Viaggio al termine delle beauty box di A N N A
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A P REA
C’è un’attenzione morbosa, quasi ossessiva, intorno alle beauty box — i cofanetti di bellezza per il make up, che si ordinano online dopo aver sottoscritto un abbonamento e compilato una scheda di profilazione — il cui successo, almeno negli Stati Uniti, dura ininterrotto da otto anni, come testimoniano non soltanto le centinaia di migliaia di Instagram stories, video unboxing, foto di scatole rosa che percorrono in lungo e in largo la rete, infinite comunità di Beauty Box Lovers ma anche le urlatissime recensioni del tipo “non potrai mai più vivere senza la tua beauty box”. Progettate per essere condivise e personalizzate (tutti i player del mercato consentono di comporre la propria beauty box in base alle esigenze di pelle, ai colori preferiti di smalti, ombretti) le boite surprise, come le chiamano i francesi, sono legate a filo doppio al successo della subscription economy che sta rivoluzionando il modo di acquistare, vendere, possedere per sempre qualcosa. Un recente rapporto McKinsey indica che il mercato dell’abbonamento online (quello sul modello Netflix per intendersi) è cresciuto di oltre il 100% all’anno negli ultimi cinque anni, ragione che spiega perché tutti i grandi brand della cosmesi e persino quelli dell’alta profumeria sono entrati a gamba tesa, uno alla volta, nel mercato delle beauty box. Non solo Sephora con Play! By Sephora, anche Gillette con P&G, Walmart con Beauty Box.
PRINTLOVERS | DIC2018