Starnazzatori - Racconto di Stefano C.Vecoli

Page 1

Starnazzatori Stefano Carlo Vecoli


Racconto “Starnazzatori”: Selezionato al Premio Letterario Racconti nella Rete ® VI° edizione 2007, inserito nel sito www.raccontinellarete.it e pubblicato nell'antologia 'Racconti nella Rete 2007' a cura di Demetrio Brandi edita dalla casa editrice Newton Compton Editori.

“Starnazzatori” di Stefano Carlo Vecoli Solo. Solo, nella mia camera, passeggiando su e giù, dal letto alla scrivania, rimirando i libri: il mio sapere e la mia gioia. Il sapere nello scaffale, la gioia nella mia testa. Romanzi pieni di vita: Pavese, Hemingway, suicidatisi, Kerouac morto per abuso di alcool. Storie d’arte e storie di uomini, famosi oramai sul finire della vita, sempre in cerca di qualcosa quando ancora ambiziosi e presuntuosi sgomitavano nel mondo. Che schifo questo romanticismo da due soldi, la pelle di Gesù era valsa di più. Affacciarsi alla finestra a guardare brutti tetti, brutti uomini e brutte donne, orrende vetture, odiose antenne, bei monti e bel sole. Tutto sommato è già un bel panorama. Il mento appoggiato sui pugni, i gomiti appoggiati sul davanzale, un momento di pausa nel mio giorno di giovane pensatore, dire studente e disoccupato sarebbe più reale ma meno bello, quindi prendete per buono il “pensatore”. Cercare di parlare ad alta voce con me stesso. Pazzia o originalità? Una voce proviene dal mio corpo. Dal cuore? Dal cervello? No, via non facciamo i banali. Proviene dal gomito destro che nel sostenermi la testa si era anchilosato. Pur non essendo scontata l’ubicazione di questa voce, un po’ meno lo è la domanda che mi pone, e cioè: “Cosa desideri dalla vita?”. Mamma mia che dubbio esistenziale. Calma, non fatevi prendere da collasso di risate. Che dite? Sì, meglio andare a guardare le partite di calcio alla T.V. Gol, commenti, moviola. Noiosa T.V. Meglio andare in camera. Intanto massaggio il gomito e ripenso alla domanda. Va beh! Proviamo a rispondere tirando fuori un pò di serietà. Cosa desidero dalla vita? Probabilmente e molto semplicemente che essa esista, ma cosa può significare: “Che essa esista”. Se il cuore mi batte, se la mia testa pensa, se la mia mano scrive, dovrebbe essere sufficiente affinché possa dire : “Io esisto!”. “Già, ma il tuo cuore deve battere per qualcun altro, la tua testa deve pensare ad altri e altre, le parole scritte dalla tua mano devono essere lette dagli occhi di molti, e tutti hanno un cuore, una testa e due mani, non possono essere colui o colei che passano sotto la tua finestra e che guardi dall’alto senza scendere per strada”. Perché devono sempre dirmi scendi per strada? Ci sono sceso spesso e il risultato era di illudersi di stare in mezzo a questi mitici altri. Suvvia non li avete mai visti durante questi anni? Sono una strana razza e pure resistente, non si estinguono mai, sempre pronti a ricordarti che devi fare i conti con loro. E io sono “gli altri” o sono io? Voglio essere come gli altri o voglio essere io? “Io sono gli altri, vieni con me…”, parve dirmi il gomito mentre lo massaggiavo. Ma sì, usciamo un po’, vediamo chi incontrerò. Dialoghi sognanti, mentre rimiro lo sguardo nello specchio, siedo bordo letto ed infilo le scarpe, tiro su i calzini con cura, mi alzo e chiudo la cinta dei pantaloni, metto la maglia, due passi e sono davanti all’armadio, cigolio dell’anta che si apre, prendo la giacca e la infilo. Mi rimiro di nuovo nello specchio, pronto per uscire. Quanto calore può dare questo breve e lento rito di vestizione? Mi fa venire in mente il prete in sagrestia che si addobba con cura per la messa, attorniato da un paio di chierichetti zelanti, in gara per essere il più bravo. Esco di casa, avvolgo la sciarpa alla gola, e finalmente via in mezzo agli altri. Sono anche più brutti www.stefanocarlovecoli.it

1


visti da vicino. Che ci sono venuto a fare. Mi parlano e li giudico. Ridono tra loro, mi volto e mi giudicano. Speriamo almeno che in questo farsesco girotondo il giudizio sia uguale per tutti, così ci appariremo tutti uguali. Piccola congrega di amici, tanti sogni e tante pulsioni, ma ora, giunti ad un dunque non sai nemmeno invecchiare. ‘Andiamo al cinema?…’ ‘Io l’ho già visto, ma torno volentieri…’ “No, non vengo, mi hanno detto che fa schifo…” “Sì, sì io vengo, non so che fare…” “Aspettate, aspettate arrivo…” Un cinema. Un cinema d’essai, puzzolente di alternatività stantia “Prego la tessera…”, “Ma va fan …, son anni che ci veniamo e ancora ci chiede la tessera”. Scorrere di immagini, di musiche, di parole, di frasi in cerca di gloria, teste in controluce, sagome buie che fissano questo fiume in technicolor. Commenti, risate, alzate di spalle, usciti dal cinema si consuma il rito della discussione sul film in cui tutti cercano di vedere se stessi, le loro vite e quelle di altri, le loro esperienze. Chi non ci vede niente ma fa lo stesso. Povera, piccola serata provinciale così calda per gli stupidi, così tranquilla per i mariti, così sempre uguale a serate già viste. Chiudo gli occhi nel mio letto mentre penso a questa giornata, che ha la fortuna di essere già finita, ma con la cinica certezza di ritornare sempre uguale tra queste strade di provincia, buie di vita e piene della luce azzurrognola dei televisori. Sogno. Sogno, incubo o cruda realtà? Respiro piano, lentamente, forse mi addormento. Giornata calda colorata di giallo ipnotizzante, che mi avvolge mentre sto seduto, quasi sdraiato, su di una panchina dei viali fronte mare. Godo dì questo tenue e intenso giallo che colora anche l’aria, il mio corpo rilassato e amato da questo sensuale pastoso colore sabbioso e avvolgente. Chiudo gli occhi a questo amplesso col sole. Mi apro in me stesso. Quiete, finalmente quiete. L’assaporo. Si sente impercettibile un sibilo lontano, per ora non disturba è lontano. Ancora quiete. Il sibilo non cessa, sembra avvicinarsi. È solo un leggero sibilo, inizia però ad incrinare questo idillio panteista. Adesso il sibilo indistinto cresce, cresce e cambia intonazione, varia modulazione sonora. Comincia ad assomigliare a qualcosa di gracchiante, da sibilo continuo ed indistinto diviene uno starnazzare acuto e stridulo. sembrerebbero anatre. Ma che ci fanno qui? Apro gli occhi per godermi questa buffa apparizione di anatre in mezzo a tutta questa gente gonfia, col conto in banca e la moglie al braccio, con la mutua e il figlio al braccio della moglie, che muove le mani e le labbra l’un verso l’altro. Non vedo nessuna anatra qua intorno. Guardo meglio. No, non c’è nessun pennuto, eppure il sibilo e gli starnazzi incalzano le mie orecchie e rimbombano nella mia testa. Ho una allucinazione sonora? No, sono loro le anatre. Buffo? No! Agghiacciante! Semplice da capire, duro da accettare. La loro bocca è usata solo per la ricerca e la masticazione del cibo. Le loro labbra non servono a sorridere. La loro lingua non serve a parlare, a comunicare con gli altri. Mi alzo lentamente per non farmi notare, ho l’impressione di aver paura di queste anatre, proprio così m’è venuto da chiamarli anatre, anche se mi accorgo in queste momento che io qua per queste persone non ci sono, sono soltanto parte del panorama. Le immagini si confondono, adesso sono in mezzo a loro con la voglia di urlare per far cessare il loro qua…quaaa…quaaaaa….. angosciante. www.stefanocarlovecoli.it 2


Corro a casa a cercare rifugio, mi credo al sicuro nella mia stanza, chiudo la porta, le finestre, ma il sibilante starnazzamento riesce ad entrare e mi avvolge. Sogno. Sono sveglio. Sogno. Cerco con la mente di ricordare dove possa aver sentito prima d’ora questo qua…quaaa…quaaaaa….. A ogni immagine che mi scorre nella memoria, si fa sempre più forte, nelle strade rimbomba incessante. Passa gente multicolore, la vedo avvicinarsi, stanno cantando? Stanno gridando? Stanno parlando? No, stanno starnazzando. Per un momento avevo sperato che riuscissero a far cessare questo acuto starnazzamento sibilante. Ma l’illusione è durata poco, il riposo per le mie orecchie è una vana speranza. Solo ora mi accorgo che il sibilo non è sempre uguale. Ognuno ha un proprio modo di sibilare e di starnazzare, ma non c’è alcun dubbio: tutti sibilano o starnazzano. Il rimbombo acuto che martella la mia testa è lì a ricordarlo. Sogno, mi sveglio, sogno. Sogno, agonizzo, sogno. Possibile che solo io senta tutto questo? No, non è possibile! Mi faccio forza. Torno per strada cercando di trovare un posto dove questo qua…quaaa…quaaaaa….. non riesca ad entrare, ma è inutile, forse non mi resta che cercare qualcun’altro che senta pure lui questa orrenda cantilena incalzante. Chiedo a qualcuno. Sguardi stralunati accolgono le mie domande. Qualcuno avverte la polizia di un matto che gira, per le strade sentendo un sibilo. La notizia si spande. Forse è una nuova malattia, azzarda un tipo che ha letto “L’Enciclopedia Medica” a fascicoli settimanali. Gli starnazzatori si sentono in pericolo, bisogna isolare questa strana persona che ode suoni, rumori per l’aria. E intanto il qua…quaa…quaaa….. non cessa e mi percuote le vene, lo stomaco, i polmoni, mi soffoca. Corro… Corro… Corro inseguito da uomini starnazzanti, corro o forse credo di correre. Lo sguardo annebbiato oramai, figure indistinte, non volti umani, vedono i miei occhi, il mio cuore pulsa. Corro, corro attraverso strade, cercano di fermarmi, forse mi sbaglio, sono fermo e stanno scacciandomi. Corro, corro attraverso strade cercando disperatamente altri che sentano il sibilo, imbocco un vicolo chiuso, non c’è speranza mi prenderanno e mi faranno sibilare, mi cureranno ed anch’io sibilerò. Non voglio. Corro, corro verso quel muro in fondo al vicolo che sbarra la strada. Corro, corro e mi lancio contro quei mattoni scuri per spaccarmi la testa. Non mi prenderanno. Distacco i piedi da terra proiettati in tuffo verso il muro, tra un momento tutto sarà finito, il mio cranio si frantumerà su quei mattoni. Mi stacco da terra… Volo, libero, leggero… È un attimo senza tempo… Splash…la mia testa contro il muro… Splash….tutto è finito… Splash…silenzio… Solo silenzio…Il sibilo è cessato. Splash…silenzio… Splash… Silenzio… Le mani piene di sabbia. Mi alzo… Il corpo ed i vestiti pieni di sabbia. Mi scuoto di dosso i granelli socchiudendo gli occhi. Deserto caldo ed accogliente. Luce gialla www.stefanocarlovecoli.it 3


davanti ai miei occhi. Sogno o sono sveglio? Mi volto, sguardi esterefatti mi scrutano attraverso un buco, sono al di là dello squarcio che ho aperto nel muro. Muro? No, non erano mattoni, era cartone. Era finto. Tutto è finto al di là di quel buco, non me ne ero mai accorto, i muri sono finti, le case sono finte, l’intera città è finta. Sento ancora fievolmente suoni che giungono di là, sono le voci sibilanti degli starnazzatori in lontananza. Non si avvicinano, trattengono i bambini che curiosi vorrebbero vedere meglio, e cercano di sbirciare al di là. Commentano tra loro con le facce spaesate. “Via, via fate largo…”. “Prego signori circolare…”. Uomini in divisa si apprestano a tappare il buco. Eppure qualcuno avrà pur visto, almeno per un momento che tutto è finto? Circolerà la notizia? Mi incammino verso non so cosa, sento la calda sabbia intorno a me, vibranti visioni appaiono nello splendore del sole. La mia mente finalmente sente solo il dolce sapore del silenzio musicato da un soffio di vento. Cammino. Sabbia e sole. Soltanto per… Sole e sabbia, soltanto per questo ho…” Drin… Drinnn… Drinnnnnn… Suona la sveglia… Drin… Drinnn… Drinnnnnn… Odore di caffèlatte… Drin… Drinnn… Drinnnnnn… Buon aroma caldo e familiare. Ricomincia una giornata in questa povera ed opulenta, piccola e vanitosa città di provincia.

Commenti a “Racconti nella Rete 2007 “Starnazzatori” di Stefano Carlo Vecoli” 1. ondina scrive: 25 Maggio 2007 alle 20:26 Come si vota? Questo mi piace, soprattutto mi piace la frase “Cosa desidero dalla vita?” “Che essa esista”. Non so se nella forma o se nel tipo di risposta, ma mi ricorda Alessandro Baricco, “Che cosa stiamo aspettando? Che sia troppo tardi Madame”. Sinceramente mi piace. 2. Tamai scrive: 28 Maggio 2007 alle 12:59 mi piace… sorta di stream of consciousness di un Truman nostrano? 3. Paola Butori scrive: 28 Maggio 2007 alle 18:32 Desiderio di silenzio. Impossibilità del silenzio, quando tutti hanno da dire qualcosa su tutto…L’agghiacciante, frnetico correre, alla ricerca di qualcuno che come te sogna un silenzio,fatto di calda, atona luce gialla… che lascia spazio alla ricerca del sé. www.stefanocarlovecoli.it

4


Mi è piaciuto! 4. giarre scrive: 29 Maggio 2007 alle 13:32 bravo! mi e’piaciuto No, non erano mattoni, era cartone. Era finto. Tutto è finto al di là di quel buco, non me ne ero mai accorto, i muri sono finti, le case sono finte, l’intera città è finta E noi? siamo veri noi? 5. redbiker scrive: 31 Maggio 2007 alle 19:41 SI’! Incubo perfetto, apparentemente angosciante, ma con sorpresa finale, liberazione dell’essere dalla finzione quotidiana, la sveglia questa volta non salva dall’angoscia, ma vieta di capirne di più! Complimenti. 6. Universo scrive: 2 Giugno 2007 alle 22:07 Bello il racconto, si. Mi ha fatto venire in mente quella strana sensazione che a volte mi prende di essere “fuori posto” in questo mondo. Perché “la povera ed opulenta, piccola e vanitosa città di provincia” è ovunque… 7. Marcella Malfatti scrive: 5 Giugno 2007 alle 12:39 Un racconto molto bello, inquietante e ricco di una certa vena surreale. Ricorda gli straordinari telefilm della serie “Ai confini della realtà”, e molto anche le tematiche del film “The Truman Show”. Quanti di noi non si accorgono del muro di cartone??? Bravo, Stefano, continua così! Marcella

www.stefanocarlovecoli.it

5


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.