Printlovers, n. 90, 2021

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R E T A I L

Le vetrine sono una finestra sull’immaginario e le aspirazioni, una porta dimensionale fatta di desiderio, lo specchio di un sé futuro. Chi le guarda non vede solo i prodotti: entra in un mondo di idee e valori. Ecco perché oggi le vetrine sono, per i brand, veri e propri manifesti di messaggi positivi per l’ambiente e le persone.

Sarà un caso, o forse no, che la prima sistematizzazione dell’arte del display l’abbia fatta Lyman Frank Baum con la rivista mensile “The show window: a journal of practical window trimming for the merchant and the professional” alla fine del XIX secolo. Sì, proprio quel Lyman Frank Baum che poco dopo avrebbe scritto il Mago di Oz. Lungo una strada lastricata di pietre gialle, i protagonisti sono spinti dal desiderio di ottenere ciò che non sanno di avere già: un cervello, un cuore, il coraggio, la possibilità di tornare a casa. Un viaggio aspirazionale verso una città scintillante che si conclude con l’incontro con il grande e terribile mago: un uomo che, in fondo, non aveva fatto altro che basare la propria immagine su una straordinaria campagna di marketing. Quando L. Frank Baum decise di pubblicare la rivista non aveva esperienza come vetrinista: veniva dal mondo dell’apparato effimero teatrale, e ciò che fece fu proiettare quell’universo nel commercio al dettaglio, ragionando sulla gestione degli spazi e le armonie cromatiche nel momento in cui la luce elettrica stava sostituendo l’illuminazione a gas, e i negozi cominciavano letteralmente a scintillare sotto una nuova luce. È vero, nel frattempo sono passati oltre 120 anni ma è da lì che è partita la professionalizzazione del visual merchandising e il concetto di vetrina come scenografia e porta d’accesso ai desideri. Nel frattempo l’arte del display ha vissuto molte fasi legate ai diversi contesti culturali e geografici, tra studi di psicologia del consumo, contaminazioni artistiche e teorie del design. Un’ascesa interrotta solo dalla Seconda Guerra Mondiale, che spezzò sogni e cambiò bisogni: la ripresa, dopo, fu lenta e faticosa. Finché la pop art non suggellò il matrimonio definitivo tra arte e consumo, e le vetrine ripresero vita e colore. Oggi sono elementi familiari nell’esperienza comune, componenti dell’esplorazione urbana che spesso si trasforma in pura flânerie: fonte di ispirazione e appagamento sensoriale, per molti, quanto e più della visita di un museo, tanto che uno dei traumi collettivi della pandemia è stato proprio vedere tantissime saracinesche abbassate. Tuttavia, dice Pierluca Ferrara, Project manager di Graf Color, azienda specializzata in vetrine scenografiche che ha tra i suoi clienti molti brand della moda e dell’alto di gamma, «le aziende italiane non hanno rinunciato alla vetrina scenografica, malgrado questi due anni di crisi. Il mondo della moda, soprattutto, ha creduto e crede ancora nel valore di una vetrina per il consumatore». E quel che succede oggi nel mondo del display è il riflesso della ricerca di uno stile di vita più sostenibile. I brand che hanno intrapreso una transizione vogliono dimostrarlo, e la vetrina – insostituibile nell’esperienza d’acquisto – è il luogo ideale per comunicare l’impegno preso. I punti chiave di questa svolta sono tre: i materiali, le tecniche di stampa e il ciclo di vita dei prodotti. L’appeal del cartone ondulato — Che si tratti di vetrine a fondo aperto, che permettono dunque di vedere l’interno del negozio, a fondo semichiuso o chiuso con vere e proprie quinte, il trend della vetrina sostenibile chiede solo materiali che possono facilmente rientrare in circolo e tecniche di stampa a basso impatto ambientale. «Sono molte le aziende importanti che stanno puntando sull’appeal del cartone ondulato per i wall e i cubi su cui poggiano i prodotti, al posto di materiali come il forex. Stiamo assistendo anche al crollo dell’uso della plastica, sia nel PoP che nella vetrina. Prima forex e plastica rappresentavano il 60% del valore

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