FXP Dicembre 2011 Numero 1

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editoriale 5 Un nuovo anno scolastico insieme krisis 10 Bibliografia e recensioni 13 La lettera degli economisti 16 La rivoluzione delle pentole 20 A colloquio col professore 24 La rivoluzione del Silent Takeover 30 La moneta etica 34 L’etica dei legami in tempo di crisi 38 Ezra Pound 41 La crisi economica in Italia 44 La scoperta del valore indotto 48 Le agenzie di rating 50 Tra crisi e rinascita 52 L’insostenibile crisi nera 54 Il grande dittatore 56 V per vendetta 58 Black Block 60 L’altra manifestazione società 64 JMJ 2011 teatro 66 Le Metamorfosi musica 68 Music Planet cinema 70 Inside Job il quadrato 72 Un piccolo gesto... per un grande aiuto 74 Il fascino dell’inchiesta giornalistica 76 Alla ricerca della felicità sport 77 Ciao Sic 79 Sportlife chine 81 Dove sono i miei occhiali?

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un nuovo anno scolastico insieme

FXP riparte sulla scia di una prestigiosa nomination a livello nazionale a cura di Fabrizio COPERTINO (Vicedirettore)

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are lettrici/cari lettori… Eccoci di nuovo insieme, ad avviare e scandire questo nuovo anno scolastico. FXP, in controtendenza rispetto all’universo della scuola, tenta sempre più di affrancarsi dalla precarietà, diventando una realtà riconosciuta, apprezzata, integrata nel territorio. Nato come un gioco, come una scommessa, Fxp è cresciuto negli anni (il primo numero, ormai memorabile, usciva nel lontano 2006), ha ampiamente raggiunto gli obiettivi che si era prefisso, realizzando quel metalaboratorio che alcuni insegnanti avevano sognato (cfr FXP n.0 anno IV – editoriale); centinaia di ragazzi si sono infatti alternati nelle firme degli articoli, hanno dato vita a

gruppi di ricerca, hanno preparato e svolto le interviste, altri hanno acquisito competenze legate all’editoria e al design grafico e alcuni si sono distinti per le capacità organizzative, si sono scoperti a loro insaputa direttori del marketing, direttori editoriali, caporedattori impegnati ed efficientissimi. A questo punto la scommessa è vinta; nella scorsa edizione l’obiettivo prioritario era quello di migliorare il livello qualitativo dei contenuti, un po’ leggero e approssimativo delle prime edizioni; da tale esigenza è nata la scelta vincente (merito di quella Redazione) dello speciale, il tema da mettere a fuoco ed affrontare in ogni numero. Grazie alla scelta del tema, la qualità dei contenuti è notevolmente migliorata, come rivelano gli speciali sul Risorgimento e sull’energia. L’altro obiettivo, diciamo quello subordinato, riguardava la veste grafica; non era sostenibile infatti la scelta di continuare a stampare FXP in bianco e nero, era necessario rivoluzionare tutto, ridisegnare la testata, tutti i loghi e soprattutto colorarne le pagine. Riportare insomma la forma al livello del contenuto. Grazie al sostegno del territorio – sponsor, famiglie, istituzioni locali – anche questo obiettivo, gravoso soprattutto in termini finanziari, è stato raggiunto. Forma e contenuto si sono integrate perfettamente, nella scorsa edizione e questo, in definitiva, era ciò che volevamo. Semmai, si correva ora il rischio dell’assuefazione e della sazietà; è difficile infatti, arrivati a tali traguardi, non solo rilanciare nuovi obiettivi, ma persino il voler

I quattro numeri della scorsa edizione


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mantenere quelli raggiunti. Tanto più che come notavamo sopra, la scuola attuale essendo il luogo dell’instabilità, interrompe e vanifica relazioni, progetti, passioni. Fortunatamente è giunto inaspettato un avvenimento a darci nuova linfa, a costringerci in definitiva a rilanciare. Il FalconeXPress infatti – lo diciamo con malceto orgoglio – ha Il logo dell’Associazione ottenuto un prestigioso riconoscimento a liAlboscuole vello nazionale, rilasciato dall’Associazione Alboscuole. Tale associazione, promuovendo per statuto il giornalismo scolastico, ha svolto una ricerca autonoma sul web e ha selezionato un numero ristretto di candidati, tra cui FXP, per l’assegnazione del premio: Giornalista per un giorno. L’associazione in questione ha una veste istituzionale e il suo impegno nel giornalismo scolastico, dall’alto valore civico e formativo, ha ottenuto la targa d’argento dalla Presidenza della Repubblica. La nomination giunge tanto più gradita in quanto inaspettata, non inseguita. È il riconoscimento di un intero territorio e della sua scuola, cioè della sua anima. Per questo bisogna spostare avanti gli obiettivi, bisogna non accontentarsi, rilanciare. L’edizione che avete fra le mani è quella dell’anno V, la seconda della nuova era. Fermo restando la medesima veste editoriale dello scorso anno (che semmai si cambia ogni due anni), puntiamo innanzitutto ad una maggiore partecipazione degli studenti, anche quella dei più piccoli, magari con il filtro dei loro insegnanti (scrivere regolarmente brevi articoli di giornale potrebbe essere un ottimo esercizio di stile e un efficace strumento didattico), poi intendiamo potenziare le relazioni con i nostri ex-studenti, soprattutto quelli che con le loro firme, le inchieste, le interviste hanno contribuito alla crescita di FXP. Ma la sfida più importante per quest’anno è potenziare il blog; avviare quella sorta di dematerializzazione del giornalino, richiesta dallo spirito dei tempi. Cercheremo di impegnarci anche su questo fronte; consapevoli però che il successo del blog dipende da una serie di fattori, molti dei quali indipendenti dalla nostra volontà. La rete è un organismo vivo e caotico, solo se abbiamo davvero qualcosa da dire la nostra

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voce può emergere e creare aggregazione, interesse, opinione. Ma chiedere alla redazione di promuovere anche questo sforzo è velleitario; non che manchino le competenze: come dimostra ad esempio il sito ufficiale della scuola, perfettamente interattivo e con una veste grafica moderna e intuitiva, ciò che invece fa difetto è il tempo, la mancanza di strutture, di organizzazione e di stabilità. Del resto, da insegnanti, dobbiamo dedicare la maggior parte del nostro tempo allo svolgimento della programmazione, da cui non possiamo e non vogliamo prescindere. Comunque il blog esiste, nato contestualmente al progetto dello scorso anno; noi della redazione abbiamo piena fiducia nelle capacità mediatiche e intellettuali del suo direttore, che a breve posterà una selezione dei migliori articoli di questi anni, mentre sono già presenti in formato PDF sfogliabile i numeri della scorza edizione (presenti anche sul sito ufficiale dell’istituto). FXP tuttavia continuerà (credo almeno fino a quando le nostre ama-


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te nonnine non avranno tutte un ipad a testa) ad essere realizzato anche nella versione cartacea e distribuito sul territorio, dando modo a chiunque, magari in sala d’attesa dal dottore o al bar durante il cappuccino, di sfogliare il giornalino della “loro” scuola e di meravigliarsi delle insospettate competenze dei loro figli. Permettetemi un’ultima parola. Questa volta riguardo il valore civico e formativo del giornalismo. Viviamo in un secolo in cui – per usare le parole di Chomsky – domina l’informazione del Grande Fratello, dove lo scontro politico veicolato dai media è solo apparente – un referente di simulazione – e le notizie vengono selezionate accuratamente dalle grandi agenzie di stampa, per essere girate a giornalisti pantofolai che a loro volta, senza un minimo di verifica, le girano ai lettori, creando – la maggior parte di loro inconsapevolmente – un’opinione pubblica preconfezionata. Tale macchina dell’informazione, efficiente e perfettamente oliata a volte, però, s’inceppa, scricchiola. Ricordate le lettere all’antrace? Appena si appurò che provenivano dai laboratori americani o che comunque non c’en-

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travano niente con il terrorismo – eravamo ai tempi dell’Undici settembre -, la notizia venne fatta cadere e tutti se ne dimenticarono; oppure, ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam? Non esistevano. Eppure l’occupazione dell’irak continua, mentre l’informazione del Grande fratello cerca di occultare l’illegittimità dell’intera operazione, raccontandoci la solita storia della democrazia, del dittatore cattivo, dei rischi per la sicurezza internazionale; tale antinformazione, viene diffusa in perfetta neolingua orwelliana: l’esercito impegnato in missioni umanitarie e di pace (war is peace). Durante le recenti vicende libiche, abbiamo visto, nei frenetici giorni iniziali, le fosse comuni in cui le milizie di Gheddafi avrebbero gettato centinaia di oppositori. Peccato che tali immagini – di repertorio probabilmente – mostravano un vecchio e innocente cimitero libico. Anche in questo caso la notizia, così come era comparsa, è svanita, senza che a nessuno degli opinionisti accreditati – né tantomeno all’opinione pubblica addomesticata – sorgesse il minimo dubbio riguardo l’autenticità delle notizie che arrivavano dalla Libia. Quando, poi, la notizia è troppo pericolosa, quando rischia di creare un cortocircuito nel meccanismo d’indottrinamento, allora la stessa neanche passa nei canali ufficiali dell’informazione. Il caso dell’Islanda è emblematico a tal riguardo: nella piccola nazione insulare, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico settentrionale si sta svolgendo una rivoluzione democratica senza precedenti, un esperimento politico dalle potenzialità enormi. Nel silenzio eloquente dei media il popolo islandese, dal gennaio del 2009, è in cammino verso il recupero della propria sovranità. Questo solo per dire (del caso Islanda si discorrerà, puntualmente, nelle prossime pagine) che FXP ha uno spirito – lo chiamiamo FalconGeist –, avverte il sacro ufficio dell’informazione e quindi rifugge il coro belante del pensiero unico, le semplificazioni manichee; FXP vuole formare i suoi studenti al pensiero divergente, allo sguardo critico nei confronti dell’esistente, vuole accompagnarli verso la complessità, dimostrando loro che non esiste una sola narrazione, che la realtà non è così ovvia e banale come vogliono farci credere. È con questo spirito – ricco di entusiasmo, di riconoscimenti ma anche di tante incognite– che riparte l’avventura del vostro piccolo grande FXP.

Buona immersione…


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bibliografia e recensioni

Per uno sguardo panoramico sui motivi della crisi a cura della Redazione

Astrea e i Titani

Le lobbies americane alla conquista del mondo di Franco CARDINI

Editore: Laterza

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un libro dello storico medievista Franco Cardini che che focalizza l’attenzione sul ruolo di Stati Uniti, multinazionali e lobbies (Gruppo di persone legate da interessi comuni e in grado di esercitare pressioni sul potere politico per ottenere provvedimenti a proprio favore) nelle dinamiche politiche ed economiche globali. Il libro descrive la capacità degli Stati Uniti di porsi come unici garanti della sicurezza internazionale, con una manovra di influenza politica, militare e sociale (attraverso il monopolio della cultura). In questa politica, un momento chiave è costituito dai fatti

dell’11 Settembre, che, da quel momento, hanno giustificato agli occhi di tutti ogni possibile reazione, prima fra tutte la legittimità del paese. Da quel giorno, in nome della lotta al terrorismo per la libertà e la democrazia, l’autodeterminazione e la sovranità degli stati sono state sacrificate in cambio di una sicurezza internazionale, dietro la quale si nascondono gli interessi U.S.A. Tuttavia, neanche la politica americana è libera e autonoma nelle sue scelte, ma a sua volta vittima di una manipolazione strategica portata avanti da lobbies e multinazionali, capaci di infiltrarsi negli apparati statali e condizionarne la politica interna ed esterna: il potere decisionale non sta più nelle mani dei popoli e delle nazioni, ma neppure dei governi. Da qui il titolo del saggio: le vecchie potenze statali, private di ogni potere decisionali, sono paragonate alle divinità assoggettate a Zeus, figurazione degli U.S.A., a sua volta messo sotto assedio dai Titani, lobbies e poteri occulti. Solo il ritorno di Astrea, dea della giustizia, permetterà un ritorno all’ordine: ella si porrà contro il tradimento dei politici, che hanno accettato di divenire comitato d’affari delle multinazionali” e contro

quelle multinazionali che sono riuscite a fare evolvere la democrazia stessa fino a svuotarla di senso, aldilà dei meccanismi di selezione su cui si fonda.

Il paese dell’utopia

La risposta alle cinque domande di Ezra Pound di Giacinto AURITI

Editore: Tabula Fati

tà ideale che li unisce nella scuola degli economisti eretici. Chi crea il valore della moneta – dice Giacinto Auriti – non è chi la stampa ma il popolo che l’accetta come mezzo di pagamento, sono però i banchieri, i grandi usurai che si appropriano del valore monetario,usandolo come mezzo di dominazione ed imponendo all’umanità il signoraggio del debito. Ed ecco allora la geniale soluzione del problema: La proprietà popolare della moneta, che restituisca al popolo il maltolto dei valori monetari che esso crea. L’auspicio è che siano i governi a gestire l’emissione monetaria ed a ripartire gli utili, come diritto di cittadinanza, a tutti i cittadini.

Euroschiavi

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zra Pound e Giacinto Auriti, il Poeta e il Giurista contadino. Personaggi apparentemente diversi, per origine e cultura, ma uniti da un legame indissolubile: la ricerca della verità a tutti i costi. Ezra Pound pone cinque domande alle quali non aveva mai risposto nessuno: moneta, credito, interesse, usura e circolazione; Giacinto Auriti dà, in questo saggio, risposte precise. Una continui-

La grande frode del debito pubblico i segreti del signoraggio di Marco DELLA LUNA e Antonio MICLAVEZ Editore: Arianna Editrice

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Italia è sempre più povera a causa di un debito pubblico in continuo aumento che comporta un’elevata pressione fiscale. Il debito pubblico è un’invenzione costruita da politici e banchieri al fine di arricchire gli azionisti privati della Banca Centrale italiana e europea. In passato, le banche che emettevano denaro lo ga-

e dai contribuenti, e indica come porre fine legalmente a questo saccheggio.

Shock economy

L’ascesa del capitalismo dei disastri di Naomi KLEIN Editore: Rizzoli rantivano con la copertura aurea, si impegnavano a convertire le banconote in oro e sostenevano un costo di emissione. Oggi, le monete non sono coperte da riserve di oro, non sono convertibili e il loro costo di emissione è praticamente zero, ma il guadagno di chi le emette, ossia il signoraggio, è del 100% del valore nominale. Quando lo Stato domanda soldi alla Banca Centrale paga il costo del valore nominale (e non il solo costo tipografico) con titoli del debito pubblico, ossia impegnandosi a riscuotere crescenti tasse dai cittadini e dalle imprese. Tutto ciò avviene attraverso la Banca Centrale Europea, un mostro giuridico creato dal Trattato di Maastricht, esente da ogni controllo democratico come un vero e proprio Stato sovrano, posto al disopra delle parti. Euroschiavi svela i segreti e i meccanismi di questo sistema di potere che si è eretto e mantenuto sul fatto di essere ignorato dalla gente, soprattutto dai lavoratori, dai risparmiatori

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a tesi principale sostenuta dall’autrice è che l’applicazione di questa nuova politica che prevede privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica e liberalizzazioni dei salari sia stata effettuata sempre senza il consenso popolare, approfittando di uno shock causato da un evento contingente, provocato ad hoc per questo scopo, oppure generato da incapacità politiche o da cause esterne. Inoltre l’effetto dell’applicazione di queste teorie è stato la crescita della disoccupazione e il generale impoverimento della popolazione. Tra questi shock l’autrice annovera le torture ed il regime di Pinochet in Cile nel 1973, il crollo del muro di


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Berlino e l’instabilità economica in Polonia e Russia all’inizio degli anni ottanta, inflazione inarrestabile in Bolivia, la guerra delle Falkland per Argentina ed anche in Gran Bretagna, la guerra in Iraq e la distruzione di New Orleans per opera dell’ Uragano Katrina in tempi più recenti.

La banca La moneta e l’usura di Bruno TARQUINI

Editore: Controcorrente

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di un ente privato, la Banca d’Italia. La rinuncia consiste nel rifiuto di emettere moneta propria, chiedendo in prestito oneroso le necessarie risorse finanziarie attraverso l’assunzione di debiti verso l’Istituto di emissione. Questo indebitamento improprio viene pagato dai cittadini attraverso l’aumento della pressione fiscale che diventa così debitore di una moneta di cui è proprietario. Una palese violazione dei principi costituzionali in materia economica.

Keynes e l’instabilità del capitalismo di HYman P. Minsky

Editore: Bollati Boringhieri

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uesto libro, sia pur con un linguaggio molto semplice (e forse proprio per questa sua qualità), ha l’ambizione di far conoscere un aspetto della finanza e dell’economia che è sempre rimasto nascosto nei luoghi oscuri del Palazzo, come qualcosa che non convenisse svelare al popolo. Si tratta di una scomoda verità che si preferisce negare: lo stato ha da tempo rinunciato alla propria sovranità monetaria in favore

Formulando un’interpretazione alternativa della “Teoria generale”, Minsky analizza l’opera di Keynes da un punto di vista non tradizionale e sottolinea come dagli aspetti meno frequentati della sua dottrina si possa trarre una politica economica adeguata al capitalismo sviluppato. L’incertezza, la speculazione e la complessità del sistema finanziario fanno sì che la stabilità sia destabilizzante. Secondo Minsky, Keynes ha elaborato da una parte una teoria del ciclo fondata sugli investimenti e dall’altra una teoria degli investimenti fondata su elementi “finanziari” II pro-

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trarsi di un periodo di floridità economica fa insorgere un boom speculativo, il quale a sua volta mette in essere rapporti finanziari fragili e destinati a condurre alla crisi. Le autorità fiscali e monetarie si trovano di fronte alla drammatica alternativa di allentare le tensioni sui mercati finanziari riproponendo le condizioni di una instabilità finanziaria aggravata, o di prendere misure che potrebbero provocare una deflazione creditizia e conseguentemente una profonda depressione. Il volume si conclude con una proposta strategica di politica economica in linea con le idee di Keynes ma alternativa a quella basata sugli investimenti privati e sulla speculazione. L’introduzione di Riccardo Bellofiore fornisce una sintesi della teoria economica di Minsky e l’aggiorna per tenere conto delle nuove forme assunte dal capitalismo e dall’instabilità finanziaria dopo la neweconomy e la bolla immobiliare.

la lettera degli economisti

Per un cambiamento della politica economica in Italia ed Europa che rilanci domanda, sviluppo e occupazione a cura della Redazione

Pubblichiamo la lettera degli economisti. Un appello al governo firmato da autorevoli economisti. Tale petizione non solo offre un diverso paradigma economico, al di là di quello proposto come unico e ineludibile dal pensiero unico attualmente dominante, ma dimostra, altresì, che lo stesso possiede un serio fondamento epistemologico. Dal nostro punto di vista, risulta particolarmente apprezzabile la critica all’ipotesi di inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione, soprattutto perché su tale ipotesi si è di nuovo verificato un accordo unanime in Parlamento, senza che nessun politico l’abbia, non dico osteggiata, ma quantomeno fatta oggetto di discussione. A chiunque si occupi di storia, infatti, il pareggio di bilancio evoca la famigerata e infamante tassa sul macinato di Quintino Sella, ribattezzata a suo tempo tassa sulla miseria, la quale riuscì sì, insieme ad altri provvedimenti, come il corso forzoso della moneta e la svendita del patrimonio pubblico, a raggiungere

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n questo difficile momento il paese ha bisogno di un governo autorevole che agisca con determinazione sia all’interno che nel quadro europeo e globale. Pur non nascondendo le gravi responsabilità che competono a buona parte della classe dirigente nazionale per non aver saputo attuare politiche che favorissero lo sviluppo del paese, la stagnazione dell’eco-

per l’unica volta nella storia italiana il pareggio del bilancio, ma al prezzo di scontri sociali e un unlteriore impoverimento delle classi meno abbienti. Crediamo che nell’attuale situazione economica, tale provvedimento darebbe il colpo di grazia a quel poco di welfare che è rimasto nel nostro paese. Bisognerebbe, inoltre, interrogarsi su alcuni meccanismi di finanza privat che in maniera determinante contribuiscono alle disfunzioni del sistema socio-capitalistico; ci riferiamo, ad esempio, anche sulla scorta della lettura di importanti economisti - come Maurice Allais o Hyman P. Minsky - ai meccanismi di moltiplicazione finanziaria con cui, gli istituti di credito privati, creano moneta dal nulla immettendola nel sistema e realizzando inflazione e bolle speculative. A tal riguardo, sarebbe utile - anzi, di vitale importanza - operare una riforma che imponga l’eliminazione della riserva frazionaria e la sua trasformazione in riserva totale, arginando così la creazione incontrollata di denaro bancario.

Al Parlamento della Repubblica Italiana e alle forze politiche Martedì 15 novembre 2011 nomia italiana nell’ultigli stati membri, e a una ma decade trova la sua maggiore equità distriprincipale spiegaziobutiva nei paesi e fra i ne nell’ambito del conpaesi. testo macroeconomico La crisi europea e il suo europeo, e in particolaaggravamento, in partire nell’assenza, nella co- colare con l’attacco ai tistruzione dell’Unione toli del debito pubblico Monetaria, di un quadro italiano, trovano la loro di politiche fiscali e moorigine in questa assennetarie coordinate volza e sono solo parzialte alla crescita, alla piena mente riconducibili alla occupazione, all’equiprogressiva caduta di librio commerciale fra credibilità del governo


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sinora in carica. La mancata iscrizione tra i compiti della Banca Centrale Europea del tradizionale ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani ha contribuito ad esporre all’attacco i titoli del debito italiano e di altri paesi europei. Le misure intraprese dai paesi dell’Eurozona per John M. KEYNES sostenere i debiti (1883-1946). sovrani, e in primo Tra i più celebri luogo il cosiddetto economisti del europea e Fondo Salva-Stati, mondo. Grazie alle globale. risultano del tutto sue teorie, ispirate I firmatari insufficienti anche all’intervento pub- di questo per i debiti delle blico nell’economia appello rieconomie più pice messe in pratica tengono cole, e a maggior dal presidente che la graRoosevelt, gli Stati ve situaragione per quelli Uniti riuscirono a zione atdei paesi più gransuperare la terribi- tuale nelle di. Per di più le mile crisi del ‘29 sue causure di restrizione dei bilanci pubblise continci che vengono richieste genti e di lungo periodo in cambio di quegli aiunon possa essere affronti hanno aggravato la re- tata se non nel quadro cessione e la stessa crisi di un progressivo mutafinanziaria nei paesi bemento dell’insieme delneficiari. Attualmente le politiche economil’Eurozona è senza una che europee, fatte salve bussola. Per l’opposile azioni di politica ecozione del paese più fornomica che l’Italia deve te, nell’ultima riunione intraprendere al suo indel G-20 essa ha persiterno. Siamo per un più no respinto la proposta pieno coordinamendi una emissione di Dito delle politiche fiscaritti Speciali di Prelievo li, monetarie e salariali da parte del Fondo Moin Europa, che includa a netario Internazionale a pieno titolo la piena ocsostegno dei debiti socupazione fra gli obietvrani sotto attacco. Sono tivi. Per questo siamo in gioco la sopravvivenfermamente contrari za dell’Unione Monetaalla iscrizione nelle Coria e del Mercato Unico, stituzioni nazionali dele la stabilità economica la clausola del pareggio

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del bilancio pubblico. In queste circostanze riteniamo che il nuovo esecutivo debba rapidamente muoversi nelle sedi europee appropriate, con la necessaria determinazione e le necessarie alleanze politiche, per ottenere una garanzia ferma e illimitata della BCE sul debito sovrano italiano e degli altri paesi dell’Eurozona, volto a ricondurre i tassi di interesse ai livelli pre-crisi -intervento da tempo sostenuto anche dall’Amministrazione americana e da molti autorevoli economisti di diverso orientamento teorico. Riteniamo, anche in questo caso con il conforto di opinioni diffuse tra gli economisti, che politiche di riduzione dei debiti pubblici siano in questa fase controproducenti, e reputiamo quindi che la richiesta nei riguardi della BCE vada accompagnata da un impegno non già all’abbattimento, ma bensì alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil in Italia e negli altri paesi in difficoltà. Un nuovo esecutivo, tecnico o politico, che si configurasse invece come mero esecutore delle richieste europee, quali espresse nelle scorse settimane, determinerebbe un aggravamento della crisi economica e finanziaria in

Italia e in Europa, con devastanti conseguenze sociali e l’insostenibilità degli attuali accordi, monetari e commerciali, nell’UE. Fermo nella denuncia di tali pericoli, il Governo italiano si dovrebbe pertanto fare promotore in ambito europeo e del G-20 di politiche fiscali, monetarie e salariali concertate volte al rilancio della domanda aggregata, in particolare da parte dei paesi in forte avanzo commerciale. La riduzione dei tassi, accompagnata dall’impegno alla stabilizza-

zione del rapporto debito/Pil, nel quadro di politiche internazionali espansive libererebbe nel nostro paese risorse per la crescita sia dal lato del sostegno della domanda interna che del rilancio della competitività. Riteniamo in particolare che tali risorse - assieme a quelle che dovranno provenire da una seria lotta all’evasione fiscale, da un’imposta che colpisca i patrimoni su base regolare e annua e non una tantum, e dalla razionalizzazione della spesa pubblica (inclusi i costi della po-

litica) - vadano prioritariamente destinate alla riduzione del carico fiscale sul lavoro, con un aumento dei salari netti, al sostegno di istruzione, ricerca e cultura, all’aumento degli investimenti per l’industria pubblica e il Mezzogiorno, alla difesa dell’ambiente, all’efficienza della giustizia e della pubblica amministrazione, alla difesa della legalità. Su questi obiettivi un nuovo e più autorevole esecutivo dovrebbe impegnarsi in Europa chiedendo e restituendo fiducia al popolo italiano.


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La rivoluzione delle pentole Vita, morte e risurrezione di un paese di pescatori a cura di Joned SARWAR (Blogdirector)

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008-2011: quattro anni, 4 miliardi di euro e tre referendum dopo la peggior crisi economica nella storia del paese, l’Islanda si rialza nel nome della democrazia e dell’esercizio della cittadinanza. Era l’autunno del 2008 quando la prima banca islandese, Glitnir, veniva nazionalizzata. Fino ad allora gli economisti si erano

spesi in elogi per il piccolo stato nordico capace in soli due decenni di passare da paese in via di sviluppo tra i più poveri d’Europa a paese più felice e con il reddito pro capite tra i più alti al mondo. Merito della politica neoliberista principalmente mirata a ridurre budget e deficit, contenere l’inflazione e privatizzare aziende pubbliche. A ciò si aggiungeva la de-

regulation delle banche nel 2001 che permetteva agli istituti di credito di indebitarsi con l’estero fino a 10 volte il PIL. A settembre 2008, a crisi incipiente, l’incapacità delle tre principali banche del paese di far fronte ai propri debiti e l’impossibilità di ottenere nuovi prestiti da altre banche spingeva a chiedere aiuto alla banca centrale islandese. Tuttavia, quando un debito è maggiore della capa-

cità di un paese di produrre ricchezza nemmeno la banca centrale può garantirne la solvibilità. Eccoci quindi al big chill, una bancarotta più grande di quella di Lehmann Brothers, se comparata alla popolazione di soli 320.000 abitanti. Le conseguenze sono devastanti: disoccupazione triplicata, stipendi e orari di lavoro ridotti, crescita esponenziale dei debiti contratti con mutui a tasso variabile. Nulla valgono le azioni del governo per minimizzare l’impatto della crisi sulla popolazione: si rompe la passività, quel velo di indifferenza che, a ben vedere, caratterizza molti cittadini fino a quando le cose vanno bene. Presidi continui davanti al parlamento picchiando pentole e padelle. Il governo si dimette e si va ad elezioni anticipate. Le banche vengono nazionalizzate e ristrutturate per gestire l’economia interna, ma si pone a questo punto il problema del debito estero, in particolare nei confronti di Regno Unito e Paesi Bassi, molto esposti per avere approfittato delle vantaggiose condizioni offerte, una storia già vista in Argentina. Il nuovo governo di sinistra,

“Per quanto al momento l’esposizione delle banche con finanziamenti esteri rappresenti il rischio maggiore per il sistema finanziario, la probabilità di un evento creditizio [fallimento, ndr] è bassa”

(Frederic S. Mishkin, economista, sull’economia islandese, 2006)

abbandonando il modello neoliberista, ma strizzando l’occhio alla comunità internazionale, decide per un rimborso di 5 miliardi di dollari tra il 2017 e il 2023, con pagamenti in percentuale sul proprio PIL. Tuttavia, i creditori non accettano ed anzi bloccano gli aiuti del FMI, in una sorta di ricatto legalizzato, paventando l’isolamento economico dell’isola. Una seconda revisione del piano di rimborsi prevede un pagamento di 3,8 miliardi di euro spalmati in 15 anni sull’intera popolazione: 100 euro a testa al mese per 15 anni. Troppi, per rimediare agli errori di una società privata, secondo i cittadini, che con una petizione da 56.000 firme (17,5% della popolazione) convincono il presidente Grimsson a non firmare la legge e ad indire un referendum. 93% con-

tro, cifre da maggioranza bulgara. Nuovi negoziati portano ad un secondo referendum, con esito nuovamente contro la restituzione del debito. I cittadini islandesi sottolineano come il rendimento di un investimento sia direttamente proporzionale al rischio e che quindi non solo non sia a loro carico la restituzione del debito, ma le perdite rappresentino uno schiaffo meritato dato dalla mano invisibile. La corte di giustizia europea deciderà il da farsi, anche perché il problema di un default del debito sovrano fino a poco tempo fa era considerato un problema da paesi emergenti e si affronta quindi una mancanza di legislazione e di procedimenti consolidati. Dal canto suo, il popolo islandese ha deciso di perseguire i “colpevoli” di questa colossale bancarotta, identificando banchieri e funzionari, ora raggiunti da mandati di cattura internazionali. Insieme alle dimissioni del governo e all’identificazione dei responsabili, però, i manifestanti hanno chiesto anche un altro cambiamento: la riscrittura della costituzione, vecchia ed eredi-


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tata dalla dominazione danese. Ciò che colpisce è il modo di procedere alla redazione della nuova carta: cercate Stjórnlagaráð su Facebook e vi ritroverete immersi nell’assemblea costituente. Un esempio reale di democrazia partecipata. Nonostante l’intervento del FMI nessun burattino della finanza internazionale, nessun partecipante dei Bilderberg meetings, nessun membro della Trilaterale si è seduto sulla poltrona di Primo ministro. Anzi, i cittadini hanno preso in mano la situazione riappropriandosi dei loro diritti ed esercitando attivamente la loro cittadinanza. Molti temono ora che l’onda lunga della rivoluzione finirà, che tutto tornerà come prima. Forse formalmente è già successo, ma nel cuore delle persone è rimasta una consapevolezza nuova, una sfiducia ir-

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reversibile nei confronti del sistema. Ma può l’esperienza islandese rappresentare un paradigma, applicabile in altre nazioni alle prese con la stretta del debito pubblico? Non del tutto. Dal punto di vista economico infatti l’Islanda ha potuto beneficiare di un potente strumento per mezzo del quale gettare nuovamente le proprie fondamenta: la sovranità monetaria. Infatti, a differenza di quanto accadrebbe ad uno stato della zona Euro, l’Islanda ha potuto svalutare la propria moneta stampando nuova carta moneta, diminuendo quindi il valore del proprio debito pubblico a costo di diminuire il potere d’acquisto e spingere l’inflazione. Tuttavia, da un punto di vista politico e sociale, l’esempio islandese dovrebbe rappresentare uno stimolo, un segnale che reclamare i

propri diritti, ricordando a chi ci governa il perché si trova in quella posizione, è possibile, che la farsa del debito pubblico ha raggiunto il limite dell’accettabilità. Si tratta di un richiamo al quale noi Italiani dovremmo fare particolare attenzione, in un momento in cui la speculazione finanziaria attacca il nostro Paese e ci fanno credere che lo spread rappresenti davvero la nostra economia reale. Il popolo islandese ha avuto il coraggio di stare a testa alta davanti ai tecnocrati della finanza internazionale, mostrando l’orgoglio di chi vuole essere sovrano nel proprio paese. E non è un caso che l’ingresso nell’Unione Europea sia osteggiato da una fetta consistente di questi pescatori, che hanno deciso di mettersi in giacca e cravatta e combattere per il bene della propria Nazione.

“Ci avevano detto che se avessimo rifiutato le condizioni della comunità internazionale, saremmo diventati la Cuba del Nord. Ma se avessimo accettato, saremmo diventati l’Haiti del Nord.” (Olafur R. Grimsson, presidente islandese)


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a colloquio col professore La sfida dei continenti per le risorse e gli strumenti per uscire dalla crisi. a cura di Massimiliano GALLI (ex studente)

Non sempre la televisione propone banalità. Ci sono programmi di tale spessore che dovrebbero essere proposti non solo in prima serata, ma a reti unificate. A questi appartiene Il mondo che verrà trasmesso ad ottobre da La7 alle 23.10. Una serie di tre lezioni nelle quali il Professor Romano Prodi ha fatto il punto della situazione economica, politica e geopolitica mondiale e delle sfide che ci attendono per uscire dalle crisi. Colloquio essenziale quindi per capire qualcosa di più. Riporto di seguito il tema della prima serata.

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el XVI secolo l’Italia era il centro intellettuale dell’Europa. Giungevano a Bologna (prima sede universitaria) studenti ed intellettuali da ogni parte del mondo percorrendo itinerari che duravano anche settimane. Era il simbolo dell’Europa intellettuale, che era un’Europa unita. Ci sono voluti secoli per tornare a questa unità. L’Europa non ancora unita politicamente, ritorna ad essere unita economicamente e culturalmente. Professor Prodi, già vent’anni fa Lei sosteneva che la sfida per la supremazia economica non si sarebbe più svolta a livello di nazioni, bensì di continenti. È ancora così oggi e qual è l’oggetto del contendere? Oggi è ancora così, e lo è di più. L’Ottocento è stato il secolo dell’Europa, il

Attualmente Romano Prodi è Professore alla CEIBS (China Europe International Business School) in Shanghai; Professor at-large alla Brown University (USA); Presidente del Gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa e Presidente della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli. Novecento il secolo degli Stati Uniti, il nostro il secolo dell’Asia. È impressionante vedere come

le cose cambino, perché solo vent’anni fa questo sembrava decisamente il secolo americano, tanto che fu scritto il libro “La fine della storia” poiché dopo il crollo dell’Unione Sovietica si pensava che l’America avrebbe indisturbatamente governato per tutto il ventunesimo secolo. Invece il mondo sta cambiando rapidissimamente. Riferendoci all’Asia intendiamo spesso Cina ed India che sono il nuovo grande blocco del mondo. Accanto a questo ci sono il Brasile, la Turchia come nuova potenza regionale e la Russia. Celebre è l’acronimo BRICs al quale alcuni studiosi aggiungono il Sud Africa perché nell’ambito del continente africano esso ha un suo ruolo di prim’ordine che però non è paragonabile agli altri paesi del BRIC. Se non vi saranno fatti imprevisti a metà del secolo noi avre-

mo come prima economia del mondo la Cina, quindi Stati Uniti, India, Giappone, Brasile, e solo dopo troviamo i paesi dell’Europa (che se fossero uniti farebbero la gara per essere tra i primi del mondo anche nel secolo dell’Asia). Il debito pubblico americano è stato declassato, così come quello italiano. Da una parte sono diventati sempre più grandi i piani per salvare i paesi a rischio, però il rischio di fallimento di questi paesi è anch’esso aumentato. Perché si sono accumulati questi enormi debiti pubblici a partire da paesi ricchi e potenti come ad esempio gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti hanno diminuito la loro forza relativa nel mondo. Alla fine della seconda guerra mondiale erano il 35% dell’economia mondiale, oggi il 23%. La domanda interna statunitense è stata sostenuta in modo sempre più forte specialmente con tagli delle imposte e questo ha scombinato il rapporto fra spese ed entrate. Inoltre il deficit americano è per un terzo dovuto alle spese militari: essere i numeri uno al mondo con 610 basi militari, quasi 400 mila soldati impegnati in guerre in Iraq ed Afganistan ha fatto accumulare agli Stati Uniti spese

per circa 4 mila miliardi di dollari. Essi sostengono il 43% delle spese militari del mondo essendone però solo il 23% del reddito. La Cina, che come abbiamo detto sostituirà gli Stati Uniti ai vertici dell’economia mondiale, sostiene il 7% delle spese militari globali. È importante rilevare come le suddette spese “di difesa” incidano sul bilancio in rapporto al pil. Il 4.5% per gli Usa, solo il 2% per la Cina. Cina e Stati Uniti sono legati a doppio filo anche per quanto concerne il debito pubblico. Ci spiega in che senso? Il problema è che mentre nei vecchi tempi il debito pubblico veniva finanziato da emissioni di titoli che si vendevano sul mercato interno del paese adesso, invece, esso viene finanziato sul mercato internazionale. La Cina possiede il 15% del debito americano, il Giappone poco meno e via via gli altri paesi; per cui in questo momento gli Stati Uniti dipendono fortissimamente dall’atteggiamento cinese e può sembrare paradossale, ma una delle chiavi politiche del mondo sta proprio nel potere d’influenza a livello decisionale che questo comporta. In sintesi nessuna decisione può essere messa in atto se la Repubblica Popola-

re Cinese non siede anche lei con i propri rappresentanti al tavolo delle decisioni. Stati Uniti, Cina ed Europa. Cosa c’è da aspettarsi dalla crisi dei paesi del Mediterraneo? La moneta unica sopravvivrà? L’euro è certamente in una situazione difficile, ma bisogna considerare che il deficit dei paesi dell’euro è di 4 punti inferiore al deficit americano. La differenza è che gli Stati Uniti sono un paese unico e forte con una capacità di decisione unitaria e nessuno si avventa ad attaccare impunemente il dollaro; i paesi europei, separati così, sono facilmente attaccabili dalla speculazione finanziaria internazionale. È difficile avere una moneta comune senza avere una politica economico-finanziaria comune. L’Europa è ben più sana degli Stati Uniti, e se si pensa che, ad esempio, il bilancio della California è peggiore di quello greco, solo che la California è dentro una rete di salvataggio che la Grecia ancora non ha perché abbiamo un’unità fatta solo a metà. L’euro comunque resisterà, perché nessuno ha interesse a farlo naufragare. Nemmeno la Germania, che è di gran lunga la prima potenza economica europea grazie all’euro. Dagli anni


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sessanta fino all’entrata nell’euro l’Italia ha svalutato la lira del 600% mentre la Germania non ha mai svalutato il marco. Le politiche commerciali degli altri paesi dell’Europa hanno impedito alla Germania di accumulare surplus. Oggi, che non è più possibile svalutare la moneta la Germania ha accumulato solo nell’ultimo anno duecento miliardi di euro di surplus. La vera Cina oggi è la Germania. Anche se il populismo trionfa in Germania come in Italia, e ogni politico cerca di compiacere il proprio elettorato, quando si arriva al sodo la comunità degli affari tedesca non ha nessuna intenzione di abbandonare la moneta unica. Professore, passiamo dall’aspetto economico finanziario della crisi a quello alimentare. Lei sostiene che il cibo potrebbe diventare una delle principali cause di conflitto. Perché? Il cibo è sempre stato il problema drammatico per l’umanità. Da un paio di generazioni nel mondo ricco questo problema è passato in secondo piano perché c’è stata la cosiddetta rivoluzione verde che ha aumentato la produzione agricola in maniera veramente sostanziosa. Oggi il problema è tornato perché non c’è più quell’aumento della produttività che c’era pri-

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ma; l’aumento della popolazione è continuato ed è cambiata la dieta (è facile evincere che mangiare carne piuttosto che riso impegna ben diversamente l’ambiente e la terra) e questo ci porta al grande problema dell’acqua. Si pensi che una caloria di cibo esige un litro d’acqua. Vi sono grandi fiumi: il Nilo che arriva quasi secco al Mediterraneo. Due paesi per i trattati si appropriano di tutta l’acqua, il Sudan e l’Egitto. L’Etiopia dal canto suo vorrebbe costruire dighe. E pensare che se si facesse un’irrigazione decente, non dico modernissima, a pioggia invece che ad acqua fluente, si impiegherebbe un decimo dell’acqua impiegata. Considerazioni analoghe valgono per il Tigri e l’Eufrate: se i turchi continueranno a costruire dighe sparirà la Mesopotamia. Dovrebbe angosciarci la mancanza di solidarietà internazionale su un problema che può diventar tragico per l’umanità. Le tensioni alimentari sono aumentate nei paesi poveri e anche nei paesi ricchi. Perché ? Il mondo è uno e la scarsità fa aumentare i prezzi. Questo significherà lotta per la terra. E per questa ragione che Cina, Giappone, Sud Corea stanno acquistando terreno coltivabile (per garantirsi cibo in futuro) in Africa

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ed America Latina. Il problema è così grande che in Brasile ed in Argentina hanno messo un limite di mille ettari all’acquisto di terreno da parte degli stranieri. A questo va aggiunto che la produttività dell’agricoltura aumenta dell’1% all’anno e non più del 4% perché si è smesso di investire in ricerca (siamo arrivati quasi al fatto evangelico del 100 per uno, ma ci siamo fermati). E poi c’è la speculazione: si gioca a non esportare per far aumentare i prezzi e garantirsi i rifornimenti per il futuro, c’è una specie di scommessa con i cosiddetti futures, contratti che riguardano consegne future di beni. Stiamo attenti perché la fame vuol dire emigrazioni di massa, vuol dire tragedie, vuol dire sofferenza. Oggi tutto sembra dirci che la radice del problema sta nella sovrappopolazione, ma vediamo come per convenzioni etiche, religiose ed anche umane il problema demografico non viene affrontato con la dovuta attenzione. Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? Oggi sul nostro pianeta siamo 7 miliardi di individui, a metà del secolo saremo circa 9 miliardi. Un secolo fa l’Europa aveva più abitanti della Cina, adesso abbiamo un miliardo e trecento milio-

ni di abitanti in Cina, un miliardo e cento milioni in India, cinquecento milioni in Europa trecentododici negli Sati Uniti. A metà del secolo l’India avrà superato la Cina, l’Asia conterà più di 3 miliardi di abitanti, l’Africa 2 mentre la quota di Stati Uniti ed Europa sarà sempre inferiore. Cosa si può fare per un miliardo di persone denutrite e per l’altro miliardo che soffre la fame? Se avessi la soluzione, senz’altro la condividerei, ma una correzione alle cose che non vanno la possiamo fare. Prima

di tutto occorre fare ricerca in agricoltura per aumentare la produttività, mettere a coltura le terre incolte, prestare attenzione a quei territori fertili (come ad esempio la pianura padana) che stanno vivendo una fase di cementificazione selvaggia. Non dobbiamo mai dimenticare che ogni terreno agricolo divenuto edificabile per sfizio politico dell’amministratore di turno o per necessità di fare cassa in tempi di crisi è terreno tolto alla coltivazione. Inoltre è importante ricordare la gravità e il danno derivanti dalla speculazione finanzia-

ria internazionale, dalla nascita dei biocarburanti nonché da un uso improprio e distorsivo degli incentivi statali sulle fonti di energia rinnovabile. Se guadiamo alle nostre città ed ai nostri paesi in perenne espansione ma con centri storici vuoti causa il caro prezzi delle case e alla perenne crisi dell’agricoltura, comprendiamo come queste tematiche ci coinvolgano sempre più perché fanno parte del nostro immediato futuro.

tratto da “Il mondo che verrà”


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la rivoluzione del silent takeover

Intervista a Marco Della Luna, l’autore mantovano di Euroschiavi a cura di Stefano SOLAZZI (IIIAs)

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gregio avvocato, il suo libro Euroschiavi ha venduto numerose copie giungendo, se non sbaglio, alla terza edizione. Ritiene che tale successo sia la dimostrazione di una presa di coscienza da parte del grande pubblico? Il grande pubblico, probabilmente, ancora non va oltre il settore vago generale che l’economia la finanza e i poteri finanziari ed economici sono molto importanti per la qualità della sua vita, per la progettualità di un futuro. Euroschiavi, che arriva quest’anno alla quarta edizione, come molti altri libri comparsi sulla materia economica e monetaria negli ultimi tempi, ha fornito a migliaia di persone la conoscenza reale di cosa sia la moneta, di quali siano i suoi effetti. Mentre il libro successivo, la moneta copernicana, non ha riscosso lo stesso successo. Crede che ciò sia dovuto ad una sorta di censura messa in atto dalla grande distribuzione nei suoi confronti? La moneta copernicana è un libro più di nicchia, più specialistico; sotto certi aspetti, non ha come target il grande pubblico. La casa editrice della moneta copernicana è diversa:

Marco Della Luna avvocato e saggista di Mantova, studioso di politica economica, noto per il suo recente saggio Euroschiavi, nel quale mette a nudo i meccanismi giuridici ed economici mediante i quali lo Stato viene svuotato di ogni autonomia politica e trasformato in strumento di spremitura fiscale dei cittadini Nexus. E a differenza di macro edizioni non risponde di una propria rete di distribuzione. Oggigiorno nel sistema librario i distributori dettano legge, ossia decidono quali libri abbiano successo e quali libri no. Le grandi casi editrici hanno le loro reti e riescono a essere presenti nelle librerie, le piccole case editrici invece dipendono da distributori di solito poco solerti o indifferenti ed estremamente inefficienti nella promozione editoriale. Nelle sue pagine viene di-

mostrata l’illegittimità delle strategie di moltiplicazione monetaria messe in atto dagli istituti di credito privati (signoraggio secondario). Altri autorevoli esperti, come ad esempio Maurice Allais, hanno criticato questo sistema finanziario. Secondo lei è realistico immaginare una riforma che imponga alle banche commerciali la riserva totale, invece di quella frazionaria? Vi sono molti strumenti non solo quello della riserva frazionaria che, peraltro, adesso non si può più chiamare così, ma piuttosto moltiplicatore bancario. Strumenti finanziari che hanno effetti a breve, medio o lungo termine distruttivi sull’economia reale, sulla società, sulla vita delle persone, sulle possibilità di una partecipazione democratica, almeno in piccola parte, all’esercizio del potere effettivo. Quindi il moltiplicatore monetario è uno solo degli aspetti. Lei mi chiede sostanzialmente è possibile? Può avvenire che il potere politico arrivi a regolamentare questi strumenti speculativi che spesso hanno un effetto pesantemente ed enormemente distruttivo, pensiamo agli attacchi che vengono fatti ai vari paesi, al debito pub-

blico, italiano, greco, spagnolo, irlandese e islandese. Pensiamo agli attacchi - come lei puntualmente ricorda - che attuò in passato Soros contro la sterlina e contro la lira, con gravissimi danni all’economia reale e alla gente. È possibile che la politica riesca a regolamentare? A mio avviso, è assolutamente improbabile perché questi strumenti così distruttivi sono gli strumenti attualmente più potenti ai fine dello sfruttamento economico della società, ma anche i più potenti e i più efficienti a regolare gli altri strumenti, quelli della politica, quelli del diritto, quelli del potere giudiziario. Fermo restando il fatto che la nostra impotente classe politica si è mostrata incapace di dare risposta ai gravi problemi che la crisi ci pone dinanzi, non si potrebbe riporre affidamento nel potere indipendente della magistratura? La magistratura in Italia è un gruppo di interesse organizzato, la sua indipendenza è molto relativa. La magistratura è molto condizionata dal potere esecutivo, dal potere legislativo, dagli equilibri del potere reale che stanno dietro alla costituzione formale. Inoltre come gruppo di interesse organizzato la magistratura è molto impegnata innanzitutto nella difesa delle proprie prerogative, che alcuni chiamano privilegi e, in secondo luogo, in un paese dove praticamente l’attività

amministrativa, quasi tutta la spesa pubblica viene mediata da meccanismi politici clientelari diciamo corrotti, la magistratura Interviene sporadicamente e selettivamente; alcuni dicono che intervenga contro coloro che disturbano il potere costituito, che colpisca il business di una fazione politica per consentire il business dell’altra fazione politica. Le dinamiche, gli interessi, gli organismi del mondo reale non sono quelli del diritto ufficiale, del diritto dichiarato, delle istituzioni, dei tromboni istituzionali, bensì molto diversi. Si parla tanto di grandi speculatori internazionali; abili e cinici tecnocrati che grazie a sosfistiche tecniche finanziarie sono in grado di mettere in crisi, a proprio vantaggio, l’economia di intere nazioni. Di costoro conosciamo nome e cognome, persino i volti (recentemente pubblicati da un noto quotidiano italiano). Ebbene, secondo lei, non si può configurare qualche tipo di reato da far valere contro questi signori? Le loro attività, provocando recessione, licenziamenti, miseria non possono essere equiparate a crimini contro l’umanità? Sì. Ci sarebbe il reato di aggiotaggio, manovre speculative per condizionare a proprio favore il mercato. Ci sarebbe sicuramente la frode ai danni dei risparmiatori. Ci sarebbe, talvolta, la truffa, palese, in certi stru-

menti finanziari, appositamente costruiti da ingegneri matematici; ad esempio, i famosi contratti derivati che sono stati venduti a pubbliche amministrazioni e che in grande quantità scadranno l’anno prossimo. Sono stati inoltre costruiti, in modo intenzionalmente fraudolento, gli attacchi al debito pubblico di questo o quel paese, mirati a produrre effetti politici e paralizzare l’azione del governo, del parlamento; sono veri e propri attentati alla libertà di questi organi costituzionali, quindi sono reati. Quindi, in linea di principio, lei ha ragione, il mondo è sottoposto all’azione di speculatori che dispongono di conoscenze che la popolazione generale, ma anche gli addetti ai lavori, come ad esempio i commercialisti, neanche immaginano e che dispongono inoltre di fonti di informazione riservatissime: la Bank of England Nominees, cioè la società che controlla la Bank of England e che sostanzialmente appartiene alla casa reale, può avvalersi delle informazioni dei servizi segreti britannici che danno ai suoi membri la possibilità di speculare in condizioni più favorevoli rispetto agli altri. Le crisi, i mali finanziari ed economici di cui sta soffrendo la nostra epoca sono causati da azioni di un numero limitato di soggetti identificabili di cui si conosce l’identità e allora in fondo è solo un problema di carattere criminale. Azio-


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ni illegali, illecite e perfino crimini contro l’umanità, in quanto riducono alla fame intere nazioni. La soluzione quindi ci sarebbe e anche semplice, basterebbe mandare l’Interpool ad arrestare quelle persone e impedire l’uso di certe piattaforme telematiche, informatiche, ma non lo si fa. Perché il possesso di quegli strumenti è tuttuno con il possesso del potere vero del mondo. Lei parla di silent takeover, per descrivere il soppiantamento silenzioso dello Stato da parte del capitale privato. Le recenti vicende europee, con il crollo di vari governi democraticamente eletti per volontà dei mercati (cioè del potere finanziario), non da ultimo quello italiano, non sono una prova della correttezza di tale previsione? Esattamente. Vi è anche il

Goldman Sachs Tower Jersey City - Usa Uno dei grandi santuari di quel potere che chiamiamo Mercati.

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graduale trasferimento del potere giudiziario, dagli Stati a organismi sostanzialmente opachi, tecnocratici, come il WTO che a sua volta è stato istituito nel ‘95 attraverso un processo tutt’altro che democratico, tutt’altro che trasparente e che ha visto un soggetto privato, cioè la grande finanza statunitense e gli altri soggetti convocati alla conferenza Montevideo imporre questa trasformazione dall’alto. Sì il silent takeover continua, e adesso non è più silent ma è loud, è molto sonoro ed esce allo scoperto, diventa visibile: questa è la vera novità; ciò che prima avveniva di nascosto ora è fatto apertamente; la grande finanza che è al di sopra sia della testa della Merchel sia della testa di Barrosso sia dei vertici dell’Eurozona, cioè l’alta finanza, ha messo i suo fiduciari a fare da premier, non solo in Italia, ma anche in Grecia: Papademos (Goldman Sachs), Draghi (Goldman Sachs), Monti (Goldman Sachs). Ci mette la faccia, questa è la novità, si prende la responsabilità di governare; ancora non dice sono i miei uomini, non lo dice, però si intuisce, si vede abbastanza chiaramente che sono i suoi uomini. Per la prima volta la grande finanza si assume la responsabilità della conduzione politica. A suo avviso, perché Mario Monti e Mario Draghi, vengono salutati in modo così acritico dall’opinione pubblica che senza cono-

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scere nulla di loro, li saluta addirittura come i salvatori della patria? Dobbiamo andarci piano parlando di opinione pubblica, poiché noi abbiamo il sistema dei Mass Media che parla soprattutto attraverso la televisione alle singole persone. Io sto davanti al televisore, passo dieci canali e tutti mi danno una versione entusiastica di Mario Draghi alla BCE, Mario Monti a Palazzo Chigi; grandi aspettative, finalmente l’Italia ritorna tra i grandi e ritrova la sua dignità, adesso si imposterà tutto per bene. Io posso anche essere scettico e con me può essere scettica - rispetto a questi due personaggi ritenuti come risolutivi e benefici - la maggior parte della popolazione. Tuttavia, siccome ciascuno vede un’immagine del mondo, della società, compatta nella fiducia riconosciuta a queste persone, allora penserà: io se voglio essere integrato in questa società, se non voglio essere la “pecora nera”, il deviante, devo pure partecipare a questo entusiasmo. Anche il presidente della repubblica Giorgio Napolitano contribuisce a sostenere questa aspettativa, ma qualcosa del genere è avvenuto anche negli Stati Uniti. Ne parlava Noam Chomsky in occasione della guerra di occupazione contro l’Iraq. Allora si trasmetteva un’Immagine della popolazione unita attorno al suo presidente e siccome ciascuno davanti al suo piccolo scher-

mo riceveva questo messaggio di unità e coesione, intorno a questi falsi e ingiusti programmi si realizzò un fortissimo consenso popolare e la guerra partì. Poi lo stesso consenso andò calando, ovviamente, poiché la verità, alla lunga, è più forte della menzogna. Si può affermare che la rinuncia alla propria sovranità nazionale, in favore di organismi sovrannazionali e tecnocratici come la BCE o il FMI, sia anticostituzionale? La nostra Carta fondamentale, infatti, all’Art. 11 permette una limitazione (si badi bene, non una rinuncia) alla sovranità, ma in nome della pace e della giustizia fra le nazioni; non ci sembra, tuttavia, che tali organismi – fra l’altro privati e indipendenti da qualunque controllo democratico – assolvano a scopi di pace e giustizia. Lei cosa ne pensa? Io penso e ho anche scritto che ben poco, praticamente nulla dei principi della costituzione Italiana si possa trovare nella realtà. La costituzione formale (scritta nella Carta) in Italia è molto ma molto lontana dalla costituzione materiale (reale). La costituzione reale dell’Italia è in totale contrasto con la costituzione Italiana, su molti punti, anche su questo. Lei giustamente cita l’articolo 11, prima però ancora parlava di sovranità. L’articolo 1 della costituzione dice: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul

lavoro, la sovranità appartiene al popolo”, se appartiene al popolo come può il governo con un voto di ratifica parlamentare cedere la parte più importante della sovranità, cioè quella economica, come può cederla a un soggetto non nazionale? E’ assurdo. Se io sono sovrano, lo sono sempre e totalmente, non esiste la sovranità parziale, ci può essere un’autonomia parziale, ma la sovranità è la condizione di “Superiorem non reconoscent” cioè di non riconoscere un soggetto superiore, se lo si riconosce non si è più sovrano. E non può essere più o meno sovrano, o lo è o non lo è. Ora, la cessione di sovranità nazionale attuata con il trattato di Mastrich con il sistema della BCE è chiaramente in contrasto con la costituzione. Lei diceva giustamente che l’articolo 11 consente limitazioni, ma non cessioni della sovranità: esatto! Così anche la costituzione Francese che è più spiccata sul punto, ma soprattutto faccio presente che, come lei ha ricordato, che questa limitazione della sovranità ha un presupposto, che è quello che la limitazione serva ai fini di giustizia e di pace. Ora non c’è alcun fine di giustizia e di pace nella BCE, non si tratta di pace, di mantenere la pace, non è un organismo di sicurezza militare, di prevenzione della guerra, si tratta di business, si tratta di finanza. Quindi manca anche questo presupposto per la limitazione della sovrani-

tà. Tuttavia, va anche detto che lo statuto della Banca d’Italia, prima del 2006, disponeva che il capitale della stessa doveva essere in maggioranza detenuto dalla mano pubblico, mentre era detenuto in maggioranza - 94,5% - da società private. Quindi era già una situazione di illegalità costituzionale perché la sovranità monetaria era in mano a privati. Però nel dicembre del 2006 fu realizzata, dal governo Prodi, una riforma dello statuto della banca d’Italia. Il governo Prodi del resto, dovette realizzare tale riforma per legittimare la proprietà privata della Banca d’Italia, perché Prodi stesso come presidente dell’IRI aveva ceduto ai privati, aveva privatizzato le tre banche dell’IRI che erano detentrici di quote della Banca d’Italia. Siccome uno statuto precedente prevedeva che non si potessero cedere quote della Banca d’Italia a soggetti privati finche non fosse stato stabilito il 51%, cioè la maggioranza assoluta di mano pubblica della proprietà della Banca d’Italia, l’azione compiuta da Prodi era chiaramente contraria a questa regola. Bisognava quindi legittimarla a posteriori. E così si è fatto. Io, se fossi stato il Presidente della Repubblica, non avrei firmato quella riforma della Banca d’Italia, l’avrei sentita come un’operazione non conforme a costituzione. Però Napolitano la firmò. Comunque ancora prima, nell’83, la sovranità monetaria Italiana era sta-


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ta smantellata, col famoso divorzio tra la Banca d’Italia che prima era controllata dal ministero del tesoro e il ministero del tesoro stesso (Governo Ciampi). Con la famosa finanziariazione del debito pubblico, il grosso dello stesso è passata in mano straniera, con la relativa mpennata sia dei tassi che soprattutto del debito pubblico medesimo. Sappiamo che lei sta rappresentando legalmente diverse amministrazioni

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a livello nazionale - frenano questa azione e bisognerà aspettare l’esito non scontato. Però dal punto di vista della prova della fraudolenza dei contratti abbiamo tutto. Quindi ci aggiornerà sul suo blog riguardo l’esito di questa vicenda? Sì, certo, ma nei limiti del segreto professionale. Il compianto prof. Auriti, che lei cita nel suo libro, diede vita ad un epocale esperimento quando

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fettamente lecito. Un analogo attacco da parte del sistema bancario, attraverso il governo e la banca centrale Austriaca, fu perpetrato nel primo dopoguerra, ai danni di un certo Silvio Gesell il quale in Austria aveva introdotto, in un area molto limitata, una moneta alternativa per sostituire la valuta legale che mancava, questa iniziativa ebbe molto successo. Una moneta a deperimento, cioè con una svalutazione programma-

Esistono sistemi informatici in mano alla grande speculazione capaci di gestire milioni di transazioni finanziarie in pochi secondi locali, danneggiate dallo strumento dei derivati finanziari, proposti loro senza un’adeguata conoscenza dagli istituti di credito. Come stanno andando questi procedimenti? Tre si sono esauriti già nella fase delle trattative in modo favorevole. Riguardo un altro, in cui ci sono 21-23 contratti truffa realizzati da banche ai danni di un’amministrazione provinciale di una regione del sud, non posso fare previsioni perché, seppure abbiamo documentato il carattere truffaldino dell’operazione e quindi l’invalidità dei contratti, regioni di equilibrio politico - anche

mise in circolazione il Simec; una moneta che non generava debito all’atto dell’emissione. Immediatamente i poteri forti si scagliarono contro questo intellettuale, facendolo oggetto di persecuzioni mediatiche e soprattutto giudiziarie. Ci può dire brevemente, se ne è a conoscenza, come si conclusero tali vicende giudiziarie? Si. Iniziarono col sequestro del SIMEC e si conclusero con l’assoluzione totale, con il proscioglimento del professore Auriti, non c’è reato, non è un atto illecito creare una moneta privata, è per-

ta. Aveva molto successo e disturbava le banca, Avvocato non pensa che questa moneta possa essere emessa anche per esigenze di Welfare e non solo per esigenze di produzione? Se noi emettiamo moneta per realizzare investimenti produttivi, aumentiamo la produzione, aumentiamo il PIL, aumentiamo il gettito fiscale, con il gettito fiscale aumentato potremo pagare i pubblici servizi, il Welfare, le pensioni, la sanità. Quindi non si tratta di creare moneta anche per il Welfare, anche per la spesa assistenziale, no, si deve creare ed

emettere moneta per la produzione, poi dalla produzione deve saltare fuori il denaro attraverso le tasse e altre forme mutualistiche che sono ancora più efficienti. Una spesa diretta nel Welfare crea inflazione, e non occupazione, crea assistenzialismo. Solo così è possibile dare all’uomo la dignità che gli spetta, perché la persona, “L’Homo Faber” è dotato di dignità quando può scambiare qualcosa, se invece riceve semplicemente assistenzialismo è avvilito e diminuisce il suo senso di responsabilità civica. Cosa ne pensa di Wikipedia che, in quanto enciclopedia open source, dovrebbe garantire la pluralità delle opinioni e si è invece nettamente schierata contro le tesi che lei difende? È logico che per vivere, per sopravvivere, ci si schieri con chi ha il controllo, appunto, del non libero mercato. Lo spirito che anima Wikipedia dovrebbe essere l’esatto contrario. Il mondo del dovrebbe essere è il mondo, appunto, che dovrebbe essere, quindi non esiste. Comunque Wikipedia è utile. Cosa risponde a coloro che l’accusano di complottismo? Le grandi decisioni come il GAT il GAZ cioè il WTO, il Trattato di Mastrich, i trattati della banca dei regolamenti internazionali di Basilea, sono tutte prese in segreto; è un dato di fatto. Non si possono definire

complotti. Le decisioni economiche, soprattutto dei gruppi industriali, dei cartelli appunto, sono prese in forma segreta. Se io devo immaginare una riunione dell’OPEC che fa dei ragionamenti su come spremere più soldi dai paesi che consumano petrolio, posso immaginare che questa riunione sia a porta aperte, con la presenza di giornalisti e pubblico che ascolta come durante un consiglio comunale? Ovviamente no. I grandi poteri, le grandi decisioni operano nella segretezza, a porte chiuse; lo statuto delle banche centrali, ad esempio, che dovrebbero essere pubbliche, prevede la segretezza, prevede il diritto di criptazione, prevede l’inviolabilità anche da parte della magistratura dei segreti bancari. La banca dei regolamenti internazionali, addirittura, può compiere qualsiasi tipo di operazione finanziaria in segreto, potrebbe anche compiere finanziamenti al terrorismo in segreto. Nel 1995 a Montevideo si decise la globalizzazione, l’abbattimento delle barriere doganali, si decise la privatizzazione della rete idrica, quella fu un’operazione a porte aperte o a porte chiuse? Pensiamo ancora prima. 1944, Bretton Woods, decisione sull’assetto monetario mondiale, decisione fondamentale per la vita dei popoli, fu presa con un pubblico dibattito? No. Monti è stato nominato, scelto democraticamente?

L’ultima consultazione popolare aveva scelto Berlusconi, chi ha scelto Monti? Napolitano, su indicazione molto autorevole e perentoria dei mercati. Che cosa c’è di democratico in questo? Niente. Che cosa vuol dire complottismo? Avvocato, la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato e, nel salutarla, la invitiamo a dare un consiglio a tutti i lettori di FXP che, indignati per le iniquità e le ingiustizie che hanno sotto gli occhi, vorrebbero in qualche modo contribuire al cambiamento dell’esistente, ad una nuova e reale presa di coscienza rispetto ai temi che abbiamo affrontato. Studiare materia economica, economia politica, soprattutto finanza e moneta e prepararsi a tempi molto difficili. Il Sole 24 ore di ieri parlava di banche statunitensi, specializzate in valute, che si preparano informaticamente a gestire la crisi dell’Euro e la morte dell’Euro. Prepararsi quindi a tempi di perdita di potere d’acquisto, di scarsità di beni, difficoltà, disservizi, turbolenze sociali, fare scorte. Quindi lei è pessimista, diciamo, sul futuro? Secondo le miei migliori informazioni avremo un anno, almeno, molto ma molto difficile; esiste uno schema di soluzione che però avrà un notevole costo, un periodo di elaborazione, di implementazione come si dice oggi, piuttosto lungo.


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la moneta etica

Intervista a Fausto TOMASELLI, coordinatore del progetto Scec, la più concreta e diffusa esperienza di local money in Italia a cura della REDAZIONE

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gregio sig. Tomaselli lei è il coordinatore, per la Lombardia, del progetto Scec. Potrebbe spiegarci brevemente in cosa consiste tale iniziativa? Congiuntamente ad un gruppo di persone che ho il piacere di coordinare, mi sono assunto l’onore e l’onere di diffondere in Lombardia i Progetti che Arcipelago Scec sta realizzando in tutta Italia che in sostanza si potrebbero sintetizzare nel concetto del sostegno alle economie locali anche attraverso l’uso dello Scec in questo momento di crisi che necessariamente è destinato a protrarsi Sig. Tomaselli, le vogliamo rivolgere la stessa accusa che Marx muoveva ai socialisti del suo tempo. Non crede, infatti, che il progetto dello Scec, rinunciando alla lotta e all’affermazione politica (data la vostra esplicita dichiarazione di essere apolitici) si precluda la possibilità di incidere realmente sull’esistente? Non c’è il rischio dell’utopia; che cioè le local money, con tutti i suoi teorici, arranchino dietro alla storia, piutto-

rg

ec.o osc lag

sto che cambiarla? Premetto che non siamo apolitici bensì apartitici. Approcciare l’esistente economico come dato storico è un errore, lo stesso errore che fanno tutti i partiti politici. Se l’unica dimensione disponibile per la persona è quella storica allora è giusta la conclusione che indica la domanda. Credo invece che la dimensione coerente con la persona, sia quella logica. L’elemento discriminante non è l’utopia sì o no, ma è sulla verità logica del senso comune che la persona può costruire una rappresentazione autofondante dell’esistente. Lasciamo alla filosofia di cercare quella che più confà alla sua vocazione. Infatti, utilizzando il peso, il numero e la misura come discernimento del capita-

lismo di stato, o marxista, o del capitalismo selvaggio chiunque può trarre le sue normali conclusioni senza ricorre a particolari indottrinamenti ideologici. Con la semplicità, l’inchiostro della trasparenza, possiamo giungere all’esito conclusionale dei ragionamenti che sottendono la sua domanda. L’economia attuale ha una trave nell’occhio che dobbiamo eliminare. Questa trave è la moneta, e il pensiero che la genera. Lo Scec è generato con peso, numero e misura a differenza delle monete attuali, indipendentemente che siano euro, dollaro, sterlina, yen, yuan ecc. Tutte queste monete sono generate all’origine, all’emissione, con un Numero Negativo che non è un Numero Naturale perché, questi, sono unicamente positivi. Per questa semplice considerazione, e non con roboanti paroloni retorici e ideologici, possiamo affermare che l’economia esistente è falsa, non è una scienza, e men che meno esatta. Lo Scec dispone di una sua peculiare verità logica autofondante i fenomeni economici che intende rappresen-

tare. Pertanto, ad incidere sull’esistente è, e sarà sempre di più, la logica dello Scec, il quale messo in circuito come “abbuono”, è sostenuto da un impianto logico tant’è che noi lo indichiamo come «moneta logica». L’unica «moneta logica», esistente al mondo è solo, e soltanto, lo Scec, e non ci interessa il successo incentrato su qualche aspetto legato all’utilità di questa, o quest’altra local money. La “rivoluzione” che alimentiamo è incentrata sulla maturazione di una coscienza economica della persona fondata sulla verità logica della moneta che renda l’economia una scienza perché esatta e riproducibile nonché disponibile a tutti. La strategia è quella di costruire il nuovo rendendo obsoleto il vecchio per cui l’utopia, per noi, è un possibile realizzabile e la soluzione all’esistente c’è, ed è testimoniata dalle isole che lo Scec ha da tempo avviato in quasi tutto il territorio nazionale. Il circuito Scec ha mai subito attacchi speculativi o giudiziari, volti ad ostacolarne la diffusione? Abbiamo subito attacchi speculativi subito fatti fuori dal circuito. Nessun attacco giudiziario. Un controllo fiscale. Una risposta positiva dell’Agenzia delle Entrate sulla regolare legittimità fiscale dello Scec.

Da intellettuale e militante impegnato in tematiche economiche così urgenti, vuol spiegarci questo dogma del debito pubblico? In particolare: dato che le ultime manovre finanziarie – quelle che ci chiedono sangue e lacrime – si aggirano sui 5 – 8 miliardi di euro; e considerando che il debito pubblico ha da poco superato i 1900 miliardi di euro, le chiediamo se non è assurdo solo proporre l’obiettivo di voler arginare il debito pubblico? Il dogma trova il suo fondamento su una verità, come ragionamento perfetto, fino a prova contraria. Se il dogma è fondato su una falsità logica allora è una truffa. Lo Scec recupera questa dinamica del pensiero economico nato come economia della casa, della cura della persona e della sua famiglia. Il dogma monetario esistente è costruito con una truffa legalizzata. Il processo dell’emissione monetaria inizia con un segno negativo. La moneta, cioè, è emessa come debito, per cui tutta l’economia reale che utilizza la «moneta debito» ha, di fatto, un’origine negativa pur essendo un’attività positiva. Pertanto, l’esistente ha una dimensione reale positiva ed una rappresentazione monetaria negativa. Dal punto di vista logico questa è una truffa.

La truffa legalizzata è un potere delegato e detenuto dalle banche emittenti. I BOT, BTP e CCT emessi dagli stati sono, a tutti gli effetti, delle cosiddette «partite di giro» o, semplicemente, un movimento di denaro raccolto presso i risparmiatori da restituire alla scadenza. Nel periodo di tempo che intercorre fra la negoziazione del titolo pubblico e la data di scadenza il denaro è assorbito anche dall’interesse. L’interesse assorbe una parte del denaro messo in circolazione come debito riducendo anno dopo anno la disponibilità totale della massa monetaria. L’incidenza dell’interesse diventa critica quando riduce la massa monetaria da rendere disponibile per la restituzione ai compratori dei BOT, BTP e CCT. Con l’emissione a debito della moneta, e l’interesse eterno, il debito pubblico è un’assicurazione eterna del sistema bancario. Proporsi di arginare questo cancro è una «missione impossibile» nel circuito reale, possiamo solo affrontarlo dal punto di vista logico, come lo sta facendo lo Scec. Lo Scec sostituisce il drenaggio dovuto all’interesse, che agisce come l’idrovora nello stagno della massa monetaria, cercando di immettere quel poco di acqua necessaria almeno per far galleggiare la nave. Spetta a ciascuno di noi fare quel passo decisivo


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uscendo dalla gabbia monetaria attuale incamminandosi decisamente verso la libertà dello Scec. L’Italia non potrebbe semplicemente dichiararsi insolvente e ripartire da zero, piuttosto che bruciare ricchezza e risorse nella fornace del debito (basti pensare che i famosi fondi fas, destinati alla crescita del Mezzogiorno, e quindi di tutto il paese, sono stati usati per pagare gli interessi sul debito pubblico)? Il circuito «moneta debito più interesse» è un vortice che risucchia e annulla qualsiasi forma di resistenza si voglia mettere in atto. L’unico modo per risolverlo è prosciugare il vortice. Noi abbiamo cominciato a prosciugarlo con il ridurre l’uso dell’€uro introducendo lo Scec. Lo Scec può essere usato anche per coprire il 100% degli scambi tra venditore ed acquirente. Se l’Italia decidesse di usare lo Scec come moneta nazionale molti problemi cesserebbero di esistere.

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Man mano che i titoli pubblici arrivano a scadenza semplicemente si sostituiscono gli €uro con gli Scec ottenendo l’azzeramento costante e progressivo del debito. A vostra insaputa, e in silenzio, è iniziata una nuova storia che oggi vi stiamo annunciando, senza rivoluzioni, e soprattutto senza debito a interesse. Lo facciamo e basta, nessuno può impedirci di essere liberi di liberarci. Ritiene che l’attuale crisi economica sia contingente (ossia che dopo un periodo più o meno lungo di sacrifici e austerità, la crescita e la ricchezza possano ripartire) o che, invece, abbia dei caratteri strutturali, di sistema? E’ evidente che siamo in un ciclo storico di fine impero della moneta come ce l’hanno imposta. E questi periodi di fine impero sono stati tutti descritti a cominciare dalla fine dell’impero babilonese a quello romano. Spetta a noi assumere nella nostra coscienza questa realtà, e non allar-

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marci più di tanto, magari indignarci sì, ma costruendo il nuovo e opponendolo al vecchio che sta morendo. Cosa risponde a coloro che negano la possibilità, per la rivoluzione islandese, di porsi come paradigma e alternativa di un nuovo sistema politico ed economico, a causa della sua bassa densità demografica? La via islandese è un possibile realizzabile, ma non risolve il problema della truffa dell’economia esistente. L’ex governatore e presidente della repubblica Ciampi, nel periodo del suo mandato di Governo, propose un disegno di legge in cui si definiva il debito pubblico come inesigibile (cfr, Atti parlamentari – 10 febbraio 1993). Non ritiene che sia assurda, nonché mostruosa, l’idea di un debito non estinguibile e che tale definizione configuri, in sostanza, l’asservimento per l’eternità di intere popolazioni ed economie? Non lo ritengo assurdo perché il pensiero di Ciampi è coerente con la sua cultura di monetarista. Una moneta di cui non si conosce la definizione, che ostinatamente e strenuamente persegue e difende la sua anomia lo fa per evi-

Un negozio che adotta lo Scec

Pierluigi PAOLETTI, ispiratore e teorico dello Scec, con una copia di FXP

tare che una persona qualsiasi si alzi e trascini in un qualsiasi tribunale la banca emittente. Fino a quando la moneta manterrà la sua anomia non sarà possibile trascinarla in giudizio per accusarla della truffa. Ecco che il pensiero di Ciampi, nella sua logica, è perfettamente coerente. Proviamo a definire la moneta e farla uscire dall’anomia, come stiamo facendo con lo Scec e sarà possibile fare un confronto fra ciò che il senso comune può liberamente nominare e ciò che, invece, le è impedito finanche di pensare. Secondo lei, in una zona come la nostra, caratterizzata dalla capillare presenza di piccole e medie aziende (sia manifatturiere che agricole), potrebbe avere successo l’esperimento dello Scec, liberando energie non valorizzate e restituendo dignità al lavoro e alle economie locali?

Certamente. L’economia locale è il focus del prototipo economico dello Scec secondo il suo nuovo paradigma. Solo con lo Scec la comunità locale acquista la piena sovranità che le è riconosciuta dalla costituzione visto che esiste come reale soggetto economico, sociale e politico. Lo Stato è solo un concetto metafisico, e come stiamo vedendo molto fragile tanto da essere facile preda dell’anti-stato. Come può un operatore economico locale chiudere il “cerchio” della sua attività quando i fornitori pretendono di essere pagati in Euro? Non c’è, in sostanza, il rischio di rimanere con il classico cerino in mano? Questa è una situazione reale che è prevista all’avvio del circuito. Ma, in questo tipo di domanda è subdolamente insinuato un implicito giudizio morale che con lo Scec non ha presa. Spiego meglio il mio pensiero. La storia attuale associa alla moneta un giudizio morale. La moneta è un male o un bene in funzione di parametri molto soggettivi, individuali, e di arbitraria censura dei comportamenti sociali conseguenti. Per quanto abbiamo sostenuto in

precedenza, la moneta dovrebbe essere giudicata in primo luogo se è vera o falsa, da un punto di vista logico secondo la verità riconosciuta dal senso comune. Quando si ha la certezza che una moneta risponde al peso, numero e misura del pensiero economico che si intende sostenere allora, e solo allora, possiamo far corrispondere alla moneta un principio morale. L’unico principio morale che qualsiasi moneta deve rispettare è questo: «NON RUBARE». E l’unica moneta che rispetta questo principio è lo Scec. Tutte le altre monete gestiscono l’esistente con una scommessa: «scommettiamo che esiste un imbecille che mi adotterà per indebitarsi eternamente?». Se la crisi dovesse procedere e acuirsi, lo Scec potrebbe diventare la moneta d’emergenza, un po’ come successo in Argentina all’indomani del default? E’ l’unica soluzione già funzionante. Sig. Tomaselli nel salutarla e ringraziarla vorremmo sapere come prevede l’evolversi della crisi in Italia, nei prossimi mesi Lo Scec che abbiamo fondato, adottato e scelto come nostra prospettiva non ci spinge ad un naturale pessimismo ma ci apre alla speranza reale che la soluzione c’è, va solo divulgata e adottata.


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l’etica dei legami in tempi di crisi Bisogna recuperare il senso della parola solidarietà, radice della nostra plurisecolare cultura a cura di Michelle GALLI (ex studentessa)

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i sono parole come rating, bond, default, downgrading, spread, che ormai fanno parte del vocabolario italiano ed accompagnano le nostre giornate come qualcosa di terribile e minaccioso che incombe sulle nostre vite. Parlano di economia e finanza. Milioni di italiani hanno imparato a vivere con lo spread e le agenzie di rating e temono il downgrading più della peste di manzoniana memoria. Tutti ormai hanno la Borsa nella testa, convinti a buon ragione che, anche se non sono azionisti, non possiedono derivati o buoni del tesoro, la faccenda, alla fine dei conti, si concluderà direttamente dentro il proprio portafogli, attraverso le manovre approvate dal Governo. Lo scopo di tale manovra è quello di avvicinarsi al pareggio di bilancio rapidamente, cioè nel 2013, nel tentativo ormai estremo, di fermare la spirale che dagli anni Settanta aggiunge debito ad altro debito. Tutto questo forse renderebbe tranquilli i proprietari del nostro enorme debi-

to, diminuendo il rischio che corrono nell’ottica di eventuali altri acquisti. Perché, più aumenta il rischio, più aumentano i tassi e quindi il famoso spreadm, cioè il differenziale tra i nostri titoli e i titoli di Stato tedeschi che costituiscono (per un virtuosismo forse un po’ troppo sopravalutato) una inossidabile pietra di paragone. Gli italiani hanno capito che arrivare al pareggio di bilancio ed evitare il fallimento (come è accaduto per l’Argentina) dell’Azienda Italia significa pagare di tasca propria le spese di questa bufera che scuote l’ Occidente dall’America all’Europa e non tralascia neppure l’Asia. Aumentano tasse, bollette, biglietti del tram, prezzi degli affitti, rate universitarie. Il lavoro sarà sempre più a rischio e i

conti di fine mese sempre più difficili da far quadrare. Saremo noi, persone normali, sempre più poveri e più…indignati. Bisogna guardare alla drammatica situazione dell’economia e dei mercati finanziari con realismo. Le dinamiche dell’ economia reale (disoccupazione, commercio, crescita, prezzi, tasse) sono profondamente legate a quelle della finanza (azioni, titoli, speculazione, derivati) che a loro volta trovano nelle decisioni dei politici e nella loro capacità di imporre regole improntate ad una maggiore etica dei mercati, il substrato da cui attingere. Ma la Politica sembra avere perso lo slancio ideale che ne nobilita il nome. Fa impressione assistere ad un declino del potere democratico in tutto il mondo, testimoniato dalla progressiva diminuzione dell’affluenza alle urne durante le elezioni politiche, come se conquiste e diritti tipo libertà e autodeterminazione fossero optionals di cui ora si può fare a meno. Siamo di fronte ad una

crisi globale del capitalismo simile a quella che si verificò tra il 1929 e la metà degli anni Trenta segnata da dittature e riarmo sfociati nella seconda guerra mondiale. Con estrema arroganza i Guru del capitalismo avevano promesso una crescita ininterrotta. Il sistema liberista, seppur esasperato, si sarebbe auto-alimentato in modo illimitato. I nodi sono invece venuti al pettine con il loro feroce realismo. L’esasperato consumismo, i giganteschi debiti pubblici degli Stati sovrani e delle società private hanno corroso quel senso di fiducia e ottimismo verso il futuro che aveva fatto vivere l’ Occidente al di sopra delle proprie possibilità. Egoisticamente, perché incurante delle condizioni di miliardi di esseri umani che popolano le aree sottosviluppate del pianeta. Comprendere che questa “euforia” costituiva il vero problema dell’emisfero capitalista avrebbe significato gettare le basi per una seria diagnosi e conseguente cura. Purtroppo si è assistito ad una sfrenata corsa all’indebitamento che ha coinvolto un po’ tutti e sta segnando un punto di non ritorno. Politici sempre preoccupati della scadenza elettorale hanno prestato il fianco a progetti ed alchimie finanziarie

proposte dai vertici di Federal Reserve, Fondo Monetario, e Banca Centrale Europea con tutta una serie di “incontri al vertice” (ultimo in ordine di tempo il G20 di Cannes), che, nel tentativo di valutare le effettive possibilità di sviluppo e stabilità dei singoli Stati membri, in realtà non fanno altro che destabilizzarne il già precario equilibrio. Soluzioni efficaci esistono se si ragiona nell’ottica di un radicale ridimensionamento del nostro tenore di vita, senza dimenticare che non è il denaro, ma il lavoro a produrre ricchezza. Una cosa è chiara: non tutti pagheranno allo stesso modo i costi di questa crisi. “Miracolati” come gli evasori fiscali costano ai contribuenti onesti un fardello di ben 120 miliardi di euro all’anno perché chi paga le tasse le paga per se stesso e per gli altri. Al secondo posto, ma sempre “miracolati” vengono i possessori di grandi patrimoni mobiliari ed immobiliari appena sfiorati dalle nuove imposte del provvedimento del Governo. E pensare che in Francia ed in Germania i manager e i ricchi hanno chiesto espressamente di essere tassati per aiutare e sostenere l’economia nazionale. (Anche in Italia a dire il vero si è levata qualche flebile voce in que-

sta direzione, ma aveva il sapore acre della farsa e della presa in giro per cui si è subito smorzata!). Da noi la classe politica non ne vuole sapere di fare la propria parte. Vergognoso è il caso dei “vitalizi”, la seconda pensione dei parlamentari maturata dopo cinque anni di legislatura a partire dai 65 anni che forse verrà cancellata ma solo sull’onda dell’indignazione popolare. Per non parlare della “legge Trota”, così chiamata in onore di un figlio illustre. Questa legge permetterebbe ai minori di 25 anni di candidarsi al Parlamento. Un cambio generazionale sarebbe auspicabile è vero, ma il fatto che tale legge sia stata ribattezzata nel modo suddetto la dice lunga sulle intenzioni del legislatore. E’ chiaro che i sacrifici toccano sempre ai soliti noti e le tasse le paga chi ha il prelievo fiscale alla fonte: i lavoratori dipendenti. Bisogna inoltre prendere in considerazione quella che viene definita la “tassa dei poveri”: l’inflazione, termine con il quale si definisce la diminuzione del potere d’acquisto dell’unità monetaria e conseguente rialzo dei prezzi. La crisi economica di Eurolandia non fa dormire sonni tranquilli nemme-


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no ai Membri più forti, perché il fragile castello di carte su cui si regge l’economia può crollare da un momento all’altro. Allora salvare la Grecia (che venne ammessa all’euro nonostante i suoi conti pubblici fossero chiaramente truccati) può diventare un imperativo per evitare una crisi ad effetto domino. Immediate infatti sarebbero le ricadute sulle indebitatissime Italia e Spagna. Ciò potrebbe portare ad una nuova mappatura della zona Euro. Francia e Germania hanno banche molto esposte con Atene per cui, una volta recuperati i loro miliardari crediti, potrebbero imporre un euro a due velocità: dei poveri con Portogallo, Italia, Grecia, Spagna (PIGS secondo un acronimo suggerito dalla stampa britannica) e dei “ricchi”. La Germania, a parte la solidità dei conti pubblici, ha le stesse difficoltà di crescita in campo manifatturiero dell’Italia e guarda ad Est verso Polonia, Russia ed oltre. La Francia che ha voluto fortemente la guerra in Libia, si muove nel Medio Oriente verso Egitto, Libano e Siria per affermare la sua egemonia nel Mediterraneo e ridare un po’ di smalto al suo presidente che con questo iper–attivismo in campo internazionale cerca di far dimenticare ai francesi i pro-

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blemi nazionali in vista delle proprie elezioni. La grandeur de la France colpisce ancora l’immaginario collettivo? Forse, anche se dagli anni 5060 di De Gaulle è passato più di mezzo secolo. Questi “giochi senza frontiere” spesso ammantati di buone intenzioni democratico–umanitarie, non tengono in considerazione il destino di milioni di persone che vedono in serio pericolo non solo i risparmi di una vita, ma il loro stesso futuro. Le generazioni dell’iper-capitalismo hanno prodotto anziché ricchezza una crescente e diffusa disoccupazione, specie tra i giovani. Ogni giorno, in diretta, alla televisione, assistiamo allo sgretolarsi dei miti della società del denaro senza scorgere a breve una via d’uscita capace di superare gli egoismi nazionali. Questo perché in Europa manca una politica estera ed economica condivisa. Chi ha responsabilità e siede al tavolo dei cosiddetti “grandi” deve operare scelte decisive per non ricadere nelle tragedie del secolo passato: dittaure, guerre ed inflazione fuori controllo. Bisogna inoltre riscoprire il profondo significato della parola “solidarietà” che al di là del facile buonismo è alla radice della nostra cultura. Interessantissima per-

ché chiama in causa tutti, è l’analisi fatta da Josep Mirò, responsabile dell’Istituto di Capitale Sociale dell’università cattolica Abat Oliba Ceu du Barcellona. Cito: La parola solidarietà è parte della nostra cultura. In generale assistiamo alla crescita di un’altra cultura: quella della mancanza di vincoli e di legami in base alla quale la persona si realizza solo in base ai suoi desideri individuali. È un iper – individualismo a tutto campo, dal fronte sessuale a quello finanziario. Del resto alla base dell’attuale crisi economica c’è una crisi morale. Molta gente rinuncia alla responsabilità dei legami: lo fa l’imprenditore che si disinteressa dei suoi dipendenti, la madre che non si occupa dell’educazione dei figli, il padre che pensa solo al lavoro e non ha tempo per la famiglia. Il welfare che conosciamo oggi, rinunciando a modi di vivere collegati direttamente alle virtù che permettono di rendere attuali i valori, rischia di farci scivolare verso una società senza legami, incompatibile con il sistema democratico. È in quest’ottica dunque che, accantonati bizantinismi, antagonismi, protagonismi, si ritrova e si riscopre il senso di una comune responsabilità accompagnata da un vivo senso di solidarietà.


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ezra pound

Quando la poesia incontra l’economia a cura di Daniela ANDALONI e Francesca VIOLA (VAs)

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a poesia è un genere letterario che si presta molto bene alla varietà di temi e questo ci è dimostrato direttamente dalla storia. Pensiamo alla Divina Commedia, l’esempio più palese, dove Dante tratta, all’interno della stessa opera, di religione, politica, mitologia e storia. Un esempio più contemporaneo, che può essere ricollegato alla situazione attuale, è rappresentato dalla figura di Ezra Pound, uno dei più grandi poeti del Novecento. Nato da una famiglia di forte estrazione religiosa, il 30 ottobre 1885 a

Hailey, fu uno dei più importanti promotori della poetica di Guido Cavalcanti e di Dante nella cultura inglese. Fu un attivo sostenitore del fascismo, di cui apprezzava i provvedimenti sociali in favore dei lavoratori, le opere pubbliche e una politica economica di ricerca di una via di mezzo tra liberismo e collettivismo. Dopo essere stato accusato di tradimento e sottoposto ad un processo, venne dichiarato infermo di mente e rinchiuso per molti anni nel manicomio di Saint Elizabeth. Nel 1958 venne liberato e si rifugiò presso la figlia a Merano. Il giorno

1 novembre 1972 Ezra Pound morì nell’adorata Venezia dove è tutt’oggi sepolto. L’importanza e l’attualità della figura di Pound è dovuta al fatto che egli riuscì ad unire il mondo delle arti con quello dell’economia, due universi che sembrano non avere nessuna forma di collegamento. Pound era infatti convinto che la figura del poeta non potesse astrarsi dalle circostanze in cui si trova a vivere. Il poeta deve oggi studiare l’economia come nel Medioevo dovette studiare la teologia, nel Rinascimento l’arte e la natura e durante l’Illumi-

nismo le scienze. Il mondo contemporaneo è permeato di economia ed è compito suo comprenderne i problemi. Pound individuò nel conflitto tra economia e finanza la chiave di volta del mondo moderno e dedicò ampia parte della sua letteratura e della sua poetica alla riflessione sul tema. Il fulcro del conflitto è l’usura: argomento al quale il poeta dedicò due libri: Abc dell’Economia e Lavoro e Usura. L’usura era infatti il nemico numero uno per Pound che non aveva nessuna considerazione dei banchieri. Egli criticò fortemente la finanza internazionale, ritenuta colpevole di aver indotto il governo statunitense a prendere parte alla Seconda Guerra Mondiale. Non a caso affermò, in un suo celebre aforisma, che i politici non sono altro che i camerieri dei banchieri. Il poeta, dunque, credeva fosse necessario un profondo cambiamento e che l’unico modo per farlo fosse la partecipazione e comprensione dell’economia, focalizzandosi sull’emissione monetaria. È proprio nella moneta che Pound identifica il centro dei problemi di un’economia sempre

Contro l’usura

Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia per istoriarne la facciata, con usura non v’è chiesa con affreschi di paradiso harpes et luz e l’Annunciazione dell’Angelo con le aureole sbalzate, con usura nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine non si dipinge per tenersi arte in casa ma per vendere e vendere presto e con profitto, peccato contro natura, il tuo pane sarà staccio vieto arido come carta, senza segala né farina di grano duro, usura appesantisce il tratto, falsa i confini, con usura nessuno trova residenza amena. Si priva lo scalpellino della pietra, il tessitore del telaio CON USURA la lana non giunge al mercato e le pecore non rendono peggio della peste è l’usura, spunta l’ago in mano alle fanciulle e confonde chi fila. Pietro Lombardo non si fe’ con usura Duccio non si fe’ con usura nè Piero della Francesca o Zuan Bellini nè fu “La Calunnia” dipinta con usura. L’Angelico non si fe’ con usura, nè Ambrogio de Praedis, nessuna chiesa di pietra viva firmata : “Adamo me fecit”. Con usura non sorsero Saint Trophine e Saint Hilaire, usura arrugginisce il cesello arrugginisce arte ed artigiano tarla la tela nel telaio, nessuno apprende l ‘arte d’intessere oro nell’ordito; l’azzurro s’incancrena con usura; non si ricama in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling usura soffoca il figlio nel ventre arresta il giovane amante cede il letto a vecchi decrepiti, si frappone tra giovani sposi CONTRO NATURA Ad Eleusi han portato puttane carogne crapulano ospiti d’usura.


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più dipendente dalla finanza, quando in realtà questa dovrebbe essere nient’altro che uno strumento. Per Pound era infatti inconcepibile che le banche potessero creare denaro dal nulla attraverso delle semplici operazioni contabili. Se quindi è il denaro il carattere dell’ingiustizia economica, il poeta afferma che è da esso che deve partire un progetto di riforma. Una piccola quantità di denaro che cambia di mano rapidamente farà il lavoro di una grande quantità che si muove lentamente.

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La sua proposta era quella di tassare, al posto dei cittadini produttori, sul cui lavoro si regge la prosperità nazionale, il denaro stesso. Ciò avverrebbe ponendo ogni mese una marca da bollo pari ad un centesimo del valore nominale delle banconote in modo che fosse garantito allo Stato un reddito pari al 12% annuale della massa monetaria, senza il rischio di evasione fiscale. In questo modo le banche verrebbero ridotte a semplici intermediari e lo Stato riacquisterebbe la sovranità monetaria.

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Dopo anni di assoluta indifferenza nei confronti del pensiero economico di Pound, negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli studi e le analisi degli aspetti di politica monetaria presenti nelle sue opere. L’approfondimento di tali argomenti non si limita al nostro Paese, ma si è verificato anche all’estero, dove valenti studiosi hanno pubblicato accurate analisi del pensiero economico poundiano, donandogli una nuova importanza nella cultura odierna.

la crisi economica in Italia

Il grido d’allarme delle associazioni dei consumarori a cura di Veronica BERTANI e Francesca PASQUALOTTO (IVBitc)

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n questi giorni, articoli di giornale e trasmissioni televisive parlano della difficile situazione economica che sta attraversando il nostro Paese. Infatti, sono alcuni decenni che lo Stato ha un ingente debito pubblico, ovvero un debito con i risparmiatori (imprese, banche e/o Stati esteri), che hanno sottoscritto titoli del debito pubblico nei suoi confronti. Il deficit, purtroppo, è causa di molti licenziamenti e precarietà dovuti anche al fatto che molte grandi imprese delocalizzano in Paesi sottosviluppati, in cui possono trarre alcuni vantaggi sulla produzione e agevolazioni fiscali. L’economia sta cambiando e di conseguenza anche gli stili di vita degli italiani. Alcuni negozi di piccole dimensioni sono costretti a cessare l’attività e i centri commerciali, offrendo un’ampia gamma di prodotti, attirano un maggiore interesse della collettività. Infatti, il livello dei prezzi è aumentato e a causa dell’inflazione i consumatori sono costretti ad acquistare beni a basso costo e risparmiare una parte del loro reddito. L’inflazione è in continuo

aumento. Ad agosto il tasso annuo è salito al 2,8% dal 2,7% del mese precedente. Si tratta del livello più alto dall’ottobre del 2008. A determinare l’incremento sono stati soprattutto i carburanti. Così un gruppo di associazioni dei consumatori (Adoc, Codacons, Movimento difesa del cittadino e Unione nazionale consumatori) ha calcolato che in dieci anni, dal 2001 al 2011, i rincari di prezzi e tariffe, insieme alla crisi e alle manovre per la correzione del deficit pubblico, hanno prodotto una perdita pari a 10.850 euro a famiglia. Oggi come oggi, il livello di attività economica produttiva è più basso di quello che si potrebbe ottenere utilizzando completamente e in maniera efficiente tutti

i fattori produttivi a disposizione. Per ovviare alla recessione, bisognerebbe ritrovare lo spirito che nel dopoguerra ci ha condotti alla ricostruzione e al boom economico. Gli italiani sembrano invecchiati ed impigriti, il benessere raggiunto li ha viziati e riempiti di pretese. Occorre dunque rimboccarsi le maniche, ritrovare la tenacia e la voglia di lavorare duramente e onestamente, valorizzando i giovani, le nuove idee e le tecnologie. E, infine, perché non considerare le ricchezze, anche in termini economici, del nostro Paese. Cominciamo a salvaguardare l’ambiente, il territorio e i beni artistici che possono diventare settori trainanti della crescita economica italiana.



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la scoperta del valore indotto

Un nuovo paradigma economico, frutto del genio di Giacinto Auriti a cura di Ermanno Andrea ROSA (ex studente)

È

ormai evidente che il sistema economico-monetario attuale non sia in grado di far fronte alle sue ripetute e costanti crisi. In questo articolo si vuole introdurre una riflessione su un problema riguardante l’attuale scienza economica. Abituati a ragionare in termini economici spesso ci si dimentica di ragionare sopra i termini economici. Il fatto stesso di parlare di “attuale scienza economica” e di “sistemi economici” mostra innanzitutto come questa

disciplina sia poco affine a una scienza pura (come la matematica o la fisica), il che fa pensare molto sulle “inconfutabili” leggi algebriche che la governano. Poiché l’economia va a indagare i difficili rapporti tra la realtà e l’uomo non è qualcosa di scontato, di semplice o di regolare. Infatti da una parte c’è l’attività di produrre e scambiare risorse e servizi, che sembra seguire delle leggi costanti, dall’altra le scelte umane. Poiché in ultima analisi anche la produzio-

Giacinto Auriti ha insegnato nelle Università di Roma e di Teramo, Filosofia del Diritto, Diritto internazionale, Diritto della Navigazione. Ha presieduto commissioni internazionali ed ha curato la parte commerciale del Codice Civile Greco. Uomo generoso dalle preclari virtù, era amato da innumerevoli amici e discenti, d’ogni parte d’Italia e d’ogni ceto sociale e credo politico, che dall’insegnamento dell’Amico e Maestro si sono arricchiti culturalmente, moralmente e spiritualmente. Ha forgiato uomini, creato scuole; cattolico di pura fede ha costruito una Chiesa. Filosofo e studioso geniale ha teorizzato il Valore indotto della moneta che lo condurrà alla elaborazione di una proposta di legge sulla Proprietà popolare della moneta, presentata al Senato della Repubbli-

ne e lo scambio sono attività umane, ciò comporta che le leggi economiche, in realtà, sono una realizzazione umana: come tali convenzionali e criticabili. Ne consegue che il sistema economico attuale non è l’unico possibile né oggi come oggi, in maniera evidente, il migliore tra i possibili. Cosa è per noi ovvio nei nostri scambi economici giornalieri? Che essi avvengono grazie al denaro. Questo denaro che circola nei nostri portafogli as-

ca. Uomo di grande coraggio ha rivelato al mondo la grande truffa dei signori della moneta, gli usurai dai colletti bianchi, che si sono appropriati del diritto di stampare moneta a costo zero, lucrando del corrispettivo valore creato dai cittadini tramite accettazione e convenzione. La fama del prof. Giacinto Auriti raggiunse ogni angolo della terra quando realizzò nel suo paese natale, Guardiagrele, cittadina dell’Abruzzo, il SIMEC (SIMbolo EConometrico), ovvero una moneta locale dalla forte dignità epistemologica. Avrebbe meritato il Nobel, invece subì l’avversione bancaria e giudiziaria: persecuzioni che non fiaccarono il suo spirito indomito, ma che certamente minarono lentamente il suo fisico. Gli studi e le teorie scientifiche, contenuti in numerosi libri scritti dal prof. Giacinto Auriti, hanno avuto vasta divulgazione e pratica applicazione in tutto il mondo. Muore nel 2006, lasciando un grave vuoto. Giacinto Auriti era un gigante del pensiero, in un mondo accademico di pigmei

sumendo la forma di una banconota, di una moneta o comparendo sottoforma di numero scritto, su un assegno, sullo schermo di un bancomat, ecc. Denaro che usiamo abitudinariamente senza sapere cosa sia effettivamente. Sapreste voi in questo momento definire precisamente il denaro, o meglio la moneta, con una definizione che ne esaurisca tutta la sua portata e il suo valore così come il matematico può definire un quadrato? Sicuramente dovrebbe esserne capace un economista. Vediamo dunque, brevemente, cosa l’attuale teoria economia insegna intorno alla moneta: essa è (1) “un mezzo per agevolare gli scambi”, (2) funge da “misura del valore” ed è infine (3) una “riserva di valore”. Analizziamo queste affermazioni da un punto di vista concettuale. La prima definizione è molto semplice da intendere, ma la proprietà che enuncia non concorre affatto a definire la moneta, a meno che non si presti fede cieca alle definizioni funzionali. Ora definire un letto come un mezzo per riposare non ci crea effettivi problemi, ma il discorso è ben differente se si vuole definire un’entità teorico-astratta. Un matematico non definirebbe un segmento come uno strumento utile a disegnare un poligono. La prima cosa che possiamo constatare è che la moneta è appunto un’entità teorica. Noi, benché la tocchiamo

con mano, le attribuiamo in realtà un valore convenzionale e puramente astratto. Le banconote non sono altro che il simulacro di questo valore. Questo è riconosciuto dallo stesso sistema economico il quale afferma che noi accettiamo la moneta come mezzo di scambio basandoci su un accordo convenzionale e sulla fiducia reciproca di chi la usa. Se domani accettassimo un fazzoletto di carta come mezzo di scambio la cosa non cambierebbe. Ne discende il fatto che se la moneta funge da mezzo di scambio, questo è un suo effetto derivante dalla sua intrinseca costituzione, l’essere un mezzo di scambio non è una proprietà che concorre a definirla in modo esauriente. Da cosa deriva questo effetto? Vediamo la seconda definizione che afferma che essa è una “misura del valore”. Cosa si intende? Per misura del valore si intende che essa ha la capacità di misurare il valore di beni e servizi. Come fa notare il professor Giacinto Auriti, questa non è una definizione sbagliata ma porta con sé anche un altro aspetto su cui non si riflette: ovvero che essa è anche il “valore della misura”. Come il metro ha la qualità della lunghezza in quanto intende misurare lunghezze, la moneta deve avere la qualità del valore per misurare il valore. La prima conseguenza è che la moneta diviene anche una “riserva di valore”, la

quale viene trattata in termini di potere d’acquisto. Se si possiede una banconota il suo potere d’acquisto è dato da tutte le cose che si possono acquistare con essa. Prima di proseguire bisogna chiarire che cosa sia il valore. Sempre seguendo l’analisi di Auriti si può dire che il valore è un rapporto tra fasi di tempo: la penna ha valore perché prevede di scrivere, la banconota ha valore perché prevede di acquistare. Il valore quindi sarebbe il rapporto tra le capacità di una determinata cosa nel momento presente e le possibilità che permette di realizzare in un prossimo futuro. Se la penna non può più scrivere, la sua capacità è nulla, il primo termine del rapporto sarebbe zero e il risultato del rapporto risulterebbe zero. Lo stesso vale per la moneta, se non è una riserva di valore il suo potere d’acquisto sarebbe nullo. La moneta innanzitutto è intesa come riserva di valore in un duplice modo: riserva di valore perché mantiene presso di sé il suo potere d’acquisto, e riserva di valore perché al momento che è ceduta continua a possedere tale valore senza mai esaurirlo. Ne emerge che la moneta non ha un solo valore puramente convenzionale e simbolico, ma bensì anche uno indotto. Ovvero se si possiede denaro, si acquista o si cedono beni mediante il denaro, sulla base della previsione del comportamento


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futuro che ci si aspetta dai componenti della società. So che con 10 euro acquisto quella cosa perché i 10 euro sono accettati da parte del commerciante non solo nel loro valore puramente simbolico, ma perché il commerciante prevede, anche egli, un futuro acquisto di un bene: i 10 euro così valgono effettivamente 10 euro, non hanno solo un valore simbolico e nominale. Il valore indotto è un valore che si crea dalla circolazione di moneta e diventa valore autonomo, a sé stante. Ora questo valore che viene a formarsi in maniera spontanea va in contraddizione con la teoria economica vigente. In essa si distingue, per quel che riguarda la moneta, il valore nominale da quello intrinseco. Quello intrinseco sarebbe il costo per produrre la moneta (a meno che essa non sia ad esempio virtuale) quindi carta, inchiostro, filigrana, ecc., quello nominale sarebbe invece il valore simbolico. Valore simbolico che invece non è tale, in quanto la moneta viene a valere effettivamente il suo valore nominale. La stessa teoria economica è d’accordo nell’affermare che i beni sono soggetti a esaurimento, che il loro valore deteriora nel tempo fino ad esaurirsi. La moneta si presenta come uno strumento per agevolare sì gli scambi tra i beni, ma allo stesso tempo assume valore proprio come bene, quando non dovrebbe (un

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uomo acquista da un altro una lepre per dieci euro, lui consuma la lepre, l’altro invece non esaurisce affatto il valore dei dieci euro). Ora, questo valore indotto della moneta, il fatto che essa sia un riserva di valore, fa sì che il denaro assuma senza controllo un “valore” e potere spropositati. Non solo: questa “riserva di valore”, in realtà, non ha un corrispettivo in termini di risorse. Essa dovrebbe acquistare valore solo al momento dello scambio, ma compiuto lo scambio essa dovrebbe perdere tale valore. Bisogna dire che mai vi sarà la possibilità di questa corrispondenza (valore = bene) in quanto il valore è un entità astratta mentre il bene si produce, si altera e si esaurisce. Se le cose stanno in questo modo allora vuol dire che bisogna gestire il denaro in maniera diversa, considerando questa legge del valore indotto. Le scoperte del prof. Auriti, dall’alto valore scientifico, comportano una rivoluzione nel sistema monetario, fondata oltre che sulle evidenze economiche, anche su un fondamento giuridico, poiché se la moneta, come suggerisce l’autore del Simec (moneta di proprietà popolare), è una fattispecie giuridica (simbolo più convenzione) allora dovrà essere gestita anche e soprattutto con la forza del diritto. In definitiva, gli studi del professore di Guardiagrele mostrano come il concet-

to di debito pubblico sia un presupposto ideologico che non ha la necessità di una legge fisica. Lo Stato, inteso come organizzazione e garanzia della sovranità popolare, non ha bisogno di indebitarsi per far fronte alle proprie esigenze; carta, inchiostro e impulsi elettronici, non sono qualcosa di raro che giustifichi in qualche modo la rarità monetaria e l’indebitamento. Uno Stato davvero sovrano e garante degli interessi dei propri cittadini e non dei mercati, dovrebbe comprendere tra i suoi poteri classici, anche quello dell’emissione monetaria, gestita senza debito e in favore di produzione, occupazione e welfare - da un organismo indipendente ma responsabile del suo oprato (come la Magistratura) capace di controllare le distorsioni come inflazione e deflazione, grazie all’emissione stessa. Quando, all’avvento dell’Euro, tutti ne esaltavano le magnifiche sorti e progressive, solo il testardo e impavido docente prevedeva il disastro che stiamo conoscendo. Questa è la prerogativa del genio e della vera scienza: vedere per prevedere. Forse, proprio a causa dell’attuale crisi, avremo la possibilità di conoscere e preferire un nuovo paradigma economico, vero, perché fondato sulla scienza, giusto, perchè fondato sul diritto, etico, perché al servizio dell’uomo.


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le agenzie di rating

Conflitti d’interesse e indebite ingerenze a cura di Alessandro SPEZZAFERRI (IIIAs)

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n questi tempi di crisi si sente sempre più spesso parlare delle agenzie di rating, ma pochi veramente sanno di cosa si occupano e qual è il loro scopo. Queste agenzie private si occupano di analizzare la solidità finanziaria di soggetti quali stati, enti, governi, imprese, banche e assicurazioni, dando una valutazione a seconda della loro affidabilità e della possibilità che hanno questi enti nel ripagare i debitori. Il rating quindi valuta l’entità del rischio di credito, si divide in due principali categorie: il rischio commerciale ed il rischio paese dando la valutazione della capacità del debitore di far fronte al rimborso del proprio debito finanziario. In parole povere le agenzie valutano se questi soggetti sono in grado di ripagare chi ha investito denaro su di essi. Facendo un esempio pratico queste valutazioni funzionano come le quote delle scommesse: le agenzie delle scommesse valutano la squadra che credono possa vincere così che gli scommettitori vengono indirizzati su dove “investire” il loro denaro. Così funzionano queste

agenzie, valutano i vari enti così che gli investitori possano dare il proprio denaro ed essere sicuri che gli ritorni in breve tempo. Di queste agenzie ne esistono circa una decina, ma sono tre le più importanti: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch ratings. Tutte e tre forniscono un simile sistema di valutazione alfabetico, per esempio Moody’s assegna tre A (la valutazione più alta) ai soggetti che hanno un’elevata capacità di ripagare il debito, mentre può anche assegnare una C se l’ente rischia di fallire. queste agenzie pretendono di offrire un servizio utile per la maggior parte degli investitori, dai più esperti ai meno pratici, che possono facilmente comprendere la scelta migliore e senza rischi, costringendo così anche le varie agenzie a mostrare i propri bilanci, ma se queste banche, queste agenzie o questi stati non ricevono più

appoggi economici appena vengono surclassate, non riusciranno più a risarcire il loro debiti non avendo più denaro da investire a loro volta, bloccando l’economia. Oltretutto le valutazioni che offrono non sono sicure, le società falliscono da un momento all’altro e non sono tre “A” che fanno evitare la bancarotta. Tutti ricorderanno, infatti, che la Lehman Brothers - la banca che, con il suo fallimento, ha dato l’avvio alla crisi - godeva di una tripla A nel momento stesso del suo crollo. Del resto, tali agenzie sono caratterizzate da un enorme conflitto di interessi, dato che tra i loro azionisti privati sono presenti quelle stesse società che dovrebbero essere giudicate e che, ottenendo valutazioni di favore, si avvantaggiano di una concorrenza a dir poco sleale. Le agenzie di rating dimostrano, in modo emblematico e paradossale. le distorsioni del paradigma neoliberista: secondo lo stesso, infatti, gli Stati non possono intervenire sulla finanza, ma quest’ultima, evidentemente, non ha limiti ad interferire, con illegittime ingerenze, nella vita degli Stati.


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tra crisi e rinascita

L’esperienza di un imprenditore impegnato sul territorio

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ntrando nei negozi del paese è capitato spesso, negli ultimi anni, di sentirsi rivolgere la stessa domanda: c’è lavoro? I gestori dei negozi, soprattutto di generi alimentari, dimostravano interesse e preoccupazione circa il portafoglio ordini delle aziende del settore. Se i calzifici lavorano lavoriamo anche noi, giustificavano la domanda i negozianti. Era il momento di maggiore difficoltà: il mercato internazionale si rivolgeva ai paesi emergenti per l’acquisto dei prodotti, sacrificando la qualità a favore del prezzo. Le aziende del settore, radicate nella tradizione di laboriosità e vitalità, hanno continuato ad investire in qualità, servizio, ricerca-sviluppo e tecnologia. Un particolare occhio di riguardo è stato dedicato al risparmio perché, come dicevano i nostri nonni, il primo guadagno è il risparmio e lo spreco non esisteva proprio, non c’era nulla da sprecare! La tenacia è stata premiata dal ritorno di interesse, da parte dei consumatori, ad un prodotto di qualità a cui la moda, per la quale l’Italia da sempre si contraddistingue, ha contribuito. Nonostante questo ritorno non ci sono ancora elementi tali da generare fiducia ed ottimismo. Trop-

a cura della Redazione

pe le chiusure di laboratori artigianali di trasformazione della calza; in contrapposizione un evidente incremento di inizio attività da parte degli stranieri. La normativa vigente è molto vasta e, spesso, di difficile applicazione. Soprattutto le piccole imprese si sentono soffocate dalla burocrazia. Questo, insieme all’insufficiente potere degli organi di vigilanza nel far rispettare le regole, genera concorrenza sleale e sfiducia. Abbiamo bisogno di tornare ai valori che hanno accompagnato la crescita economica ed industriale degli anni settanta-ottanta, con la consapevolezza che non sarà un ritorno facile. La ripresa non vuole necessariamente vedere il risorgere del passato, ma far tesoro delle esperienze del passato per rivedere e ridisegnare le peculiarità del territorio. Ne sono la prova parecchie aziende agricole che, dopo momenti di grave difficoltà, si sono riconvertite combinando l’aspetto produttivo agricolo al turismo ed ai percorsi didattici. Fondamentale è il supporto del Governo per ridare fiducia. Abbiamo fortemente bisogno di un Governo che restituisca alla gente la politica, la giustizia, i valori, l’esempio!

Come possiamo chiedere ai nostri giovani di credere nel futuro e lavorare per quello in cui credono se glielo neghiamo tutti i giorni? Siamo in crisi? Vediamo il significato della parola crisi (dizionario italiano online) 1. sf stato transitorio di particolare difficoltà o di turbamento, nella vita di un uomo o di una società 2. sf repentino aggravarsi del corso clinico di una malattia Se il significato mi dice transitorietà, mi aspetto un cambiamento. E se nulla cambia va bene lo stesso? O magari peggiora? E chi deve risolvere i problemi? L’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana sancisce che L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro, non sullo stipendio (ndr). Il lavoro è attività materiale ed intellettuale, impegno, dedizione, passione, gratificazione, operosità. Il rispetto e la relazione interpersonale sono opera di un lavoro di attenzione alla persona. Abbiamo tutti il dovere di rendere per quanto ricevuto. Costa fatica? Restituisce resilienza! Attendere il futuro impiegando il tempo presente con operosità e desiderio di contribuirvi è già garanzia di un futuro sicuramente migliore.


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L’insostenibile crisi nera

Effetti del debito in un mondo che non conosce progresso a cura di Andrea Maniscalco (IVBs)

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on insistenza in questi giorni, da giornali, telegiornali, radio, etc., stiamo assistendo ad uno “spettacolo” non molto positivo, che riguarda l’economia mondiale. La crisi economica internazionale, di questi tempi, è arrivata a toccare l’apice del suo sviluppo rovinando sempre più persone che fino ad allora la parola crisi nemmeno la conoscevano. L’aggravamento di una crisi economica già instabile, è dovuto al fatto che i debiti, all’apparenza contenibili, stanno negli anni lievitando a tal punto da rendersi incontenibili e soprattutto insostenibili da parte delle popolazioni mondiali. L’aggravamento del debito, sostanzialmente,

L’effetto del debito in Africa

non fa altro che privare uno stato di quell’indipendenza necessaria e sufficiente ad un progresso stabile. Un esempio eloquente è quello dell’Italia la quale, dopo Grecia, Spagna e Portogallo, è lo stato con il più alto debito pubblico in Europa. Che cosa succede quindi: l’Italia, sotto “protezione” economica dell’Europa, non riesce a renderle gli arretrati e di conseguenza diventa schiava a vita (perché provate voi a pensare ad una cosa come 1900 miliardi di euro) di una CEE e di un mercato che pretende gli interessi sui soldi prestatici in passato. Ecco questa è per sommi capi la situazione dell’Italia analoga per altro a molti stati europei. Ora proviamo

ad immaginarci una situazione del genere proiettata in un continente come l’Africa oppure l’America Latina, paesi che non conoscono stabilità economica, politica e costretti a colmare i debiti di un passato fatto di schiavitù e colonizzazioni. Questo è ciò che si evince dal foglio di lavoro preparato dal sig. Guissè all’indomani della 56esima sessione della commissione sui diritti dell’uomo, nel 2004. La situazione africana, ad esempio, secondo la commissione, è molto grave sul piano economico in quanto è da ormai secoli che deve rendere i conti al fondo monetario internazionale. Di conseguenza è impossibilitata a fare dei passi avanti, anche piccoli. La condizione sociale è pessima: non c’è acqua, cibo, beni di prima necessità, molti, anzi la maggior parte, non ha un tetto e sono anche costretti a fare i conti con malattie rischiose e incurabili tra cui l’AIDS. E allora ci si chiede, ma perché ormai nel 21esimo secolo ancora l’80% della popolazione del pianeta è costretta a vivere in

condizioni disumane e solo il 20% gode di beni e ricchezze? La risposta è semplice: è tutta colpa del debito, che si riproduce in scala sempre più grande e quindi volto ad usurare sempre più la povera gente. Questo ciclo inesauribile, è il risultato dell’ingiusto trasferimento dei debiti degli stati colonizzatori, che venne imposto ai nuovi stati nazionali che avevano accesso alla sovranità nazionale. Basti pensare che il debito di questi paesi nel 1960 ammontava già a 57 miliardi di dollari con un tasso di interesse del 14% annuo, quindi sostanzialmente erano già oppressi dal pesante fardello del debito prima ancora di far partire le loro economie. Inutile dire che i benefici li traevano i potenti della Borsa internazionale. E così che il debito si aggrava sempre più per un tasso di interesse ritenuto da molti usurario e pertanto questi paesi non chiedono soldi per investirli e crescere ma semplicemente per colmare, o perlomeno cercare di farlo, il debito già esistente; un ciclo esauribile solo con l’annullamento del debito. Questi paesi sono dunque di fronte ad un problema, quello delle colonizzazioni, apparen-

temente risolto ma che sta inesauribilmente rovinando interi popoli. Il problema è dato dal fatto che esistono ancora oggi leggi vecchie e obsolete per non dire disumane ancora legate alle colonie, che però nessuno si è proposto di cambiare negli anni. Questo perché giova ovviamente ai potenti i quali ormai hanno in mano le redini dei popoli cosiddetti del Terzo Mondo. Insomma la parola colonia sembra a noi oggi desueta, quasi priva di significato ma in realtà un paese dalla colonizzazione non ne esce; hanno cercato di mistificare la realtà definendoli i “nuovi stati indipendenti” che di indipendenza hanno ben poco. Indirettamente vi è dunque una forma di sfruttamento seconda a nessuno, che impedisce la realizzazione di tutti i diritti umani, sia collettivi che individuali. Debito non è solo denaro ma è divenuto con gli anni uno strumento terrificante di dominazione che si autoriproduce su scala globale.

THOMAS SANKARA. Il Che Guevara africano Thomas Sankara, primo presidente del Burkinafasu, fu un politico molto carismatico che cambiò, o perlomeno cercò di farlo, radicalmente il sistema politico ed economico del suo paese per eliminarne la povertà. Questi elementi combinati fra loro gli fecero attribuire il soprannome di Che Guevara Africano. Essendo in uno stato economicamente poco avanzato esso puntava molto sull’agricoltura la quale ben presto portò lo stato ad una situazione economica stabile. Questo fece sì che il Burkinafasu non dovette più contare sull’aiuto del FMI (fondo monetario internazionale). Ben presto l’attuale presidente burkinabè Blaise Compaoré, coadiuvato da servizi segreti americani e francesi, con un colpo di stato uccise nel 1987 il presidente Sankara. « Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità. »


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Il grande dittatore Il potere del denaro

a cura di Paolo MUSONI (VBs)

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resumo che abbiate già letto, nelle scorse edizioni di questo giornale, del signoraggio. Dunque faccio prima a non spiegarvi cos’è, dato che lo sapete già…o forse posso approfondire la cosa oltre ciò che si è finora letto. Va bene allora da dove cominciamo? il fenomeno del signoraggio, innanzi tutto, è il guadagno che ottiene un’istituzione che emette moneta; in pratica è la differenza tra i costi di emissione e il valore sul mercato della moneta. Oh, ho già finito? Ah no vi devo dire il perché questo fenomeno è considerato una delle forme di corruzione più grandi del mondo. Dovete sapere che un tempo, quando uno stato coniava moneta, essa era fatta d’oro, argento, rame, tutti metalli preziosi e in base ai quali (a seconda del peso) si determinava il loro valore. In parole povere, una moneta che contiene 5 grammi di oro, oggi sarebbe valutata circa 200 euro, o meglio ci potresti comprare una Xbox360 (con uno sconticino, magari); lo Stato, quindi, per emettere moneta doveva sostenere i costi di estrazione (o addirittura di acquisto) del metallo prezioso, e se la moneta, per

esigenze finanziarie del fisco, cominciava a essere prodotta con un contenuto di metallo prezioso più basso, perdeva immediatamente di valore. Il valore dei soldi era quindi pratico, tant’è che quando la Spagna incominciò a importare oro e argento a palate dalle Americhe, si verificò una brusca inflazione (a Venezia circa il 2%, che all’epoca era un’enormità). Il signoraggio all’epoca non era quindi gran cosa, dato che le zecche delle nazioni spendevano in produzione gran parte del valore finale della moneta. Un bel giorno, poi, un imperatore cinese dal nome impronunciabile introdusse l’uso delle banconote: esse all’inizio non erano nient’altro che biglietti, documenti (banco-nota, cioè nota di un banco!) che attestavano la presenza di un determinato quantitativo di metallo prezioso nelle “banche” di allora. Una persona, proprietaria di una banconota, poteva quindi andare a ritirare il proprio oro, o argento, o

quel che si vuole, in banca. All’inizio questi istituti erano di proprietà di orafi, ma poi si svilupparono, grazie alla grande quantità di valori depositati, in vere e proprie potenze commerciali (alcuni banchieri, soprattutto italiani, finanziavano intere nazioni e guerre) che acquisirono potere di coniare moneta. Quindi il diritto di produrre soldi divenne di privati; cosa alquanto strana, dato che un privato cittadino poteva far soldi nel vero senso della parola! Comunque gli stati ponevano dei limiti alle banche, e dato che i costi di produzione restavano alti, il guadagno (per quanto elevato) era proporzionale al rischio (gli istituti dovevano custodire ingentissime quantità di metallo prezioso). Nel 1929 si assistette alla prima grande crisi internazionale dei mercati: le grande depressione. La gente, per mettere al sicuro i propri guadagni, andava a prendere l’oro che gli spettava, e le riserve degli stati diminuirono velocemente. Quando nel 1934 il presidente Roosevelt, per far fronte a questo fenomeno, vietò il possesso di monete d’oro, agli Stati Uniti seguirono presto tutti i paesi del mondo; nel 1971 il dena-

ro divenne totalmente a corso legale: i soldi non avevano un corrispettivo valore in oro, ma erano una pura convenzione. È semplice capire come le zecche, oggigiorno, debbano sostenere bassissimi costi di produzione del denaro, a fronte di un guadagno enorme; gli stati impongono a questi istituti una determinata quantità di soldi da coniare (in generale, tanto più alta quanto è meno stabile l’economia del paese), sui ricavati poi riscuote delle tasse, che sono comunque poca cosa, per uno Stato, in confronto a ciò che guadagnano i

maggiori azionisti di queste banche; le banconote prodotte, tra l’altro, sono di fatto non proprietà del cittadino che le possiede, ma della banca (è anche per questo che non si possono distruggere), e lo Stato è tenuto a pagare degli interessi (circa il 3%) sul valore nominale della valuta prodotta, interessi che vanno a pesare sul debito pubblico nazionale. Ma allora perché uno Stato non si fa i soldi da solo? Beh semplice, i banchieri internazionali non lo permettono, minacciando il mercato del paese stesso. Queste persone hanno di fatto il control-

lo della maggior parte del mondo occidentalizzato, e lo esercitano in modi che sarebbero troppo complicati da spiegare su un giornalino scolastico, e che sono argomenti da università di economia. Ma una cosa è molto semplice: il costo di produzione delle monete da 1, 2, 5 e 10 centesimi è di 15 centesimi, infatti queste sono prodotte dalla banca d’Italia e non dalla BCE (che produce le banconote: costo 30 cent). I politici non cambieranno mai la situazione, a meno che non siano dittatori e, a meno che non si voglia un nuovo Duce, svegliamoci!


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v per vendetta

Chi si cela, davvero, dietro la maschera di tanti giovani in corteo a cura di Michele ROMANI (VAs)

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n questo periodo di crisi mi capita spesso di vedere miei coetanei e molte persone in generale rimettere la loro fiducia in qualche simbolo di speranza, quale può essere una religione, o un partito politico oppure anche un movimento su facebook. Ad attirare la mia attenzione qualche giorno fa é stata la frase di un mio conoscente in merito al suo eroe dei fumetti preferito, V per Vendetta di Alan Moore (da cui è anche stato tratto l’omonimo film), secondo lui infatti se avessimo un eroe come V qua in Italia riusciremmo a superare la crisi. È venuto anche a me da pensare quanto potesse essere “ganzo” se esistesse un predicatore di ideali del suo calibro, ma è sulla maschera di quest’eroe che vorrei incentrare la mia riflessione; infatti V sia nel fumetto che nel film è il portatore di un messaggio più antico rispetto alla sua Lon-

dra futuristica, più precisamente ad un tentato attentato avvenuto nel 1605 in un freddo 5 novembre ad opera di un certo Guy Fawkes (rappresentato appunto dalla maschera di V) nei confronti del re Giacomo I e del Parlamento. Ma chi era il signor Fawkes? Sicuramente molti ne hanno sentito parlare, e ovviamente nelle isole britanniche è festeggiato a livello nazionale, ma da quel che ho notato molte persone non sanno bene in che dinamica e per quali ideali ha agito e nel corso della storia in Gran Bretagna si è perso il vero significato, tanto che attualmente chi lo festeggia lo fa quasi esclusivamente attraverso spettacoli pirotecnici più carichi di colori che non di ideali. Guy Fawkes era originario di un villaggio nei pressi di York e proveniva da una famiglia modesta. Durante l’adolescenza si convertì al cattolicesimo e poi si arruolò come soldato: probabilmente durante la sua carriera militare acquisì le nozioni per innescare potenti esplosivi; nel 1604 insieme ad un gruppo di cospiratori cattolici decise

di pianificare la cosiddetta Congiura delle Polveri con l’intento di assassinare in un colpo solo la famiglia reale protestante e i lord aristocratici presenti in Parlamento con l’intento di cambiare lo status quo inglese sia dal punto di vista religioso (da tempo la dinastia regnante era apertamente anticattolica) sia dal punto di vista sociale, infatti a comporre la camera dei Lord c’era una maggioranza di aristocratici scozzesi e quindi “invasori” alleati di Re Giacomo. Tuttavia alla mezzanotte del 4 novembre 1605 i cospiratori vennerò arrestati poco prima che Fawkes riuscisse ad

accendere la miccia che avrebbe distrutto il Parlamento. In seguito a giorni di torture fu costretto a confessare i nomi dei suoi complici, mantenendo comunque la testa alta contro i suoi accusatori e confermando sempre le sue intenzioni e le sue idee. Il gennaio successivo dopo un sommario processo vennero impiccati, decapitati e i loro cadaveri squartati. Perchè quindi ricordarsi di Guy Fawkes nonostante gli ideali non necessariamente condivisibili? Semplicemente egli divenne per i giovani reazionari, soprattutto nell’800, il simbolo della lotta in nome di

un ideale superiore, ovvero il cambio dello status quo nel suo caso, e del sacrificio anche della propria vita in favore di questo ideale. Per questo motivo ancora oggi, nei momenti di grave crisi sociale, ispirarsi ad un simbolo di speranza che sia un eroe dei fumetti o un reazionario morto da secoli può aiutarci a trovare la determinazione necessaria a superare anche il peggiore dei momenti come ad esempio quello che riguarda l’Italia e il mondo in generale attualmente, augurandoci ed impegmandoci per superarlo presto. “Remember, remember the 5th of November”.

La congiura delle polveri 1605

Guy Fawkes


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Le prime vittime dei violenti sono i manifestanti pacifici e le loro legittime rivendicazioni a cura di Luca NOVELLINI e Andrea PIAZZA (IIIAs)

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5 ottobre, Roma, durante Il corteo degli indignati, quello che doveva essere una manifestazione pacifica, a causa dell’intervento dei Black bloc, si è trasformato invece in una vera e propria guerriglia urbana. pochi minuti dopo la partenza della manifestazione sono iniziati gli scontri. La capitale è subito sotto attacco: auto date alle fiamme, vetrine di negozi distrutte, sedi delle banche assaltate e

camionette delle forze dell’ordine bruciate. Ma chi sono i Black bloc, e come sono organizzati? L’etimologia del termine deriva dall’unione delle parole inglesi bloc (che indica una massa compatta di persone) e black (che indica il colore nero, in questo caso l’abbigliamento). Con questo termine si definisce una tattica che ha dato il nome ad un gruppo di individui, prevalente-

mente di stampo anarchico, dediti ad azioni di protesta spesso caratterizzate da atti vandalici, disordini e scontri con le forze dell’ordine. Queste manifestazioni in realtà, come molti erroneamente pensano, non sorgono per l’euforia del momento, quindi spontaneamente, ma sono coordinate da veri e propri “nuclei di comando” che decidono modalità di interventi e obiettivi da colpire. Le proce-

dure sono pressoché le stesse in tutte le manifestazioni; i dimostranti solitamente arrivano soli o in piccoli gruppi, per non destare l’attenzione della polizia, per poi confondersi tra la folla e ricongiungersi al blocco più grande. Inoltre, per evitare i controlli in molti hanno deciso di cambiarsi più volte durante il tragitto, ad esempio erano in maglietta durante i momenti di calma, per poi indossare cappucci e passamontagna durante l’azione. Non a caso per individuare i colpevoli la visione delle immagini da parte delle forze dell’ordine si concentra soprattutto sulle scarpe, che certamente sono rimaste le stesse. Gli investigatori sono convinti che la pianificazione degli scontri sia co-

minciata già da tempo, addirittura si pensa alla scorsa estate. Il mezzo di comunicazione più utilizzato è stato Internet, e soprattutto sono stati usati gli smartphone, che permettono la navigazione senza il rischio di essere intercettati. Durante queste chat si è deciso il ruolo e le dispozioni che ognuno avrebbe avuto. Le comunicazioni si sono interrotte una decina di giorni prima per non lasciare sospetti, anche se ormai era ben chiaro a tutti come procedere. Vietato inoltre entrare nel corteo con i cellulari, per evitare di essere intercettati. Chiunque sia identificato come partecipante al “blocco” potrà essere accusato di associazione a delinquere con finalità di saccheggio e devastazione. In definitiva, riteniamo

non si devono criticare le manifestazioni in sé, ossia per i fini che si propongono, che a occhi di molti possono sembrare giusti, con l’economia del paese che non decolla e i posti di lavoro che diminuiscono di giorno in giorno, ma la loro degenerazione in violenza. Prendersela con auto di privati e negozi infatti non è di certo un atto eroico, annulla l’effetto mediatico e pone in secondo piano il messaggio che si voleva lanciare, rendendo inutile qualsiasi sforzo fatto. Anzi. è ormai evidente che le azioni dei Black block danneggiano prima di tutti i manifestanti pacifici che, comunque, come ha dimostrato la vicenda di Roma, iniziano a prendere le distanze dai facinorosi, arrivando addirittura ad isolarli, in modo da renderli visibili alle forze dell’ordine.


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l’altra manifestazione la violenza ci ha rubato la piazza a cura di Rossana VILLELLA (Italiano e Latino)

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6 Ottobre 2011, ore 10 del mattino, mi sveglio, accendo il PC, scorro le notizie dalle prime pagine dei giornali on line. Avrei voluto leggere che centinaia di migliaia di persone (forse un milione) sono scese in piazza per dimostrare pacificamente la propria indignazione verso un’economia che detta le regole della vita sociale e politica dei paesi del mondo globalizzato; un’economia che diventa fine, anziché mezzo. Vorrei trovare immagini degli striscioni di dissenso, articoli sul contenuto, o meglio sui contenuti, della

manifestazione tenutasi a Roma il giorno precedente. Invece no! Pochi idioti hanno trasformato per l’ennesima volta un movimento di protesta pacifico in una guerriglia urbana. In piazza, insieme a centinaia di migliaia di persone, per proporre un nuovo modo di intendere l’economia globale, c’ero anch’io. 15 Ottobre 2011, ore 5:00, suona la sveglia per me come per tanti altri in tutta Italia. Partenza alle ore 5.45 e svariate ore di viaggio. In migliaia, come me, hanno rinunciato al weekend di riposo per affron-

tare l’alzataccia ed una trasferta romana. Ci siamo alzati avendo ben chiaro in mente il nostro scopo: essere presenti in una manifestazione dal carattere internazionale, per prendere in mano la costruzione del nostro futuro, senza delegarlo ad altri. Abbiamo affrontato le ore di viaggio parlando con gli altri che erano seduti accanto a noi in corriera di come non sia accettabile che un debito creato da una politica economica sbagliata debba essere pagato dalla popolazione. Ore 14.30. Arrivo a Roma un po’ in ritardo, il cor-

teo è già partito. Appena uscita dalla metropolitana ricevo già le prime telefonate delle persone che da casa guardano le auto bruciare lungo via Cavour e che sono preoccupate per me. Capisco immediatamente cosa sta accadendo: qualcuno non si è svegliato con i miei stessi propositi, scommetto che non si è alzato alle 5.00 del mattino. Qualcuno ha deciso che contro una società ingiusta debba esplodere la violenza ed è venuto in piazza con il preciso scopo di opporsi a tutto e tutti. Ore 15.30. il corteo, all’unisono, inizia ad urlare “via, andate via” a quei pochi violenti che stanno rovinando la manifestazione. Il “vero” corteo si ribella, ma non basta, anzi viene preso di mira da quelli che la

stampa definisce “black bloc”. Ore 16.30. mi trovo in un lungo serpentone di gente che scorre lungo via Cavour, senza neanche il sospetto di ciò che in quel momento sta accadendo in Piazza San Giovanni. Iniziano ad arrivare però le prime notizie degli scontri, si vedono ai bordi della strada le auto carbonizzate e le vetrine dei negozi spaccate. Ci si chiede cosa fare. Ore 17.30. Si decide di proseguire e terminare la manifestazione davanti al Circo Massimo; la violenza ci ha rubato la piazza e con essa i contenuti che sarebbero stati proposti dal palco. Un immenso corteo ha sfilato pacificamente per le vie di Roma, ma di questo nessuno si occuperà.

Ore 20.00. Si riparte. Si tirano le somme della giornata ed il sentimento che prevale è l’amarezza. Non voglio fare dietrologia, non mi interessa inseguire polemiche sull’inadeguato servizio d’ordine del corteo o sulla solita accusa di incompetenza, se non addirittura di connivenza, della polizia. Col senno di poi sono tante le motivazioni che vengono in mente e le possibili soluzioni. Quel che è certo è che alle ore 3.15, mentre rientro a casa, mi assale la sensazione di una grande occasione mancata.



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JMJ 2011

“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”(Col 2, 7) a cura di Francesca GROSSI e Benedetta RAVAGNA (IVAs)

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e Giornate Mondiali della Gioventù sono nate vent’anni fa da un’intuizione di Giovanni Paolo II, esattamente la domenica delle Palme del 1984, quando si recarono a Roma per il primo appuntamento migliaia di giovani, molti in più rispetto alle previsioni. La GMG è nata come giornata della Chiesa per i giovani e con i giovani. Non si pone in alternativa o in sostituzione alla pastorale giovanile ordinaria, ma si colloca all’interno di essa come un appuntamento particolare per rafforzare il cammino ordinario. La pastorale giovanile, infatti, si fa giorno per giorno, settimana per settimana nel-

le parrocchie e nei gruppi, nelle associazioni e nei movimenti, attraverso il cammino personale e comunitario, attraverso l’accompagnamento. La GMG è l’aspetto celebrativo, visibile di tutto il lavoro nascosto, e tante volte faticoso, che si fa ordinariamente. Per capire cosa è la GMG però non bastano righe scritte su internet o pubblicate in un articolo di giornale. Per capire veramente le emozioni che può suscitare una GMG la si deve vivere di persona, o per chi non ha questa fortuna parlare con qualcuno che ha partecipato a questo favoloso evento. La XV giornata mondiale della gioventù si è tenuta dal 16 al 21 ago-

sto 2011 a Madrid dove sono accorsi circa due milioni di giovani da tutto il mondo con lo scopo di vivere una nuova esperienza ricca di emozioni e di arricchimento spirituale. Durante questi giorni si sono svolte diverse attività tra le quali le catechesi tenute ogni mattina dai vescovi delle varie diocesi mondiali, incontri culturali e artistici e le liturgie presiedute dal papa. Tra i due milioni di giovani il gruppo maggiore costituito dagli italiani ovvero 90 mila di cui 650 provenienti dalla provincia di Mantova. L’esperienza della GMG è stata molto forte ed intensa. Camminando per le strade di Madrid era come immergersi in una grande festa con giovani provenienti da ogni parte del mondo che con i loro colori, le loro danze ed il loro entusiasmo hanno animato le bellissime vie della città. Il caldo, il sole battente ed un violento temporale che ci ha sorpreso nella veglia, non sono basta-

ti a scoraggiare questo esercito di ragazzi. Stanchi, ma contenti siamo tornati a casa con nuovi amici e con un cuore colmo di gioia. Probabilmente nessuno di noi aveva ben chiaro quale potesse essere il motivo che ci aveva spinto fino a Madrid ma sicuramente la maggior parte dei giovani aveva la stessa aspettativa: condividere una settimana di vita comunitaria e sentirsi parte di un’enorme energia positiva. Per noi ha significato partecipare ad un avvenimento gran-

de, immenso, mondiale e sicuramente unico... un’avventura da vivere. Il fulcro di questa settimana è stata la giornata tra il sabato 20 e la domenica 21 agosto trascorsa a Cuatro Vientos, l’aeroporto militare. Nell’arco di questa notte si sono tenuti i due momenti più intensi: la veglia prolungata fino al mattino e la s. messa tenuta domenica dal papa in persona. E’ stato commovente vedere migliaia di altri ragazzi provenienti da ogni paese della terra riuniti in quell’aeroporto con un

unico scopo: dare atto al mondo intero della forza prorompente della GIOVENTÙ, che ancora sogna di poter cambiare e migliorare la propria vita e ancora sa alimentare la speranza di essere protagonista del proprio futuro. La magica atmosfera ha fatto il resto: era palpabile nell’aria la consapevolezza di sentirci tutti fratelli ,uguali e senza distinzione di razza, colore della pelle o provenienza. Stanchi, ma contenti siamo tornati a casa con nuovi amici e con un cuore colmo di gioia.


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le metamorfosi

Intervista al regista e agli attori a cura di Marta PARENTI e Francesca VIOLA (VAs) è andato in scena al teatro San Carlo di Asola, il 27 ottobre, lo spettacolo le “Metamorfosi“ di Ovidio. La scuola di teatro di Mantova presenta giovani attori che interpretano al meglio i miti raccontati e inseriti dal regista, Raffaele Latagliata, nel contesto dei grandi viaggi del secolo scorso. “Tante sono le ragioni per cui si parte, tanti i destini che si incrociano e le storie che si raccontano, tante le metamorfosi che un viaggio comporta…”. Prendendo spunto da questa premessa ci viene raccontato il cambiamento di un gruppo di uomini e donne, tutti in viaggio verso qualcosa e qualcuno migliore, diversi, in viaggio verso le metamorfosi.

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a dove viene l’idea di reinterpretare le Metamorfosi in chiave novecentesca? L’idea nasce dal fatto che le Metamorfosi rappresentano un cambiamento, una trasformazione. Nella fase teorica dell’elaborazione dello spettacolo, ci siamo chiesti quale fosse l’occasione all’interno della quale avvengono dei cambiamenti nella vita, ed è emerso che il viaggio, anzi, i viaggi in ge-

nerale, sono solitamente un’opportunità per comprendere alcune cose e per cambiarne altre. Si parte sempre per una ragione, che ci porta ad un mutamento, e da qui successivamente l’idea di spostare il cambiamento all’interno di una realtà storica. Qual è stato il viaggio più importante degli ultimi anni? Quello degli immigrati che partono per le Americhe alla ricerca di qualcosa di diverso, di una trasformazione della loro vita, e da

qui l’idea di ambientarlo su una nave. Capita poi molto spesso che all’interno di un viaggio, si entri in una dimensione un po’ particolare, nella quale si è pronti a raccontare delle storie, e ad ascoltarne, per far passare il tempo, quindi da lì è nata l’idea di questi viaggiatori che sul ponte della nave, nell’attesa che passi questo viaggio, cominciano a raccontarsi queste Metamorfosi, questi aneddoti di Ovidio, che sono un po’ un apoteo-

si delle varie leggende, dei vari miti e delle varie storie. C’è un motivo specifico per cui avete scelto questi miti piuttosto che altri? Abbiamo scelto quelli che si prestavano di più ad essere adattati in una chiave teatrale, perché le Metamorfosi sono un testo letterario, e abbiamo dovuto adeguarlo al teatro. In realtà, nello spettacolo ci sarebbe un’altra metamorfosi, ovvero quella di Narciso ed Eco che in questa circostanza non abbiamo potuto rappresentare per problemi di mancanza di un attore nel ruolo di Narciso. Secondo lei, il tema del viaggio e della metamorfosi può essere adattato ad ogni situazione, ad ogni circostanza e ad ogni periodo? Sono temi che fanno da sempre parte dell’uomo e che sono radicati nel suo essere e all’interno della vita di ciascuno di noi, quindi sono universali, sono assoluti e anche oggi trovano un’importante collocazione; chi di noi non fa un viaggio?! Chi di noi, guardando un posto nuovo non pensa a quella che è l’origine dell’uomo o si pone quelle che sono le domande classiche su cui l’umanità si interroga da millenni? Quale metodo avete

usato per interpretare i vostri personaggi? Abbiamo applicato il metodo Stanislavskij, che consiste nel cosiddetto “lavoro sul personaggio”. Il lavoro sul personaggio viene svolto dagli attori durante la parte laboratoriale dello spettacolo e consente di donare una maggior credibilità scenica al personaggio che si sta interpretando. Partendo dal bagaglio interiore ed emotivo di ogni attore si cerca di trovare un affinità con il mondo interiore del personaggio. Si tratta quindi di una rielaborazione a livello intimo di tutte le emozioni che il nostro personaggio prova durante il corso dello spettacolo. Pertanto prima di iniziare a recitare, ci siamo posti delle domande riguardo il nostro personaggio: ad esempio noi non dovevamo sapere semplicemente che partivamo, dovevamo sapere perché lo facevamo, chi eravamo, cosa avevamo fatto prima, cosa avremmo fatto nel nostro viaggio futuro e con quali presupposti andavano incontro a questo nuovo viaggio. Poi scavando all’interno delle nostre emozioni, siamo riusciti ad esternarle sul palco cercando di trasmetterle al pubblico. Qual è la differenza di interpretazione da quando recitate come

narratori a quando recitate come personaggi ? Cambia da metamorfosi a metamorfosi, per fare un esempio nell’episodio di Fetonte, l’attore che interpreta il padre è più confidenziale quando parla col figlio, e più austero quando parla al pubblico. Invece i narratori sono più neutrali, essi stanno assistendo alla vicenda ma non ne sono partecipi. I narratori non prendono parte attivamente alla storia, la vedono, e ne colgono le conseguenze ma non la vivono mai del tutto. Fanno da tramite in modo da riallacciare tutti gli eventi e le sensazioni dei personaggi in primis. Quale pensate sia il messaggio che questo spettacolo vuole comunicare al pubblico? Sempre in ogni momento tutto cambia e tutto si trasforma, tutto è un continuo rinnovarsi (gli attori ridono, ha riportato una battuta del copione, ndr). Queste parole però sono le più adatte: noi viviamo tutto per cominciare sempre a rivivere ogni cosa che ci capita. Il cambiamento è alla base della nostra vita. Non conta la meta ma il viaggio e il cambiamento che c’è all’interno del viaggio, ovvero la metamorfosi interiore che avviene nel corso di esso.


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Music Planet

La rubrica che vi tiene informati sul mondo della musica a cura di Sebastiano CORRADINI e Bruno TRATTA (VAs)

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iao a tutti amici lettori del Falcone Express, benvenuti al primo appuntamento di Music Planet, la rubrica che si occupa di fornirvi informazioni e divertirvi con interviste e news sul mondo della musica. La rubrica nei prossimi numeri si occuperà soprattutto di presentarvi e mettervi a conoscenza delle realtà musicali presenti nel nostro territorio; ma in questo primo numero vogliamo proporvi le nostre considerazioni sui recenti Europe Music Awards, appena avvenuti a Belfast. Gli MTV Europe Music Awards, in sigla EMAs o EMA, sono una manifestazione organizzata dall’emittente televisiva MTV Networks Europe, dove vengono premiati i cantanti e le canzoni più popolari nel continente europeo. La prima edizione degli Europe Music Awards si è tenuta nel 1994, e sebbene vi fosse una scarsa affluenza di ascolti nei primi anni, oggi la trasmissione è diventata molto popolare in tutto il mondo. Gli EMAS si tengono ogni anno in una diversa città europea (l’Italia li ha ospi-

tati nel 1998 a Milano e nel 2004 a Roma). La premiazione viene trasmessa ogni anno dal vivo da MTV e, tra i vari premi assegnati nelle diverse categorie, ve n’è uno per il miglior artista di ogni paese europeo in cui viene trasmesso il programma musicale più famoso della televisione. Generalmente i premi sono assegnati tramite votazioni sul sito ufficiale, in cui gli utenti possono votare i loro artisti preferiti per la candidatura e successivamente decretare il vincitore di ogni categoria. Fra i vincitori più volte premiati nella storia della manifestazione vanno sicuramente ricordati artisti del calibro di Eminem (12 premi), Britney Spears e Lady Gaga (8), Lin-

kin Park e 30 Second to Mars (7). Come già detto, quest’anno è spettato a Belfast , nell’Irlanda del Nord, ospitare l’evento il 6 Novembre scorso. Presentati dalla cantante texana Selena Gomez hanno visto premiati dal pubblico nelle varie categorie,in modo meritato o meno, diversi artisti emergenti con l’amara sconfitta di gruppi come i Coldplay, Foo Fighters, il rapper Snoop Dog e nuove promesse come LMFAO. Ecco i vincitori Best song : Lady Gaga con Born this way Lady Gaga esordisce per la prima volta nell’aprile 2008 e si rivela subito come figura talentuosa e incontrastata nuova voce nell’orizzonte pop; evidenti nel suo stile riferimenti a Madonna, Michael Jackson l’indiscusso re del pop e ai Queen molto apprezzati dalla cantante il cui nome fa riferimento al celeberrimo brano Radio gaga. La sua canzone Born this Way le aggiudica il premio come miglior canzone. Best live: Katy Perry Katy perry con il suo ultimo album Teenage Dream e il tour che ne

consegue riesce ad ottenere un music award incidendo il proprio nome nella storia di Mtv. Best pop: Justin Bieber Il ragazzino canadese vince la categoria Best Pop (per il migliore interprete pop) battendo artisti come Britney Spears e Rihanno i quali possono vantare molta esperienza e bravura nel genere pop: molto probabilmente, senza le sue numerose fan, Bieber non sarebbe riuscito a vincere il premio contro artisti del loro calibro. Best new: Bruno Mars La miglior novità musicale dell’anno 2011, scelto tra altri artisti come Wiz Khalifa, LFMAO e Jesse J, è Bruno Mars, che grazie al suo singolo Just The Way You Are e successivamente The Lazy Song è riuscito a svettare nelle classifiche di ben 9 paesi. Ben fatto! Best male: Justin Bieber Anche qui Justin si aggiudica il premio come migliore interprete maschile spazzando via la concorrenza di candidati come David Guetta, Kanye West e Eminem: e anche qua ci duole dire che il canadese vince il premio grazie alle sue agguerrite fan, più che per meriti personali. Best female: Lady Gaga L’erede di Madonna (come sono ormai soliti chiamarla i critici musicali) si aggiudica anche il premio come miglior

interprete femminile, superando artiste candidate come J-Lo e Beyoncè. Best hip hop: Eminem. Ormai diventato una leggenda vivente della musica, con i suoi 10 album, 1 premio oscar per la colonna sonora del suo film 8 mile e 12 grammy awards è un vero e proprio veterano del mondo dello spettacolo: l’ennesimo music award è la sintesi di una vita di alti e bassi, gloria e fallimento raccontati in tutti i suoi album. Best rock: Linkin Park I Linkin park sono forse il gruppo più innovativo nell’orizzonte rock dell’ultimo decennio: fondendo un hard rock anni ’90 con il più melodico rap esistente sono riusciti a creare uno stile unico e all’avanguardia seguito poi da molti altri gruppi. Dopo la colonna sonora della trilogia di Transfermers il music awards era d’obbligo! Best video: Lady Gaga con Born this way. La canzone che le ha fatto vincere il premio nella categoria best song le procura (meritatamente) la nomination e la successiva vittoria anche nella categoria per il miglior video. Best alternative e Best world stage: 30 second to Mars. Vincono addirittura 2 premi ! sicuramente la voce esplosiva di Jared Leto mista a melodie inusuali per un grup-

po nu metal rappresenta quell’alchimia necessaria per eccellere come miglior gruppo progressive rock. Best push: Bruno Mars Anche qua Bruno si rivela capace di spuntarla e vincere il premio Best Push Act, per la nuova miglior promessa, portandosi a quota 2 premi sui 4 per cui era candidato. Biggest fans: Lady Gaga Lady Gaga non si ferma più: dopo una dura lotta con Justin Bieber, ma anche con band come Paramore e 30 Seconds to Mars riesce ad accaparrarsi anche il premio per il maggior numero di fans. Worldwide act: BIGBANG. Con la loro musica metropolitana e il loro look eccentrico, i BIGBANG sono una delle band più cool della Corea. Grazie al loro grande seguito di fan in tutto il mondo hanno battuto artisti candidati a questa categoria come Britney Spears, aggiudicandosi il premio per il miglior gruppo straniero e entrando nella storia della manifestazione. Il nostro spazio per questa puntata è terminato, speriamo che vi sia piaciuto il primo appuntamento con Music Planet e vi invitiamo a continuare a seguirci nel prossimo numero! Ciao a tutti!


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Inside Job

Un film che guarda in faccia la realtà a cura di Giulia TONINELLI (IAs)

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a crisi che attualmente il mondo sta vivendo e che noi, in prima persona, vediamo avanzare, è l’ emergente protagonista di moltissimi film che, trattano in modo diverso quello che la gente sta passando. Chi, come in The Company Men, ci aggiunge una storia d’amore e qualche lacrima, per un affarista che da Porche e stipendio a sei cifre passa a fare il muratore, o chi un film del genere lo aveva messo in scena settanta anni fa, parlando della crisi del 29, come John Ford nel suo famosissimo Furore; ma ancora tante altre sono le storie, i film e i documentari raccontati da registi di tutto il mondo. In effetti, qual è l’argomento sulla bocca di tutti negli ultimi anni? Cosa si legge sui giornali? Cosa dicono i notiziari? Tutto quello che viviamo gira intorno alla crisi economica mondiale. A mio parere però, un solo film, mostra tutti gli aspetti della crisi, senza trovare scuse

per nessuno dei colpevoli e senza dare false illusioni dove è impossibile trovarle, un film pluripremiato, un film che, come dice lo stesso titolo “ci è costato più di ventimila miliardi di dollari”, questo film, diretto da Charles Feruston è Inside Job. Un documentario, che non solo spiega nei dettagli il “come” è scoppiata questa crisi, ma anche il “perché” è scoppiata, perché nessuno ha fatto qualcosa per impedirla, perché è saltato fuori tutto nello stesso momento e perché la crisi si è diffusa in tutto il mondo con tanta ra-

pidità, come una macchia di petrolio in un mare che all’apparenza sembrava limpido. Dichiarazioni che fanno rabbrividire, persone, che sono sempre sembrate leali e oneste che negano l’ovvio di fronte alle domande apparentemente facili ma in fondo troppo complicate e politici che si danno la colpa a vicenda; nessuno scrupolo, niente mezze misure, ricerche e interviste rivolte a chi è ai vertici del mondo della finanza e della politica. Questo film aiuta, infatti, a ripercorrere passo dopo passo quello che è successo al mondo e mette a nudo, senza paura, i rapporti tossici che hanno inquinato la politica. Possiamo vedere un Eliot Spitzer, governatore di New York e Procuratore generale dello stato di New York, arrabbiato e deluso e grandi personaggi come Volcker, Frank e Soros, tutti importati uomini politici e giornalisti, che rimangono ammutoliti non sapendo come rispondere alle domande che

gli vengono proposte. Non voglio però, dilungarmi troppo su quello che potrete vedere e capire guardando questo film e per questo non aggiungo altro sulla trama del documentario, ma una frase, più di altre può far capire quello che il film intende trasmettere. È raccontata, con grande speranza nella voce, dal narratore dell’intero film, l’attore americano Matt Demon. Negli ultimi minuti del film infatti, la telecamera inquadra il monumentale Empire State Building e una voce leggermente emozionata conclude il bellissimo documentario con una frase che riaccende un po’ di speranza ad una semplice persona che per 120 minuti ha temuto il peggio per l’economia mondiale: “Gli uomini e le istituzioni che hanno causato la crisi sono ancora al potere, e questo deve cambiare. Ci diranno che abbiamo bisogno di loro e quello che fanno è troppo complicato per noi da capire. Ci diranno che non succederà più. Spenderanno miliardi per combattere una riforma. Non sarà facile. Ma per certe cose, vale la pena combattere.”

Adesso AL al cinema ADESSO CINEMA L’amore all’improvviso - Larry Crowne ADESSO ALesemplare CINEMA Larry, 45 anni, capo commesso di un ipermercato americano, viene licenziato a causa della crisi e decide di iscriversi all’università, dove conosce ADESSO AL CINEMA la bellissima professoressa Mercedes... Tom Hanks e Julia Roberts in una commedia che trova la bellezza di ogni attimo nell’epoca della recessioADESSO AL CINEMA ne e dei licenziamenti e del bisogno di re-inventarsi. The company men ADESSO AL CINEMA Bobby Walker vive il sogno americano: ha un lavoro ben pagato una bella famiglia e una macchina sportiva in garage. La sua vitaAL viene però sconvolta quanADESSO CINEMA do la multinazionale per cui lavora, a seguito di una fusione con un’azienda più grande, lo licenzia insieme ai suoi colleghi Phil e Gene. sono quindi coADESSO ALI treCINEMA stretti a ridefinire radicalmente la loro vita da uomini, mariti e padri. Bobby va a lavorare nell’impresa ADESSO AL edile del cognato Jack Dolan, dove laCINEMA sua abilità negli affari non è certo richiesta. Brillante film drammatico con Ben Affleck e KevinAL Costner. CINEMA ADESSO ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA ADESSO AL CINEMA


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un piccolo gesto... per un grande aiuto

La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai a cura di Hasani Azra (VAitc) di, un’altra parte alla Casa del Sole di Mantova e per la piccola parte rimanente alla Caritas della zona. La soddisfazione maggiore l’abbiamo colta nell’emozione di aver ricevuto una lettera ed una foto di NimeIl banchetto per la vendita di rien NdayikenStelle e torte, durante i colloqui guwkiye, uno dei generali dello scorso anno due ragazzi che, grazie al nostro aiuto, usufruisconche quest’anno no dell’istruzione e delabbiamo deciso le cure mediche stando di crederci. nel loro Paese d’origine, Da parecchi anni in ocil Burundi. casione del Natale, gli Naturalmente il merito studenti della quinta del successo di tale proA dell’Istituto Tecnico Commerciale si occupa- getto va attribuito a tutno di un progetto di be- ti gli alunni, i docenti ed il personale dell’Istituneficenza. Con il ricavato dalla ven- to che ogni anno hanno contribuito acquistando dita di stelle di Natale e stelle e torte ed offrendi torte fatte da noi studosi a fare delle torte denti, riusciamo a doper far fronte alle numenare un sorriso a chi è rose prenotazioni. meno fortunato. Si coglie anche l’occasioSiamo convinti che basti anche un piccolo ge- ne dei colloqui dei gesto per rendere migliore nitori in occasione dei quali viene allestito un la vita di chi vive in difbanchetto in cui cerchiaficoltà. mo, mostrando l’idea, di L’anno scorso, a Natale, raccogliere prenotazioni si è raggiunta la soglia o di vendere direttadi ricavo di ben 2100€ mente le stelle. e questo ci ha permesInoltre il ringraziamento so di fare donazioni per maggiore va alla sig.ra una parte in Burun-

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Preside che ha permesso ogni anno la continuità di questa iniziativa di solidarietà accogliendo sempre con interesse le proposte di noi studenti che ci impegniamo per migliorare sempre più il rendimento. La scuola è anche questo, un’occasione per sentirsi utili, per donare con poco il calore e la volontà di dare un aiuto a chi non ha la possibilità di essere circondato dalla gioia di vivere. Noi, grazie a voi gliela possiamo donare, non è difficile: Acquista anche tu una stella o una torta e sarai la ragione di un sorriso.

Nimerien, uno dei due ragazzi a cui giunge la nostra solidarietà e l’emozionante lettera che ci ha inviato


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il fascino dell’inchiesta giornalistica una stimolante conversazione con Stefania DIVERTITO a cura di Giulia ANELLI (IVAs)

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abato mattina presso il nostro istituto, in occasione della terza edizione del Book feast asolano, gli studenti hanno incontrato la giornalista Stefania Divertito la quale ha trattato dinamicamente il tema dell’inchiesta giornalistica. Dopo una breve introduzione sulla biografia della giornalista tenuta da un relatore esterno, Stefania prende parola presentandosi in prima persona e illustrando la propria esperienza in campo giornalistico senza tralasciare le difficoltà incontrate. Stefania scrive per la prima volta all’età di 16 anni incaricata, dalla redazione di un quotidiano napoletano, di stendere un articolo relativo ai vari modi in cui i giovani trascorrono il momento della ricreazione a scuola. In un primo tempo l’elaborato breve e sintetico non risponde a pieno alle richieste del redattore il quale alteratosi leggermente invita Stefania a effettuare una ri-

Stefania Divertito è nata a Napoli il 22 aprile 1975. Laureata in scienze politiche, giornalista professionista, ha lavorato per Il Giornale di Napoli, Avvenimenti, Agenzia Giornalistica Italia (Agi). Attualmente è redattrice del quotidiano nazionale Metro, per il quale ha ricevuto il Premio Cronista Piero Passetti 2004 per l’inchiesta, durata quattro anni e pubblicata sul quotidiano Metro, sull’uranio impoverito. Ha pubblicato Il fantasma in Europa. La Bosnia del dopo Dayton tra decadenza e ipotesi di sviluppo, Il Segno dei Gabrielli, Verona, 2004 (con Luca Leone); e per Infinito edizioni, il saggio Uranio. Il nemico invisibile (2005)

cerca più approfondita, recandosi in prima persona nei vari luoghi e attingendo notizie dal dialogo diretto con le persone. Da quel momento Stefania inizia una progressiva specializzazione sul giornalismo d’inchiesta incentrato su tematiche ambientali in particolare sulla tutela. Conclusa la testimonianza la giornalista con un tono molto accattivante chiarisce ai ragazzi il ruolo del giornalista e il comportamento che deve assumere facendo riferimento al suo primo caso d’inchiesta ambientale sull’uranio impoverito. Alla professionista nel settembre 1999 giunge notizia della morte per leucemia del soldato italiano Salvatore Vacca ritornato in Italia dopo 6 mesi di missione in Bosnia. Nessuna difficoltà nel dare inizio all’indagine se non nella gestione di due fonti contrastanti quali il pianto della madre Giuseppina Vacca, la quale sostiene che la morte del figlio deb-

ba nascondere delle responsabilità e che non era un semplice caso del destino, e l’esercito che giudica l’accaduto come un puro e semplice accidente di leucemia fulminante. Ecco come il giornalista deve essere “controllore dei poteri” ovvero l’intermediario tra il lettore e le fonti e controllare perciò attraverso l’inchiesta la veridicità della situazione anche a costo di risultare invadente e di “rompere le scatole”. Durante la conferenza Stefania non cessa di incitare i giovani ad avvicinarsi al giornalismo e all’inchiesta criticando la pigrizia dei giornalisti che è costantemente presente generando cosi un modo errato di usare i termini e di dare troppo spazio al chiacchiericcio. Procede poi illustrando due possibilità di giornalismo d’inchiesta, rispettivamente il giornale locale, soggetto in maniera più lieve alla pigrizia dei giornalisti e dei capi redattori e il libro ritenuto autorevole solo se è sottratto alla censura e dal potere economico delle redazioni. Dopo aver citato un libro scritto da uno scrittore americano in prima persona riguardo alla guerra d’Iraq, sotto-

lineandone la stranezza dal momento che il giornalista o lo scrittore deve sempre agire in terza persona e rimanere esterno alla vicenda, e esposto il suo libro Amianto come un racconto scientifico e umano sul contatto dell’uomo con l’amianto, Stefania conclude con la presentazione della sua prossima inchiesta che avverrà a Firenze per testare in prima persona cosa succede all’ambiente italiano partendo da ciò che lei stessa ha scritto, mentre viaggiava, nel libro “l’impegno di avvocati e magistrati per la difesa dell’ambiente”. Un caloroso applauso definisce quella conversazione che sfocia in un attivo e coinvolgente dibattito: dopo aver chiesto ai ragazzi quali giornali preferiscono Stefania risponde alla domanda dell’assessore alla cultura Francesca Zaltieri sul motivo per cui in linea di massima sui giornali si insiste su litigi, polemiche, aspetti gossip e si accentua sempre la spaccatura e la discussione che sminuiscono la fiducia dello spettatore. In modo deciso la giornalista ribadisce che l’assenza di notizie effettive va a scapito del giorna-

le inteso come “prodotto economico” poiché risulta avere un minore mercato. L’insistenza sul gossip serve per “risparmiare energie” e per rendere più immediata la notizia, ed è per questo che internet e “io reporter” risultano essere più efficaci dal momento che c’è più notizia e meno testimonianza. Alla pigrizia dei giornalisti e dei capi redattori si unisce il problema economico degli editori poiché il giornalista che resta in redazione e copia le notizie da “google news” ha costi decisamente inferiori. Stefania infine esprime il suo pensiero riguardo alle catastrofi naturali e agli alluvioni che recentemente hanno devastato intere città e villaggi considerando responsabili sia i cambiamenti climatici sia una cattivissima gestione del territorio da parte di chi amministra, il quale approva la costruzione di edifici laddove la conformazione del territorio non lo permetterebbe. La giornalista lancia dunque l’invito finale di rispettare le regole geologiche e di impegnarsi per la tutela dell’ambienta e la testimonianza della verità ad ogni costo.


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alla ricerca della felicità

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Ci ha lasciato un grande campione. Una cosa però ce l’ha insegnata: Non mollare mai!

Partecipa anche tu al concorso fotografico di FXP a cura di Enrico TONINELLI (VAs) e Silvia TONINI (VBs)

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aro, anzi Carissimo, lettore, chi ti scrive è ormai vecchio e sta per andarsene (si spera) da questa scuola. Purtroppo non sono (presumibilmente) l’unico a andarmene da qui, ma anche la nostra fotografa ufficiale, Alice Ferro, ha una certa età e l’anno prossimo non potrà più prestare i propri servigi alla redazione di FXP. Siamo quindi alla ricerca di nuovi fotografi con buone capacità, ma soprattutto con tanta voglia di fare, che contribuiscano ad abbellire il nostro giornalino d’istituto con i loro scatti. Quindi cosa c’è di meglio di un concorso fotografico? Un po’ di sana competizione non guasta mai ed inoltre non saremo noi della redazione a scegliere le migliori foto, ma gli studenti stessi con delle elezioni a suffragio studentesco indette circa 15 giorni prima dell’uscita di un nuovo numero di FXP; la votazione si svolgerà con la collaborazione dei vostri rap-

presentanti di classe che, sfruttando un momento di pausa della giornata, raccoglieranno i voti e li consegneranno al bar. I voti verranno scrutinati per il numero successivo di FXP e verrà eletto il vincitore. La foto, che dovrà essere inviata a redazionefxp@ iisfalcone.it, dovrà avere le seguenti informazioni allegate: - nome del fotografo e classe - data dello scatto - luogo dello scatto - titolo (importantissimo!) Ogni studente potrà inviare solo una foto per ogni numero di FXP e quelle giunte in redazione entro la data prefis-

sata verranno esposte in punti strategici affinché tutti possano ammirarle (bar, bacheca al quadrato, palestra) e rimarranno esposte fino al giorno della votazione. Ecco le informazioni utili per il prossimo numero di FXP: - Tema: FELICITÁ (sbizzarritevi il più possibile, perché ciò che impressiona è l’originalità) - Data di scadenza per l’invio delle foto in redazione: 14/01/2012. Ovviamente non sarà preclusa a nessuno la possibilità di partecipare con i propri scatti ai numeri del giornalino dell’anno prossimo, ma chi si sarà impegnato con costanza quest’anno, avrà sicuramente un ruolo più rilevante l’anno prossimo. Importante! Ogni foto dovrà essere ESCLUSIVA, ovvero su internet non deve trovarsi una foto simile a quella inviata, pena l’esclusione. Grazie in anticipo per la tua partecipazione.

a cura di Enrico TONINELLI (VAs)

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3 ottobre 2011, sull’asfalto del circuito di Sepang in Malesia perde la vita Marco Simoncelli, un promettente pilota di soli 24 anni che correva in MotoGP con il team Gresini. Il mondo dei motori (già scosso dalla morte di Dan Wheldon sopraggiunta la settimana precedente), dello sport e non solo viene colpito da questo tragico evento e la commozione per la morte di questo giovane campione pervade il nostro paese e il web. I fans mostrano tutta la loro partecipazione pubblicando, sui social network link, foto e video del grande Su-

per Sic. Ma sono le parole che contano, si vedono quindi commenti di cordoglio e carichi di quelle emozioni che difficilmente una persona riesce a gestire quando si perde qualcuno a cui si voleva bene. Non era certo un parente o un amico che vediamo tutti i giorni, ma il ricordo della simpatia e della semplicità di questo ragazzo che ci raggiungeva attraverso giornali e televisioni ci ha reso un po’ tutti tristi davanti ad un così tragico evento. Purtroppo questa fa parte di quelle cose che non vorresti mai sentire, nè vedere. Già, vedere. E rivedere aggiunge-

rei, perché un incidente dove perde la vita un pilota fa notizia e la gente vuole la notizia. Così si mandano non una, ma innumerevoli volte le tragiche immagini dell’impatto solo per fare più audience. Un appassionato, ma anche un comune essere umano, dopo che ha visto due volte l’incidente (una per credere l’altra per comprendere) non vuole rivedere più un momento così infelice perché ogni volta è un colpo al cuore. L’idea di mostrare immagini drammatiche non è certo una novità, l’abbiamo visto con la morte di Gheddafi, dove il vi-


FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS dicembre 2011

deo del linciaggio brutale dei ribelli è stato tranquillamente mandato in onda sui più importanti tg nazionali in fascia protetta. Per quanto riguarda l’accanimento giornalistico, non solo la famiglia di Marco è sta-

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ta vittima di interviste e richieste di commentare la morte di un proprio caro. Ma se guardiamo il mondo della cronaca nera, la televisione e i giornali ci ripropongono, giorno dopo giorno, le stesse storie, rimesco-

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late, farcite di notizie false così da poterle smentire il giorno successivo. Marco non ha fortunatamente a che fare con efferati delitti o crimini brutali. Era un ragazzo che correva la sua passione e a chi gli chiedeva se non avesse paura di morire in un incidente rispondeva: “No, si vive di più andando 5 minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in una vita intera”. Una risposta che sa ancora di gare di altri tempi, dove l’assenza quasi totale di sicurezza lasciava sugli asfalti dei circuiti di mezzo mondo molti piloti, e chi correva non aveva paura di morire perché chi corre sente il rischio, ma anche la voglia di fare sempre di più, e ci si ammala così di velocità. Un insegnamento il Sic ce l’ha dato: non mollare mai. Lui non l’ha fatto, portando fino alla fine la sua passione. Ricordare Marco è giusto, ma forse il modo migliore l’ha proposto suo papà Paolo con un minuto di “casino” in cui tutte le moto iscritte al motomondiale, hanno girato sul circuito di Valencia. Un momento sicuramente commovente e unico nel suo genere. Che sarà sicuramente piaciuto a Super Sic che dall’alto avrà fatto casino con loro.

Sportlife

Il profeta Andrea Zorzi, 205 cm di saggezza, istruisce i giovani falconiani alla devozione al “Dio Sport” a cura di Chiara PIVA (IVAs)

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enerdì 4 Novembre. Un Teatro S.Carlo così gremito e partecipe non si vedeva da tempo. Numerosissimi gli studenti della scuola del Falcone che hanno assistito con interesse alla conferenza tenuta dal famoso superatleta Andrea

Zorzi, che tramite il progetto “tracce di Sport”, sta girando per tutta Italia al fine di trasmettere alcuni valori che solo lo sport può infondere in modo così radicale. Due ore di discorsi non retorici, non atti a pavoneggiarsi della propria esperienze, ma al con-

trario due ore istruttive, nelle quali si respirava profumo di movimento e condivisione. Infatti lo sport, come ha detto l’atleta, non è solamente il nuoto, il basket, la pallavolo, non è legato necessariamente a vincoli di squadra e a prestazioni agonistiche. La paro-


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la “sport” implica anche una semplice corsetta quotidiana, una camminata a ritmo sostenuto, un giro in bicicletta. E’ uno stile di vita. Attraverso esso possiamo raggiungere un miglior rapporto con il nostro corpo. “Io ho cominciato pallavolo a 16 anni perché ero altissimo e le ragazze che invitavo a ballare rifiutavano sempre a causa della mia smisurata altezza, e la vivevo malissimo”. E’ questa l’esperienza del pallavolista Zorzi che consente di essere credibile nella trasmissione di valori quali, in primo luogo, l’accettazione di noi stessi. Attraverso lo sport riusciamo a scaricare la rabbia causata da

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problemi quotidiani. Molti ragazzi per esempio continuano a praticare una disciplina nonostante gli impegni scolastici perché funge da “riscatto”, è un’occasione nella quale ci si può sfogare. Nonostante la sua utilità indiscutibile, molti sono spinti a continuare per “la fama di successo”, è questo è anche un po’ colpa di mamma tv. Provate a chiedere ad un ragazzo dai cinque ai vent’anni che gioca a calcio perché lo fa… nessuno vi dirà “per lo spirito di squadra” o “perché mi aiuta nella vita”; le uniche risposte saranno “per guadagnare” o “per avere fama” o ancora “per diventare come tal giocatore”. Il problema è proprio questo: lo sport è diventato un datore di lavoro che paga fior fior di soldi i propri “operai”… ma non in tutti! Ci sono ancora delle di-

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scipline sottopagate e possiamo accorgercene durante le Olimpiadi: paragonate per esempio gli atleti di ginnastica artistica a quelli di nuoto. Il confronto è presto fatto: i primi sono semisconosciuti, sottopagati e costretti a fare un secondo lavoro per potersi mantenere … ora, pensate che Federica Pellegrini, tanto per nominarne una, abbia un lavoro supplementare? Quella Federica che vediamo sgranocchiare Pavesini in televisione e ospite a Verissimo perché in prima pagina sui rotocalchi? Bisognerebbe dare un’uguale possibilità ad ogni sport di essere praticato: non è giusto che un ragazzo se desidera giocare a scherma debba allenarsi a Cremona mentre per giocare a pallavolo gli basta pedalare cinque minuti e ha già raggiunto la palestra! Non è vero che tutti gli sport sono uguali, per niente, in quelli meno conosciuti c’è maggior consapevolezza del sacrificio, e di quanta fatica sia richiesta per raggiungere i livelli alti. E in proposito mi viene in mente la citazione del mio insegnante di Educazione Fisica, che spesso ci dice che “chi non fa sport è uno stronzo”.

Michele BERTOLETTI (VBs)

dicembre 2011


FXP - Falcone express anno V - numero 1 - dicembre 2011 Organo di stampa ufficiale dell’Istituto “Giovanni FALCONE” via Saccole Pignole, 3 - 46041 Asola (Mn) tel. 0376.710423 - 710318 / fax 0376.710425 e-mail redazionefxp@iisfalcone.it blog: falconexpress.altervista.org Reg. Trib: di Mantova n. 2292/07 del 17/05/2007 Dirigente scolastico: Gianna DI RE Direttore responsabile Antonio CIRIGLIANO Vicedirettore Fabrizio COPERTINO Direttore editoriale Benedetta TURCATO Direttore blog Joned SARWAR Direttore marketing Francesco PASINI Vicedirettore marketing Marta PARENTI Redazione Antonio CIRIGLIANO Fabrizio COPERTINO Agnese BOLZONI Francesco PASINI Michele ROMANI Joned SARWAR Rossana VILLELLA Enrico TONINELLI Benedetta TURCATO Rapporto con il territorio e con le Istituzioni Michele ROMANI

Grafica Letizia DOSSENA Gianluca GORINI Davide SORESINA

Silvia TONINI Bruno TRATTA Rossana VILLELLA Francesca VIOLA

Fotografia Alice FERRO

Hanno contribuito alla realizzazione e alla promozione di FXP Dirigenza Segreteria Personale ATA Provincia di Mantova

Firme Edizione anno V Daniela ANDALONI Giulia ANELLI Hasani AZRA Veronica BERTANI Michele BERTOLETTI Fabrizio COPERTINO Sebastiano CORRADINI Massimiliano GALLI Michelle GALLI Francesca GROSSI Andrea MANISCALCO Paolo MUSONI Luca NOVELLINI Marta PARENTI Francesca PASQUALOTTO Andrea PIAZZA Chiara PIVA Benedetta RAVAGNA Michele ROMANI Ermanno Andrea ROSA Joned SARWAR Stefano SOLAZZI Alessandro SPEZZAFERRI Enrico TONINELLI

Responsabile della distribuzione Marko HAJDARI Stampe Arti Grafiche Chiribella SAS Bozzolo (Mn)



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