D'APRÉS DUCHAMP - PIERO CAVELLINI PER KANALIDARTE

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DAPRESDUCHAMP




D’APRÈS DUCHAMP



Un particolare ringraziamento a Fondazione Berardelli Fondazione Bonotto Galleria Alessandro Casciaro Galleria Tucci Russo



Molte potrebbero essere le argomentazioni da affrontare in questo mio pensiero introduttivo: i motivi della nascita di un nuovo spazio espositivo, le ragioni di una mostra, l’idea fondante una nuova Project Gallery di Kanalidarte, la scelta di affiancarsi ad un compagno di viaggio ... Lascio per questo e senza riserve alle chiare e puntuali parole di Piero Cavellini, cui oramai sono legata come in matrimonio di convenienza intellettuale. Quello che qui vorrei invece sottolineare con fermezza è il concetto di “fortuna” (e nella fortuna un pensiero implicito di riconoscenza) nel poter condividere una visione. Visione non mia, sfortunatamente, ma di chi con gli occhi ha direttamente potuto godere di una o molteplici situazioni (macro o micro che sia la categoria a cui un fare artistico possa appartenere). Io, dal canto mio, ne posso essere solo testimone indiretto, osservatore lontano, mediato dallo sguardo e dal vissuto di un altro da sé. Il mondo è quello artistico di un tempo che fu, cui Piero Cavellini mi ha permesso, scuotendomi, di sbirciare, aprendo lo sguardo e la prospettiva di chi guarda o ri-guarda ad un fare arte che trova, appunto, nel Magnifico Duchamp la scintilla, la miccia, la meteora, senza la cui dissacrante dirompenza tutto sarebbe non quello che è stato. Quello che Piero ha voluto qui fotografare è una visione d’insieme, uno scatto di un sentire che in quei meravigliosi anni Sessanta ha inondato le strade dell’arte con una vis creativa originale e senza precedenti e che trova indubbiamente nell’object trouvé duchampiano il seme germinante di un’ era dell’arte tutta nuova. Prende quindi per la prima volta forma un progetto affascinate e al contempo coraggioso risalente al 1985, pensato da Piero Cavellini e dall’amico artista Antonio Faggiano tra le interminabili chiacchierate che sanno di fumo in una Milano dalle grandi emozioni. Duchamp e le sue opere a fare da faro ad un percorso che si snoda visivamente e intellettualmente tra le ricerche di artisti concettualmente sensibili ad un’ arte senza arte. Ecco qui... la mia fortuna, a passeggio con Piero, la condivido con chi, a questo punto, non ha che da guardare! afra canali



The topics to address in these introductory comments could be many: the reasons for the creating a new exhibition space, the reasons for an exhibition, the idea behind a new Project Gallery of Kanalidarte, the decision to join forces with a partner in this journey... I leave this unconditionally to the clear and timely words of Piero Cavellini, to which I am now inevitably linked as if in an intellectual marriage of convenience. What I would rather heavily emphasize, is the concept of "luck" (and an implicit gratitude pertaining to luck) in order to share a vision. A vision that, unfortunately, is not mine, rather, it belongs to those that with their eyes have directly been able to enjoy one or multiple situations (whatever size or scope the artistic category may be). As far as I am concerned, I can only be an indirect witness, a distant observer, mediated by the view and life experience of another. Piero Cavellini has allowed me to enter the art world of another time, awakening me, urging me to peek into it, opening the perception and perspective of the beholder or of those taking a look once again at art that found, in the Magnificent Duchamp, the spark, the fire, the meteor, whose irreverent disruption created all that has been. What Piero wanted to photograph, is an overall view, a snapshot of a feeling that in those wonderful Sixties flooded the art world with original and unprecedented creativity, and that undoubtedly sprouted, from the Duchamp's found objects, into a whole new era of art. Thus, unlike those endless projects that went up in smoke smoking chat in a Milan filled with great excitement, for the first time, a fascinating and at the same time courageous project takes shape, dating back to 1985, designed by Piero Cavellini and by his artist friend Faggiano. Duchamp and his work will act as a beacon to a path that visually and intellectually weaves in search of conceptual artists sensitive to an art without art. It is here, that I have found... my luck, partaking in Piero's journey, I look forward to sharing it with those who, at this point, need to do nothing more than take a look! afra canali



D’APRÈS DUCHAMP Un senso di forte complicità tra il lavoro di alcuni artisti ed alcuni galleristi a partire dai primi anni Settanta e per almeno un decennio penso sia stata una caratteristica peculiare di allora, che in seguito si esaurì nell’enfasi di una modificazione dei rispettivi ruoli ed esigenze col prevalere del mercato sulla relazione. In quel contesto sia dal punto di vista culturale che dell’operatività la matrice duchampiana venne riscoperta da una nuova generazione post-bellica come un antefatto preminente ed adatto a sostenere le istanze di un mutamento sociale ed espressivo che la permeavano. Fu al culmine di quell’ambito, anzi al suo esaurimento come se ci si volesse frapporre alla sua estinzione, che nacque, da una relazione appunto, l’idea che diede forma a questo progetto. Era il 1985 e già da alcuni anni una valanga negazionista dell’avanguardia storica stava imperversando nel bacino occidentale, forse spinta da comprensibili esigenze d’uscita dal vicolo cieco in cui la sostanza dell’opera si era cacciata ma inevitabilmente arenata in una pulsione espressiva pittorica spesso senza alcun padre storico a sostenerne le certezze ed in molte opere senza una forma originale a dotarle di un’aura artistica. Fu appunto allora che, in controtendenza, come difensori di una razza estinta od in estinzione, noi due coautori mettemmo mano, ognuno dai rispettivi ambiti e competenze, ad un tentativo di razionalizzazione delle nostre matrici raccogliendone i frammenti essenziali per relazionarli con buona parte del nostro presente. Partendo da queste idee la complicità poi fece il resto. Dei due coautori l’uno, l’artista Antonio M. Faggiano, si era impegnato in precedenza in una minuziosa esegesi del lavoro di Marcel Duchamp per fornirsi uno specchietto interpretativo che gli desse modo di elaborare una propria filologia artistica derivata dalle tipologie di opere dell’autore preso in considerazione da cui concretizzò un notevole corpo di carte che intitolò “Duchampiana”. Da questa operazione era uscito uno spartito composto da tre aree interpretative che forniscono appunto l’ossatura dello specchietto da cui prese forma il progetto.


L’altro, io stesso, allora gallerista molto vicino all’autore, ed impegnato da anni nella promozione del lavoro di una generazione di artisti contemporanei ed al tempo attivo anche sul mercato dell’arte dadaista contribuendo a formarne una delle più felici collezioni italiane, talmente coinvolto con l’artista da frequentarlo spesso impegnandosi con lui in discussioni che furono essenziali all’emancipazione di entrambi sui problemi che l’arte imponeva. Lo studio che spartivamo a quell’epoca in via Dal Verme nel quartiere Isola a Milano a due passi dalla mia galleria, fu il luogo in cui in un pomeriggio afoso di prima estate elaborammo, come esplicito consuntivo delle idee che tra di noi stavamo discutendo a quel tempo, il nostro progetto espositivo “D’après Duchamp”. La nostra specifica conoscenza e frequentazione di un panorama di artisti contemporanei che appartenevano appunto ad una generazione che in qualche modo, a volte anche inconsciamente, esprimeva nel proprio lavoro un’ attenzione, direi una discendenza culturale, che del lavoro di Duchamp non poteva non tener conto, ci diede modo di compilare assieme un elenco di nomi che potessero completare uno schema di appartenenza in cui ciascuno potesse essere abbinato ad ognuna delle specifiche caratteristiche dei temi in cui era stato sommariamente suddiviso il suo lavoro. Un semplice gioco ad incastri che avrebbe potuto essere anche del tutto diverso se, nelle nostre scelte non avessimo tenuto conto di una certa personale vicinanza con gli autori e della facilità con cui avremmo potuto recuperare le opere affinché il progetto si fosse potuto più facilmente realizzare. Evento che non avvenne. Chissà? Forse per pigrizia o per appagamento come una sorta di gioco interrotto o meglio per un clima di allora poco favorevole a memorie che c’era più il desiderio di allontanare piuttosto che sottolineare. Come siano ora cambiati i tempi forse conta poco. Che per una nuova generazione di artisti sbocciata negli anni Novanta il parallelo risulti ora ininfluente fa parte del ricambio generazionale anche se questi ultimi figli sembrano sentire l’esigenza di scoprire ed approfondire la ricerca interrotta dei padri ormai lontani nel tempo. Ai tempi della stesura del nostro progetto questo presentimento


appariva alquanto imprevedibile ed i “tempi bui” oscuravano la speranza di un ripensamento futuro. Tutti sanno come andò questa storia e sebbene io in questa occasione abbia avuto l’esigenza personale di ripercorrerla non credo ci sia altro da aggiungere. La liquidità del presente ha smussato ogni contrapposizione e riproporre oggi quel nostro “grido di dolore” non significa voler rinfocolare alcunché. Addentrarmi nella complessità dello spettro paradigmatico in cui fu suddiviso il lavoro duchampiano non è certo il mio compito, lascio agli studiosi “veri” il compito di una rilettura che sicuramente non mancherà di suscitare anche qualche perplessità sul nostro lavoro di allora. Quando una simile indagine è compiuta da un artista inevitabilmente include sentimenti e paradigmi che vanno oltre l’asettica scientificità critica e mettono in gioco le pulsioni creative. Ed in più, quando le scelte espositive sono pilotate da un gallerista è facile supporre che siano state fatte con l’attenzione ad alcuni interessi del tutto personali. Non mi interessa negare tutto ciò né giustificare le intenzioni che ci guidarono allora, sento il dovere, anche per il rispetto verso il coautore ora purtroppo scomparso, di mettere in pratica oggi la nostra forse allucinata pulsione di un tempo così integralmente come era stata concepita. Porla in essere ora non è solo un debito d’onore che assolvo verso un caro amico e, a mio giudizio, un intellettuale veramente eccezionale che non è più tra di noi ma, penso, un’ulteriore sottolineatura del fatto che l’arte vera resiste anche ai tempi recessivi ed alla dispersione della memoria storica. Piero Cavellini



D'APRĂˆS DUCHAMP A strong sense of complicity between the work of some artists and some gallery owners since the early Seventies, and I believe that for at least a decade it was a peculiar characteristic of the time, that later culminated in a change in emphasis of the respective roles and needs with business prevailing over relationships. Within this context, both from a cultural and an efficiency point of view, the Duchamp matrix was rediscovered by a new post-war generation as a preeminent prior event suitably supporting the permeating demands of a changing social and expressive framework. It was at the height of that area, or rather at its culmination, as if wanting to interpose its demise, that indeed from a relationship, the idea that gave life to this project was born. It was 1985, and already for several years, a historical avant-garde revisionist avalanche was raging in the western basin, perhaps understandably driven by the need to exit the impasse in which the substance of the work had sunk into and which had inevitably run aground. Moreover, to exit a pictorial expressive impulse often without any historical precedent supporting assumptions and, for many works, without an original form providing them with an artistic aura. In contrast, it was precisely then that, like defenders of an extinct or endangered race, the two of us joined our efforts as co-authors, each using their respective backgrounds and expertise, in an attempt to rationalize our matrices by collecting the essential fragments and relating them to a good part of our present. Then, based on these ideas, complicity did the rest. Of the two co-authors, the artist Antonio M. Faggiano had worked earlier on a detailed exegesis of Marcel Duchamp's work to provide an interpretive mirror that would reveal a way to develop his own artistic philology derived from the author’s types of work considered from which he created a substantial body of papers, which he called "Duchampian". From this procedure, an arrangement originated of three interpretative areas that indeed provided the backbone of the mirror from


which the project took shape. The other, myself, then a gallery owner very close to the author and engaged for years in the promotion of the work of a generation of contemporary artists. At the time, also active on the Dadaist art market contributing to establish one of the most successful Italian collections, so involved with the artist to often engage in discussions that were essential in freeing both of us from issues imposed by art. The studio that we shared at that time in Via Dal Verme in the Isola district of Milan a few steps from my gallery was the place where on a hot afternoon of the summer before we had worked out, as an explicit final summary of the ideas that we had been discussing at that time, our exhibition project "D'après Duchamp". Our specific knowledge and patronage of a plethora of contemporary artists who belonged to a gen-eration that in fact in some way, sometimes even unconsciously, expressed what I would say is a cultural lineage in its body of work that could not ignore Duchamp's work. This allowed us to fill a list with names that could fit into a membership framework where everyone could be combined with each of the specific characteristics of the topics by which Duchamp's work had been summarily divided. A simple puzzle that could also have been entirely different if, in our choices we had not taken into account a certain personal closeness with the authors and the ease by which we could have obtained the works so that the project would be more easily accomplished. An event that did not happen. Who knows why? Perhaps because of laziness or contentment as a somewhat interrupted game, or more likely, due to the unfavorable climate at that time, for memories that most wanted to alienate rather than emphasize. How now times have changed is, perhaps, not of great importance. The fact that for a new generation of artists that blossomed in the nineties the comparison is now irrelevant is due to the generational change. Although, these youngsters seem to feel the need to discover and deepen the interrupted search of long gone forefathers. At the time of the drafting of our project, this feeling appeared to be quite unpredictable and the “dark agesâ€? obscured the hope of a future reconsideration.


Everyone knows how this story went and although on this occasion I have had the personal need to retrace the course of events, I do not think there is anything else to add. The flow of these writings has blunted any opposition and reiterating our “cry of pain”; it does not reflect a need to rekindle anything. Delving into the complexities of the paradigmatic spectrum that divided Duchamp's work is certainly not my task; I leave “true” scholars the task of a reinterpretation that will surely not disappoint in raising a few eyebrows. When such an investigation is carried out by an artist, inevitably it includes feelings and paradigms that go beyond sterile scientific criticism and bring into play the creative impulses. Moreover, when a gallery owner drives the exhibition choices, it is easy to assume that they were made with attention to a few entirely personal interests. I am not interested in denying or justifying the intentions that guided us back then. I feel obliged, also out of respect to my co-author who has now sadly passed away, to put into practice today our perhaps hallucinatory impulse of a foregone time, in full, as it was created. Bringing this to life at this time, not only repays a debt to honor a dear friend and, in my judgment, a truly outstanding intellectual who is no longer among us but, I believe, further underscore the fact that true art endures even in recessionary times and even when recorded history is scattered. Piero Cavellini


Antonio M. Faggiano, Duchampiana, La voie lactĂŠe, 1994

Originale del progetto


D’APRÈS DUCHAMP Progetto per un possibile schema di appartenenza ideato da Piero Cavellini e Antonio M. Faggiano, Milano 1985 ALCHIMIA: Ready-made / Daniel Spoerri Standard (mètres étalom) / François Morellet Erratum musical / Giuseppe Chiari Boîte / George Brecht Broyose du chocolat / Eliseo Mattiacci Metaux voisins / Joseph Beüys Gaz d’èclairage / Pierpaolo Calzolari Célibataires / Keith Haring INCESTO: Sospensions / Enrico Castellani Étoile / Gina Pane Mariée / Hidetoshi Nagasawa Metaux voisins / Claudio Costa TUM’ / Guglielmo Achille Cavellini Passion de famille / Vettor Pisani Écheques / Alighiero Boetti VOYERISMO: Rrose Selavy / Urs Lüthi Rotorelief / Davide Boriani LHOOQ / Sarenco Morceaux choisis / Dennis Oppenheim Prière de toucher / Robert Mapplethorpe Boîte / Emilio Villa Voyage / Richard Long



ALCHIMIA


ALCHIMIA Ready-Made DANIEL SPOERRI Di origine rumena, tra gli ultimi superstiti di una generazione neodada che a partire dai primi anni Sessanta tentò il recupero dell’uso dell’oggetto trovato nella formazione dell’opera. In lui l’oggetto stesso è divenuto più ready-made che in altri fino ad assumere il concetto di resto specifico di una relazione con se stesso e con i commensali del suo Restaurant du coin all’interno dei Tableaux Pièges (quadri trappola).

Cena dei nati nel segno della Vergine Galleria Multhipla Milano, 1975

Of Romanian origin, among the last survivors of a Neo-Dadaist generation that, since the early sixties, attempted the recovery of the use of objects found when creating works. By his hands, the object itself became more ready-made until assuming the concept of what specifically remained of the relationship with itself and with its guests in the Restaurant du coin within the Tableaux Pièges (Snare Pictures).

Eat Art Produktion Restaurant Spoerri, ottobre 1970


Eaten by Spoerri on Duchamp, Tableau-PiĂŠge, assemblaggio di oggetti su serigrafia, cm. 60 x 70, 1964/90


Daniel Spoerri


Mostra al Centro di Arti Plastiche di Carrara,

2016.

Ultime cene in marmo da GesĂš a Duchamp


ALCHIMIA Standard (mètres étalom) FRANÇOIS MORELLET

Importante maître à penser francese, recentemente scomparso. Dalla fine degli anni Cinquanta si impegnò nella misura della forma percettiva pilotata dal caso per approdare in seguito alla misura minimalista del contesto ambientale.

Galleria Piero Cavellini Milano, Danielle e François Morellet, Egon Von Fustemberg, 1989 Foto Maria Mulas

Prominent French maître à penser, who died recently. From the late fifties he was engaged in the measurement of perceptual form piloted by chance to approach a landing, following the minimalist measures of the environmental context.


20% de carrĂŠs superposĂŠs, serigrafia su tavola, cm 80 x 80, 1970


A propos de la grille et des murs de la Galerie, Galleria Piero Cavellini Brescia, 1978


Arco Corretto, 1992, installazione nella Raccolta dei Campiani


ALCHIMIA Erratum Musical GIUSEPPE CHIARI Fiorentino, esponente italiano del movimento Fluxus scomparso da alcuni anni. Adepto e seguace del musicista newyorkese John Cage di cui eseguì spesso gli spartiti più radicali. Dilatò anche il concetto di partitura del genio americano nel senso del gesto e delle sentenze scritte sulla libertà dell’arte.

Teatrino, Edizioni Nuovi Strumenti, 1974

From Florence, an Italian representative of the Fluxus movement, who died a few years ago. An adept follower of the New York musician, John Cage, often performing his most radical music. He broadened the concept of the American flair for arrangements in the sense of gestures and of any written maxims on freedom of art.


La Strada, inchiostro e matita su carta, cm. 70 x 100, 1974


Performance Musica e Acqua, 1972


Performance col pianoforte, 1972


ALCHIMIA Boîte GEORGE BRECHT Esponente di spicco del versante europeo del movimento Fluxus, ormai scomparso. Il suo lavoro è più esplicitamente riferito alla filologia estetica duchampiana rispetto ad altri esponenti di quel contesto. Le sue boîtes (scatole), che oltre ad altre opere più radicali hanno caratterizzato il suo lavoro, sono un esempio di archivio emblematico del fluire delle idee.

A prominent representative of the European side of the Fluxus movement, who died a few years ago. His work is more explicitly related to the Duchamp aesthetic philology compared to others within this context. His boxes, which in addition to other more radical works have characterized his work, are an example of the symbolic archiving of the flow of ideas.

Galleria Piero Cavellini Brescia, 1974, George Brecht al Fluxus concert di Ben Vautier Foto Renato Corsini


Bronze, fusione, cm. 13,5 x 29,5, 1981


Galleria Piero Cavellini Brescia, 1974, George Brecht al Fluxus concert di Ben Vautier, foto Renato Corsini


Valoche 1959-1975 / A flux travel aid, Fluxus Edition NY, courtesy Fondazione Bonotto


ALCHIMIA Broyose du chocolat ELISEO MATTIACCI Autore marchigiano, si è formato come artista a Roma negli anni Sessanta dove ebbe una proficua collaborazione con Pino Pascali con cui iniziò la sua attività in senso processuale con attenzione ad un radicalismo concettuale. Dagli anni Settanta si caratterizzò soprattutto nell’uso dei materiali ferrosi e non, assemblando i quali creava speciali macchine extraumane di ispirazione “celibe”.

Galleria Piero Cavellini Brescia, tavoli in rame, 1979

An author from Marche, was trained as an artist in Rome in the sixties where he had a fruitful collaboration with Pino Pascali and with which he began the process for his activities concentrating on conceptual radicalism. Since the seventies, he particularly distinguished himself for his use of ferrous materials, not assembling them and creating special distinctly “chaste” extra-human machines.

Progetto, pastelli su carta, cm. 70 x 50, 1979


Senza titolo, pastello su carta, cm. 100 x 70, 1984


Galleria Piero Cavellini Brescia, 1979, uno dei tavoli in rame


Carro del Montefeltro, 1987, installazione nella Raccolta dei Campiani


ALCHIMIA Metaux voisins JOSEPH BEÜYS Di origine tedesca ma vero Guru internazionale per una generazione di artisti contemporanei a partire dalla fine degli anni Sessanta. Scomparso da alcuni anni. Esegeta del pensiero libero e dell’arte di tutti caratterizzò la sua attività principalmente dal lato didattico (conferenze e lavagne) e sul versante performativo (azioni) usando sovente materiali adatti alla trasformazione alchemica per condurre il concetto di relazione tra l’uomo e la natura insito nel suo lavoro.

Performance in uno stagno nei pressi di Dusseldorf, 1971 Foto Gianfranco Gorgoni

Of German origin but a true international Guru for a generation of contemporary artists from the late sixties. He died a few years. An espouser of free thought and art for the people, his activities mainly concentrated on the educational side (conferences and whiteboards) and on performances (actions) often-using materials suitable for alchemical transformation to achieve the concept of the relationship between man and nature inherent to his work.


Kunst = Kapital serigrafia su lavagna cm. 32 x 44 x 0,9, 1980

Progetto copertina Multhipla ed. Germano Celant cm. 21 x 29,7, 1978


Amerikanischer hasenzucker stampa offset a colori cm. 55,3 x 79, 1974

Stfung zur Foerderung der Kuenste scritta e timbro su feltro cm. 38 x 28, 1970


Galleria Piero Cavellini, Manifesto, maggio 1980

Kassel Black Board

Studio di Dusseldorf


ALCHIMIA Gaz d’éclairage PIERPAOLO CALZOLARI Bolognese di nascita e formazione ma ben presto cittadino del mondo e con studio per molti anni a Milano negli anni Settanta. Inserito giovanissimo nel libro “Arte Povera” di Germano Celant con la sua performance “Impazza Angelo Artista” ed altre opere con elementi ghiaccianti e luminosi (neon e candele) si caratterizzò in seguito per un’attività processuale sempre incisiva e carica di forte forma alchemica pilotata dal sogno.

Installazioni nella villa a Delma di Saiano (BS)

Bolognese by birth and training that soon became a global citizen and studied for many years in Milan in the seventies. At a very young age, he was included in the book “Arte Povera” by Germano Celant with his performance “Impazza Angelo Artista” and other works with icy and bright (neon and candles) elements. He was characterized later by his consistently cutting-edge procedures, full of strong, dream-like alchemical forms.


Senza titolo, 3 candele su fogli di piombo, 1972, cm. 102 x 71 x 10


Senza titolo, sale, piombo e legni bruciati, cm. 51 x 35 x 4, anni Ottanta


Il mio letto cosĂŹ come deve essere, 1994, installazione nella Raccolta dei Campiani


ALCHIMIA Célibataires KEITH HARING Scomparso molto giovane, dopo essere stato un esponente del rinnovamento culturale americano dei primi anni Ottanta caratterizzato dalla vita metropolitana e dall’arte per strada che diede origine alla street art, seppe coniugare un segno espressivo molto personale con cui piccole forme umanoidi stilizzate invadevano gli spazi urbani a comporre dei coinvolgenti murales, che presto usò anche per estenderle ad oggetti e superfici più eterogenei.

Died at a very young age, after having been a member of the American cultural transformation of the early eighties characterized by metropolitan life and art on city streets that gave rise to “street art”. He was able to combine a very personal expressive signature with small-stylized humanoid forms invading urban spaces to compose engaging murals that he soon used on more diverse objects and surfaces.


Senza titolo, disegno su carta, cm. 19 x 27,5, anni Ottanta



INCESTO


INCESTO Sospensions ENRICO CASTELLANI Esponente fondamentale della vita artistica milanese a partire dagli anni Cinquanta, vive ora appartato in una magione del centro Italia ma sempre attivo nel produrre le sue opere caratterizzate da un segnale espressivo solo apparentemente ripetitivo nella sua forma di insistita estroflessione della superficie della tela. Una sorta di diario complesso dell’opera pittorica azzerata nei significati ma carica di energia e di una magica sospensione.

Superficie estroflessa, carta forata e intervento pittorico, cm. 70 x 100, 1964

A critical representative of the Milanese artistic life since the fifties, now living in a secluded mansion in central Italy but still actively producing works characterized by an expressive signature that is seemingly repetitive in its persistent form of eversion on the canvas surface. A kind of complex diary of the pictorial work complex erasing meaning but full of energy and magical sus-pense.


Superficie bianca, tela, cm. 120 x 150, 1979


INCESTO Étoile GINA PANE Esponente di primo piano della cosiddetta Body art per tutti gli anni Settanta è purtroppo scomparsa precocemente. Di origini italiane, viveva in Francia. Come alcune sue colleghe di allora rappresenta la rivincita del “femminile” rispetto a tanti anni di oscurantismo e separazione sessista. Usò il proprio corpo anche in forma violenta ferendosi volontariamente con lamette affilate oppure contrapponendosi alle forme prettamente maschili come salire su un ring per combattere. Le sue opere, come usava allora in quel contesto, si presentano come sequenza fotografica delle sue performance.

Performance, foto dal libro di Lea Vergine Il corpo come linguaggio, 1974

Leading representative of the so-called Body art in the seventies, has sadly died prematurely. Of Italian origin, she was living in France. Like some of her colleagues of that time, she represents the revenge of the “feminine” after many years of sexist obscurantism and separatism. She used her own body even in violent form voluntarily injuring herself with sharp blades, or opposing the typically male forms as if getting inside a ring to fight. Her works, as was commonly done back then in that context are presented as a sequence of photographs of her performances.


Feu, fotografie b/n, cm. 104 x 74,5, 1974


INCESTO Mariée HIDETOSHI NAGASAWA Giapponese nato in Manciuria arrivò in Italia alla metà degli anni Sessanta, si dice con un lungo viaggio in bicicletta, per scoprire i capolavori dell’arte occidentale. Qui decise di fermarsi stabilendosi a Milano dove si introdusse presto in un contesto di artisti che ragionavano sul problema di una nuova scultura che tenesse conto della classicità coniugandone la lettura sensoriale. “Aptico, il senso della scultura” fu un libro capitale che nel 1976 raccolse questi concetti a cui partecipò insieme a Luciano Fabro, Antonio Trotta e Fernando Tonello portando idee nuove nella lettura dell’arte di quel periodo.

Japanese born in Manchuria arrived in Italy in the mid-sixties; it is said via a long journey by bicycle, to discover the masterpieces of western art. He decided to stop in Italy, settling in Milan, where he soon joined certain other artists discussing the issue of new sculpture that would take into account classicism incorporating a more sensory interpretation. “Aptico, il senso della scultura” [“Aptico, the sense of the sculpture”] was a primary book that in 1976 collected these ideas through the joint effort of Luciano Fabro, Antonio Trotta and Fernando Tonello bringing new ideas to art literature of that time.

Copertina del libro Aptico, 1976

Catalogo Il luogo dei fiori, Ed. Nuovi Strumenti, 1985


ORO, tela e foglia d’oro, cm. 80 x 120, 1969


Senza titolo, tecnica mista su carta, cm. 35 x 60, 1969


La soglia del poeta, installazione nella raccolta dei Campiani


INCESTO Métaux voisins CLAUDIO COSTA Nato a Tirana (Albania) si trasferì giovanissimo a Genova dove visse fino alla sua scomparsa nei primi anni Novanta. Sapiente nell’assemblaggio di materiali di recupero uniti ad impasti pittorici si caratterizzò per una rilettura in senso antropologico di vecchie società contadine e nella rielaborazione pittorico-oggettuale delle formule alchemiche di un tempo. Le tele acide, cosparse di vernici che ne degradavano il tessuto fino a farle col tempo sparire sono forse il suo lavoro a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta che ci fornisce la maggiore intensità formale e concettuale.

Born in Tirana (Albania) moved to Genoa at a very young age where he lived until his death in the early nineties. Wise in the assembly of recycled materials combined with pictorial impastos characterized by a reinterpretation, in the anthropological sense, of old peasant societies and the pictorial-object reworking of alchemical formulas of the past. Acid canvases, covered with paint that degraded the fabric until they disappeared over time are perhaps his work, from the turn of the sixties and seventies that provides us with the greatest formal and conceptual intensity.

Libro Due esercizi di antropologia, Ed. Nuovi Strumenti, 1974

Progetto per Cocci di coppi, Galleria Piero Cavellini Brescia, 1979


Mene Rombus Stellaris, assemblaggio di oggetti su carta, cm. 70 x 50, 1977


La casa del serpente, lamiera e rame, cm. 85 x 65, 1989

Insettitudine, assemblaggio su carta intelata, cm. 70 x 50, 1983


Museo della civiltĂ contadina, installazione nella Raccolta dei Campiani, 1991


INCESTO TUM’ GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI E’ stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto, come fosse un arbitro speciale, l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua scomparsa. A partire dal 1960 dopo una parentesi gestuale pittorica elabora un’arte di citazione e di rielaborazione estetica attraverso bruciature ed incassettamenti. Nel 1971 coniuga il termine “autostoricizzazione” con cui mette in scena le condizioni esistenziali dell’artista destrutturandole rispetto al sistema che le ingloba e gestisce. Tutto ciò con scritti, documenti, stampati radicali e fotografie su tela emulsionata rielaborate manualmente con scale cromatiche.

Was a multi-faceted and brilliant personality who, for about fifty years was like a special referee of contemporary art, starting after World War II until 1990, the year of his death. Starting in 1960, after a spell of gestural pictorial art, he created esthetic statement and reworked art through scorching and crating. In 1971, he coined the term “selfhistoricization” by which he depicted the artist’s existential state deconstructing in relationship to the system that incorporates and manages it. All done with writings, documents and radical prints and photographs on emulsified canvas reworked manually with color scales.

Autostoricizzazione, fotocolor cm. 40 x 30, 1976, foto Ken Damy

Fiammiferi, carbone e colori acrilici, cm. 53 x 79 x 9, 1971


Autoritratto impertinente, assemblaggio di oggetti e foto su cartoncino, cm. 101 x 71 x 4, 1974/1984


INCESTO Passion de Famille VETTOR PISANI Nato nell’Isola d’Ischia, figlio di un marinaio ed una ballerina, come dicono le cronache reali o romanzate che fossero, è stato per alcuni decenni al centro della realtà artistica romana dove ha vissuto fino a pochi anni fa quando si è tragicamente tolto la vita. Le origini, la famiglia, il vissuto, insieme all’esoterismo ed al duchampismo rielaborato come enigma, sono stati al centro delle sue opere formulate con rigore processuale nei materiali e nella composizione, accompagnate da un disegno rigoroso e fantastico per rappresentare il lato “ombroso” della sua cultura.

Germana Tam Tam…, matita e pastelli su carta, cm. 70 x 100, 1990

Born on the island of Ischia, the son of a sailor and a dancer, as reported by real or fictional chronicles, was the center of the Roman art scene for decades, where he lived until a few years ago when he tragically took his own life. His origins, his family, his life together with esotericism and Duchampism reworked as an enigma were the focus of his works made with procedural rigor in materials and composition, accompanied by a rigorous and exceptional design to represent the “shady” side of his culture.


Tavolozza, cristallo, stoffa e fusione in alluminio, cm. 60 x 75, 1990


INCESTO Échecs ALIGHIERO BOETTI Torinese di nascita e romano d’adozione fino alla sua scomparsa, inizia l’attività nell’ambito poverista della sua città natale elaborando opere capitali come “Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969” o l’immagine di lui insieme al suo doppio che anticipano già il lato enigmistico del suo disegno espressivo che prenderà maggiormente corpo dopo il trasferimento nella capitale assieme ai numerosi viaggi in Afghanistan dove progetta e fa produrre i suoi famosi arazzi da leggere e le mappe geografiche.

Inaspettatamente, ricamo su tessuto, cm.17,5 x 18, 1987

Born in Turin and Roman by adoption until his death, he began his career as part of the Arte Povera in his birth town working on major works such as [sic] “Prendo il sole a Torino” namely a picture of him with his double. This already anticipated the enigmatic side of his expressive design that would take shape after his move to the capital along with numerous trips to Afghanistan where he designed and commissioned production of his famous tapestries to be read and geographical maps.


Uno Nove Sette Zero, stampa su carta intelata, cm. 100 x 75, 1970



VOYERISMO


VOYERISMO Rrose Sélavy URS LÜTHI Artista svizzero, molto presente nelle realtà espositive italiane negli anni Settanta, anch’egli usò, ed usa ancora, se stesso ed il proprio corpo per elaborate performance in cui attua spesso un progetto narrativo di trasformazione di identità e soprattutto di genere. Le serie fotografiche che documentano questo processo inizialmente in un rigido ed evocativo bianco e nero diventano in seguito più formali e stampate con colori accesi, cosa che avviene anche nella trasformazione, più ironica ed a volte quasi clownesca.

Copertina del libro di Lea Vergine Il corpo come linguaggio 1974

Selfportrait anaheim, stampa a pigmenti ultrachrome, cm. 32 x 27,5 1977/ 2014

Swiss artist, ever-present in the Italian exhibition scene of the seventies, also used, and still uses, himself and his own body to create performances in which he often applies a narrative project of identity, and particularly gender transformation. The photographic series documenting this process initially in a rigid and evocative black and white, subsequently become more formal and printed with bright colors, which also took place in the transformation, more ironic and sometimes almost clownish.


There are very friendly people, 3 fotografie ritoccate, cm. 70 x 70 cad., 1976


VOYERISMO Rotorelief DAVIDE BORIANI Milanese di nascita e formazione (1936) nel 1959 costituì a Milano il Gruppo T con Anceschi, Colombo, De Vecchi e Varisco che si inserì pienamente nel contesto di una nuova avanguardia attenta alle problematiche cinetiche e percettive. L’accostamento al Rotorelief duchampiano assume un valore estetico e nello stesso tempo ideologico dove la forma del mutamento dell’opera anticipa tanta parte delle future problematiche concettuali.

Ipercubo rotante, plexiglass, cm. 42 x 42 x 42, 1963/65

Milanese by birth and training (1936), he formed in 1959 in Milan the T Group with Anceschi, Colombo and De Vecchi which was fully inserted in the context of a new vanguard attentive to kinetic and perceptual problematic. The approaches to Rotorelief Duchamp assume an aesthetic value and at the same time an ideological one where the shape of the changes in the work anticipates a large part of future conceptual problematic.


Superficie magnetica, assemblaggio meccanico con impianto elettrico, cm. 35 x 31, 1967


VOYERISMO LHOOQ SARENCO Nasce a Vobarno in provincia di Brescia e dopo aver girato mezzo mondo compreso un lungo soggiorno in Kenya è ora rientrato presso la sua terra di origine si spera per passare una serena vecchiaia circondato dai suoi numerosi figli. Poeta visivo, guerrigliero per la liberazione dell’arte dai vizi profondi con cui spesso è stata ed è condotta, oltre ad artista intrigante ed esplicito, come forse solo i poeti veri sanno essere, è stato anche editore, autore di balzelli polemici ed a volte aggressivi ed un cineasta di notevole forza espressiva. Le sue tele emulsionate a cavallo tra i Sessanta e Settanta esprimono sinteticamente e con un gioco linguistico originale le contraddizioni di questo mondo che ci siamo trovati a vivere tutti assieme.

Born in Vobarno in the province of Brescia and after traveling around the world, including a long stay in Kenya, is now back in his homeland and hopes to live a peaceful old age surrounded by his many children. A visual poet, guerrilla fighter for the liberation of art from its often deep inherent flaws, as well as an intriguing and explicit artist, perhaps as only true poets can be, he has also been an editor, author of controversial and sometimes aggressive tributes and a remarkable expressive power as a filmmaker. His emulsified canvases between the sixties and seventies express synthetically and with an original play on words, the contradictions of the world in which we all dwell together.

Omaggio a Alcide De Gasperi, tela emulsionata, cm. 113 x 88, 1969


Maya desnuda, tela emulsionata virata, cm. 89 x 115, 1971


VOYERISMO Morceaux choisis DENNIS OPPENHEIM Autore newyorkese di notevole fama internazionale è scomparso solo da pochi anni. Raggiunse la maggiore notorietà con progetti landartistici di dimensioni monumentali nei deserti e sulla superficie delle terre ghiacciate del suo paese sul finire degli anni Sessanta. Recentemente si è dedicato a lavori più “domestici” in cui prevale il gigantismo delle cose ed una sottile ironia che le pervade nel contrasto e nell’allitterazione verbale della citazione.

Topiary Piece, installazione nella Raccolta dei Campiani, 1996

A New York author of considerable international fame that died only a few years ago. He gained his greatest notoriety with his monumental size land art projects in the deserts and on the surface of icy lands of his country in the late seventies. More recently, he has dedicated himself to more “domestic” work in which the gigantism of things prevails along with a pervading subtle irony in contrast and in the verbal alliteration of the statement.


Church – A device to root out evil, legno e tecnica mista, cm. 75 x 56 x 60, 1970/1989


VOYERISMO Prière de toucher ROBERT MAPPLETHORPE Fotografo di punta del mondo dell’avanguardia newyorkese degli anni Settanta, dopo una vita turbolenta è scomparso precocemente. Componente di quella realtà apparentemente soave ma molto spesso truce dell’ambito warholiano si è dedicato a riprendere il corpo, molto spesso maschile ma anche del culturismo femminile, donandogli con grande maestria una sorta di forma scultorea. Negli intervalli tra quei corpi bianchi, neri, provocanti, maestosi, si è dedicato a ritrarre fiori come calle bianche dall’essenza verginea.

Flagship photographer of the New York avantgarde world of the seventies, after a turbulent life, died prematurely. Part of that seemingly gentle but very often grim reality of the world of Warhol, he was committed to take photographs of the body, most often male but also female bodybuilders, lending it, with great skill, a kind of sculptural form. In between those white, black, provocative, and majestic bodies, he was also involved in photographing flowers, such as white calla lilies, with a virginal essence.


COCK, stampa ai sali d’argento, vintage, cm. 38 x 48, 1985


VOYERISMO Boîte EMILIO VILLA Milanese di nascita ma romano d’adozione e di frequentazione è scomparso oramai da parecchi anni. Forse l’intellettuale più importante e nello stesso tempo misconosciuto ai più che l’Italia artistica abbia avuto nel secondo dopoguerra. Fine linguista, parlava correntemente perfino l’aramaico, traduttore fantastico ed inventivo dell’Odissea in lingua moderna. Critico di razza e di lingua vorace e sperimentale dove non disdegnava di inserire nei testi per gli artisti (Burri, Manzoni….) neologie dialettali. Infine anche poeta visivo e quando la critica si fa poesia forse anch’essa può essere eccelsa.

Milanese by birth but Roman by adoption and patronage, died several years ago. Perhaps the most important, and at the same time most misunderstood intellectual in Italy’s art world during the postwar period. A fine linguist, he even spoke fluent Aramaic, an exceptional and inventive translator of the Odyssey into modern language. Critical by birth and with a voracious and experimental voice, he did not disdain adding dialectal neologisms to artists’ (Burri, Manzoni ...) texts. Finally, he was also a visual poet and when criticism becomes poetry, perhaps it can also be sublime.

The flippant ball - feel by Emilio Villa, stampa GI-BI, Piacenza, 1973


La râge oblique - La Râge oublie journal, Visual Art Center, Napoli, 1973

12 Sibyllae, Michele Lombardelli Editore, 1995


VOYERISMO Voyage RICHARD LONG Autore inglese autorevole e direi per certi versi solenne. Grande camminatore tra le High Lands ed i deserti delle terre del sud e raccoglitore delle testimonianze che il territorio donava al suo cammino, molto spesso pietre di ogni tipo ma anche arbusti od altri materiali della natura. E’ divenuto famoso per sculture-installazioni in cui collocava le pietre frutto delle sue escursioni in forme di raccolte circolari o rettilinee. In tempi piÚ recenti ha prodotto carte, foto e wall drawings con le impronte delle proprie mani intrise di fango.

Viaggio nei Pirenei, 1986

An authoritative, and in certain ways, I would say solemn, English artist. He traveled between the Highlands and the deserts of southern lands and collected the local testimonies of those lands, often stones of all kinds but also shrubs or other natural materials. He became famous for sculpturesinstallations in which the stones collected from his excursions were used in circular or rectilinear forms. More recently, he has produced cards, photos and wall drawings with the imprints of his hands soaked in mud.


Walking from the Ocean - Flowing to the Ocean, fotografia e text-work, cm. 87,5 x 129,5, 2005


Grazie/Mercie/Thanks La dicitura “Project Gallery” è nata negli Stati Uniti durante gli anni Ottanta per identificare generalmente un’appendice ad una “Galleria Madre” che si occupava di una nuova generazione di artisti od idee sperimentali attorno all’arte contemporanea. Gli artisti più storici continuavano ad esporre nel vecchio spazio mentre alla nuova realtà competeva presentare le novità del momento e molto spesso avveniva che erano lanciate delle vere e proprie giovani star subito riconosciute ed apprezzate soprattutto economicamente da una nuova società ansiosa di alimentare il sistema con nuove mitologie individuali. Molto spesso anche un nuovo modo di interpretare l’arte partì da questi satelliti condotti dall’ansia di proporre la propria efficienza manageriale ed offrirla al mondo. Nel nostro caso si verifica una sorta di inversione di questo concetto nominando “project” uno spazio che si aggiunge ad una realtà preesistente per dedicarsi essenzialmente al progetto, dunque al pensiero, senza alcuna intenzione di cavalcare solamente la novità del momento. Iniziare con un “pensiero” di tanti anni fa mi stimola ancor di più in questa nuova impresa e mi aiuta a scacciare l’idea di sentirmi morto e sepolto o peggio completamente dimenticato dai più. Ho quindi motivo ed occasione di ringraziare qualcuno per questa opportunità. Innanzi tutto i miei compagni di strada, i galleristi Afra Canali e Stefano Crosara, abbastanza avventati e quindi effettivamente “in project” da accettare questa sfida. Vedere che in questo mondo asfittico e conformista della realtà dell’arte attuale ci sia qualcuno che rischi gran parte di se stesso per rimettere in gioco una “inattualità” a me personalmente farebbe piacere anche se questa attenzione non mi coinvolgesse personalmente. “Evviva” dunque a loro e “Buona fortuna” a tutti noi. Devo poi ringraziare due artisti: per primo il mio coautore in questo contesto, Antonio M. Faggiano, ormai purtroppo scomparso nel 2001. Che possa rivivere nella memoria di tutti con questa rievocazione, se lo meriterebbe per ciò che è stato dal punto di vista culturale ed operativo nel solco espressivo della mia generazione senza purtroppo vedersi riconosciute nemmeno un briciolo della forma e riconoscibilità che si meriterebbe. Infine l’autore che prendemmo come punto di riferimento allora e che, svolgendo ora questo compito di riesumarne le influenze, mi accorgo come ancora le eserciti oggi prepotentemente. Parafrasandolo mi verrebbe da dire: “D'altronde sono sempre gli altri che resuscitano”. Infine ringrazio coloro che hanno partecipato alla realizzazione della mostra con i prestiti, i consigli ed il sostegno che ci sono stati molto utili per procedere spediti e giungere al compimento di questa nostra fatica. Sono stati lungimiranti ai tempi in cui gli autori che compongono la lista delle partecipazioni erano al culmine della loro ricerca e lo sono ora divenendo attori loro stessi di questa rinascita. “Alors à la prochaine Monsieur Marcel Duchamp, on se verra entre cent ans au Cabaret Voltaire”! P.C.


Grazie/Mercie/Thanks The phrase “Project Gallery” was born in the United States during the ‘80s to broadly identify an adjunct to a “Mother Gallery” dedicated to a new generation of experimental artists and ideas revolving around contemporary art. The more historic artists continued to exhibit in the old space while the new entity would be responsible for presenting the latest in innovative work of that moment, often launching young, true stars who were immediately recognized for their talent, and appreciated, financially above all, by a new society, eager to feed the system with new individual mythologies. Very often a new way of interpreting art resulted from these satellites, driven by the anxiety to present their managerial efficacy and offer it to the world. In our case, there has been a sort of reversal of this concept, giving the name of “project” to a space which was added to a pre-existing reality, to fundamentally dedicate to the project, and therefore to the thought, without the intention of only riding on the wave of what is new at the moment. Beginning with a “thought” from so many years ago, I am encouraged even more in this new venture and it has helped me to drive away the concept of feeling dead and buried, or worse, completely forgotten by others. I therefore have reason and opportunity to thank some people for this opportunity. First and foremost, my fellow companions, the gallerists Afra Canali and Stefano Crosara, quite reckless by nature, and therefore effectively well-designed to accept this challenge. Seeing that in this suffocated and conformist world of the current reality of art there are those who will risk a great part of themselves to put back into play the “unfashionable” would bring me joy, even if that attention did not involve me personally. So, “Hurray!” to them and “Good luck” to us all. I must also thank two artists: first is my co-creator in this context, Antonio M. Faggiano, sadly who passed away in 2001. That he may live again in the memory of all with this remembrance. He deserves it, for he, from a cultural and operative point of view, was part of the expressive coat-tails of my generation, without unfortunately receiving even a modicum of the recognition which he deserved. Lastly, to the artist who we thus take as our point of reference, now carrying out the task of digging out influences, I realize how overwhelmingly you exercise influence today. Paraphrasing it, I would say: “After all, it is always the others who revive”. Finally, I want to thank those who participated in the staging of the exhibition with loans, advice, and support which were so helpful in progressing rapidly and reaching the goals of our work. They were forward-looking at those times when the artists involved were at the pinnacle of their research and they have now become players themselves in this rebirth. “Alors à la prochaine Monsieur Marcel Duchamp, on se verra entre cent ans au Cabaret Voltaire”! P.C.





D’APRÈS DUCHAMP

5 novembre 2016 _ 28 gennaio 2017 1985 – 2016 © Piero Cavellini Esposizione Coordinamento Stefano Crosara Segreteria organizzativa Simona Caccia

Catalogo Testi Piero Cavellini e Afra Canali Layout Armida Gandini Fotografie Foto Studio Rapuzzi Stampa Grafiche Artigianelli Brescia _ novembre 2016 Project Gallery Piero Cavellini per Kanalidarte via Alberto Mario 38 _ Brescia info@kanalidarte.com www.kanalidarte.com



galleria in brescia




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