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L’unicità di Scoiattolo firmata HP

SCOIATTOLO: IL POTERE DELL’UNICITÀ DALLA CUCINA AL PACKAGING

Cosa succede quando al binomio inscindibile di buono e bello si uniscono creatività e tecnologia? Scoiattolo, azienda lombarda nota per la pasta fresca ripiena, ha utilizzato la competenza del Gruppo Aro, specializzata nella stampa di etichette e rotoli, per la realizzazione di un pack limited edition che, grazie alla stampa digitale di HP e l’utilizzo del software Mosaic, ha trasformato il tradizionale incarto industriale del segmento Pasta Fresca in un prodotto unico e prezioso e dall’enorme potere comunicativo.

«Il progetto di customizzazione della confezione in Limited Edition Scoiattolo nasce in relazione al Concorso Social Natalizio 2021 “Inventa il tuo ripieno Scoiattolo” finalizzato a valorizzare l’esperienza di co-creation con i nostri consumatori» dice Alice Galli, Communication Manager di Scoiattolo. «I partecipanti erano invitati a proporre la loro idea di ripieno sul sito di concorso. Il vincitore Fabrizio Corgnati (@fabrincucina su Instagram) ha così visto realizzare sulle linee Scoiattolo non solo la ricetta dei suoi deliziosi “Ravioli ripieni di scampi, burrata e scorza di agrumi” ma anche una confezione del tutto dedicata al progetto». Forte di un rapporto di collaborazione e fiducia che va avanti dal 2016, il Gruppo Aro ha proposto al raviolificio di Lonate Ceppino il servizio Kamaleo. Il sistema, che sfrutta il software SmartStream Designer di HP, è in grado di creare grafiche diverse da un unico file di partenza, modificando colori e dimensioni, alternando gli elementi del pattern iniziale con un risultato eccezionale per qualità cromatica e grande variabilità. La tecnologia di stampa HP Indigo ha permesso ulteriori nobilitazioni: «La forza della grafica è stato l’utilizzo spot del colore argento abbinato al bianco su film trasparente – dice Cristina Regazzoni, Ufficio grafico del Gruppo Aro – e questo ha permesso di realizzare tinte cromate, tinte piatte, trasparenze e la possibilità di vedere il prodotto all’interno della confezione. Naturalmente il vero punto di forza è stato il dinamismo delle grafiche: cambio colore, dimensione e posizione di alcuni elementi grafici». «Il concept di Scoiattolo si è ispirato al naming e al legame dell’azienda con la genuinità e l’amore per la natura» prosegue Alice Lepori, Art Director di Scoiattolo. «Da qui l’idea di giocare con elementi vegetali come foglie, ghiande e bacche. Uno studio minuzioso dei dettagli e delle variabili, fatto con Aro, ha permesso di ottenere 2.000 confezioni uniche: 400 esemplari per 5 varianti di colore». Si tratta di un’esperienza pionieristica sia per Scoiattolo che per l’intero segmento Pasta Fresca: «Il nostro mercato – dicono Galli e Lepori – è caratterizzato da una certa fissità produttiva, retaggio di un prodotto molto legato alla comunicazione tradizionale. Scoiattolo ha voluto sperimentare Mosaic e il dato variabile come l’occasione ideale per testare un metodo di customizzazione molto promettente. I prodotti in Limited Edition hanno registrato grande interesse, curiosità e apprezzamento, e ciò

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ci incoraggia ad abbracciare un’idea di movimento, divertimento e unicità per progetti futuri su larga scala che arriveranno nei banchi della GDO». Esperienza resa possibile sia dalla tecnologia HP che dall’attitudine sperimentale e collaborativa del partner di stampa: «Aro si è sempre posta verso il cliente nel modo più dinamico possibile – spiega Federico Schiavulli, Direttore vendite del Gruppo Aro – cercando soluzioni adeguate alle esigenze e, laddove si trova la giusta sinergia, spingendo un po’ l’acceleratore su innovazione e realizzazioni speciali, come in questo caso». «L’innovativo servizio Kamaleo – dicono infine Viviana Puzone, Communication Manager, e Viviana Limido, Art Director del Gruppo Aro – permette a tutti, dal piccolo produttore artigianale fino al colosso multinazionale, di sfruttare in modo semplice ed efficace la tecnologia per dare ai propri prodotti una forza mai vista prima, trasformando sleeve ed etichette in un potente strumento di marketing con un impressionante risparmio di tempo e budget. Una rivoluzione davvero alla portata di tutti».

Come è fatta la Limited Edition Scoiattolo: l’esperienza di Aro con HP SmartStream Designer e HP Indigo

La parola a Cristina Regazzoni, Ufficio Grafico del Gruppo Aro

La preparazione dei file.

Per realizzare l’impianto è stato utilizzato un plug-in di Illustrator che si chiama HP SmartStream Designer, nello specifico è stata utilizzata la funzione di HP Mosaic. Il sistema di creazione Mosaic/Collage è piuttosto intuitivo: i diversi menu del plug-in si integrano nel programma Illustrator, in modo da realizzare grafica e “variabilità” in un’unica applicazione. La potenzialità dell’applicazione si esprime al meglio con elementi grafici semplici e dai colori piatti che vengono più facilmente trasformati in infinite varianti. Abbiamo notato che soluzioni di grafica più “leggera” permettono di cogliere al meglio il dinamismo di dimensione, rotazione nello spazio e cambio di cromia. Per l’utilizzo del sistema Mosaic/Collage è stato seguito un corso propedeutico con collaboratori HP, ma è stato con la pratica e con la realizzazione di lavori con database e dato variabile che ne abbiamo colto pienamente le potenzialità. L’immagine di base è stata realizzata dall’ufficio grafico di Scoiattolo: ci è stato fornito un file vettoriale, l’indicazione degli elementi fissi e di quelli da variare, e una gamma di colori che dovevano cambiare in maniera randomica. Abbiamo così realizzato il file di base per Mosaic.

I materiali e la stampa con HP Indigo.

La macchina ha stampato su un film trasparente trattato con primer apposito, in reverse per evitare il contatto con gli alimenti, successivamente accoppiato con materiale PE trattato Evoh che funge da barriera all’ossigeno. È stato realizzato un template direttamente nel composer per utilizzare il file singolo generato da HP SmartStream Designer e il database numerico per mantenere le caratteristiche di stampa richieste dal cliente: formato, ripetizioni e tacche. Essendo il supporto di stampa un film trasparente, abbiamo optato per l’utilizzo abbinato della quadricromia con colore bianco, creando così parti opache, ma il vero tocco “straordinario” è stato l’utilizzo del colore speciale argento. I colori scelti in fase di realizzazione della grafica sono così diventati metallizzati.

di CATERINA PUCCI

Lavoro da remoto, in presenza o ibrido? Qualunque sia la scelta, la pandemia ha fatto emergere il bisogno di spazi confortevoli in cui pensare, creare e condividere. E tornare in ufficio significa anche far fronte a nuove esigenze di sicurezza. Ecco come tecnologie e materiali innovativi soddisfano una crescente richiesta di ambienti a misura del benessere – fisico e mentale – delle persone.

La pandemia ha influito sul modo in cui viviamo gli spazi di lavoro. Per alcuni, l’emergenza ha coinciso con la scelta radicale di abbandonare l’ufficio tradizionale. Altri hanno abbracciato i vantaggi dello smart working, ma soltanto parzialmente, alternando lavoro in presenza e da remoto. Ripensare il rientro in ufficio significa non soltanto far fronte alle esigenze di sicurezza emerse durante l’emergenza ma anche creare spazi confortevoli, in cui pensare, creare, condividere.

Secondo un articolo pubblicato su New Scientist ad agosto 2021, l’ambiente di lavoro ideale è ricco dei cosiddetti “segnali di appartenenza”, cioè elementi che ci trasmettono un senso di identità e ci fanno sentire parte dell’ambiente che ci circonda. A dire il vero già nel 2010 un saggio intitolato Generation Y in the Workplace mostrava come il 72% degli intervistati (appartenenti alla generazione dei millennial) ammetteva che l’ambiente di lavoro influenzasse le loro scelte professionali.

Secondo Gensler, studio di architettura artefice di molte riprogettazioni di uffici di nuova generazione, qualsiasi cambiamento nel design deve risultare “autentico” e coerente rispetto alla cultura aziendale. Non si tratta di un concetto particolarmente nuovo, ma sicuramente nuove sono le modalità con le quali brand, progettisti, fornitori di servizi di stampa hanno provato a rispondere alle sfide che pone il presente, anche servendosi delle ultime innovazioni sul fronte delle tecnologie e dei supporti di stampa.

Valorizzare l’esperienza umana

La versatilità garantita dalla stampa digitale ha aperto diverse opportunità nell’ambito dell’office design. Durante il webinar Décor: What’s Next, organizzato lo scorso anno da HP, Rachel Nunziata, Interior Decor Print Columnist and Consultant, ha spiegato come gli uffici, svuotati per molto tempo dalla presenza umana, rivendicano adesso una nuova identità. Compito dei progettisti è far sentire le persone a proprio agio. La personalizzazione diventa uno strumento per ricreare, anche all’interno di uno spazio condiviso, delle “oasi” compartimentate e accoglienti, che integrano elementi un tempo appannaggio dell’home décor. Ne è un esempio il Light Box BCN, coworking al centro di Barcellona, arredato con oggetti stampati e personalizzati con tecnologie di stampa HP Latex e Stitch.

Secondo Paolo Tedeschi, Head of Communications, Corporate Marketing and Sustainability di Canon Italia, compito dei fornitori di soluzioni di stampa è offrire il proprio supporto ai designer affinché la tecnologia diventi uno strumento abilitante per riprogettare gli ambienti lavorativi trasformandoli in luoghi in cui estetica, comfort, forma e funzionalità coesistono. «Occorre sviluppare una visione dell’ufficio più dinamica e inclusiva, in cui il focus sia la valorizzazione dell’esperienza umana. Non si parla di uffici del futuro, ma di interpretare le reali esigenze delle persone facendo un’attenta analisi del presente» spiega Tedeschi. «La comunicazione visiva stampata diventa uno strumento indispensabile per raccontare l’identità aziendale anche attraverso precise scelte progettuali. Si tratta di passare da uno storytelling a uno storydoing».

“Divide et comunica” grazie al tessuto

Il south working ha avuto come conseguenza l’apertura di spazi di lavoro condiviso anche in centri di medio-piccole dimensioni, anche se secondo una ricerca di Italian Coworking, Milano, Roma e Torino continuano a guidare la classifica per densità e diffusione di coworking in rapporto alla popolazione. «Durante il lockdown abbiamo registrato una marea di disdette, ma con il ritorno alla normalità abbiamo cominciato a ricevere sempre più richieste, non soltanto da parte dei liberi professionisti, ma anche da aziende che, per decongestionare gli uffici, optano per soluzioni come la nostra per i propri dipendenti» spiega Mario Pescetto, General Manager di Tenoha, spazio polifunzionale situato a Milano in un ex laboratorio di carte da parati nei pressi dei Navigli. L’arredamento interno, di ispirazione nipponica, ha sempre previsto l’utilizzo di pareti divisorie che, oltre a garantire il necessario distanziamento, assolvono la necessità estetica di trasmettere un senso di pulizia, rigore, tranquillità.

La ricerca di soluzioni a impatto zero si legge anche nel ritrovato utilizzo del tessuto. «Lavorando come service, il contatto con diverse tipologie di cliente ci permette di tenere il polso della situazione» racconta Fabrizio Citro, General Manager di Industria Grafica FG, azienda di Salerno specializzata in stampa digitale per allestimenti. «Negli ultimi mesi la richiesta di tessuti stampati è cresciuta in maniera esorbitante. La stampa sublimatica offre il vantaggio di essere inodore e di assicurare un elevato

Sopra e in alto a destra: Nardi Mobili in Cartone

grado di personalizzazione. La gamma di applicazioni è potenzialmente infinita: pareti divisorie, espositori tubolari, chiaramente di dimensioni più piccole rispetto a quelle utilizzate in ambito fieristico, wallpaper, retroilluminati. La maggior parte dei clienti nell’ambito office richiede tessuti antibatterici e fonoassorbenti».

Arredi belli ed efficienti: dal cartone…

Trasformare gli uffici in spazi eco-efficienti a partire da una scrivania o un armadio? Una sfida che Nardi Mobili in Cartone ha abbracciato nel 2012, mettendo a fattor comune l’esperienza nel settore dell’arredo per uffici di Stefano Nardi e la passio-

Sopra: Lockers ArmetBox texturizzati di Armet In alto a destra: Leaderform ne per l’eco design del figlio Massimiliano, di professione architetto. Come suggerisce il nome, l’azienda progetta e realizza arredi in cartone, un materiale che, oltre a garantire performance di sostenibilità eccellenti, è anche estremamente versatile. A distanza di un decennio dalla nascita, l’offerta si è differenziata: quella che era una start up è oggi una realtà consolidata che vanta allestimenti in tutto il mondo. «Acquistiamo dalle cartiere grandi fogli in cartone a tripla onda di diversi spessori, a seconda delle esigenze. Da questi fogli ricaviamo gli elementi che servono a comporre ciascun arredo, utilizzando plotter di precisione che assicurano un taglio impeccabile, condizione necessaria dal momento che tutti i mobili si montano grazie a soluzioni a incastro e quindi progettazione e taglio non ammettono imprecisioni» spiega Stefano Compagno, Marketing & Communication Manager dell’azienda. I fogli di cartone possono essere del classico color avana o bianchi; grazie alla stampa diretta è inoltre possibile personalizzarli su richiesta. «Negli anni abbiamo sviluppato una serie di soluzioni pensate per rendere ancor più durevoli e affidabili i nostri mobili con finiture in vetro, sughero, laminato e D-bond per migliorare le performance anti-usura delle superfici più sollecitate all’uso, come per esempio il ripiano di un bancone reception, o di una scrivania» prosegue Compagno. Grazie al know-how acquisito, Mobili in Cartone promuove un’idea di arredo che sia sostenibile ma anche durevole.

«La personalizzazione è un aspetto fondamentale del nostro lavoro, visto che buona parte degli arredi viene creata su misura, o adattata in base a quello che il cliente sogna di realizzare. Forme, dimensioni, finiture, dettagli estetici e stampe personalizzate consentono di creare arredi in cartone assolutamente unici e pensati ad hoc per soddisfare le aspettative dei clienti».

…al metallo

L’evoluzione tecnologica permette di trasporre il discorso anche a materiali finora meno interessati dal fenomeno della customizzazione. ArmetBox è una collezione nata dalla collaborazione tra l’azienda Armet, specializzata nella produzione di armadi e mobili metallici, e l’architetto Aldo Cibic, che ha saputo reinventare gli arredi attraverso un design pulito ma personalizzabile, e alla combinazione di elementi modulari con cromatismi, forature e texture diverse. Interamente realizzati in lamiera d’acciaio, materiale riciclabile al 100%, i mobili vengono verniciati con polveri epossipoliestere ecologiche. Le stampe sono realizzate tramite una stampante ad alta definizione all’interno del laboratorio di stampa. «Una volta stampata, la texture viene protetta con uno strato di vernice trasparente» spiega Nello Luongo, Direttore Commerciale di Armet. «Tutte le strutture sono modulari con dimensioni di 450x450x450 mm e il cliente può scegliere di adattare la

struttura alle proprie esigenze, scegliendo texture a singole immagini o immagini composte su più mobili. Mettiamo a disposizione un render con il layout dei mobili, i decori e le colorazioni scelte, prima di procedere con la produzione». Lo studio di design Madea di Napoli, per esempio, ha scelto la linea ArmetBox per realizzare contenitori multifunzione da posizionare nell’area comune dei propri uffici.

In sicurezza, senza dimenticare l’estetica

Questo nuovo modo di concepire l’ambiente di lavoro ha aperto numerose opportunità a progettisti e professionisti della stampa, che si stanno aprendo al mondo dell’office design, integrando la propria offerta con pareti divisorie, segnaletica per il distanziamento, arredi personalizzati. Grande attenzione è riservata alla selezione di inchiostri atossici e materiali riciclabili, che possano essere sottoposti a interventi di igienizzazione costanti senza essere danneggiati. «Fin dal primo lockdown abbiamo realizzato parafiato personalizzati, adesivi calpestabili per la comunicazione orizzontale, cartelli e pannelli per informazione e prevenzione, vinili antibatterici. Essendo destinati a luoghi aperti al pubblico, l’attenzione alle certificazioni era massima già dalla richiesta di preventivo» spiega Iole Preziosi, Marketing Manager di Grafica Metelliana, azienda di stampa campana che ha di recente aperto una divisione dedicata alla visual communication.

«A partire dalla trasformazione di materiali rigidi e flessibili con macchine da stampa e taglio per il digital signage è possibile rispondere oggi a qualunque tipo di richiesta» aggiunge Federico Cozza, CEO di Leaderform, azienda veneta specializzata nella stampa per la Business communication. «Vetrofanie, pannelli, espositori, bandiere, ma anche allestimenti per eventi aziendali, anche se chiaramente nell’ultimo periodo la richiesta è stata ridotta. Oltre alle certificazioni più comuni, come la reazione al fuoco, dopo la pandemia è diventata la norma includere quelle antibatteriche e antivirali».

Anche per Robertino Paoloni, Direttore Generale della marchigiana RAM System, la stampa digitale di grande formato è stata un alleato. Grazie all’installazione di una soluzione Ricoh Pro L5160e, l’azienda è riuscita a fornire ai clienti soluzioni efficaci sia da un punto di vista estetico che funzionale. In aggiunta a ciò, tra le applicazioni più richieste ci sono quelle in plexiglas, utilizzato per la creazione di divisori a cornice che permettessero di fare una conversazione faccia a faccia senza il bisogno di indossare la mascherina.

Insomma, con buona pace dei più radicali che ne annunciavano la morte già dopo pochi mesi dall’inizio della pandemia, oggi appare evidente come non siamo ancora pronti a dire addio all’ufficio. Una progettazione più empatica servirà a costruire ambienti di lavoro che rappresentino la cultura aziendale promuovendo il benessere dei dipendenti e facendo da catalizzatore di idee. Il posto di lavoro ideale sarà un posto in cui è possibile ispirarsi, condividere ma anche concentrarsi. Un posto del genere avrà bisogno di spazi dai tratti domestici ma funzionali, luce naturale, mobili e arredi realizzati con materiali naturali e sostenibili. Compito di designer e stampatori sarà quello di creare ambienti versatili e facilmente riconfigurabili, che tengano conto dello “spirito” aziendale e riescano a conciliare le esigenze di sicurezza con quelle di comunità e condivisione.

In alto a sinistra: Tenoha In alto a destra: Nardi Mobili in Cartone Qui sopra: Composizione ArmetBox di Armet

HOW IT'S MADE NERO SU NERO

È il colore non-colore, enigmatico e seducente. Ma tutt’altro che facile da ottenere e riprodurre. Più che di “nero”, infatti, bisognerebbe parlare di “neri” perché al di là degli inchiostri di stampa c’è da considerare anche la gestione del nero dei programmi di grafica o impaginazione, da cui quegli inchiostri derivano e dipendono. Ecco cosa bisogna sapere per realizzare progetti di stampa in nero.

di LORENZO CAPITANI

Nero come la notte, il buio, il vuoto cosmico; nero come il gatto delle streghe, il manto dei cavalli frisoni, il corvo e la pantera; nero come le more, il sambuco e il ribes. Nero come il carbone. Ce n’è tanto di nero attorno a noi! In realtà il nero, inteso come il colore con luminosità nulla, in natura non esiste: a ben guardare sono sempre sfumature estremamente scure di altri colori. Forse di nero assoluto ci sono solo i buchi neri lassù o, pensando alle cose dell’uomo, il blackest black, la sostanza più nera mai creata, composta da nanotubi di carbonio, sviluppata nel 2019 dal MIT di Boston: in grado di trattenere il 99,995% della luce, ha superato il Vantablack brevettato dalla britannica Surrey NanoSystems con il quale BMW ha realizzato una speciale vernice per la sua X6 Vantablack. Ma il nero è anche il colore dei giornali, delle fotocopie, dei libri, dei documenti, dei fumetti a china: insomma è il colore della stampa per antonomasia, e anche dell’inchiostro elettronico.

Nero come l’inchiostro

Nero è il colore dei testi ma anche delle immagini quando si stampava solo a un colore, e soprattutto è uno dei colori della quadricromia. Infatti il ciano, il magenta e il giallo, che da soli teoricamente darebbero il nero, anche alla massima intensità, senza il nero restituiscono solo un marrone molto scuro, il bistro. Se ne era già accorto Jacob Christoph Le Blon, pittore, incisore e inventore di un sistema di stampa a quattro colori su rame, quando nel 1725 nel suo volume Coloritto riproduce per sovrapposizione di tre inchiostri (blu, giallo e rosso) il ritratto di una giovane donna, aggiungendo, per migliorare l’immagine, una quarta lastra inchiostrata di nero. Il modo più semplice per ottenere il nero in offset è utilizzare l’inchiostro nero di cromia, quello dell’ultima lettera della sigla CMYK, dove la K fa non fa riferimento al blacK per distinguerlo dal blu, come vorrebbe la leggenda, ma al termine “Key”, perché la lastra del nero è quella “chiave”, quella utilizzata come riferimento per l’allineamento del registro tra le lastre degli altri tre colori.

Nero e non solo

Anche i quotidiani, un tempo regno incontrastato del nero, usano i colori, nonostante la resa a stampa e la carta. E se si toglie l’editoria libraria, l’unica per cui abbia senso stampare solo in nero, nel mondo della stampa commerciale, tra nuove tecnologie e digitale, è caduto anche il mito dell’usare un colore solo per ridurre al minimo il costo dello stampato. Nell’era dell’immagine convertire tutto in scala di grigio con i colori ridotti a un solo canale fatto dal retino del nero, con passaggi più o meno morbidi a seconda della lineatura, fa assomigliare tutto a una fotocopia ben fatta. L’aggiunta del colore nero in stampa migliora la resa cromatica, in quanto aggiunge maggior contrasto e profondità alle immagini, consente di ottenere neri più pieni, amplia il gamut dei colori ottenibili verso i colori scuri e rende meno critico il controllo del bilanciamento

degli altri tre colori, cioè, come si dice in gergo, stabilizza l’asse dei grigi. Eppure se il ciano, il magenta e il giallo da soli non ce la fanno a dare il nero, è pur vero che anche il nero non può fare a meno di loro. A questo proposito Gianni Camusso, senior graphic designer già vice art director di Mondadori Libri con all’attivo numerose collaborazioni con case editrici, spiega: «Comincerei col distinguere il nero di un fondo o di un lettering dal nero di un’immagine. Perfetto per i testi, non è sufficiente in termini di copertura quando si tratta di superfici ampie, come una copertina, o di lavori in cui la resa qualitativa delle immagini è indispensabile. L’inchiostro nero, infatti, sia pure a densità massima, sui fondi da solo appare slavato e svuotato, quasi grigio», soprattutto se la carta tende ad assorbire, o ancora, se non si imposta bene la foratura e la sovrastampa lascia trasparire eventuali grafismi sottostanti, «ma in questo caso i software lo sovrastampano in automatico sugli altri colori su cui poggia». L’aggiunta del colore nero in stampa migliora la resa cromatica, in quanto aggiunge maggior contrasto e profondità alle immagini.

Vedo nero

Generalmente per rendere bene il nero conviene crearne uno rinforzato da un secondo colore oppure composto da tutti e 4 gli inchiostri, il cosiddetto nero ricco. Tutto dipende da come stamperemo, dal tipo di lavoro e dal budget. Continua Camusso: «Nel caso di un fondo che ospiterà testi in negativo, conviene limitare l’arricchimento del nero. Questo perché bisogna evitare l’effetto fuori registro che inficerebbe la leggibilità, come si nota spesso nei rotocalchi e nei magazine. È sempre difficile in stampa far sì che i 4 colori siano perfettamente a registro e si possano leggere nitidamente testi in bianco su un fondo di quadricromia». Sui fondi pieni si può comporre un nero rinforzato con il 50% di un secondo colore che però avrà inevitabilmente una dominante a seconda del colore scelto: «arricchito dal ciano, avrà un aspetto impercettibilmente più freddo, più caldo con il rosso», mentre usando il giallo avrà una sfumatura più dorata. Volendo si possono sfruttare anche le tinte piatte messe a disposizione dal sistema Pantone e doppiare il nero con un secondo inchiostro della gamma dei black: un escamotage che rende più intenso il nero di cromia e compensa il rischio di capperi sui fondi pieni. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: basta una ricerca nella piattaforma PantoneConnect per trovarne almeno una cinquantina.

I colori del nero

Indubbiamente due neri migliorano le cose anche nel caso delle immagini in b/n stampate a 4 colori. Ma occorre lavorare in prestampa, costruendo un secondo nero, detto “scheletrico” o “di ripiego”, a partire dall’immagine in CMYK, duplicando uno dei canali (quasi mai il giallo) e, nelle curve, abbassando le ombre in modo da creare una nuova tinta piatta che riempia e disegni i mezzi toni. Ma si può fare di più soprattutto se ricerchiamo massima qualità: aggiungere un grigio come tinta piatta. Stampando con 2 neri e un grigio l’immagine viene dapprima convertita in un b/n a 4 colori, quindi si userà general-

Nero ricco

Nero freddo

Nero caldo

Nero dorato

Nero Photoshop

Nero Registrazione 403030 100

50 0 0 100

0 50 0 100

0 0 50 100

91 79 62 97

100100 100 100

C=30 M=30 Y=30 K=100

NERO=100%

mente il canale del ciano per stampare con l’inchiostro nero le mezze tinte, il canale del magenta (all’80%) per il grigio e il canale del nero per lo scheletrico, eliminando il giallo che non disegna e sporca. Decidere a priori quale dei Grey usare è difficile perché la simulazione a video non rende effettivamente quella che sarà la stampa, a maggior ragione usando un Pantone. Per questo può essere consigliabile accordarsi preventivamente con lo stampatore e prepararsi a dover rincorrere pazientemente all’avviamento il risultato voluto. Ovviamente, se si è alla ricerca di effetti particolari come il seppiato, è possibile usare un altro Pantone. «Quando ho a disposizione solo la quadricromia per stampare una foto in b/n - spiega Camusso – se l’immagine nasce già in b/n in genere ha già dei contrasti studiati in origine dal fotografo e potrebbe non essere necessario intervenire, mentre se viene convertita da un originale a colori quasi sempre risulterà piatta e poco contrastata. Occorrerà quindi intervenire nelle curve per ridare profondità ai neri e luce ai bianchi per avere maggiore tridimensionalità. In entrambi i casi però converto sempre l’immagine in quadricromia proprio per avere neri più pieni facendo solo attenzione a non superare, con la somma dei colori, il 300/320%, misurando un punto nero dell’immagine». Per un b/n più neutro possibile, partendo da Decidere a priori quale dei Grey usare è difficile perché la simulazione a video non rende effettivamente quella che sarà la stampa

un’immagine in RGB, si può convertire in CMYK con un elevato GCR (Grat Component Replacement): nell’immagine lavorerà molto più con il nero e meno con gli altri colori, migliorando la neutralità.

Nero profondo

Sicuramente, la soluzione più pratica per ottenere un bel nero pieno nei fondi è creare il cosiddetto nero ricco (rich black) fatto dai 4 colori di quadricromia ottenuto con diverse combinazioni. Ogni grafico ha la sua ricetta: Camusso preferisce il C40, C40, Y40, K100, ma usate sono anche il C30, M30, Y40, K100 o ancora C50, M30, Y30, K100. Non c’è molta differenza, l’importante è non esagerare con le percentuali di inchiostri che, sommate, non dovrebbero superare il 310% per una carta patinata. Questa soglia, comunque segnalata da qualsiasi sistema di preflight, dipende dal tipo di supporto e rappresenta la massima quantità di inchiostri sovrapposti tollerata (TIL = total ink limit) prima di dar vita al fenomeno del rifiuto, che si verifica quando la carta non è in grado di assorbire gli inchiostri. Certamente un nero così fatto apparirà pieno, uniforme e ben coprente, ma il registro? Dipende da dove si usa: il nero ricco non va usato a sproposito per grafismi fini o per i testi piccoli per i quali va usato il solo nero.

Si fa presto a dire nero

Insomma, più che di “nero” bisognerebbe parlare di “neri” perché al di là degli inchiostri di stampa c’è anche la gestione del nero dei programmi di grafica o impaginazione, da cui quegli inchiostri derivano e dipendono. In Photoshop, a parte il nero piatto (C0, M0, Y0, K100), esistono 2 diverse composizioni base per il nero di quadricromia: C75, M65, Y60, K80 con coprenza 280%, che si ottiene convertendo il nero piatto dallo spazio RGB al CMYK, e il cosiddetto nero di Photoshop ovvero C91, M79, Y62, K97 con coprenza 330% che corrisponde al massimo nero ottenibile (Lab* 0, 0, 0 - RGB 0, 0, 0 - esadecimale 000000). In InDesign, dove il nero di base è il nero piatto e non c’è possibilità di conversione tra spazi colore del documento, sarà al momento della creazione del pdf che, in base alle impostazioni, si avranno le corrette conversioni in quadricromia: il nero piatto resterà K100, i neri a 4 colori manterranno le loro composizioni, ed eventuali neri in RGB saranno convertiti proporzionalmente nei valori CMYK (es. RGB 30, 30, 30 = C75, M65, Y60, K80). Ma l’errore che non va commesso in

Stampato con quadricromia più Light Black su HP Indigo

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La stampa del nero in digitale

Stampare il nero in digitale ha tratti comuni con l’offset, ma ha anche peculiarità tutte sue: ne abbiamo parlato con Fabio Galimberti, Solution Architect HP Indigo Division.

Qual è la best practice per stampare in digitale un’immagine b/n?

Si incomincia con un file in RGB. HP Indigo usa un algoritmo che lavora automaticamente e trasforma il file di ingresso a 2 separazioni Nero + Nero light per immagini in bianco e nero, altrimenti per file a colori l’algoritmo lo trasformerà a 5 separazioni CMYK + light black. L’inchiostro Light black era nato inizialmente per soddisfare le esigenze del mondo fotografico di raggiungere un’altissima qualità in bianco e nero. Normalmente per stampare quel tipo di immagini si lavorava sempre con file in quadricromia, ma il risultato finale spesso aveva una predominanza di giallo, magenta o ciano; era veramente difficile avere un’immagine neutra in toni di grigi che facesse risaltare facilmente tutti i particolari. HP Indigo è riuscita in modo semplice e automatico a ovviare a tutti questi problemi, creando inizialmente un algoritmo che lavorava solo per le bicromie bianco e nero; poi, dato che la richiesta si è spostata, anche sulla quadricromia, con un secondo algoritmo per le immagini a colori.

Quali differenze ci sono tra stampare un nero di qualità in digitale e in offset?

Con HP Indigo non abbiamo differenze, la nostra tecnologia permette di ripetere più volte il canale del nero, questo fa sì che la separazione abbia una doppia passata di inchiostro. Volendo lo posso effettuare anche su tutte le separazioni del mio lavoro (CMY).

In digitale come si evitano i neri eccessivamente chiusi nelle ombre e nei b/n molto scuri?

Essendo un offset digitale usiamo la stessa filosofia di stampa, lavorando sulle curve di compensazione del canale del nero e correggendo, laddove necessario, l’apertura delle ombre.

Come si prepara il file per stampare un b/n di qualità neutro e profondo?

Sostanzialmente in due modi. Il primo è in automatico, senza l’intervento dell’operatore di prestampa: basta copiare il file all’interno del DFE Indigo e l’algoritmo di HP Indigo fa la separazione sia per lavori a colori che per lavori in b/n. Oppure manualmente, creando 2 canali Nero + Light Black tramite Photoshop: in questo modo sarà il grafico a decidere dove vuole la stampa del secondo colore. Anche in questo caso, alla fine, copierò il lavoro all’interno del DFE.

Quanti neri esistono in digitale in termini di neri a 4 colori e speciali (Pantone o inchiostri speciali)?

Non abbiamo limiti, le macchine da stampa HP Indigo possono stampare sino a un massimo di 7 colori contemporaneamente: essendo certificate Pantone, potrei inserire 3 tipologie di nero uno diverso dall’altro. Oltre al Pantone, posso inserire quelli che vengono chiamati colori personalizzati (rosso Coca-Cola, giallo Poste Italiane per fare qualche esempio), basta avere il valore LAB e il tipo di carta su cui si intende stampare e HP Indigo è in grado di fornire l’inchiostro desiderato. Abbiamo anche altri inchiostri speciali: un nuovo inchiostro bianco molto coprente; un giallo invisibile, di cui a occhio nudo non riesco a vedere il grafismo, che si attiva con luce UV; un inchiostro pink fluorescente; inchiostri light cyan e magenta; ultimo ma non meno importante, un inchiostro trasparente che permette di avere un effetto vernice a spot (solo visivo e non protettivo).

InDesign è usare il nero chiamato [Registro]: si tratta di un campione colore, che non può essere modificato o rimosso, ottenuto dalla percentuale massima dei 4 colori, che viene riportato in ogni canale e viene usato per i segni di stampa, come crocini di registro, di taglio, informazioni di pagina, tacche eccetera. Ricordate che ciò che vedete a monitor non è ciò che stamperete, per questo impostate, nelle preferenze di InDesign e Illustrator, l’aspetto del nero in modo che il nero piatto appaia come un grigio scuro, mentre il nero ricco sia effettivamente nero.

Stampare il nero

Ma veniamo alla stampa. In offest capita spesso di vedere fondini o testi a corpi importanti stampati in nero con sotto immagini ben visibili in trasparenza. È facile accorgersene già a video, mentre si impagina, a patto di lasciare attivata la simulazione della sovrastampa. Il solo inchiostro nero, per quanto carico, come detto, non riesce a coprire completamente il retino sottostante degli altri colori. Il nero ricco aiuta, ma quando non si può usare è possibile aggirare le impostazioni dei programmi di grafica, impostando il nero solo in quel punto in foratura e non in sovrastampa, in modo che “buchi” tutto ciò che vi è sotto. Attenzione però che nella creazione del pdf o in fase di ripping non si ripristini la situazione iniziale. In digitale, le logiche non cambiano, ma ci sono possibilità tecniche maggiori proprio per la possibilità di intervenire come serve copia per copia, con precisione massima. Con la tecnologia Indigo, ad esempio, è possibile costruire neri ricchi per ottenere un’ottima coprenza; laddove il canale del nero è solo composto dal 100% si può stampare più volte il colore (da 2 Non è il caso di saturare i colori in maniera innaturale, come spesso si vede soprattutto sui social nelle foto di paesaggio.

a 16 volte); oltre a questa funzione si può decidere di ribattere (ristampare) solo K100 in modo tale da non variare la cromia su un eventuale lavoro o ristampare tutto il K100 e le sue mezzetinte. Inoltre è molto più facile intervenire in modo puntuale sulle quantità di inchiostro sui testi e sulle immagini in modo da ridurre l’effetto di nero chiuso che a volte il digitale dà, soprattutto nelle ombre e nei b/n molto scuri. Al momento del ripping si può intervenire sulle immagini regolando lo sharpening per dare più dettaglio o lo smooth per donare maggior morbidezza ai passaggi cromatici nelle ombre. Il concetto di secondo nero di rinforzo c’è anche in digitale soprattutto per la resa delle immagini in b/n: preparando il lavoro in bicromia (canale nero + canale nero Light) si ottengono stampe di elevata qualità, senza avere la predominanza di un altro colore.