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editoriale
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orse non c’è azione umana più bella di quella del volontario. Fare per libero impulso interiore. Senza interessi. Gratuitamente. Senza secondi fini. Generosamente. Lo sport è pieno di persone animate da questo sentire. Anzi lo sport esiste in Italia grazie ai volontari che portano i ragazzini in montagna a sciare anche se non sono figli loro; nel campetto a giocare a calcio o in palestra per qualsiasi altro sport, sebbene non prendano un euro per fare ciò. Le associazioni sopravvivono grazie a presidenti, consiglieri, accompagnatori animati da questo alto spirito altruistico. Che meraviglia! Eppure il volontariato non è figlio dello sport. Dallo sport, se mai, viene il dilettantismo, fare per puro diletto, per libero piacere che è un’altra cosa rispetto al volontariato: il primo lo si fa per sé, il volontariato lo si fa per gli altri. Per tutti gli altri, tanto che storicamente lo si faceva per la Patria. Il volontariato ha inizio a fine Ottocento, quando il Regno d’Italia era da poco costituito e i giovani italiani partivano volontari per il servizio di leva a difesa della nuova nazione. Oggi quello spirito nobile è rimasto nel mondo della protezione civile, degli alpini, dei vigili del fuoco… Quando, quest’estate, un ragazzino di Lavarone non aveva fatto ritorno dal suo giro in bici, sono corsi in 200 a cercarlo nei boschi dell’altopiano cimbro, tutti preparatissimi, organizzati, attrezzati. Un vero esercito di volontari, qualcosa di grande e di lodevole, come quegli eserciti di volontari che sono corsi in aiuto alle popolazioni terremotate del centro Italia. Solo che sempre di più di questa operatività, di questa efficienza qualcuno si sta approfittando e da prestazione d’urgenza, cioè circoscritta a un episodio assolutamente eccezionale, come dev’essere, se ne sta facendo un uso abituale, ordinario, addirittura strutturale. È il caso dell’associazionismo sportivo, in cui si è confuso lo spirito dilettantesco con il volontariato. Questo non va bene. Questa è una distorsione del sistema. Un abuso. Si può ricorrere ai volontari per la ricerca di un ragazzo che non è tornato a casa e che si presume possa essersi perso nei boschi, per un terremoto, per un’alluvione, per un incendio, per tutti gli eventi imprevedibili ed eccezionali che possono accadere, ma non per far attraversare i bambini all’incrocio davanti alla scuola, per assistere i pazienti in lunga degenza negli ospedali, per intonacare i portici di Monte Berico. Queste sono attività ordinarie, non straordinarie. Questi sono servizi per i quali il cittadino italiano paga più del 60% dei suoi guadagni. Qui il volontariato non c’entra. Eppure va così. Esattamente come accade nello sport. Nell’ennesima finanziaria non c’è traccia di riforma dello sport che rimane sempre affidato alla meravigliosa generosità delle buone anime dei volontari che si prendono cura della crescita forte e sana ed etica dei giovani italiani come si trattasse di un intervento d’emergenza, che proprio non è: che pena!
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chiuppano ©Photo Adriano Dondi
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Ancora più forte
di Nicole Rubbo
747 al Trofeo delle Nazioni è argento: un finale con il botto per Michele Cervellin dopo un anno in cui ha dovuto affrontare un serio problema fisico che l’ha costretto a un intervento d’urgenza in pieno campionato.
A
bbiamo incontrato Michele Cervellin all’indomani del Trofeo delle Nazioni, il grande appuntamento dove i più forti campioni di motocross si sfidano vestendo i colori della propria nazione. Ecco cosa il campione Chiuppanese ci ha raccontato:
Ciao Miky, non è passato molto dall’ultima volta che ci siamo incontrati, ma come al solito fai parlare di te. Compimenti per il secondo posto al Trofeo delle Nazioni. Raccontaci un po’ come è stato questo grande weekend.
“
Grazie, si è stato un weekend magico, quasi perfetto. E’ la mia quarta edizione, ma ogni volta, questa gara ha un sapore speciale. La pista di Red Bud, in Michigan U.S.A., è strepitosa, una delle belle e veloci al mondo. Infatti temevamo molto la squadra statunitense abituata a girare in circuiti veloci; fortuna i 3 giorni di pioggia incessante hanno reso il fondo molto complicato, cambiando completamente lo scenario e avvantaggiando noi piloti europei che ormai siamo diventati piuttosto competitivi con queste condizioni”.
7 E dicci la verità: vestire i colori azzurri assieme a Cairoli e Lupino che emozione ti ha dato?
“
Correre per l’Italia mi ha dato grande motivazione e una carica pazzesca, se poi pensi che ho affiancato Lupino e Cairoli, 9 volte campione del mondo, beh, la responsabilità che sentivo era grande e volevo far bene.
Vi aspettavate questo risultato?
“
Se mi avessero detto di firmare per un secondo posto, all’alba della competizione, non ci avrei pensato 2 volte. Sapevamo di essere forti, il nostro obiettivo era lottare per il podio perché sapevamo che avevamo le
Il Trofeo delle Nazioni è stato l’ultimo appuntamento di una stagione carica di soddisfazioni ma anche di criticità per te, giusto?
©Photo Adriano Dondi
Ci sono riuscito, ho dato il massimo, grazie anche a loro due, con cui ho un rapporto bellissimo. Correre la competizione più prestigiosa con due professionisti di questo calibro non poteva che spingermi a dare tutto e a sbagliare il meno pos-
“
sibile e così è stato. C’è poi da dire che il nostro C.T. Thomas Traversini, è stato veramente un grande stratega ed assieme a tutto lo staff tecnico ci ha messo nella condizione di portare a casa questa strepitosa medaglia d’argento.“
carte in regola per farlo. Se penso però che avevamo la vittoria a portata di mano, un po’ di rammarico c’è, ma comunque è stato un grande, grandissimo risultato e quindi voglio godermi questo momento magico”.
Sì Niky è stata un’annata impegnativa, sono cresciuto molto e i miei risultati lo hanno dimostrato, ma questo 2018 è stato una grande sfida più sul piano personale che su quello agonistico. Ci eravamo lasciati pochi mesi fa; ti raccontavo del passaggio in Yamaha, delle gare imminenti, dei miei progetti, e non potevo immaginare quale sfida da lì a poco avrei dovuto affrontare. Durante il gran premio di Svizzera, ho iniziato ad accusare dei dolori anomali e non mi sentivo più in forma come al solito, già da un po’ a dire il vero. Ho fatto de-
gli approfondimenti perché sentivo che c’era qualcosa che non andava. Mi hanno diagnosticato una grave patologia, che mai mi sarei aspettato di dover affrontare a 22 anni, e così hanno dovuto operarmi d’urgenza. Sono stati giorni difficili, bui, pieni di incertezza e inquietudine ma posso dire, ora, sorridendo che il problema è stato risolto e voglio approfittarne per ringraziare il Dott. Maurizio Lazzarotto che mi ha operato, la Dott. ssa Alessandra Perin e tutto lo staff medico di Santorso che mi ha assistito durante quel tragico periodo”.
8 Pensi che ti abbia cambiato questo difficile passaggio della tua vita?
Caro Miky vuoi dirci ancora qualcosa o ringraziare ancora qualcuno prima di salutarci?
“
Sono episodi che segnano molto e sì, mi sento più forte, ovviamente sul piano fisico perché ora sto bene ma anche sul piano psicologico. Se penso a tutte le problematiche che ho affrontato e nonostante queste sono comunque riuscito a vincere il titolo Italiano, gli Internazionali d’Italia, con-
cludere al settimo posto il campionato mondiale e, dulcis in fundo, questo pazzesco secondo posto al Trofeo delle Nazioni, beh mi dà grande soddisfazione e un grande senso di forza, per tutto ciò che nella vita dovrò affrontare.
“
Sì, voglio ringraziare la mia famiglia e la mia fidanzata Gloria, che hanno gioito insieme a me dei miei successi e son stati fondamentali nel momenti difficili, il gruppo Fiamme Oro della Polizia di Stato, il mio team SM Action di Giovanelli e Migliori, il mio preparatore atletico Remo Longin , il tecnico Alex Zanni , e tutto il mio fun club.”
Ahhh a proposito, lo sai che il Nazioni sono andata a vederlo presso il tuo fan club a Chiuppano? Un vero covo di tifosi sfegatati e piuttosto “festaioli”?
Bene campione, cosa dobbiamo aspettarci per la prossima stagione?
“
Intanto stiamo organizzando la preparazione invernale, ho già provato la moto nuova ed è veramente performante, ora poi con l’avviamento elettrico è il top, non vedo l’ora di allenarmi per vedere fin dove posso spingermi. E poi per quanto riguarda la prossima stagione posso solo promettere che darò tutto me stesso, come sempre, per fare sempre di più e sempre meglio”.
©Photo Adriano Dondi
“
Sì mi hanno informato! Immagino tu ti sei divertita... non ti nascondo che mi piacerebbe vedere una mia gara in diretta insieme a tutti i miei tifosi! Sono molto orgoglioso perché siete sempre più numerosi, mi supportate costantemente e mi date una grande grandissima carica”.
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recoaro
di Sara Storti foto Mariano Storti
SCHEDA Partenza: 17 luglio Ritorno: 16 agosto Giorni di pedalata: 21 Stop per meteo avverso: 5 gg. Km. Percorsi: 1500 Tappa massima: 110 Quota massima: 570, ormai al limite delle nevi perenni Pernottamento: 25 giorni in tenda, un giorno in un minuscolo bivacco, uno in palestra e due, di nascosto, ALLA VIGLIACCA in fattoria. Biciclette: Mariano: gravel Specialized Sequoia, Sara: mtb Orbea. Forature: 0… Infine i costi: l’Islanda è uno dei paesi più cari del mondo, ad esempio dormire in fattoria costa 100 euro a testa, per tenerci gli scatoloni delle bici volevano 240 euro… in sintesi si è lamentato dei prezzi anche uno svizzero! Solo i campeggi ed i discount hanno prezzi accettabili.
Islanda selvaggia 1500 Km in bici tra la forza e la bellezza della natura dell’Islanda
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iaggiare in Islanda in bicicletta è come essere dei marinai. In bicicletta, proprio come su una nave, si è sempre in balia dei venti e delle condizioni atmosferiche: se piove o il vento è contrario ci si ritrova a lottare per avanzare di pochi chilometri. Come un marinaio anche il ciclista ha il suo mare; c’è il mare della ring road che gli si snoda davanti; c’è il mare dei fiordi, freddo e selvaggio e poi c’è un mare di terra, anzi di sabbia, il “sandur” lavico che circonda la strada per chilometri e sembra non avere fine. Il nostro viaggio di ciclisti marinai inizia all’aeroporto di Keflavik da dove ci prepariamo ad attraversare l’Islanda in senso anti-orario percorrendo la strada numero 1, la così detta “Ring Road”. Siamo io, quel vecchio lupo di mare di mio papà, le nostre biciclette e un bagaglio ridotto all’essenziale ma che con il suo peso, 25 kg., ci farà sudare non poco. Fin dal nostro arrivo l’Islanda si rivela una terra dalle condizioni meteo difficili. Sorpresi da un acquazzone,
siamo costretti ad piantare una tenda di emergenza nei pressi di Grindavik. Non sarà l’unica volta che le condizioni atmosferiche ci metteranno in difficoltà. Fin dall’inizio ci si presenta anche un altro elemento naturale contro cui dovremo lottare fino all’ultimo giorno: il vento. A causa del vento certi giorni fatichiamo ad avanzare e ci ritroviamo a pedalare persino in discesa. Ad Hofn e Vermahild un forte vento ci costringe a due giorni di riposo forzato, mentre nei pressi dei fiordi orientali dobbiamo ripararci in una fattoria a causa di raffiche ai 70 km/h. Nonostante questo vento dispettoso si ostini ad accompagnarci per diversi giorni, riusciamo comunque ad avere qualche spiraglio di sole e qualche giorno di quiete che ci consente di macinare fino a 110 km in una sola giornata. Dopo vento e pioggia, il sole rivela i colori incredibili dei paesaggi che ci circondano. Il meteo in Islanda cambia in maniera imprevedibile e veloce e nel corso del viaggio attraversiamo
11 quasi tutte le condizioni metereologiche con temperature dai 3 ai 20 gradi. A cambiare sono anche i paesaggi e durante il nostro viaggio attraversiamo una grande varietà di paesaggi. Percorriamo distese verdi con più cavalli che uomini, ci innervosiamo per il traffico nei pressi di Reykjiavik e Akureri, ci perdiamo ad osservare l’immensità del “sandur” grigio, la sabbia lavica, che ci segue per chilometri. Restiamo senza parole quando ci appare in lontananza il Vatnajokull., grande come l’Umbria,,il nostro bianco Moby Dick, che con la sua bianca mole ci segue per grande parte del sud dell’Islanda. Poi ancora il paesaggio cambia e incon-
triamo le aguzze scogliere di Vik, poi le nevi eterne su un passo di montagna a 420 metri e poi ancora il Lago Mivatn con la sua quiete, i suoi moscerini e le papere…l’Islanda ci si rivela piano piano, si fa scoprire nella sua varietà di paesaggi. Con la bici scopriamo l’Islanda poco a poco e la viviamo letteralmente sulla nostra pelle. La perfida e meravigliosa Iceland ci arrossa la pelle, ci scompiglia i capelli, ci sballotta con i suoi venti contrari, alcune volte ci fa innervosire con i suoi sbalzi d’umore continui. Nonostante ciò l’Islanda ci regala tanto e dopo 1500 km di pedalate ritorniamo a casa con le facce rosse ma con gli oc-
chi pieni di meraviglie. Qualcuno dirà che la bicicletta è noia e fatica, ma ovviamente non ha mai fatto un viaggio in bicicletta. La bicicletta è la rappresentazione della vita. Perché senza costanza e prendendo delle scorciatoie non si arriva al traguardo che ci si è prefisso. Un viaggio è una infinita lotta contro noi stessi, perché per raggiungere il traguardo non basta avere solo voglia di arrivare. Sicuramente occorre essere tenaci. E tante volte occorre avere anche un pizzico di fortuna. E’ uno stile di vita insomma. E il viaggio in bicicletta ne è la rappresentazione massima.
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vicenza
Mongol Rally 2018 in salsa vicentina
di Giulio Centomo foto di Diego Montagna
Da Vicenza a Ulan Bator sulla via della seta per fare del bene
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iceva Lao Tzu che “un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo”, ma nella storia che raccontiamo qui è bastato girare una chiave e far rombare un piccolo e tenace motore. A volte per dare il via ad una storia indimenticabile basta un colpo di fortuna. Se poi lo si mescola con un po’ di sana follia, quello che ne viene fuori potrebbe davvero stupirci. Ed è un po’ quello che è successo a Diego, Mattia e Bruno, il team vicentino che
quest’anno ha partecipato all’edizione 2018 del Mongol Rally, la gara non competitiva a scopo benefico che dal 2004 ha messo sulla rotta tra Europa e Asia centinaia di equipaggi. Requisito che rende speciale la manifestazione riguarda i mezzi, per lo più automobili con cilindrata che non supera i 1200 cc (in origine erano solo 1000 cc) o moto fino ai 125 cc. Tutto inizia con una sciata a gennaio dello scorso anno. Diego e Mattia al rientro incrociano due signore impegnate a spingere una vecchia Fiat Uno e mentre decidono di accostare per dar loro una mano è Mattia ad avere il lampo. Chiede se sono disposte a vendergli la macchina. “Quanto ci dai?” - risponde una delle due. Lui allora propone 100 euro e le due non accennano nemmeno ad una seppur minima trattativa. È fatta. Il tempo di organizzare il recupero e il rimorchio fino a casa e l’avventura ha inizio.
Mezzo: Fiat Uno 1000 fire 45 CV, classe 1990 e adattata in versione Mongol Edition Equipaggio: Diego Montagna, 28 anni; Mattia Diquigiovanni, 29 anni; Bruno Scortegagna, 33 anni Team partecipanti all’ed. 2018: 400 Km percorsi: 17.815 km (+650 km su camion con la macchina rotta) Paesi attraversati: Italia, Austria, Germania, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaijan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakistan, Russia, Mongolia Carburante consumato: 2.200 l Giorni di viaggio: 49 (dal 14 luglio al 1 settembre)
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Perché proprio questa gara? Perché è una gara ignorante, non è competitiva, conta arrivare ed è l’avventura più grande del mondo! Un quarto di pianeta percorso obbligatoriamente con auto vecchie e di piccola cilindrata. Non esiste nulla di simile o paragonabile al mondo.
Quanto tempo avete dedicato alla preparazione? Ci siamo effettivamente iscritti a ottobre del 2017 e la preparazione ci ha impegnati per circa 9 mesi, poi concentrati in particolare nelle ultime due settimane pre-partenza. Siamo partiti dalla Uno, che abbiamo sottoposto a vari controlli meccanici per verificare l’affidabilità del motore, montare un radiatore maggiorato e altre sospensioni prese da un Fiorino, una doppia pompa della benzina (se se ne fosse rotta una ce ne sarebbe comunque stata un’altra), poi il para-coppa sotto scocca per proteggere dagli urti e la tenda da tetto. Una volta messo a punto la meccanica siamo passati all’allestimento grafico. A farci penare più di tutto è però stato il tempo di attesa dei visti d’ingresso nei diversi Paesi che abbiamo poi attraversato e che ci sono costati circa 1.000 euro a testa. A quel punto ci siamo concentrati sulla raccolta fondi per il nostro progetto benefico, tra crowdfunding, offerte per le nostre magliette e varie serate in giro per la provincia.
Cosa vi portate a casa di questa competizione particolare? In assoluto la straordinaria ospitalità e bontà delle persone che abbiamo incontrato lungo tutto il nostro viaggio.
Cosa avete più invidiato agli altri equipaggi? La macchina. Molti equipaggi avevano macchine non più vecchie di 10 anni e la differenza si è vista a livello di potenza del motore e di tenuta alle rotture. Noi abbiamo incarnato perfettamente lo Spirito Originale del Mongol Rally, ma la nostra macchina ha sofferto parecchio. Alla resa dei conti lungo il percorso abbiamo dovuto sostituire praticamente tutti i principali componenti: le boccole della leva del cambio, due gomme, le molle degli ammortizzatori, i filtri della benzina, dell’olio e dell’aria, la ventola del radiatore, le candele e infine l’alternatore a soli 7 km dall’arrivo.
Cosa, invece, vi hanno più invidiato gli altri equipaggi? L’allestimento grafico della Uno, la tenda da tetto e le trombe di Hazzard.
Se doveste fare un bilancio del viaggio, quali sono stati i tre momenti più emozionanti? L’entrata in un Paese che immaginavamo “complicato” come l’Iran; Hell’s Gate, il cratere creatosi nel 1971, dopo che i Sovietici avviarono alcune perforazioni nel deserto per estrarre petrolio. Ad un certo punto crollò tutto all’interno di un enorme cratere ed iniziò ad uscirne gas. Convinti di esaurire in pochi giorni le sacche di gas, i Sovietici decisero di darci fuoco. Qualcosa non deve aver funzionato perché il cratere da cinquant’anni continua a bruciare. Per non parlare poi della traversata del Tajikistan seguendo il confine con l’Afghanistan, lungo un fiume che di notte è attraversato dai commercianti d’oppio che portano da un lato eroina e importano armi. Non si può definire un bellissimo posto, ma di certo significativo nel corso del nostro viaggio. Infine, è stata una grande emozione visitare il Campo Ger ad Ulan Bator, dove abbiamo visto le tre tende donate col progetto umanitario che abbiamo sostenuto.
Avete mai avuto paura? Mai, nemmeno in un Paese controverso come l’Iran. Abbiamo incontrato le persone più ospitali e disponibili dell’intero viaggio. Questo la dice lunga su come vogliono farci credere siano le persone nel mondo.
Avete già pensato ad una prossima avventura? Chiaramente viaggi di questo tipo sono come una droga ed in futuro riproporremo sicuramente qualcosa di altrettanto epocale, ma al momento siamo ancora impegnati a riportare a casa la macchina e nel montaggio del materiale video che abbiamo girato in viaggio, accompagnati dal nostro fedele drone.
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15 Mongol Rally è anche solidarietà: come è avvenuta la scelta del progetto che avete supportato? Abbiamo scelto di supportare il progetto “Una GER per tutti” del prof. David Bellatalla, un antropologo che opera ormai da parecchi anni con la Croce Rossa Internazionale a sostegno delle madri single con bambini disabili che vivono nel distretto Chingeltei di Ulan Bator (Mongolia). L’idea era bella perché avevamo la possibilità di sostenere un progetto benefico direttamente in Mongolia e far coincidere, più o meno, la fine del rally con la visita al campo tende. Siamo partiti con una campagna di crowdfunding per acquistare una tenda Ger del valore di 1.000 €, che abbiamo coperto vendendo le nostre magliette e alcune donazioni da diverse persone. Al nostro fianco si è aggiunta la Scuderia Palladio di Vicenza, nostra partner in quest’avventura, che ha donato altri 1000 €, ed il Gruppo “Amici di Niccolò” con altri 1000 € che ci hanno permesso di arrivare ad un totale di tre tende donate.
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valdagno
Un anno meraviglioso Nuove idee e nuovi obiettivi per il Ciclo Club Novale
di Manuele Frapiume
I
mprese e territorio sono entità da sempre intimamente collegate. Un’alleanza nata e cresciuta in un ambiente naturale e umano che ha dato forma ad un “capolavoro” in continua evoluzione, un nodo di relazioni e di valori che creano risorse. Attori della medesima vicenda, le aziende Talin Spa e Recoaro sono tra i principali protagonisti della nostra vallata e da questa stagione sostengono il Ciclo Club Novale con nuova forma, una nuova struttura e nuovi colori. E’ con questa filosofia che nel 2018 il Ciclo Club Novale è ripartito: prima di tutto la nostra vallata! A dar vita a questo cambiamento un nuovo Consiglio Direttivo che, sempre capitanato da Dario Reniero con incarico di Presidente, ha voluto rimettere in auge il Ciclo Club Novale, nato nel 1984 da Bruno Lovato (il primo Presidente del gruppo) e
Lino Massignani. Un nuovo gruppo di lavoro intraprendente formato poi dal Vicepresidente Michele Visonà e dai consiglieri e revisori, Vittorio Caneva, Manuele Frapiume, Enzo Guiotto, Michela Longhin, Amelia Lora e Lucia Zanuso, Giannantonio LoMagno, Giannino Massignani e Massimo Piazza. Un team di figure che lavorano in maniera armoniosa, persone semplici ma decise a dare sfogo da subito a molteplici iniziative per soci (che ad oggi ne conta circa un centinaio) e non-soci, per far in modo che il Ciclo Club Novale sia sempre un punto di incontro per tutti gli appassionati delle due ruote, sia con bici da strada che Mtb. Oltre che alle note aziende Recoaro e Talin, è doveroso mettere in risalto anche la Tipografia Danzo, la DF Sport Evolution, Bm Sport e Cicli Bolzon, partner importantissimi che da anni
consigliano ed appoggiano alla grande tutti i progetti che il Ciclo Club Novale mette in cantiere. Un nutrito calendario di eventi è stato presentato a febbraio, presso la Birreria Plain di Piana di Valdagno, con numerosissime opportunità per tutti i ciclisti senza fare distinzioni tra fortissimi atleti o sportivi neofiti che desiderano conoscere questo affascinante mondo. Si va dalle semplici passeggiate in bicicletta lungo la pista ciclabile o gli argini che costeggiano il torrente Agno agli impervi rilievi montuosi della nostra Conca d’Oro, dalle gite enogastronomiche alle grandiose tappe dolomitiche! Insomma, per tutti i gusti! Sebbene escursioni e giri domenicali non si fermino nemmeno nel periodo invernale, il “via” ufficiale alla stagione e alle attività è stato dato domenica 8 aprile alle ore 9 a Novale con la consueta benedizione delle bici dal parroco don Vincenzo Faresin.
Dal 2018 il ritrovo e la partenza per le escursioni locali in Mtb sulle Piccole Dolomiti e giri in Bici da Strada nella nostra valle e in quelle adiacenti è stato spostato nel Piazzale Rivoli in base agli orari e alle temperature che le stagioni consentono. Inoltre, un gruppetto di impavidi amanti della MTB si dà appuntamento il giovedì sera in Piazza Dante, da dove partire per l’ormai consueta escursione infrasettimanale per vivere il fascino notturno delle carrarecce e dei sentieri lungo le nostre colline. Oltre alla tradizionale escursione a Chioggia, nota come la “SottoMarana-Sottomarina”, in evidenza tra le attività svolte fino ad oggi sono: il giro/visita all’Arena di Verona, il giro Soave-Giazza-Revolto con visita guidata alla pala eolica di Badia Calavena, quello dei Monti Lessini, il Giro dei Grandi Alberi
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in Mtb con la nostra guida Antonio De Toni, la classica rif. Bertagnoli alla PiattaMonte Falcone, la Strada degli Eroi e il Rifugio Papa e tutti i tracciati panoramici e suggestivi che la nostra vallata mette a disposizione, concludendo spesso con caratteristici e piacevoli buffet a tema. Ultima, ma non per importanza, la giornata in memoria di Lino Massignani che ha riscosso una grande attenzione e coinvolgimento sia tra i soci che i non soci. La grande partecipazione al giro di gruppo e al pranzo presso l’agriturismo Al Ranch ha messo in luce la vera anima del Ciclo Club Novale e la giornata di domenica 17 giugno è stata per tutti un grande momento di splendidi ricordi. Moltissime sono state anche le gite “fuori porta” con una densa agenda di appuntamenti. Per citarne alcuni possiamo elencare per primo il Tour di 8 giorni in Sardegna svoltosi a giugno, il giro del Sellaronda, quello del Manghen, “i due giorni” alla conquista del Gavia (facendo tappa ad Edolo con la visita ad una delle centrali idroelettriche più importanti d’Italia…), la salita a Cima Grappa, quella dello Stelvio e del Passo
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Resia e ancora su, sull’Altipiano con le Mtb nel giro del Col d’Astiago organizzato da Andrea De Toni o nel recente Ortigara Bike tour con Giannino Massignani ad attenderci in vetta per parlarci della celebre quanto cruenta battaglia dell’Ortigara. Insomma un 2018 importante sotto ogni aspetto, non per ultimo quello ambientale. Quest’anno sono state introdotte delle attività volte a sensibilizzare i soci al rispetto dell’ambiente e alla conoscenza del territorio. E’ stata data la possibilità a tutti i soci di visitare a titolo gratuito 3 tipologie di centrali elettriche da fonte rinnovabile: la centrale idroelettrica di Edolo da 1000 MW il 14 luglio durante il giro del passo Gavia, il parco fotovoltaico di San Bellino da 70 MW (uno dei più grandi d’Europa con 280000 pannelli fotovoltaici e 85 ettari di estensione) durante la “SottoMarana-Sottomarina” del 26 maggio e due impianti eolici, uno quello del monte
Pecora a Badia Calavena e un impianto a più pale nella zona di Sassari durante il giro della Sardegna nella prima settimana di giugno. Sotto grande osservazione resta sempre il settore giovanile ed alla ormai consolidata Gimkana Novalese che da 5 anni sprona ragazzi dai 5 ai 15 anni circa in una prova su un percorso ad ostacoli dove ogni concorrente viene classificato nella propria categoria in base al tempo impiegato. Un evento dedicato ai ragazzi per far sì che si avvicinino al mondo dello sport, una disciplina importante non solo come competizione e divertimento ma anche e soprattutto come “Scuola di Vita”. Qui va dato un doveroso ringraziamento alla Why Sport, la Pizzeria Nico, la Gelateria Bella Venezia ed il Tennis Club di Valdagno, che anche quest’anno hanno sostenuto l’organizzazione per una buona riuscita. In questo momento, però, all’interno del Club i riflettori sono tutti puntati nel futuro certo della nostra squadra, i nostri giovani portacolori: Vittorio Visonà, classe 2003, Francesco Nardon, classe 2004 e Giovanni Guiotto, classe 2004, fortissimo scalatore già capace di disegnare discese da brivido.
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Nel mese di settembre, e più precisamente nel periodo dal 7 al 23, il Ciclo Club Novale è stato impegnato per fornire un importante supporto in occasione della Mostra delle Biciclette d’epoca organizzata nell’ambito della sagra di Novale, con il compito, svolto magistralmente da alcuni soci ben preparati, di prestarsi come guide storiche e tecniche sulle 30 biciclette della collezione di Loris Pasquale messe in esposizione. In maniera professionale si è
bre, quando alla cena di fine anno tutti i soci e gli appassionati che desiderano conoscere il Ciclo Club Novale sono invitati a partecipare. Un incontro sereno e divertente dove sarà possibile confrontarsi con le proprie avventure, esporre idee e, da parte del Consiglio Direttivo, evidenziare un sacco di novità per una stagione 2019 al “top”.
data la possibilità ai visitatori di conoscere una storia affascinante da pochi conosciuta e la possibilità di vedere funzionanti questi capolavori di vera ingegneria “del tempo”. Il rendiconto formale di questa straordinaria annata è fissato per sabato 17 novem-
un gruppo di persone semplici con un grande carisma, fortemente legate dall’amicizia e conquistate dalla meraviglia del territorio e dalla passione di condividere il sudore sulle due ruote.
In sostanza, possiamo definire il Ciclo Club Novale come
Talin una squadra al tuo servizio. Ufficialmente presentate le nuove divise del Ciclo Club Novale, ecco la squadra pronta per le nuove imprese. Il Lavoro nobilita l’uomo e lo sport lo felicita. Talin Spa Seating Solutions
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Città di Valdagno Assessorato allo Sport
di Giulio Centomo foto Nadia Pietrobelli – Alice Maddalena
Trans d’Havet: dal successo 2018 alla corsa al titolo italiano Racconto di una manifestazione ben riuscita e di un traguardo che potrebbe essere dietro l’angolo
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1 luglio. Piovene Rocchette. L’ormai tradizionale parterre firmato Trans d’Havet è allestito e stipato di concorrenti. Mancano 5 minuti al via e sui pochi metri di asfalto che ricoprono la strada accanto a Piazzale Vittoria (che uniti a quelli della promenade finale sul traguardo di Valdagno saranno gli unici presenti sul lungo percorso di gara) si aprono le cateratte del cielo. I concorrenti scavalcano i nastri che delimitano l’area della starting line e si rifugiano sotto i tendoni della vicina sagra paesana. Qualche sparuto Alpino e lo speaker di gara rimangono sotto il nubifragio a rassicurare con quel classico “sono solo due gocce, poi schiarisce” a cui non vuole credere nessuno. Ben diversa è la situazione in base gara. I colori del radar meteo non lasciano presagire nulla di buono e al buon direttore di gara Enrico Pollini, in quattro e quattr’otto torna alla memoria il 2014, la sospensione della gara, i “fulminati” e centinaia di concorrenti infreddoliti da recuperare su un arco montuoso esteso per chilometri e chilometri. Non può succedere di nuovo. Scatta qualche deviazione, si tagliano i passaggi notturni in cresta, sul Pasubio si decide di bypassare le
ultime gallerie che salgono al Rifugio Papa e poco altro. La notte così scivola via, forse anche dilavata dall’acquazzone che prosegue imperterrito. Si alzano le prime bandiere bianche, ma la corsa prosegue. Al mattino la situazione si fa più rosea e con il passare delle ore spunta un sole che arriva anche ad arroventare per qualche ora la finish line allestita nel cuore di Valdagno. Enrico Pollini è costantemente attaccato alla radio e al telefono (se ne staccherà solo a notte inoltrata, quando saranno tutti a dormire), passeggia nervosamente su e giù. Tra foto, qualche video e brevi messaggi spediti per grazia delle poche tacche che qualche cellulare riesce a conquistare in alta montagna, si delinea anche quello che sta succedendo ai quasi 700 runners partiti tra la mezzanotte e le 9.00 del mattino (questi ultimi lanciati alla conquista della gara Marathon). Il tracciato è di quelli che fanno selezione, in molti casi già dai primi chilometri. Chi parte sparato, se non si spegne entro la prima metà di gara è destinato ad arrancare fino alla fine. Chi invece conosce le insidie, chi insomma è “scafato” per questa prova, parte con le ridotte, si accerta di bere il giusto e mangiare
correttamente ad ogni ristoro, guarda avanti e legge ogni piccolo sasso che potrebbe trarti in errore e farti scivolare. Così costruisce la sua corsa e così può ambire ad arrivare al traguardo con quella faccia che dietro ad un grande sorriso maschera molto bene la fatica estrema patita. Gli altri arriveranno lo stesso, ma sui loro volti non ci saranno sorrisi e la fatica sarà assai ben riconoscibile. In tutto questo ambaradan, là davanti c’è un uomo, un giovanotto direbbero i più grandi. È di Chiampo, parla poco, ma ama correre. Si chiama Roberto e questa gara vorrebbe vincerla da tempo. Nella sua esperienza di runner non mancano belle vittorie, ma questa... questa è la gara di casa, è quella da conquistare almeno una volta nella carriera. I competitor non mancano e portano i nomi di un Yanez Borella, Alessio Zambon e Filippo Dal Maso. Non bastano. Roberto Mastrotto quest’anno ha la “cazzimma”, “ha il pepe al culo” dirà qualcun altro più volgarmente mentre lo attende al traguardo. Fatto sta che lui non ne ha per nessuno e nel ruolo di lepre, sfugge via ad ogni inseguitore, macina 83 km, 5.500 metri di dislivello positivo in solitaria, allungando il distacco
sempre più, e quando il nastro rosso del traguardo si stende davanti a lui, ancora non ci crede. Uno sguardo al nastro d’arrivo, un altro al pubblico e infine, l’ultima rapida occhiata al cronometro. Segna un tempo di 9:37:32.82. È pure un record per il piccolo chiampese. Dietro di lui, però, non è ancora finita. C’è un’altra persona che in casa Trans d’Havet ha tutta la voglia di dire la sua. Si chiama Francesca, è architetto e anche lei è nata poco lontano da queste montagne. Le ha viste per giorni e giorni durante la sua infanzia e da dove vive e lavora oggi ne può persino ammirare l’intero complesso. La “linea rossa”, come la chiama Enrico. Francesca ha già messo in tasca, l’anno scorso, la vittoria, ma vuole ripetersi. D’altro canto difendere un titolo è ben più complesso di andare a vincerlo per la
La top 5 UOMINI - Ultra trail 80 km 1. Roberto Mastrotto (Team La Sportiva) 09:37:32; 2. Yanez Borella 10:20:02; 3. Alessio Zambon (Summano Cobras) 10:23:16; 4. Filippo Dal Maso (Faizanè Runners Team) 10:36:12; 5. Claudio Chiarini (3T Valtaro) 10:52:21 DONNE - Ultra Trail 80 km prima volta. Per le la sfida ha solo un nome, quello di un’altra vicentina come lei, Alessandra Boifava. Le due se le danno di santa ragione sui pendii di Bocchetta Fondi e sulle discese di Campobrun e poi di Marana, ma alla fine Francesca, quella che sa bene quanto è forte, ma con un’umiltà che solo un grande sportivo sa padroneggiare, non sfoggia alcuna spavalderia. Rimane con gli occhi fissi in avanti, ai sassi che diventano terra, poi prato e infine, molto infine, asfalto, porfido e marmo. É la fine. È un nastro rosso di traverso con l’emozione di chi l’ha sempre seguita nelle sue peripezie agonistiche. Francesca blocca subito il suo orologio. Le lancette si stoppano sul tempo di 11:15:45.78. Ed è bis. Nella più corta Marathon il successo va al campione italiano in carica nella specialità trail lungo, Stefano
1. Francesca Pretto 11:15:45; 2. Alessandra Boifava (Ultrabericus Team ASD) 11:18:41; 3. Martina Trimmel (Union St. Polten Leichtathletik) 12:26:21; 4. Federica Menti (Vicenza Marathon) 12:37:28; 5. Alessandra Olivi (G.S.Atl.Dil.Lib. Piombino Dese) 12:59:39
UOMINI - Trail Marathon 40 km
Fantuz, super favorito già alla vigilia della competizione. Nella gara al femminile, invece, a prendersi il gradino più alto del podio è Lucia Forte. A tarda serata arriverà poi anche l’ultimo concorrente e solo allora si potranno chiudere baracca e burattini. Bilancio più che positivo e arrivederci al prossimo anno con una novità. Forse. Mancano solo pochi giorni, infatti, e ai primi di novem-
bre si saprà se la candidatura di Trans d’Havet al Campionato Italiano Mountain&Trail Running 2019 potrà avere luce verde. In lizza ci sono le assegnazioni delle quattro prove Vertical, Corsa in Montagna Classica, Trail Corto e Trail Lungo. Tra rumors e un po’ di sana scaramanzia non resta che tenere le dita incrociate. Buona fortuna Trans d’Havet.
1. Stefano Fantuz (SSR La Colfranculana) 04:15:04; 2. Alberto Ferretto (ASD Skylakes) 04:21:27; 3 Ruggero Pianegonda (SBR Team) 04:31:37; 4. Giovanni Corà (Aim GSP) 04:33:24; 5. Marco Brancalion (Run Athletic Team ASD) 04:35:58 DONNE - Trail Marathon 40 km 1. Lucia Forte (United Trail&Running) 04:51:23; 2. Mariangela Boschetto (Durona Team) 05:37:16; 3. Claudia Thoma (Fagiani Imprendibili) 05:46:17; 4. Lisa Crosara (Facerunners) 05:47:06; 5. Silvia Dalla Costa (100% Anima Trail ASD) 05:50:40
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piccole dolomiti
E
sistono parti del mondo che non conosceremo mai e parti del mondo che conosceremo appena perché la nostra vita quotidiana ruota attorno agli stessi luoghi ed è facile farsi prendere dalla routine e “starsene seduti “ ad aspettare. Aspettare o attendere la notizia sui social di qualcuno che ha avuto il coraggio e l’ardire di esplorare oppure aspettare il momento giusto che non arriva mai. Quando però si è spinti dalla voglia di esplorare, di conoscere nuovi ambienti e nuovi luoghi, quando senti il desiderio di essere pioniere di qualcosa puoi trovare anche la soddisfazione nello stare vicino a casa ed esplorare luoghi visti, rivisti, stravisti. In quel momento ti senti un Esploratore, con la E maiuscola, perché hai occhi nuovi e vedi cose che prima non vedevi. Ti senti Esploratore del mondo, ma soprattutto senti di mettere alla prova te stesso. Se poi ti accorgi che quello che stai facendo forse nessun altro lo ha mai fatto , oppure solo pochi, senti crescere in te un pizzico di
IL FANTASMA DEL CHERLE soddisfazione e alle volte di orgoglio, che ti porta addirittura a scrivere poche righe come queste. Tutto questo contorto discorso per introdurre quella che potrebbe essere la “scoperta” di un semplice, banale e possiamo anche dire insignificante nuovo vajo nelle nostre Piccole Dolomiti che ci permettiamo con molta modestia di battezzare Il fantasma del Cherle ( top. Proposto). Forse la parola “scoperta” pare un po’ esagerata, fuori luogo visto che i satelliti oramai hanno scannerizzato l’intero pianeta, ma nelle ricerche bibliografiche o su internet non si è trovato alcun riferimento di questo solco vallivo che incide una modesta montagna dal nome però nobile di Pala del Cherle. Scoprire qualcosa è come scoperchiare una pentola che c’è già da tanto tempo, ma non si sa cosa ci sia dentro. Anche quel vajo sulla Pala del Cherle c’era già e magari altri lo avevano visto e risalito, ma noi ci siamo andati dentro perché avevamo voglia di esplorare e scoperchiare la pentola per percorrere nuove strade. La Pala del Cherle è una
modesta cima nella propaggine Ovest del sottogruppo del Cherle che fa parte del gruppo del Carega nelle Piccole Dolomiti. Percorrendo il sentiero CAI n°108 che da capanna Sinel conduce verso Passo Buole appare come una risalto montuoso di insignificante importanza alpinistica/paesaggistica. Se invece si risale da Nord il Vajo delle Giare Larghe/ Bianche, la Pala appare come una attraente parete rocciosa solcata al centro da un importante diedro. Sfogliando la pubblicazione del 1978 di G. Pieropan della collana Guida dei Monti d’Italia risulta che l’unica via di ascesa alla Pala è quella tracciata da A. Buzzacchera, A. Cocco , L. Gavasso e B. Vencato nel 1971 proprio all’interno di questo diedro. Se però si percorre il sentiero CAI n°145 che da Cima Levante conduce fino all’abitato di Ometto e si volta lo sguardo verso la Pala appare, come per incanto un solco che percorrendo in obliquo tutta la parete nord giunge ad una anonima selletta. Sembra proprio che l’unica possibilità di vedere questo vajo è solamente da quella angolazione e così,
proprio da questa considerazione, nasce la voglia di “Esplorare” una piccola porzione delle nostre montagne. Lasciata l’automobile poco prima della galleria sopra Obra si percorre la strada forestale fino a giungere alla confluenza del Vajo delle Giare Larghe che coincide con la partenza del sentiero CAI n°10 del Vallone dei Cavai. Lo si percorre fino a che il sentiero volta a sinistra e qui ci si dirige dritti seguendo il solco delle Giare Bianche lasciando sulla sinistra la partenza del Vajo dell’Uno e successivamente dell’Orrido Nord. Si continua a risalire fino ad arrivare proprio sotto la Pala
23 di M.Scapin e A.Appoloni
dove si nota sulla sinistra la partenza del vajo . La pendenza che prima era di circa 50° aumenta leggermente fino a circa 60° con una curva secca a sinistra avendo ora il diedro della Pala sulla destra. Un muro di roccia che sbarra la strada è facilmente aggirabile stando sulla sinistra e arrivando ad una selletta con mughi. Si continua per un centinaio di metri sullo spigolo con pendenza di 70-80° fino ad entrare nel vero e proprio vajo.
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La pendenza si mantiene sui 70-80° e percorsi 50 metri si arriva sotto ad un grande masso incastrato alla base di un muro di roccia di circa 5 metri. Oltre probabilmente una ventina di metri di neve a 80° di pendenza avrebbe condotto ad una selletta e per facile salita con mughi alla vetta della Pala del Cherle oppure in discesa al sentiero CAI n°108 per Capanna Sinel. La nostra avventura di esplorazione e scoperta l’abbiamo interrotta pro-
prio sotto a quel masso incastrato. Fermati da un risalto di roccia che non abbiamo ritenuto alla nostra portata di mediocri arrampicatori. Nessuna prima salita, nessuna grande impresa alpinistica. Ci siamo fermati e siamo ridiscesi da un lato insoddisfatti per non aver portato a compimento la salita, ma nello stesso tempo orgogliosi per aver dato una risposta e scoperchiato un angolo perlopiù dimenticato delle nostre amate Piccole Dolomiti.
Ma forse, più che la valenza geografica della nostra piccola “ impresa”, quello che ci fa scrivere queste poche righe è affermare che la ricerca e l’esplorazione si possono fare anche qui vicino a noi e a pochi chilometri da casa. Come qualcun altro ha detto o scritto “ Qualunque cosa si faccia , l’importante non è il risultato finale. Più della meta interessa il viaggio “e il nostro viaggio è stato quello di conoscere il Fantasma del Cherle.
I PREZZI PIÙ VANTAGGIOSI DELLA CITTÀ
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vicenza
Donna biker Conclude la traversata in solitaria dei Pirenei, dal mar mediterraneo all’oceano atlantico Più di 1000 km e 28.000 metri di dislivello positivo in meno di 11 giorni, senza alcun supporto esterno Laura Ceccon, nata a Vicenza nel 1962, 56 anni, madre di due figli, professionista del settore marketing&comunicazione, residente Vicenza, iscritta FCI al Carisma Team, socia CAI da quasi 30 anni, appassionata di montagna e di ciclismo in particolare MountainBike UltraEndurance. Predilige le alte quote, i percorsi tecnici e le avventure unsupported. Biker eclettica ama anche l’Enduro, l’All-‐Mountain e la bici da strada.
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artita il 15 agosto dalla Costa Brava (Llanca) in Spagna con la propria mountain bike, predisposta in modalità “bike-‐packing”, la biker vicentina Laura Ceccon, 56 anni, ha attraversato i Pirenei in completa autonomia e senza alcun supporto esterno raggiungendo la Costa Atlantica (Cabo Higuer) il 25 agosto, dopo 10 giorni e 19 ore sui pedali in solitaria. Dal Mar Mediterraneo sino all’Oceano Atlantico l’avventura l’ha portata a percorrere, nell’arco degli oltre 1000 km e 28.000 metri di dislivello positivo, le più suggestive località della catena montuosa spagnola, ad attraversare i numerosi Parchi Naturali, tra cui l’affascinante Parco di Ordesa e Monte Perdido con i suoi spettacolari canyon, e a scoprire i molti sentieri che di valle in valle l’hanno condotta al traguardo. Il percorso, che nella versione
più semplice viene normalmente compiuto in 17 tappe, è stato calibrato sulle preferenze tecnico-‐sportive dell’ultrabiker, evitando ove possibile l’asfalto, ridotto al minimo, e sostituendo le discese su sterrato con quelle ben più tecniche ed impegnative su single-‐track. Ore e ore in luoghi sconosciuti ed isolati, anche di alta montagna spesso oltre i 2000 metri, da sola con la propria bike e con le proprie forze, Laura ha dovuto gestire in completa autonomia la gestione del tracciato, la fatica, le condizioni meteo avverse, le notti all’aperto e i numerosi inevitabili imprevisti. “E’ stata un’esperienza fantastica e veramente emozionante” – ci spiega – “sicuramente non facile ma di grande soddisfazione. Per affrontare una prova così impegnativa è fondamentale un’ottima preparazione, sia fisica che mentale, e
una grande capacità di adattamento. Ma non è niente di impossibile. Il fatto che io ce l’abbia fatta lo dimostra. Certo in solitaria è tutto più complicato ma ha un fascino particolare ed unico. Indimenticabile!” Dotata di sacco a pelo, materassino e bivybag ha trascorso varie notti all’aperto, alcune anche sui pedali come il rush finale di 160 km no stop sino ad attendere l’alba e lo scoccare dell’undicesimo giorno sulle sponde dell’Oceano. Per l’impresa Pirenaica ha utilizzato una comunissima bike front in carbonio con ruote da 29”. Appartenente al Carisma Team (VI), la biker, oltre ad essere un’appassionata frequentatrice della montagna sin da bambina e una grande sportiva da sempre, non è nuova a queste esperienze di UltraEndurance sui pedali. Quest’anno è stata Finisher, unica donna, del FVGexperience in soli
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Foto e sintetici resoconti giornalieri dell’esperienza sono disponibili su Facebook: https://www.facebook. com/laura.ceccon
3 giorni e mezzo (560 km e 11.000+) e della Dolomitics24 in bici da corsa, unica over 50, con 8800 metri di dislivello in 24 ore. Negli anni scorsi ha inoltre concluso brillantemente altri impegnativi MtbTrail tra
cui il SouthTyrolTrail nella versione Extreme (13.500+), in invernale il WhiteTrail, completamente su neve, in notturna la Randonnée del Solstizio oltre alla prima edizione del FVGexperience, sempre come unica
donna finisher. Quando non è impegnata nelle lunghe distanze si diletta pedalando sui sentieri delle montagne locali con una particolare predilezione per le avventure All-‐Mountain nelle Dolomiti.
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Prossimamente si cimenterà in altri MtbTrail prima di chiudere la stagione 2018, ormai agli sgoccioli, mentre per l’anno prossimo, ci assicura, bolle in pentola qualcosa di molto interessante.
sportart
photo: Elena Caneva , Piccole Dolomiti ega Car del Gruppo
Carega flight
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natura
IL CENSIMENTO ESTIVO DEL GALLO FORCELLO di Dorino Stocchero
Il censimento tardo estivo al gallo forcello viene svolto con cani da ferma addestrati per la conta delle covate sul territorio ed è uno strumento in cui si vuole determinare con buona approssimazione la quantità degli animali presenti nel momento dell’operazione nei luoghi oggetto di rilevazione. In tale circostanza occhi esperti oltre al dato numerico possono stabilire anche, il sesso, il numero dei soggetti per covata e il tasso riproduttivo in rapporto adulti/giovani.
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gni anno nel mese di Maggio vengono condotte le operazioni di censimento primaverile del gallo forcello. Questà attività gestionale consente di rilevare le consistenze residue successive ai prelievi precedenti (essendo specie cacciabile) e al periodo invernale, e verificare il numero dei riproduttori su cui contare per un normale ciclo biologico. La valutazione numerica della grandezza delle popolazioni animali è da qualche tempo al centro degli interessi di quanti studiano la dinamica per fini scientifici o gestionali. Per garantire uniformità di rilievo con gli anni precedenti, vengono mantenute le stesse metodologie di censimento, normalmente con uscite ripetute per tre volte. Contemporaneamente il monitoraggio viene ef-
fettuato in tutto il territorio vocato alla specie (riserve alpine) dei comprensori alpini. Quindi dopo i suggestivi ed emozionanti censimenti primaverili svolti durante la tipica fase del canto (al baltz) e degli accoppiamenti, il censimento estivo viene svolto con l’ausilio del cane da ferma, lo stesso risulta essere un importantissimo momento conoscitivo della reale consistenza del forcello in un determinato territorio. Se dalle numerose e litigiose dispute primaverili , risulta abbastanza agevole la conta e la determinazione dei soggetti maschi della
specie presente nelle arene di canto. Con il censimento tardo-estivo si può verificare la presenza sul territorio delle femmine adulte e la consistenza delle eventuali nidiate. Infatti gli uccelli adulti, probabilmente perché legati alla relativa prole, nel periodo in cui si svolgono i censimenti sono sufficientemente abbordabili per cui i cani utilizzati possono svolgere un lavoro importantissimo. I censimenti estivi forniscono una stima del successo riproduttivo, devono essere effettuati con cani da ferma addestrati e ben allenati, condotti da opera-
tori preparati per poter perlustrare il territorio in modo esauriente, onde evitare di tralasciare porzioni di terreno potenziali, luoghi idonei dove la presenza della femmina di forcello e accompagnata dai pulli. Minimo due cani per censire 30/50 ettari, considerando la morfologia del terreno, importante massimo due cani per conduttore con sempre la presenza della vigilanza venatoria. Questi uccelli secondo alcuni ricercatori sembra che madre natura gli abbia dotati di certi accorgimenti, in determinate circostanze per non farsi scoprire, riescono perfino a trattenere il respiro per qualche istante, non emanando nessun odore, pertanto non viene percepito neanche dal cane più esperto e quindi non viene trovato. Le popolazioni del gallo forcello all’inizio del secolo erano distribuiti in tutto l’arco alpino, ma quasi ovunque si registravano diminuzioni più o meno evidenti. La causa era attribuita gran parte al prelievo venatorio. La situazione attuale non è molto diversa anche se la consistenza delle popolazioni alpine si mantiene discreta, nonostante ancora qualche prelievo venatorio ma soprattutto per i mancati habitat più favorevoli. La
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costruzione di strade carrozzabili, impianti di risalita e di stazioni sciistiche in quota sottopone l’habitat del tetraonide a forme di utilizzo che entrano in conflitto con la conservazione della specie. Il riferimento dello sci fuoripista, la pratica del fuoristrada in particolare del “trial”, non meno dannoso anche il pascolo ovino e la relativa presenza dei cani pastore; altro fenomeno da non sottovalutare il problema della consistenza delle popolazioni dei predatori in quota, quali: volpi, corvidi e rapaci possono incidere nel numero dei soggetti. Detti fenomeni provocano di fatto un aumento nella
presenza di turisti praticamente in tutto il periodo dell’anno con disturbo alla specie in particolare nelle fasi biologiche legate alla riproduzione e alla nidificazione incrementando la sua mortalità naturale. Da ricerche iniziate ancora dagli anni ’50 hanno permesso di rilevare che le popolazioni di forcello sembrano essere soggette a cicliche fluttuazioni irregolari con minimi particolarmente accentuati ogni 20 anni circa. Per gli studiosi i motivi che originano questo fenomeno non sono del tutto chiare, ma nel corso degli studi è emerso che influiscono molto sul successo riproduttivo le condizioni metereologiche durante il periodo della schiusa delle uova. Questi uccelli essendo tra le specie sog-
gette al prelievo venatorio (prelievo solo di sesso maschile) viene applicato quando i parametri della densità minima sono quelle previste dalla normativa vigente. Pertanto una gestione faunistica venatoria deve porsi come obiettivo quello di salvaguardare le popolazioni alpine favorendo l’incremento della loro consistenza. Questo è possibile solamente organizzando ogni anno i censimenti primaverili ed estivi che permettono l’acquisizione di dati sulla consistenza delle popolazioni e relativo trend oltre che sul successo riproduttivo. Per gestire correttamente una popolazione di forcello
e indispensabile conoscere determinati parametri: mortalità naturale di adulti e subadulti nel periodo compreso tra l’apertura dell’attività venatoria e censimento primaverile. In base al censimento estivo i tecnici dovrebbero essere in grado di formulare eventuali piani di prelievo. Tali piani dovranno tenere conto con la massima considerazione, oltre che la consistenza della popolazione , il successo riproduttivo (n. pulli/n.femmine adulte censite. Per concludere si deve tener presente che il censimento permette di stimare i dati di una popolazione animale, ma non permette di accertare l’assoluta realtà. Rimane il mezzo più significativo per valutare la tendenza dei fenomeni.
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trissino di Piero Rasia
Bici, passione di famiglia
lici La bici può farci sognare la città utopica di domani, dove i trasporti pubb la pace, e le biciclette saranno gli unici mezzi di trasporto e dove regneranno sui poteri forti l’uguaglianza e l’aria buona, dove le esigenze dei ciclisti vinceranno quando prima di della politica. Forse le cose non andranno proprio così, però è certo con il tempo e lo tutto, grazie alla bici, potremo riprendere il contatto con la realtà, spazio ormai invasi dalla finzione e dal mondo delle immagini.
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abio Rasia, papà di Simone, un bimbetto di 4 anni assai vivace, porta il figlio a conoscere e a far vivere una realtà diversa da come si presenta il normale mondo della bicicletta. Sempre nella natura, ma in una forma di crescente impegno e responsabilità per saper concentrarsi sulle difficoltà future. Io, papà di Fabio e nonno di Simone mi sono comportato come
fa Fabio con Simone e non sono pentito. Ho iniziato con Fabio a 5 anni portandolo sulle piste di BMX. Ha vinto molte gare e questo l’ha maturato per un successivo impegno nello scii dove ha gareggiato in slalom gigante per 8 anni partecipando anche a tre campionati italiani di categoria. Nel 2006 ha iniziato l’avventura con la Mountain bike Downhill e Freerider, raggiungendo un
buon livello di competizione e di rispetto, tanto da essere chiamato “maestro” dai suoi compagni di avventura. Ha partecipato nel 2012 alla Megavalanche evento in stile maratona di downhill in mountain bike nelle Alpi francesi di Alpe D’Huez, partendo dalla cima ghiacciata del Pic Blanc (3300 m) e scendendo verso i prati rigogliosi del fondovalle di Allemont (720 m), dopo cir-
ca 2000 metri di dislivello e lungo 30 km. Classificandosi al 32° posto dei 700 finalisti con oltre 2.000 partecipanti che hanno affrontato le selezioni per la gara. Attualmente si sta impegnando in enduro-bike, accompagnando amici a conoscere i nostri monti e trasmettendo a Simone tutta la sua esperienza.
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sport & nutrition
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sub
di Antonio Rosso foto Stefano Scortegagna
Underwater Fashion Photography Come iniziare un nuovo genere fotografico subacqueo
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ashion Photography indicherebbe specificatamente la fotografia di moda, un genere fotografico il cui scopo è quello di ritrarre e valorizzare capi di abbigliamento, accessori ed altri oggetti legati alla moda. Nel corso del tempo, il termine ha incluso aspetti più ampi fino ad includere le foto in cui il soggetto principale è la figura umana inserita in un contesto scenico. Per la parte scenografica delle foto subacquee, in mare, lago o fiume si utilizza, l’ambiente naturale già
33 esistente, mentre in ambienti chiusi e delimitati, come una piscina, si devono creare dei veri e propri set fotografici subacquei e creare ex novo l’ambientazione adatta. Realizzare foto di questo genere comporta seguire la stessa metodologia di lavoro con la quale si realizza un servizio fotografico,uno shooting per gli addetti ai lavori, che sta ad indicare una serie di foto originali fatte in un particolare ambiente o contesto. Per eseguire al meglio questo genere di foto nulla va lasciato al caso ed è necessario rispettare alcuni punti fondamentali che ci illustrerà Stefano Scortegana, fotografo subacqueo di Schio ed autore delle foto qui pubblicate. Campione internazionale per le foto di macrofotografia subacquea, ha intrapreso da alcuni anni questo genere fotografico, ottenendo importanti riconoscimenti: la foto della violinista, ad esempio, si è classificata terza agli internazionali di Venezia nel 2016 ed il meccanico la menzione d’onore alla manifestazione Blucobalto di Genova. “Per prima cosa, dice Stefano, occorre studiare il progetto che si ha in mente e preparare una bozza o una traccia scritta per eseguire, successivamente, in maniera ordinata il lavoro. In questo modo ci si pone alcune domande fondamentali come: “a cosa servono le foto? Quali colori è meglio utilizzare? Che tipo di luci è preferibile impiegare? Dopo aver deciso il progetto è necessario trovare gli eventuali protagonisti (modelle o modelli) perché, continua Stefano, in questo
genere fotografico il punto distintivo è proprio l’inserimento di una figura umana nel contesto dell’immagine, che non è semplice o scontato. La presenza dei modelli va ben calibrata anche se, in genere, si preferisce una figura femminile per la sua delicatezza e le sue forme armoniche. L’affiatamento con chi ci accompagna in immersione per entrare nell’inquadratura è, invece, la cosa più importante da raggiungere: non è affatto facile creare un’intesa tra soggetto e fotografo. Inoltre, quando si è in apnea e non si ha la possibilità di comunicare, tutto risulta più difficile. Nella progettazione non si deve dimenticare di pensare quale sarà lo sfondo, elemento dell’immagine che spesso il fotografo si scorda di valutare preventivamente, perché concentrato sul soggetto. A volte, quando si è in una buona posizione per lo scatto, lo sfondo non è dove o come dovrebbe essere per valorizzare il soggetto stesso. Sicuramente uno sfondo nero fa spiccare qualsiasi soggetto, ma anche uno sfondo azzurro o blu aiuta a creare un’ambientazione valida. Se si usa la superficie come sfondo possiamo usare le increspature della stessa per creare uno sfondo con venature che creano una tridimensionalità nell’immagine, la quale, con uno sfondo omogeneo, sarebbe risultata, piatta. In alternativa si può agire sui vari piani dell’immagine: primo piano, sfondo e piani intermedi, il tutto variabile in funzione della prospettiva che si vuole dare all’immagine. Per tale ragione è necessario usare idonei elementi e creare
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alcune vie di fuga che possano simulare la tridimensionalità che troviamo nel mondo reale; tridimensionalità che può essere ulteriormente esaltata usando piani sfuocati, luci ed ombre. Infatti è proprio agendo sulle luci, calibrate in numero e potenza, nonché
Terrazza estiva Seguici su trattoria giardino bar
disposte in superficie e sotto il pelo dell’acqua che si possono ottenere i migliori risultati. Per il set fotografico dei giocatori di calcio, ad esempio, è stato previsto un set di luci composto da dodici unità con uno studio preliminare, prima ancora di scattare una foto, di diverse ore”.
Ultimo, ma non per ultimo, non va dimenticato di trovare assistenti subacquei alle luci, alle attrezzature ed avere personale addetto all’acconciatura, al trucco, con prodotti resistenti all’acqua, agli accessori e agli abiti dei modelli.” Buon lavoro.
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Pasta fresca fatta in casa Carne alla brace
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viaggi
di Bepi Magrin
Il brivido delle Gole del Raganello U
n recente tragico avvenimento di cronaca, con 10 morti e alcuni feriti, ha portato alla ribalta un luogo di magica bellezza nella lontana Calabria, dove nel massiccio del monte Pollino si aprono ai piedi dell’ameno borgo di Civita, le stupende Gole del Raganello. Il Raganello è il torrente che discendendo dalle falde del monte Pollino, ha scavato nel corso dei secoli sulle rocce calcaree del tutto simili a quelle delle nostre Dolomiti, un profondissimo intaglio, sovrastato da un’alta parete di calcare giallo. Lungo la stradina lastricata che scende ripida dal paese, si giunge al fianco delle gole che si possono superare mediante il suggestivo Ponte del Diavolo, per proseguire la
tranquilla passeggiata a contornare le falde del sopraddetto monte calcareo, oppure prendendo in discesa si possono toccare le fresche rive del torrente, dove, proprio all’altezza del ponte del Diavolo, si apre sulla sinistra il profondo intaglio delle Gole in parola. L’ambiente è particolarmente attraente in una regione dove d’estate prevalgono il sole e l’arsura, avvicinarsi alle fresche acque del Raganello o sostare sulle rive all’ombra di un albero, permette un amabile ristoro nell’ambiente incontaminato di questa natura primordiale. Per coloro che prediligono l’azione e l’avventura, naturalmente è quasi irresistibile l’invito ad inoltrarsi tra le alte pareti nello stretto intaglio delle gole stesse,
risalendo il torrente con le sue fresche pozze, le cascatelle ed i salti d’acqua fra i massi che richiamano un po’ l’atmosfera dei nostri Vaj di montagna. Io stesso qualche mese prima dei tragici fatti ho voluto visitare questi luoghi. Si tratta della cosiddetta attività del torrentismo ovvero della risalita o della discesa di un torrente che naturalmente si deve affrontare con le dovute attrezzature e con alcune precauzioni. Lo svolgersi dei tragici avvenimenti di fine agosto scorso ci induce come sempre ad una riflessione che riguarda la sicurezza di chi, volendo provare qualche forte emozione, si spinge in ambienti che possono, come si è visto, diventare mortalmente pericolosi. La causa evi-
37 ro improvvisamente in un vero inferno? In condizioni normali, la risalita delle Gole per circa un chilometro è mezzo, non presenta difficoltà particolari. Si procede lungo il corso del torrentello superando alcune pozze dove l’acqua è alta fino a un metro e 40, e quindi si fanno una successione di freschi bagni che risultano piacevoli dente della tragedia, è da ricercarsi in quegli eventi atmosferici spesso improvvisi e particolarmente violenti che usiamo ormai definire “bombe d’acqua”. Sono fatti difficilmente prevedibili che se, come in questo caso, avvengono abbastanza lontani dal luogo dove ci si trova, non suscitano tutto l’allarme che dovrebbero suscitare. La forte precipitazione avvenuta su lontane pendici del monte, questa volta si è convogliata tutta insieme nel solco del Raganello raggiungendo le gole, ove
in quel momento si trovavano almeno una cinquantina di persone, così coloro che erano proprio all’interno delle Gole, dove il solco è strettissimo e profondo, si sono trovati nella trappola mortale senza vie di scampo. Per dovere di cronaca diciamo che era stato diffuso l’allarme giallo dalla Protezione Civile, caso questo che rientra appunto nelle avvertenze impartite con evidenti cartelli disseminati nella zona. Ma chi poteva pensare che in assenza di pioggia le Gole si trasformasse-
nella stagione calda, ma veri pericoli per quanto riguarda la progressione non ci sono, almeno fino a che non si arrivi ad un salto roccioso bagnato alto una decina di metri per superare il quale sono da usare tecniche alpinistiche e quindi corda, chiodi e moschettoni. Ma a questo punto, quasi tutti i visitatori sono già soddisfatti
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mercoledì 14 novembre presentazione del libro con Giorgio Daidola e Luigi Borgo, auditorium di Chiampo ore 20.30
Il libro di Giulio GIULIO CORRADI FABIO MARZARI SILVIA PILATI
rzari è nato a Folgaria (Nosellari) nel 1949. te della Provincia Autonoma di Trento per 32 anni, professionista nel settore assicurativo. Dal 1975 on il giornale Alto Adige, quindi con il Trentino. rte della redazione del giornale “Folgaria Notizie”, ore in qualità di direttore dell’Agenda di Lavarone gnolo Notizie. E’ iscritto all’albo dei giornalisti/
Giulio Corradi - Fabio Marzari - Silvia Pilati
delle cose viste e si appre- sce sulla “vexata questio” stano al ritorno. L’uso del dell’intervento d’autorità casco è da raccomandarsi sull’ambiente, si pensi a per la possibile caduta di quando per motivi analoqualche sasso dall’alto, ghi, si voleva impedire a ILATI chi pratica lo sci alpinismo ma a Schio (VI), vive da più di 15 anni a Folgaria è tutto qui. Del resto po gli studi, per dieci anni lavora a Milano come ore e scrive per riviste tecniche specializzate in di recarsi fuori pista o a chi lungo la via di approccio, a . Si iscrive all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti e si ERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) e percorre creste impervie cura del Comune di Civita e ciazione Tecnici Pubblicitari. Rientra in Veneto per re esperienze manageriali (Direttore Comunicazione ale per la società cosmetica KORFF Spadelle di Vicenza e guide del posto, sono della montagna di impeCommunication Manager per la catena alberghiera Spa di Valdagno). Attualmente lavora come libera dirne i passi. La ricerca di sta, occupandosi di progetti editoriali stati e Strategie di affissi evidenti cartelli one per Istituzioni Pubbliche e Aziende in tutto il zionale. (come quello in foto) che emozioni e di “ambiente” raccomandano l’impiego in genere, comporta come della attrezzatura suddet- ogni attività umana alcunimailrischi sia oggettivi che ta e l’accompagnamento Per ordinare il libro scrivere una all’indirizzo: bertoldina@brennercom.net di guide del luogo. Dopo soggettivi. Personalmente la tragedia si sono avute sono d’accordo nel metnotizie che annunciavano tere a disposizione ogni il sequestro delle Gole da moderno mezzo della tecparte della Magistratura nologia per preservare la e il blocco di ogni attivi- vita umana e aumentare la tà escursionistica con- sicurezza, ma penso anche nessa. La cosa ci sembra che occorra sapere che tardiva ed inutile, perché …“chi vive, corre il rischio con simili iniziative si fini- di morire!”.
ARZARI
MA COME AVENTE FATO? - Storia di un sciatore nel suo territotio.
CORRADI
a Lavarone (TN) da una famiglia semplice, come erano tante nel dopoguerra sull’Altipiano, dove ha grandi valori del lavoro, del rispetto e dell’amore in cui si è nati. Padre artigiano calzolaio, madre on 5 figli, che si prendeva cura della stalla. Giulio fin dalle vacanze scolastiche delle elementari, a estie al pascolo. Silvano Gheser aveva fiutato doti mpione in questo ragazzo insegnandogli a sciare, rlo, arruolato nei Carabinieri, in Nazionale e nella nga Azzurra con Thoeni, Radici, Stricker, Gros, ecc. carriera sciistica a causa di una terribile caduta di discesa libera di Coppa del Mondo a Kitzbuhel a lavorare nella falegnameria con il fratello Aldo e re alla Scuola Sci di Lavarone. Fa parte del coro na” di Lavarone, volontario in CRI, ha partecipato tto per aiutare la “Comunità St Laurent” in Congo, il mestiere di falegname ai ragazzi ospiti della E’ Vicepresidente della Famiglia Cooperativa di
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uesto una t di Giulio C Non vuole tantomeno da un’”os storie dell Territorio e intercalata divertenti Giulio ha vi ricorda. An essere que Una speci narratore G e il suo mo
MA COME AVENTE FATO? STORIA DI UNO SCIATORE NEL SUO TERRITORIO
Giulio Corradi presenterà il suo libro a Chiampo, nel teatro comunale, il 14 novembre prossimo
G
iulio Corradi, ex atleta della mitica Valanga Azzurra, ha raccolto in un piacevolissimo libro la sua vita di sciatore. Dai primi passi sugli sci nel campetto di Lavarone in Trentino, in cui è nato e cresciuto, agli slalom di Coppa Europa, alla discesa nella mitica Streif di Kitzbuhel si snoda il racconto di Giulio tra divertenti aneddoti e il ricordo di tanti amici che negli anni gli sono stati vicini. Una biografia di uno sciatore di talento ma anche la storia di una comunità, quella di La-
varone, e del suo territorio, quello degli Altopiani Cimbri, che, negli anni in cui Giulio si affermava come un atleta di livello mondiale, è cresciuto e da piccola stazione è diventato un comprensorio sciistico riconosciuto nel mercato internazionale dello sci. Il libro di Giulio racconta tutto ciò con lo stupore di chi ancora non crede a tutto quello che sono riusciti a fare: “Ma come avente fato?” è il titolo, in dialetto trentino, ma è anche il leit motiv che accompagna il lettore: “ma come abbiamo fatto?”
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valdagno
di Giannino Massignani
La bici e il suo mito L
a bicicletta in sé è solo un congegno meccanico di elementi combinati in modo eccellente dall’ingegno umano, un sistema inerte di tubi e ingranaggi elementari governati dal moto ciclico della ruota, che viene attivato da una forza o da un corpo che la esercita. Ma è diventata un simbolo per le sue qualità intrinseche e per il legame intimo con la storia soggettiva: ecologica, salutare, divertente, sportiva, emozionante, silenziosa …
41 Quanti aggettivi si possono ancora attribuire a questo straordinario mezzo di trasporto, antico ma sempre attuale! Quanti ricordi passati con la nostra bici, quante cadute, quante fatiche su quei pedali ma sempre ripagate, soprattutto quanta strada è stata fatta dal primo prototipo in legno del 1791, quando il conte Mede De Sivrac arrivava nei giardini del Palais Royal di Parigi esibendo la sua novità, un travetto di legno con alle estremità due forche che trattenevano due ruote di carrozza, subito battezzato cheval de bois (cavallo di legno) poi ribattezzato celerifero (dal latino celer, “rapido, veloce” e fero, “porto, che porta”) … Questa straordinaria storia è stata raccontata ed illustrata nella mostra allestita presso l’Oratorio Don Bosco di Novale da circa 30 esemplari di biciclette provenienti dalla ricca e preziosa collezione del signor Loris Pasquale di Salcedo (VI). La mostra è nata da un’idea di Raffaele Fornasa, presidente del Consiglio dell’Oratorio di Novale, il quale l’anno scorso aveva visitato la mostra delle bici d’epoca allestita nel Museo Le Carceri in occasione dell’arrivo ad Asiago della centesima edizione del Giro d’Italia. Interpellato, il Cicloclub Novale subito ha apprezzato
l’iniziativa e si è dichiarato disponibile a garantire la sorveglianza negli orari di apertura e a preparare le guide. Così è cominciata un’avventura non certo facile ma entusiasmante, che ha regalato soddisfazioni, riconoscimenti e anche divertimento a tutti i bravissimi collaboratori, a cominciare dal presidente del Cicloclub Novale, Dario Reniero, che ha fortemente creduto nell’operazione e messo a disposizione la sua competenza. E così appassionati della bici, curiosi e visitatori provenienti dai paesi della vallata e anche da lontano hanno avuto il privilegio di osservare dal vivo -spesso per la prima volta- ed ammirare le prime bici dell’ottocento dal velocipede di Michaux al biciclo Ariel fino ai bicicletti di fine ottocento (all’origine il termine era maschile: bicicletto. Poi cambiò genere e diventò femminile: bicicletta) come la Rover Safety Bicycle, già molto simile alle nostre. Quindi hanno ripercorso le tappe dell’evoluzione della bici da corsa con particolare attenzione alla storia della Bianchi e della Campagnolo, per arrivare alla bici utilizzata da Gianni Bugno nelle cronometro dei primi anni 90. Molte le curiosità: una bici da viaggio con ombrello incorporato, la bici da prete, una bici interamente in legno del 1937, una delle prime
bici realizzate per il chilometro lanciato e due esemplari degli inizi ‘900 nati da ingegnosi brevetti all’avanguardia: bici a più rapporti con la possibilità di cambiare marcia senza dover scendere dalla bici (rapporto da salita più agile azionato con la pedalata all’indietro). Ma l’attenzione di tutti era per la splendida bici (Legnano con cambio Campagnolo) con cui Gino Bartali ha vinto nel 1946 il Giro d’Italia e il Giro di Svizzera. I visitatori hanno apprezzato in particolare il servizio delle visite guidate, grazie alle quali hanno scoperto o riscoperto la storia della bicicletta, dei suoi protagonisti e degli atleti, il suo impatto sociale ed economico, la sua importanza per il progresso tecnologico dei mezzi di trasporto e la sua evoluzione nei suoi 200 anni di vita. Fin dalla sua origine la bicicletta è stata infatti il banco di prova di innumerevoli meccanismi (cuscinetti a sfera, trasmissione a catena articolata, moltiplica, ruota libera, tubolari montati sui cerchi in legno e copertoni con camera d’aria montati sui cerchi in ferro). Molte furono le invenzioni tra la fine ‘800 e l’inizio del ‘900: triciclo pensato all’origine per un pubblico femminile con differenziale e freno a tamburo nella trasmissione a due ruote posteriori, bici
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con trasmissione a cardano, bici asimmetrica (della ditta Labor con una sola forcella), bici biammortizzate (esempio la bici da bersagliere della prima guerra mondiale). Molti di questi brevetti (differenziale, freno a tamburo, cardano) nacquero con la bici e il triciclo e poi furono adottati più o meno rapidamente nelle motociclette, nelle automobili e nelle macchine in genere. Ma forse il più significativo impatto della bicicletta sull’evoluzione dei trasporti non è stato di tipo tecnico. La bicicletta inaugurò infatti l’epoca del trasporto individuale, inducendo il bisogno di trasporti individuali anche sulle grandi distanze, allora servite dalla sola ferrovia: la strada dell’automobile era aperta. In fase di bilancio, la mostra ha fatto capire che la
bici non ha certo concluso il suo cammino, che non è finita la sua epoca. Per dirne una, nel 2011, complice del fatto anche la crisi economica, in Italia per la prima volta dal dopoguerra le vendite delle biciclette hanno superato le immatricolazioni delle automobili! La bici insomma ha ancora molto da dire e da offrire all’umanità, in termini di salute, di mobilità e rapporti umani. In questo campo i paesi del Nord Europa hanno aperto la pista e sono un modello per tutte le nazioni che inseguono un vero progresso. Così, oltre che del ciclismo eroico, si è parlato anche di cicloturismo, di mountain bike, di bici a pedalata assistita (presente in qualità di sponsor la Neox di Recoaro Terme), di piste ciclabili. Tutti questi aspetti han-
no conferito un valore intrinseco alla esposizione, capace di suscitare anche nei ragazzi delle Scuole Medie curiosità e vivo interesse. Inoltre, a corollario della mostra, in una zona riservata della Palestra si potevano vedere i filmati che documentano le strabilianti imprese di Giuliano Calore, detentore di ben 13 records mondiali. L’atleta, oggi ottantenne, su invito di Loris Pasquale, è intervenuto all’inaugurazione ufficiale della mostra, venerdì 7 settembre, e nel pomeriggio di domenica 16 ha scatenato l’entusiasmo di tutti i presenti esibendosi con la sua bici senza manubrio nel cortile dell’Oratorio. Mi sembra doveroso chiudere riportando le parole di Rossella Lora, infaticabile organizzatrice della mostra, rivolte a tutti i vo-
lontari che hanno collaborato: “In qualche modo la mostra è diventata anche nostra. Ci siamo conosciuti, ci siamo impegnati, ci siamo anche divertiti, come una squadra capace di interagire, organizzata, disponibile, preparata. La grande quantità di visitatori stupiti e soddisfatti è indice del livello eccellente della manifestazione. Ma testimonia anche che è stata apprezzata la qualità dell’accoglienza e del servizio che tutti abbiamo assicurato. Il tempo e l’impegno che ciascuno ha dedicato è stato un prezioso contributo alla riuscita della mostra. Quindi un grazie sconfinato a ciascun componente di questa squadra che ha “pedalato” per tanti giorni unita e convinta portando a termine con successo la sua impresa”.
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salute
pubbliredazionale a cura di Centro Salute e Movimento
Lo Spinning: per un benessere fisico e mentale
Lo Spinning o indoor cycling nasce come preparazione per il ciclismo su strada da un’idea del ciclista americano Johnny G nei primi anni ’90 e giunge in Italia soltanto nel 1995. Attualmente lo Spinning è insegnato in 60 Paesi del mondo e a distanza di trent’anni, è ancora uno degli sport più praticati nelle palestre e nei fitness club di tutto il Pianeta.
L
o Spinning è un ottimo allenamento aerobico/anaerobico che viene praticato in gruppo sotto la direzione di un istruttore qualificato, pedalando su speciali cyclette stazionarie a ritmo di musica. Nella pratica dello spinning si alternano momenti di grande sforzo ad altri di defaticamento dove il ritmo è più blando, con cambi di marcia e di percorso, simulando salite, pianure e discese. Non si tratta di uno sport da competizione, bensì un allenamento cardiovascolare, emotivo e motivazionale, che permette di accrescere il benessere fisico e mentale. Lo Spinning è adatto pro-
prio a tutti ed è ideale per tutte le età: atleti, amatori, uomini e donne, giovani e meno giovani e non solo per gli appassionati delle due ruote. Oltre ad essere divertente e coinvolgente, è molto efficace ed offre tantissimi benefici. E’ un allenamento ad alto consumo calorico che permette di rimanere in forma in modo semplice, tonificando non solo i muscoli degli arti inferiori, ma quelli di tutto il corpo. Lo Spinning migliora la resistenza fisica favorendo l’incremento della massa magra, apportando benefici sia al sistema cardiocircolatorio e respiratorio, sia in termini di benessere psico-fisi-
co e mentale, grazie alla quantità di endorfine rilasciate dall’organismo durante la pratica. Ora non resta che montare in sella, scegliere la musica più adatta e…pedalare!
«Lo spinning è un pensiero, significa allenarsi, sudare, divertirsi e scaricare tutta l’energia negativa per stare bene. Io lo definisco “Energy Out” ovvero allenarsi partendo dal corpo per arrivare alla mente con il raggiungimento di mete e sfruttando l’energia della musica». - Johnny Goldberg -
trissino
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En plein stagionale
L’endurista trissinese Diego Nicoletti ha vinto tutte e cinque le prove del circuito italiano 2018 conquistando il titolo tricolore 2018
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erro al Lambro, Bussi sul Tirino, Santo Stefano Belbo, Sant’Angelo in Vado e Carpineti. Non è una lezione di geografia ma l’en plein stagionale dell’endurista trissinese Diego Nicoletti che ha vinto tutte e cinque le prove del circuito italiano 2018 conquistando con un bottino pieno di cento punti il titolo tricolore 2018 e archiviando così l’amarezza per il secondo posto del 2017. Una stagione da incorniciare per il portacolori del moto club Gaerne che nell’ultima gara corsa a Carpineti ha spinto anche il suo team alla vittoria di squadra per una doppia soddisfazione che chiude un 2018 al top nel migliore dei modi. Nicoletti quest’anno tra se e l’argento di Da Canal ha messo un distacco di ben 29 punti, che salgono a 32 sul terzo classificato Roncaglia. “Volevo riprendermi il titolo e me lo sono ripreso anche con una gara di anticipo - spiega Nicoletti - avevo molta rabbia dentro per il secondo posto dello scorso anno. Una stagione perfetta in Italia che mi ha permesso di partecipare anche alla tappa mondiale di inizio settembre. Adesso
però non mi posso fermare perchè abbiamo ancora delle prove del campionato italiano estremo. Un grazie a tutti quelli che mi hanno sempre supportato e seguito in questi lunghi mesi, la vittoria è di tutto il gruppo che ha sempre lavorato nel migliore dei modi”. Una soddisfazione doppia col successo del titolo a squadre, vittoria che porta anche la sua firma non solo in gara ma anche fuori: “Quando sono arrivato al moto club Gaerne mi hanno chiesto di dare una mano nell’allestire la squadra e dopo tanti anni che non vincevano il titolo sono orgoglioso di avere dato il mio contributo a 360 gradi. Una vittoria costruita col duro allenamento dei piloti e l’ottimo lavoro dietro alle quinte, questa vittoria è di tutta la
squadra”. Nella stagione del ritorno al tricolore anche la grande soddisfazione di aver gareggiato nella prova mondiale corsa ad inizio settembre a Edolo in provincia di Brescia, soddisfazione che potrebbe per il prossimo anno aprirgli le porte con più frequenza. Ma intanto godiamoci questo bellissimo titolo!
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trissino
All’Hockey Trissino il 28° Torneo Stefano Dal Lago L’Hockey Trissino si è aggiudicato la vittoria della 28° Edizione del Torneo Giovanile “Stefano Dal Lago”, nel trentennale della scomparsa di Stefano. Torneo di altissimo livello tecnico, con squadre importanti e spettacolo di primo piano in campo e sugli spalti del Pala Dante. di Nicola Ciatti
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iverse le autorità che hanno partecipato: Giorgio Grigolato. Presidente del Comitato regionale veneto FISR, Roberto Guerra, Consigliere Regionale FISR, Davide Faccio, Sindaco del Comune di Trissino, Renzo Malfermo Assessore allo Sport del Comune di Trissino, Mauro Dal Lago, fratello di Stefano, Matteo Mastrotto, presidente GS Hockey Miche-
le Boscaro, Presidente Trissino Hockey 05 Trissino, Gian Franco Masiero, in rappresentanza della ProLoco, Giovanni Barco Presidente della proloco Trissino. L’Hockey Bassano si è aggiudicato infine il 5° TROFEO MEMORIAL ANGELO SINICO, A CURA DI FISR VENETO
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piccole dolomiti
A “tu per tu” con il lupo di Giancarlo Giordan
Classifica finale 28° Edizione del Torneo Giovanile “Stefano Dal Lago”
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5°
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3°
2°
1°
CLASSIFICATO Premia Roberto Guerra soc. HOCKEY THIENE CLASSIFICATO Premia Renzo Malfermo soc. HOCKEY BASSANO CLASSIFICATO Premia soc. HOCKEY BREGANZE CLASSIFICATO Premia Michele Boscaro soc. HOCKEY VALDAGNO CLASSIFICATO Premia Davide Faccio soc. MONTECCHIO PRECALCINO CLASSIFICATO Premia Matteo Mastrotto soc. HOCKEY TRISSINO
L’Hockey Trissino, come 1° Classificata, riceve anche il Trofeo Pro Loco Trissino consegnata da MAURO DAL LAGO Alla squadra 1° Classificata anche la Targa ricordo PROLOCO Premia: Gianfranco Masiero PREMIAZIONE COPPA DISCIPLINA Premia Roberto Guerra HOCKEY THIENE MIGLIOR MARCATORE Premia Renzo Malfermo GIOELE PICCOLI dell’Hockey Trissino MIGLIOR PORTIERE premia Matteo Mastrotto: ALESSANDRO RUBEGA dell’Hockey Trissino
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na sera, come tante altre, finito il lavoro sono salito verso il Carega, per vedere il tramonto e fare qualche foto. Lungo il sentiero ho fotografato alcuni camosci, poi ad un certo punto ho intravisto tra le mughe un animale. Ero lontano e non capivo bene, ma di certo
non era un camoscio. Mi sono avvicinato e ho visto che era un lupo. Si è lasciato avvicinare, fino a venti metri. Stava fermo a guardarmi, senza fare minacce o altro. E’ stato qualcosa di indescrivibile, anche perché io ho tanta paura dei cani. Sarà stata l’emozione, l’adrenalina a mille, ma di lui mi fidavo...
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recoaro di Antonio Lovato
Marcia da record per un gruppo da record
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l Gruppo “Podisti Recoaresi”, affiliato alla Fiasp, Comitato Territoriale di Vicenza, è ormai una realtà consolidata del Podismo nella valle dell’Agno e non solo. Nel 2018 il sodalizio ha raggiunto, la non indifferente quota di 166 Soci di cui 107 sono anche tesserati Fiasp, la maggior parte sono del comune di Recoaro, ma anche di Valdagno, Cornedo, Brogliano, Trissino e due fuori provincia. Il Consiglio Direttivo rinnovato di recente, è così composto: Presidente Lovato Antonio, vice Gaspari Maurizio, i Consiglieri sono: Campanaro Daniele, Gaspari Valentina, Faccio Caterina, Neri Raffaella e Marchi Amalia e avvalendosi poi, come previsto dallo statuto, del Collegio dei Revisori di Conto e del Collegio dei Provibiri. Da sempre, a fare la parte del leone del nostro Gruppo sono le donne (oltre il 65% del totale) e, situazione che ci rende molto orgogliosi, contiamo di un buon numero di giovani, a differenza di molti Sodalizi del panorama nazionale. Nel 2018 abbiamo già partecipato a numerosissime manifestazioni ludico-motorie, sia in Provincia che fuori dalla stessa. Con l’occasione di partecipare alla “Marcia delle Ville” in provincia di Lucca, abbiamo organizzato una bellissima gita di due giorni, che comprendeva anche la visita guidata alla città capoluogo di cui sopra; tutto questo prima di tuffarci anima e corpo nell’organizzazione della “nostra” ormai consolidata manifestazione riconosciuta in tutto il panorama nazionale (il nostro fiore all’occhiello). Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato domenica 08 Luglio u.s., alla nostra riuscitissima manifestazione 12° marcia “Le Contrà de Recoaro Terme” 6° memorial Gaspari Diego (n. 3.799 iscritti), nuovo record assoluto che si è snodata su quattro percorsi di Km. 4 (diversamente abili e passeggini) - 6 - 13 - 21 e come tradizione vuole, ha avuto anche quest’anno, novità sui tracciati.
Vogliamo, con l’occasione, ringraziare tutti coloro che in qualsiasi modo (sostenitori e volontari) affiancano la nostra Associazione, per la realizzazione delle varie iniziative e desideriamo salutare gli amici podisti e tutti i lettori della splendida rivista.
Per chi fosse interessato ad avere ulteriori informazioni sull’attività del Gruppo, può scrivere a: _ info@podistirecoaresi.com _ consultare il nostro sito internet: www.podistirecoaresi.com _ la nostra pagina facebook _ o telefonare al numero 340/3476169 ad ore serali
Carosello di 30 km di piste collegate tutte con di innevamento artificiale, impianti modernissimi, kinderheim per bambini, snow tubyng, pista per slitte, 4 rifugi con solarium, piste per allenamento e gare.
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rio e la palestra gestite da Gis, in modo da garantire l’attività anche durante la stagione fredda o le brutte giornate. I giorni di allenamento saranno: lunedì, martedì e giovedì dalle 17,30 alle 18,30.
CHI SIAMO: all’inizio eravamo in sette amici accomunati dalla passione per il triathlon e dalla voglia di diffondere questa disciplina a livello capillare. Dopo sei mesi di attività siamo già un centinaio, di cui 38 agonisti tesserati Fitri IL NOSTRO NOME: è legato a Martina Dogana, una delle triathlete italiane più conosciute in Italia e all’estero per i suoi successi soprattutto nelle gare di lunga distanza e apprezzata per la sua capacità di far innamorare le persone di questa disciplina LA NOSTRA MISSION: i nostri obiettivi sono legati alla diffusione del triathlon in tutte le sue forme e far capire che è una disciplina che tutti possono praticare, dai bambini di 6 anni agli adulti. Vogliamo insegnare che la motivazione e la costanza premiano sempre. Ognuno ha i propri obiettivi personali da raggiungere e il gruppo è lo stimolo per stringere i denti nelle situazioni più difficili. Non importa la classifica, ma il fatto di riuscire a raggiungere i propri obiettivi e realizzare i propri sogni, impegnandosi sempre e rispettando le re-
gole e gli avversari e soprattutto divertendosi! IL NOSTRO PROGETTO: puntiamo a diffondere il triathlon a livello popolare, perciò organizziamo allenamenti guidati di gruppo a cadenza regolare, aperti a tutti, neofiti o esperti, giovani e meno giovani. Abbiamo stretto accordi con strutture sportive (piscine e palestre), studi medici e vari professionisti legati al mondo dello sport (allenatori, studi medici e fisioterapisti, specialisti in nutrizione e alimentazione) per creare una cultura sportiva e supportare al massimo in nostri atleti. Da settembre partiremo con dei corsi di avviamento al triathlon riservati al settore giovanile, dai 6 ai 16 anni, con l’obiettivo di partecipare con i piccoli atleti alle gare della stagione agonistica 2019. Si tratta di allenamenti specifici di nuoto-bici-corsa e preparazione atletica. Le sedi di allenamento, per ora, saranno tre. ARZIGNANO, in collaborazione con Outdoor Training di Marta Carradore che ha già una importante esperienza alle spalle. Ci appoggeremo l’impianto natato-
MALO: ci appoggeremo l’impianto natatorio e la palestra gestite da Gis, in modo da garantire l’attività anche durante la stagione fredda o le brutte giornate. I giorni di allenamento saranno: martedì e venerdì dalle 17,15 alle 18,15. CORNEDO VIC.: ci appoggeremo alla palestra We_Beat per la sola parte a secco (bici-corsa-preparazione atletica). Gli allenamenti si svolgeranno il mercoledì dalle 17,00 alle 18,15 Tutti gli allenamenti saranno gestiti da personale qualificato Fitri e/o da laureati in Scienze Motorie. Per maggiori informazioni: info@ martinadogana.it IL NOSTRO MOTTO: come ci insegna Martina, bisogna “arrivare al traguardo con il sorriso!” LA NOSTRA ETICA: crediamo che il triathlon e lo sport in generale siano un modello di valori da rispettare. Fin dall’inizio abbiamo voluto dotarci di un codice etico in cui si combatta ogni forma di doping e di slealtà civile e sportiva. Questi valori ci guidano all’interno della nostra associazione e nella nostra vita quotidiana I PRIMI SEI MESI DI ATTIVITÀ tra i 40 tesserati Fitri, due sono le atlete PRO: oltre a Martina Dogana, anche Irene Coletto ha scelto di gareggiare con i nostri colori. Irene ha già vinto due gare: quella dell’esordio come atleta PRO nel Powerman Indonesia e il triathlon medio Idroman (BS). Martina ha ottenuto il secondo posto al triathlon olimpico di calante
in Puglia e il terzo posto al triathlon olimpico di Sirmione. Gli altri atleti gareggiano tutte i weekend nei campi gara di tutta Italia e in tutte le distanze, dagli sprint all’Ironman. Ai campionati Italiani di Triathlon Medio erano presenti ben sei rappresentanti: Alessio zambon che è stato il più veloce, Giordano Novello, Mirco Orsato, Matteo Parise, Matteo Penzo e Igor Vukadin. Al Campionato Italiano di Triathlon Olimpico No-Draft era presente Mirco Orsato. Stefano Sella ha partecipato all’Ironman Austria. Irene Coletto, Matteo Penzo, Giordano Novello e Paolo Alberati all’Ironman Svizzera. Ottimi risultati a livello nazionale sono arrivati da Susanna Gioppo, a podio di categoria in tutte le gare a cui ha partecipato, e Paolo Alberati, vincitore assoluto di un duathlon in Sicilia. I nostri tesserati si difendono alla grande non solo nel triathlon: Alessio Zambon si è classificato al terzo posto assoluto nella durissima Ultra Trail Trans D’Havet. Sempre Alessio, in compagnia di Matteo Parise e altri tre ragazzi italiani, hanno rappresentato l’Italia nella For Rangers Ultra Marathon, competizione di 230km in 5 giorni che si è corsa a inizio agosto in Kenya con l’onorevole scopo di raccogliere fondi in difesa dei rangers che operano nei parchi di salvaguardia dei rinoceronti. A settembre è ripartita l’attività agonistica del team con la trasferta a Grado in occasione del Let’s Go Triathlon , gara su distanza olimpica No-Draft. Martina Dogana Tra Team era presente con ben 16 atleti, di cui 4 alla loro prima esperienza in assoluto. è stato un weekend all’insegna dello sport, della competizione, ma soprattutto dell’amicizia e della condivisione della propria passione
L’ESTATE CONTINUA
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