsi attrarre dai videogiochi? O entrambe le caratteristiche sono determinate da qualche altra variabile a monte? Io non posso darvi delle risposte certe, ma posso offrirvi la mia esperienza personale come videogiocatore. Gioco ai videogiochi da quando avevo sei anni e, dunque, posso affermare di aver sprecato praticamente più di dieci anni della mia vita, dieci anni importanti tra l’altro. Ma mi sono reso conto di questo troppo tardi, quando ormai soffrivo già di alcuni dei problemi elencati sopra. Fra questi, quello con cui devo fare i conti tutti i giorni è l’asocialità. Giocando ai videogames per così tanti anni ho perso tantissime occasioni per conoscere persone nuo-

ve, per farmi nuovi amici, insomma per socializzare. Fino a non molto tempo fa ero molto più chiuso e riservato e uscivo pochissimo. Poi, mi sono finalmente deciso ad aprirmi di più agli altri, a fare nuove amicizie, ad uscire di più, ma la situazione è solo, paradossalmente, peggiorata. I videogiochi mi hanno privato di tante, troppe esperienze di formazione, così non riuscivo ad interagire e a comunicare bene con gli altri. Ho solamente sofferto di tutto questo, sono stato deriso e preso in giro, ho perso anche quei pochi amici che avevo. Non mi sono comunque arreso e sto tuttora cercando di cambiare me stesso e la mia vita. Sto pure provando ad eliminare i videogiochi, o almeno a giocarci molto meno. Il problema è che è quasi impossibile smettere di giocarci, perché, sebbene tu sappia e ti renda conto che fanno male, ne senti sempre il bisogno, esattamente come una droga. I videogames possono risultare davvero dannosi per noi e per la nostra vita. Tuttavia, io non vi dico di non giocarci, anzi giocateci pure se volete, ma siate consapevoli dei rischi che correte.


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un nuovo anno tra film e speranze Qual è il film del 2013 che porterete per sempre nel cuore? a cura di Giulia TONINELLI (IIAs)

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l 2013 sarà un anno di speranze e attese e come sempre il mondo del cinema non lascia deluse le aspettative dei tanti fans che il prossimo 24 febbraio seguiranno la serata più stellata dell’anno, esaltando o criticando i vincitori degli Academy Awards 2013. Già le candidature uscite lo scorso 10 Gennaio hanno lasciato sorpresi i più attenti appassionati (chi piacevolmente e chi non). Sono giunte infatti molte critiche per le assenze alle candidature di Ben Affleck come miglior regista, già dato infatti come possibile vincitore, e del nostro italiano Giuseppe Tornatore per il miglior film straniero. Tra i più quotati come possibili vincitori ci sono i film di Robert Zemeckis, Quentin Tarantino, Tom Hooper e Steven Spielberg ma anche un inaspettato Ang Lee ed uno speranzoso Ben Affleck. Questi sono infatti alcuni dei film segnalati per le candidature di maggior rilievo. Ma la maggior attesa quest’anno non riguar-

da i soliti protagonisti, eleganti ed emozionati come ogni anno perché per l’85° edizione degli Oscar il presentatore ha già fatto parlare di sé, e non poco: parliamo del comico Seth MacFarlane famoso per aver creato cartoni animati come “I Griffin “, “American Dad!” e il film “Ted”. In moltissimi già immaginano come si potrebbe trasformare la serata più seguita del mondo del cinema mentre a portare avanti tutto c’è colui che dà la voce al piccolo e sadico Stewie Griffin; anche se lo stesso Seth ha promesso di “fare il bravo almeno per una sera”. Lincoln, Django Unchai-

ned, Les Misérables, La Vita di Pi, Argo, Amour, Flight… Non sono quindi semplicemente i film più nominati per questi Academy Awards ma anche i più attesi per un anno all’insegna di grandi novità. Impossibile citare tutti i nomi di chi renderà questo 2013 un anno spettacolare ma sicuramente gli appassionati non si annoieranno davanti ad una solita commedia, quando nelle sale cinematografiche di tutto il mondo arriveranno i tanto attesi capolavori del nuovo anno. Il ritorno di Quentin Tarantino con un western da far girare la testa, uno spettacolare Daniel Day-Lewis nei panni del 16° presidente degli stati uniti d’America ed un altrettanto sensazionale Denzel Washington nel premiatissimo Flight, ma molto atteso c’è anche il drammatico musical Les Misérables dal cast stellare che ha già fatto scalpore in tutta l’America, il thriller Argo che racconta le drammatiche vicende avvenute durante la rivoluzione iraniana e il nuovo suc-

cesso del taiwanese Ang Lee con la sua versione dell’odissea in Vita di Pi. Gli Accdemy Awards anche quest’anno faranno gioire ed emozionare i vincitori, faranno deludere i perdenti e come sempre: faranno parlare i critici. Io attendo gli Oscar 2013 per il tributo a James

Bond in occasione del 50° anniversario e per vedere Jean Dujardin che consegna l’oscar forse alla più giovane (Quvenzhané Wallis) o alla più anziana (Emmanuelle Riva) donna ad aver ricevuto una candidatura, ma non aspetto che sia una giuria a giudicare il miglior film dell’an-

Adesso al cinema

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uello che so sull’amore”. Il nuovo film del nostro italiano Gabriele Muccino che dopo il successo americano di “la ricerca della felicità” con Will Smith torna in America per girare una commedia romantica dal cast Hollywoodiano. La storia racconta le avventure di George Dreyer che dopoaver abbandonato la professione di calciatore a causa di un brutto incidente e aver divorziato dalla moglie, si ritrova nuovamente vicino alla sua famiglia quando diventa allenatore della squadra di calcio in cui gioca suo figlio. Fra una partita e l’altra e i corteggiamenti di mamme sole e seducenti, l’uomo tenterà di riconquistare i suoi cari, e l’unica donna che abbia veramente amato, ora stanca di aspettare il marito tra bugie e tradimenti.

no, per ognuno di noi, appassionati e non il film più bello sarà quello che guarderanno con più passione e che farà emozionare di più, il film che per 365 giorni porterete nel cuore e che vi farà vivere questo nuovo anno con gioia, insomma che vi renderà questo 2013 un bellissimo film.


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prof si nasce

profsi nasce Individua il tuo insegnante tra questi innocenti pargoli

Le soluzioni dello scorso numero

a cura di Cristina AGAZZI (Matematica e Fisica)

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ccoci giunti alla terza edizione di questa simpatica rubrica. Allora come è andata? Avete individuato i vostri insegnanti? Se avete ancora qualche dubbio nessuna paura, nella pagina affianco le soluzioni. Provate ora, facendo affidamento a tutto il vostro spirito di osservazione e alla vostra capacità di intuizione, ad indovinare anche questa nuova serie di insegnanti. Buon divertimento!

prof.ssa RIZZARDELLI Matematica e Fisica

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prof.ssa Saba MAINARDI Matematica e Fisica

prof. Fabrizio COPERTINO Filosofia e Storia

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prof.ssa Marisa PAGANINI Matematica e Fisica

prof.ssa Danila GEROLA Scienze


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i giochi di fxp

Per un momento di relax tra una verifica e un’interrogazione a cura di Giulia BELLINI e Giuditta LANZI (IVAs)

y t y ? a w a l q l x f z a z ? s y ? t yr a ? a l ! l f z L’indovinello dell’autobus Risolvi questo indovinello senza leggerlo due volte:

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Tu sei l’autista di un autobus che vuole sempre avere la situazione sotto controllo e ad ogni fermata controlla chi sale e chi scende. Questo autobus compie un tragitto prestabilito di 5 fermate. La prima e l’ultima sono i capolinea. Inizia la sua corsa alle 8 del mattino, dura 1 ora e termina il servizio alle 20. La capienza massima dell’autobus è di 20 persone.

Alla prima fermata: - sale un anziano di 79 anni con la sciarpa e il cappotto - sale un ragazzo con lo skateboard (Per un totale di 2 persone) Alla seconda fermata: - salgono 10 scolari - sale una signora anziana - salgono 3 uomini in divisa (Per un totale di 16 persone) Alla terza fermata: - scende la signora anziana - salgono 2 scolari - sale un ragazzo con i capelli biondi - salgono due bambine con la palla

Alla quarta fermata: - scendono 8 scolari - sale una giovane coppia con la valigia - sale una insegnante di danza - scende un uomo in divisa Alla quinta fermata: - scendono tutti gli scolari - sale un amico dell’autista - scende un uomo in divisa - salgono 5 giocatori di basket.

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Riuscirai a trovare l’uscita del labirinto?

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Quanti anni ha l’autista dell’autobus?

Sudoku

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CHIAROSCURO Chiara MICHELOTTI (VAs)


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oroscopo maya Al di là dei catastrofismi

a cura di Elisa MILANI e Paola VOLPI (IVAs) Nonostante il fallimento della previsione circa la fine del mondo (dovuto in realtà ad un’errata e interessata interpretazione del loro calendario) noi vogliamo comunque rendere omaggio a questa grande civiltà scomparsa. La civiltà dei Maya, come è noto, si è sviluppata intorno al 2000 a.C. nell’America centrale in una fascia territoriale che comprende parte del Messico, del Belize, del Guatemala e dell’Honduras. Intorno al 300 a.C. i Maya avevano già elaborato un sistema di scrittura e di calcolo e avevano principalmente due calendari: uno di tipo civile “Haab” e uno di tipo rituale “Tzolkin”. Di fatto, questa popolazione, utilizzava questi calendari congiuntamente, come se fosse uno solo. Era formato da 260 giorni, ha più di duemila anni ed è un sistema diverso da tutti gli altri; malgrado questo, è l’esempio di un calendario perfetto. Accanto a questo, esisteva anche l’anno lunare, costituito da 13 mesi di 28 giorni ciascuno. Questo calendario lunare, suddiviso in 13 parti o mesi corrispondenti ad altrettanto animali, costituisce la base del sistema astrologico della civiltà Maya. FALCONE: Dall’8 febbraio all’8 marzo Questo è l’animale sacro della civiltà dei Maya. Il carattere delle persone nate sotto questo segno è molto forte e con grande ambizione infatti possono ritenersi fortunati perché godranno di una sorte eccezionale per tutta la vita. Il loro senso di responsabilità e di dovere è un po’ messo in discussione, prima di preoccuparsi di se stessi si preoccupano degli altri. Odiano ricevere ordini e sono nati per comandare. GIAGUARO: Dal 9 marzo al 5 aprile Sanno dalla nascita ciò che vogliono e come ottenerlo. La loro voglia di libertà e il senso di aiutare il più debole li portano spesso ad avere problemi, anche se il loro senso di giustizia sarà sempre più forte. Hanno idee chiare e la passione in ciò che fanno è la loro caratteristica più forte, anche se la pignoleria a volte può far perdere allettanti occasioni. CANE: Dal 6 aprile al 3 maggio I nati sotto questo segno sono caratterizzati principalmente da altruismo e bontà d’animo. Dotati di una grande intelligenza sono sempre pronti ad affrontare e superare ogni difficoltà, attendendo eventualmen-

te il momento più opportuno per agire. Il loro ambiente ideale è in mezzo alla natura, lontano dal caos e lo smog delle città. SERPENTE: Dal 4 maggio al 31 maggio A differenza di noi occidentali che vediamo negativamente questo animale, i Maya lo identificano come lo spirito salvatore che illumina le menti. Sono molto raffinati e cortesi anche se, prima di concedere il loro amore si assicurano che non vado ad uno qualsiasi. Molto intelligenti, amano vivere bene, ma con ciò la loro etica esemplare è sempre in primo piano. LEPRE: Dal 1 giugno al 28 giugno La caratteristica migliore delle Lepri sta nell’arte oratoria e comunicativa. Amano avere un’intensa vita sociale, all’insegna di feste e uscite con amici; odiano la solitudine. Un’altra loro caratteristica è la tendenza a fantasticare e a sognare a occhi aperti. Spesso però i loro sogni si trasformano in realtà! TARTARUGA: Dal 29 giugno al 26 luglio La pazienza è la virtù di questo segni, infatti sono i saggi per eccellenza. Occorre impegnarsi per far ar-

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rabbiare qualche Tartaruga, ma se ci si dovesse riuscire, serve temere il peggio. La loro ira è terribile! Il tempo è il loro migliore alleato e avendo coscienza di questo, sanno che possono ottenere tutto ciò che vogliono anche senza correre. PIPISTRELLO: Dal 27 luglio al 23 agosto Questo è il segno degli eroi o degli incoscienti: sono persone animate da senso di giustizia, amano comandare e riescono a farsi rispettare in ogni circostanza. Riescono sempre ad essere al centro dell’attenzione, indipendentemente da ciò che fanno o cercano di evitare. Grande pure il loro senso negli affari. SCORPIONE: Dal 24 agosto al 20 settembre L’intelligenza è la loro caratteristica più grande. Sono dotati di una memoria eccellente e questo li porta a non dimenticare mai nessuna offesa, anche se generalmente non sono vendicativi. Sono persone molto timide ed è per questo che le loro qualità migliori rischiano di passare inosservate. Pieni di buoni sentimenti e amano aiutare il prossimo. CERVO: Dal 21 settembre al 18 ottobre Il segno della bellezza, i Cervi sono i grandi seduttori anche se devono ammettere di essere un po’ presuntuosi. Punti forti sono la creatività, una grande immaginazione e la dialettica, dominano come nessun altro l’altro l’arte del conversare. Odiano le discussioni e hanno un grande bisogno di essere trattati con molto affetto. CIVETTA: Dal 19 ottobre al 15 novembre E’ il segno più magico e profondo. Non a caso è l’animale più notturno e misterioso dell’Oroscopo Maya. Hanno una capacità speciale nel far affrontare il subcosciente altrui; infatti riescono ad essere molto d’aiuto per far trovare cose, idee o persone perdute o dimenticate. La virtù principale è l’intuizione.inizialmente possono sembrare timidi, ma non lo sono.

PAVONE: Dal 16 novembre al 13 dicembre È un segno che ama mettersi in vista, vista la bellezza che porta in sè questo animale. Amano primeggiare, competitivi sul lavoro e si sentono i migliori in tutto. Originali e creativi amano brillare di luce propria. Sarà anche per questo, ma i nati sotto questo segno non passano inosservati. LUCERTOLA: Dal 14 dicembre al 10 gennaio Come le lucertole i nati di questo periodo cambiano pelle nella vita. Sono persone che si sanno adattare ad ogni ambiente senza avere secondi fini, ma semplicemente Perché essendo molto generose hanno un cuore d’oro. A volte sono ritenute ingenue. Spicca la loro personalità, la più difficile da descrivere. Ogni persona di questo segno infatti ha la propria ed è impossibile classificarle in un unico gruppo. SCIMMIA: Dall’11 gennaio al 7 febbraio Che siano persone aperte una volta conosciute, nessuno potrà metterlo in dubbio. La loro forza e resistenza fisica sono una sicurezza, così come una certezza è il loro senso dell’umorismo e una predisposizione al positivo. Devono sentirsi liberi sempre, soprattutto nel lavoro. La fantasia deve essere il traino delle loro molte qualità, anche se deve frenare il nervosismo anche rischierebbe di offuscarle.


FXP - Falcone express anno V - numero 4 - febbraio 2013 Organo di stampa ufficiale dell’Istituto “Giovanni FALCONE” via Saccole Pignole, 3 - 46041 Asola (Mn) tel. 0376.710423 - 710318 / fax 0376.710425 e-mail: redazionefxp@iisfalcone.gov.it Reg. Trib: di Mantova n. 2292/07 del 17/05/2007 Dirigente scolastico: Gianna DI RE Direttore responsabile Stefania DIVERTITO

Fotografia Francesca GRISAFI

Vicedirettore Fabrizio COPERTINO

Firme Cristina AGAZZI Angelo BADINELLI Marika BARESI Giulia BELLINI Andrea BERGAMASCHI Cazamir BIANCA Paolo BOTTURI Kevin BRUNELLI Arianna BUCELLA Bianca CAZAMIR Fabrizio COPERTINO Stefania DIVERTITO Niccolò DONINELLI Vera GERVASIO Alice GHIROLDI Francesca GROSSI Francesca GUINDANI Giuditta LANZI Andrea MANISCALCO Chiara MICHELOTTI Elisa MILANI Marco MORELLI Andrea PIAZZA Silvia PIAZZA Chiara PIVA Ludovico RUGGENENTI Linda SALICI Joned SARWAR Federica SCAGLIONI Stefano SOLAZZI Francesca TEBALDINI

Direttrici editoriali Vera GERVASIO Alice GHIROLDI Chiara PIVA Federica SCAGLIONI Direttore marketing Francesco PASINI Vicedirettore marketing Nicola MORÈ Redazione Stefania DIVERTITO Fabrizio COPERTINO Agnese BOLZONI Vera GERVASIO Alice GHIROLDI Francesco PASINI Chiara PIVA Federica SCAGLIONI Grafica Letizia DOSSENA Gianluca GORINI Davide SORESINA Web Designer Stefano SOLAZZI

Lucia TONELLI Giulia TONINELLI Diana TRATTA Noemi VOLPI Chiara ZANONI Collaboratori esterni Paola ANTICO Michelle GALLI Michele ROMANI Joned SARWAR Benedetta TURCATO Hanno contribuito alla realizzazione e alla promozione di FXP Dirigenza Segreteria Personale ATA Provincia di Mantova Associazione ALBOSCUOLE

Stampe Arti Grafiche Chiribella SAS Bozzolo (Mn)



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