Come l'acqua che scorre 2021-22

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Silvia Stucky.Come l’acqua che scorre

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Silvia Stucky. Come l’acqua che scorre

arte contemporanea

Connessioni è un progetto di Cinzia Colombo e Alessandro Riva

Questo libro documenta la mostra Come l’acqua che scorre, gennaio 2021

ME.SIA S.PACEarte contemporanea, Largo Mesia 3, Roma

https://www.facebook.com/MESIA-SPACE-Arte-Contemporanea-970799683019883

https://www.instagram.com/mesiaspace/

Si ringrazia per le foto: Dino Ignani (copertina), Rita Iacomino (seconda di copertina).

Jacopo Benci, Franca Bernardi, Maila Buglioni, Giacomo Calabrese, Cinzia Colombo, Alberto D’Amico, Anna Maria Di Stefano, Emanuela Lena, Alessandro Riva, Alessandra Scerrato.

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Connessioni in equilibrio

Silvia Stucky. Come l’acqua che scorre

installazione crescente | azione performativa | partecipazione distante del pubblico 7 – 30 gennaio 2021

del progetto Connessioni ME.SIA S.PACE arte contemporanea Roma

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nell’ambito

Connessioni

Cinzia Colombo e Alessandro Riva

La vetrina di Mesia è luogo fisico e spazio di pensiero per la creazione di Connessioni , il nuovo progetto di Mesia Space da settembre 2020, di mese in mese, ospiterà 13 installazioni site-specific.

Gli artisti, come in una ‘residenza’, avranno a disposizione lo studio adiacente allo spazio espositivo e potranno di volta in volta realizzare le proprie opere con momenti di work in progress performativo. Il pubblico potrà relazionarsi ai lavori dalla piazza antistante e tramite i social potrà interagire con gli artisti lasciando un segno a testimonianza del proprio passaggio con immagini e testi che andranno ad arricchire quelli postati dagli autori stessi per documentare l’evolversi degli interventi in corso.

La molteplicità e le divergenze di formazione e stili emerse nelle opere esposte in Mesia Space dal 2015 è condizione di partenza per queste nuove Connessioni - espresse da ogni artista con parole diverse per arricchire e specificarne il senso –in un ampliamento di orizzonti basato sul rapporto significativo con “l’altro”, un bisogno umano che nell’isolamento forzato causato dal Coronavirus – scandito dal tempo lento e dalla paura –ha ritrovato necessità e anche nuovi mezzi per esprimersi.

L’idea di bosco può cogliere il multiforme insieme di punti vista espressi dai vari interventi, il loro interagire ed influenzarsi reciprocamente. Gli alberi e le piante nella loro apparente immobilità e isolamento sono pienamente interconnesse al territorio e a tutto l’ambiente nel senso più ampio, la vita degli animali sulla terra dipende di fatto dal loro apporto in termini di aria, acqua e cibo. Nel bosco, con l’aiuto di funghi e licheni, gli alberi sono collegati l’un l’altro in modalità molto sofisticate attraverso una rete orizzontale di apparati radicali che gli permettono di scambiare informazioni vitali e di cooperare, inglobando – paradossalmente –in questo network utile alla sopravvivenza anche elementi, come i tronchi secchi, tecnicamente morti.

Il bosco come organismo complesso può oggi essere considerato non solo metafora dell’altrove ma anche essere ispirazione per vivere l’appartenenza al proprio contesto di vita con modalità che consentano di immaginare ancora un futuro per l’umanità, dove la cooperazione, la solidarietà e la sostenibilità siano in primo piano, giustapponendosi al “mors tua vita mea” che ha caratterizzato nei secoli l’approccio ecologico dell’homo sapiens.

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Lo spazio Mesia crea la connessione. Piccolo, bianco, invita a una riflessione interiore, e allo stessa tempo si apre all’esterno, ti connette col mondo al di fuori. Mi lascio trasportare come acqua che scorre, trovando nuovi equilibri. Dentro di me, fuori di me. Guardo, vedo e sono vista.

“Vedente e veduto, emozioni e ambiente sono elementi sempre inscritti l’uno nell’altro; la loro divisione è puramente nominale, frutto della necessità analitica del discorso, del linguaggio. [...] Il vedere profondo, non superficiale, è un vedere che diventa anche un ascoltare, un contemplare, un entrare in risonanza con il suo oggetto. Il vedere, così inteso, diventa altresì un essere visto, essere accolto in seno all’ambiente nel quale lo sguardo spazia, si muove, circola – proprio come il qi. Anche lo sguardo, lungi dall’essere la proiezione monodirezionata di un raggio ottico, si trasforma in una circolazione energetica, respiratoria. Il termine 觀 guān dice proprio il contemplare, l’osservare, il vedere non distratto né superficiale; esprime il comprendere in profondità”.

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[Shitao, Sulla pittura, Mimesis, 2008]

7.1.2021 –14.1.2021

Blu, luce, trigramma

Come l’acqua che scorre installazione bacchette di vetro dipinte, tubo al neon blu, sabbia, sassi, pavimento specchiante ‘‘di giorno luce e riflessi, di sera luce blu’’

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14.1.2021 –21.1.2021

Bianco, trigramma, fiori

Come l’acqua che scorre installazione

bacchette di vetro dipinte, legno dipinto, pietre bianche del Molise, sassi, pavimento di carta bianca

‘‘di giorno luce, sole, ombre; di sera immagini proiettate di fiori bianchi su fondo bianco’’

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21.1.2021 –28.1.2021

Verde, erbario

Come l’acqua che scorre installazione bacchette di vetro dipinte, legno dipinto, pietre bianche del Molise, sassi, pavimento di carta bianca, erbario ‘‘di giorno luce, sole, ombre; di sera immagini proiettate di fiori, erbe, verdi’’

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28.1.2021 –30.1.2021

L’esterno entra dentro Come l’acqua che scorre installazione bacchette di vetro dipinte, legno dipinto, pietre bianche del Molise, sassi, pavimento di carta bianca, foglie di Acanto, semi di Oleandro, erbario ‘‘di giorno luce, sole, ombre; di sera immagini proiettate di erbe, cieli, mura l’esterno entra dentro lo spazio chiuso’’

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Testi per Come l’acqua che scorre

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foto Maila Buglioni

Silvia Stucky. Come L'acqua che scorre Maila Buglioni

Mutamenti di tinte, di stati d’animo, di sensazioni. Trasformazioni impercettibili nel quotidiano rese note solo a debita distanza temporale. Piccolissimi cambiamenti che invitano ad una riflessione interiore. Meditazione che accompagna lo spettatore verso l’osservazione dell’impercettibile, dell’invisibile che abita nella sua psiche e che si manifesta solo dopo un distacco, un allontanamento visivo dall’opera. Ignoto che si rende noto ai fini dell’intelletto e che contempla quel gioco tra il visibile e invisibile ove quest’ultimo risulta essere un sottile scarto percepito tramite il wittgensteiniano “vedere come”. L’attivazione di questo lungo processo è ciò che inconsciamente avviene davanti ad ogni opera d’arte. Nel caso della produzione di Come l’acqua che scorre Silvia Stucky avvia il procedimento descritto attraverso il suo intervento, ovvero continue modifiche apportate cronologicamente nell’installazione. L’operazione svolta dall’artista durante il suo periodo di residenza – dal 7 al 30 gennaio 2021 – all’interno della piccola vetrina messa a disposizione da Mesia Space è molto di più di un semplice lavoro artistico proponendosi come un’installazione crescente con l’inserimento di azioni performative che rendono partecipe a distanza il visitatore, consapevole o passante che sia.

Come già osservato nel progetto Gli occhi delle donne, l’alchimia risulta essere alla base della sua pratica artistica. Se lì il mezzo fotografico era protagonista dell’opera prodotta insieme al pubblico che lo ha reso possibile, qui Silvia si muove tra differenti modalità espressive che vanno dall’installazione alla performance, dalla fotografia al collage. Impiegando materiali di riciclo o elementi naturali – dalle foglie alle rocce – l’artista ha prodotto un’opera d’arte vivente ove lei stessa è divenuta protagonista. La presenza fisica – dell’artista e del pubblico –sono, infatti, i componenti necessari perché Come l’acqua che scorre si attivi.

Durante la residenza all’interno del vano Silvia ha lavorato per una continua variazione dello spazio: dal blu dell’acqua, che mentalmente scorre nei nostri pensieri, al verde della natura, che dall’esterno prende possesso della stanza fino ad invaderla. Modifiche, queste, che rispecchiano le emozioni, i sentimenti scaturiti dalla contemplazione dell’intervento dell’artista col fine di innescare una circolazione energetica, un benessere che dall’occhio arriva alla mente al pari di quanto accade nelle discipline orientali come il Tai Chi da lei praticato.

Un progetto partecipativo che, nonostante le limitazioni e le restrizioni imposte dalla pandemia da Covid-19, ha innescato – per via della piazza antistante lo spazio e la diffusione della sua documentazione sui social –quelle relazioni su cui si fonda il progetto Connessioni avviato da Mesia Space. I rapporti umani e sociali, messi tra parentesi per via di questo pressante momento storico, sono qui riproposti tramite nuove modalità di fruizione che invitano a ripensare la nostra vita, il nostro ambiente, il mondo del digitale consentendo di immaginare un futuro maggiormente consapevole, sostenibile, cooperativo per l’essere umano e ciò che lo circonda.

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foto Alessandro Riva

Una finestra sulla strada

Una finestra sulla strada: così appare il piccolo atelier bianco, ricavato nella galleria Mesia Space, aperto all’esterno da una lastra in vetro trasparente per consentire la visibilità dell’interno – dove l’artista opera – da uno slargo irregolare che diventa crocevia tra presente e passato. Sullo sfondo, infatti, dominano le magnifiche cinta di mura di età romana e tutt’intorno case e villini, che connotano l’edilizia del popoloso quartiere di San Giovanni a Roma. Questa premessa è necessaria per capire l’operazione portata avanti da Silvia Stucky che, dopo diverse performance, sempre volte a sottolineare gli equilibri tra il dentro e il fuori e le connessioni tra la riflessione interiore e il mondo esterno, raggiunge in questa ultima manifestazione dal titolo significativo Come l’acqua che scorre uno dei risultati più completi, per ricchezza di riferimenti narrativi e poetici.

La sua riflessione sul tempo, sulla luce, sul significato delle erbe – in un work in progress della durata di quattro settimane (7-30 gennaio 2021) – ha finito per coinvolgere diversi spettatori, anche quelli che si trovavano a passare per caso nel piccolo slargo che, attratti da qualcosa di misterioso, si sono sentiti coinvolti in un’operazione finalizzata a stabilire un equilibrio profondo tra esercizio fisico del guardare e quello mentale del riflettere.

“Per me fare arte”, sostiene Silvia Stucky, “è sollecitare un pensiero, fare domande, attendere l’inaspettato, stupire e stupirmi per ogni nuvola che passa, per ogni foglia che cade, per ogni riflesso nell’acqua di una pozzanghera; vedere ogni fenomeno collegato al tutto, non separato”.

In questa ricerca profonda di connessioni, la luce blu dei tubi al neon a forma di un trigramma, contribuisce in modo determinante a creare la magia della consapevolezza dell’essere nel mondo con la propria essenza, in equilibrio armonico tra il dentro e il fuori. Con l’avanzare delle ore la luce varia di colore, legata alla successione cronologica del procedere degli eventi umani e anche alla mutevolezza metereologica, per cui non appare mai monocromatica. La mattina è bianca fino a diventare blu la sera, quando viene meno la luce naturale. Assume poi una colorazione verde durante la proiezione dell’artista, sulla parete bianca del piccolo spazio, di immagini di paesaggi fatti di foglie e d’erba. La luce, nel suo continuo divenire, finisce per attestarsi come metafora del tempo, di un tempo scandito da eventi originati dalla riflessione della mente sulle vicende che appartengono alla storia degli esseri umani. Sottolineato dal mutare della luce, in una specie di sortilegio spinto al massimo, il presente si fonde con il passato e il tempo umano svela la sua ciclicità. Ed è allora che nasce la connessione euritmica con il paesaggio e la natura circostante, con i cipressi che di sera proiettano le loro ombre sulla superfice delle antiche mura e i frammenti di cielo che si riflettono nel piccolo spazio sacrale.

L’armonia è perfetta, sottolineata dalla suggestione dell’ora e del momento, quando a tarda sera l’opera performativa, nel continuo progredire nell’arco di tempo in cui si svolge, arriva al suo culmine. L’artista dall’interno del suo piccolo spazio, riesce a guidare in modo mirabile la connessione tra il vedere profondo dello sguardo – che ormai spazia oltre il semplice oggetto – e l’essenza stessa dell’uomo visto in simbiosi con la natura. Ormai connesso, lo spettatore entra in profonda connessione col progetto creativo ideato dalla Stucky, diventata demiurgo tra l’io e il mondo.

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foto Alessandro Riva

Compenetrazione

Giulia Del Papa

Una vetrina in affaccio sulla città, uno spazio bianco, cubico che nella purezza e semplicità della sua struttura si connette alla strada attraverso la trasparenza del vetro. Mesia Space ha così ospitato nel gennaio 2021 l’intervento di Silvia Stucky, che nel corso del mese ha ‘coltivato’ e fatto crescere erbari, tra proiezioni di video ed azioni performative.

Trasformazione, crescita, creazione, scambio e compenetrazione, tutto questo a mio parere si cela dietro a quello scorrere perpetuo dell’acqua, che Silvia ha studiato e filmato nel corso dei suoi anni di ricerca artistica.

Nell’acqua che scorre vi è la vita, dai grandi e piccoli ecosistemi che nascono e proliferano con erbe sconosciute ai più.

Vivono non solo nelle oasi verdi dentro e fuori il contesto urbano, ma anche nascoste e persistenti nell’asfalto, nei muri e nel cemento delle nostre città. Passiamo e le attraversiamo senza accorgercene, oppure le incontriamo in quei momenti di ricerca di calma e serenità dalla vita metropolitana.

Allo stesso modo, credo che Silvia abbia vissuto il suo mese all’interno di Mesia Space, nel far proliferare la vita in quello spazio chiuso e aperto allo stesso tempo, nel filmare e proiettare ciò che da dentro si mostrava, nell’accogliere dall’interno chi entrava nel ‘suo giardino’ solo con lo sguardo e con la mente, che nel corpo restava fuori.

È la trasparenza che consente di vedere attraverso, pur mantenendo la separazione. E in questa distanza si compie la connessione, in quel velo che separa e unisce allo stesso momento, come il pelo d’acqua che mostrando il fondale lo confonde nel riflesso di ciò che è fuori. In questo stesso modo chi ha visitato lo spazio, assistendo alle performance, scambiando due parole con Silvia o semplicemente guardando ciò che all’interno si stava creando, è stato non solo spettatore ma anche spettacolo per l’artista che, da perfomer, nel corso dei giorni ha vissuto e osservato il compiersi della propria installazione. E alla fine quel paesaggio urbano, esterno e separato, è passato all’interno dello spazio come proiezione.

Perché, in fondo, se gli schermi consentono di creare separazioni, allo stesso tempo generano ribaltamenti.

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foto Anna Maria Di Stefano

“Mi lascio trasportare come acqua che scorre, trovando nuovi equilibri. Dentro di me, fuori di me. Guardo, vedo e sono vista” (S. Stucky). Un ‘grazie’ a Silvia Stucky che, con la mostra Come l’acqua che scorre, ci ha fatto riscoprire, a musei chiusi, in questo periodo sconvolgente di pandemia, l’effetto catartico e rasserenante dell’arte. Tutto si è svolto nel mese di gennaio –nell’ambito del progetto Connessioni in equilibrio –da Mesia Space, in un piccolo ambiente, inizialmente bianco, che –con una grande vetrina –interagisce col mondo esterno. E lo spazio è diventato luogo di un’installazione crescente con azioni performative e la partecipazione ‘distante’ del pubblico. Silvia stessa racconta la genesi dell’evento dandone, nel contempo, la chiave di lettura: “L’idea di progettare pochissimo e farmi trasportare ‘come acqua che scorre’ nel trasformare lo spazio mi ha fatto agire liberamente in relazione a quello che avevo intorno: ‘agire senza agire’, come dice il Tao” E lo spazio, da statico che era, è divenuto uno luogo in continua trasformazione, semplicemente spostando, nel passare dei giorni, le forme e gli elementi naturali prescelti: il trigramma dell’acqua –ad esempio –ora di luce blu, ora di pietra o le bacchette di vetro con sprazzi di colore blu come se fossero piene d’acqua; allestendo un erbario; leggendo brani poetici e filosofici; utilizzando i media a lei cari con proiezioni di foto ; sfruttando sapientemente le alternanze di luci ed ombre.

La continua trasformazione subita dall’habitat evoca concetti profondi: quello del divenire continuo e dell’ineluttabile cambiamento. “Be the change you want to see in the world!” Il monito di Gandhi non cade inascoltato: il cambiamento inizia da noi stessi, gli altri seguiranno. È, quindi, necessario assumere un diverso punto di vista, scegliere altre prospettive in una visione dialettica della realtà: in fondo una strada in salita è la stessa anche in discesa, cambia solo l’angolo d’osservazione. Questo è il messaggio: bisogna accettare il λόγος universale, la legge immutabile del divenire che governa ogni cosa: la Natura e gli uomini stessi che ne fanno parte. Πάνταῥεῖ: già nel pensiero eracliteo nulla rimane fermo e inalterato, tutto è destinato a evolversi, modificarsi e cambiare nel corso del tempo.

“A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove” (Diels-Kranz, fr. 22 B 12). “Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo” (Diels-Kranz, fr. 22 B 49a). È impossibile bagnarsi due volte nello stesso corso d’acqua, perché dopo la prima volta, sia il fiume (nel suo perenne scorrere) sia l’uomo (nel suo perenne divenire) non sono più gli stessi.

Le settimane si sono susseguite lentamente –come il succedersi delle stagioni –connotate ciascuna da un colore diverso: la prima è stata quella del blu, paradossalmente “il colore che non esiste, immateriale: l’acqua e l’aria sono incolori; la profondità è blu” (S. Stucky). Nella seconda settimana ha prevalso il total white accentuato dalla proiezione continua sulla parete di piccoli fiori bianchi fotografati su un fondo anch’esso bianco.

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Πάντα ῥεῖ : come l’acqua che scorre… L’armonia nascosta dell’eterno divenire

Intanto Silvia andava realizzando –all’interno della vetrina, esposta agli sguardi curiosi dei passanti –un erbario: a lavoro finito è stato il colore verde a caratterizzare la terza settimana enfatizzato anche dalla proiezione di immagini di fiori e piante. L’ultima settimana è stata quella dei toni crepuscolari, dei tramonti, dei marroni delle Mura Aureliane, degli azzurri del cielo ripresi e proiettati all’interno in un continuo scambio fra ‘spazio circostante’ e ‘spazio dell’arte’.

Minuta, composta, ieratica, come inginocchiata davanti a uno tsukubai, Silvia andava realizzando –su un semplice tavolino basso –con gesti misurati, quasi sacrali, come in un rito celebrativo, il suo erbario: foglie raccolte durante la lunga frequentazione di ville, orti botanici, parchi; custodi gelose del mistero della natura che racchiudono nell’infinita diversità delle venature. Ogni cosa ‘a suo tempo’, ogni cosa ‘ha il suo tempo’ e, nel continuo evolversi dell’esistenza, finalmente le foglie –messe pazientemente a seccare fra le pagine di libri –sono state pronte per diventare ‘erbario’.

Scegliendo al momento la loro disposizione Silvia si districa con sapiente competenza fra innumerevoli piante dai nomi altisonanti – Amaranthus, Chenopodium album, Cymbalaria muralis, Foeniculum vulgare, Galium aparine, solo per ricordarne alcuni –o da quelli più familiari come l’Edera o le Campanule. Seleziona le diverse tonalità dei colori non solo fra le varie gamme dei verdi ma spaziando anche fra tinte cangianti come quelle dell’Acer negundo, che virano dal verde all’arancio o azzardando colori vivaci come il giallo del Ginkgo biloba o il rosso dell’. Appende, poi, i fogli dell’erbario sulla parete di fondo dell’ambiente, seguendo linee ascensionali diagonali, secondo l’andamento delle bacchette di vetro sovrastanti. A erbario finito l’osservatore ha l’impressione di trovarsi davanti a un pentagramma, a uno spartito su cui la Natura ha scritto la sua musica.

La performance si svolge in una continua osmosi fra ‘dentro’ e ‘fuori’, fra ‘osservato’ e ‘osservatore’, fra ‘veduto’ e ‘vedente’ in una duplicità di ruoli in cui ora Silvia è oggetto di attenzione dello spettatore ora è soggetto indagatore del mondo esterno. Armata –e mai aggettivo pare più inadatto in un ambito in cui regnano concordia e armonia, coincidenza degli opposti, pacificazione fra yin e yang –‘armata’, dicevo, della sua macchina fotografica fissa un momento unico e irripetibile dell’esistenza di chi l’osserva al di là della vetrina, diverso dall’immediatamente ‘prima’ e ‘altro’ dall’ineluttabile ‘dopo’ nell’eterno fluire della sua esistenza, nel suo continuo cambiamento perenne.

E cattura, col suo obiettivo, non solo le immagini delle persone, ma anche del contesto che le circonda, del landscape in cui sono inserite: il passaggio di un’automobile, una luce particolare... un volo irripetibile di storni... i raggi del sole al tramonto che sembrano incendiare la cinta delle mura romane antistanti.

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E cattura –leggendo brani di poeti, pensatori, botanici, filosofi, scienziati antichi e moderni, orientali e occidentali, spaziando dall’XI sec. ai nostri giorni –l’animo di chi la guarda e l’ascolta.

Concentrata, legge non solo per chi sosta al di là della vetrina ma anche per se stessa come in un momento di ulteriore approfondimento e riflessione. Dai componimenti della poetessa cinese Li Qingzhao (1081-1141), alle riflessioni sull’estetica d’arte di Shitao (inizi del XVIII secolo), alle considerazioni sul giardino di Jorn de Précy, alle ipotesi sulla Carta dei diritti delle piante di Stefano Mancuso, alle tesi del filosofo François Cheng e di molti altri ancora, Silvia affronta –sotto molti punti di vista –i temi a lei cari: le piante, il giardino, la natura, l’uomo nel suo rapporto col mondo circostante, l’arte, il tempo, la vita e la morte, intesa come parte integrante di un’avventura in divenire.

E il pubblico –dalla piazza antistante –si relaziona e interagisce con l’artista... instaura un dialogo spontaneo... si fa attento all’ascolto... entra in risonanza... stabilisce connessioni... E la vetrina di Mesia si connota, al tempo stesso, come ‘luogo fisico e spazio di pensiero’. foto Alessandra Scerrato

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foto Anna Maria Di Stefano

L’acqua che scorre ritorna?

Raccogliere immagini e testi attorno a una esposizione temporanea per fissarne il racconto plurale è operazione consueta. Tuttavia, quando il titolo della mostra suona Come l’acqua che scorre, è ugualmente naturale cogliere una certa frizione tra l’intervento artistico che rinunciando alla cristallizzazione oggettuale si propone come continuo divenire di materiali, forme e composizioni nello spazio circoscritto di una vetrina su una strada secondaria, affacciata sulle Mura Aureliane, e la legittima esigenza di sedimentarne una traccia, salvaguardando quella condivisione che da qualche anno caratterizza l’operato di Stucky.

Il titolo che evoca tale tensione semantica, a dire il vero ricorre più volte nel lavoro di Silvia Stucky: in sei video monocanale, compresi tra il 1998 e il 2019 e girati in Cina, Finlandia, Giappone, Mali, Olanda, Turchia, a Roma e a Ferrara, spesso prendendo a soggetto il movimento dei passanti; nonché in una installazione del 1999. Inoltre, tale frase vergata in blu a pennello è riprodotta su lunghe strisce di carta in diversi interventi installativi condotti dall’artista all’inizio del XXI secolo. Per non parlare della centralità che l’elemento naturale, tradizionalmente legato alla femminilità, ha in tutto il lavoro di Stucky, inclusa l’opera permanente La forma dell’acqua (2013) nel Giardino dei Passionisti, all’interno del complesso monumentale della Scala Santa, a Roma1. È vero, la superficie e i moti dell’acqua hanno esercitato una innegabile fascinazione sulle ricerche artistiche in video, tenute a battesimo negli anni Sessanta da Fluxus, che del fluire della vita nell’arte, abolendo idealmente barriere e confini tra le due, ha fatto uno dei tratti distintivi, intrecciato a una critica feroce al sistema artistico e alla sua integrazione nell’economia capitalistica.

In Stucky, però, il riproporsi dell’immagine vitale ed effimera dell’acqua in movimento si configura, principalmente, come metafora di una disposizione (po)etica in cui prevalgono l’ascolto e l’osservazione, i tempi dilatati appresi con la cultura orientale, la raccolta studiata di piccoli reperti naturali di cui poi con dedizione riproduce a gouache le nervature, oppure assorbe le texture con il frottage. Una disposizione che si concretizza nella predilezione per riprese a camera fissa nella mai delusa consapevolezza che, prima o poi, qualcosa accade: una foglia si poggia sulla superficie dell’acqua, un insetto la increspa, un raggio di luce vi si riflette. Quindi, a dispetto di Eraclito, l’acqua che scorre in un certo senso ritorna, seppure non identica a se stessa, ma piuttosto adattandosi come le si conviene a forme e apparenze sempre diverse, in una imperfetta ciclicità e implicita reciprocità con l’ambiente, proposta dall’artista a modello del rapporto tra essere umano e mondo.

1. Cfr. S. Bordini (a cura di), Silvia Stucky. Il sussurro del mondo, catalogo della mostra, Società Editrice Romana, Roma 2008; G. De Marco, I luoghi del sacro nella città contemporanea. Due “installazioni permanenti” di Maria Dompè e Silvia Stucky per il giardino dei Padri Passionisti alla Scala Santa a Roma, in M.C. Di Natale - M. Vitella (a cura di), Arredare il Sacro. Artisti, opere e committenti in Sicilia dal Medioevo al Contemporaneo, Skira, Milano 2015, pp. 159-173.

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foto Franca Bernardi

Osmosi

Osmosi è la parola che mi sembra possa rendere meglio il senso dell’intervento realizzato da Silvia Stucky nella vetrina di Mesia Space, nell’ambito del progetto Connessioni, nel gennaio 2021. Un intervento complesso e multiforme: una mostra-residenza, ma anche una lettura-azione, più che un’esposizione statica, dunque, un processo, un’installazione in divenire accompagnata da una serie di azioni performative. Il carattere fluido di questa nuova opera di Silvia Stucky, d’altronde, è dichiarato fin dal titolo: Come l’acqua che scorre. Il risultato è stato un lavoro vitale in grado di attivare un profondo e rigenerante scambio di energie tra l’artista, lo spazio e gli spettatori, attingendo forza e ispirazione direttamente dalla natura.

L’intera operazione nasce sotto il segno dell’acqua, evocata in mostra da bacchette di vetro colorate di blu e dalla presenza del trigramma che, nel Libro dei Mutamenti (I Ching), simboleggia tale elemento. Il trigramma dell’acqua, composto da tre linee orizzontali sovrapposte (spezzate le linee esterne, intera quella al centro), rappresenta, nell’antico libro cinese di oracoli, la forza interiore e la capacità di adattarsi alle circostanze, due qualità essenziali di questi tempi segnati da un mutamento destabilizzante di portata epocale.

L’acqua comunque è da sempre al centro del lavoro di Silvia Stucky. Nella sua pratica, inoltre, non è infrequente la ripresa e lo sviluppo di idee già presenti in nuce in progetti realizzati anche molti anni prima, come fossero semi che hanno bisogno di tempo e delle condizioni adatte per germogliare. Non stupisce, perciò, ritrovare ora il titolo Come l’acqua che scorre già utilizzato da Silvia Stucky in altre occasioni, perché più che l’opera, esso qualifica l’attitudine stessa dell’artista, che pratica le discipline orientali ed è maestra di Qigong e Taijiquan. Il titolo quindi richiama soprattutto un modo di fare (e di essere), poi ogni contesto è a sé, ogni lavoro infatti nasce site-specific.

Del resto chi, come Silvia Stucky, si esprime attraverso azioni performative dedica inevitabilmente un’attenzione particolare alla consapevolezza del momento presente, perché attraverso la performance il performer dona sempre se stesso. Così, al tempo del distanziamento sociale imposto dalla pandemia di Covid-19, l’azione di esporre e lavorare in una vetrina su strada, uno spazio privato, isolato e protetto, ma completamente esposto alla vista dei passanti, a loro volta visibili dall’interno, si carica di una tensione inedita, riconducibile all’esperienza, condivisa da tutti noi, del lockdown.

Viene in mente, a questo proposito, la performance di Marina Abramović The House with the Ocean View (2002), una «installazione vivente» – come l’ha definita l’artista stessa – eseguita a New York, alla Sean Kelly Gallery, un anno dopo l’11 settembre. Il trauma dell’attentato alle Torri Gemelle – ricorderà in seguito Marina Abramović nella sua autobiografia (2016) – aveva messo le persone in uno stato d’animo molto ricettivo, favorendo così l’attuarsi, nei dodici giorni della performance, di un intenso dialogo energetico tra l’artista, il pubblico e lo spazio. Ecco, mi sembra che un’analoga atmosfera ricettiva si sia creata spontaneamente anche in occasione di Come l’acqua che scorre.

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Non è facile descrivere quest’opera a posteriori, perché nei giorni della mostra-performance i vari elementi costitutivi dell’installazione quali, tra gli altri, le bacchette di vetro, alcune pietre di diversa provenienza, i fogli dell’erbario che Silvia Stucky andava realizzando sul posto, la proiezione di immagini botaniche sulle pareti, hanno spesso migrato all’interno del piccolo spazio, cambiando più volte posizione. E poi un ruolo non secondario l’ha giocato la luce, sia la luce naturale di giorno e artificiale di notte, che filtrava dall’esterno attraverso la parete di vetro, sia l’illuminazione all’interno. Come fossero le diverse fasi di una trasformazione alchemica, il colore dello spazio di Mesia mutava a seconda dell’ora e delle condizioni atmosferiche. L’ambiente ha rivelato così una natura estremamente duttile, cangiante e permeabile agli accadimenti esterni, in grado di catturare i fantasmagorici riflessi del mondo, sia sulla vetrina che sulle pareti. Nel tempo, inoltre, il colore dominante di questo campo d’azione dell’artista è passato dal blu al bianco al verde, tre colori che, a pensarci bene, sono quelli che ha il pianeta Terra visto dallo spazio, gli stessi scelti dal botanico Stefano Mancuso per immaginare la bandiera della sua ideale Nazione delle Piante.

A seconda del momento e dell’osservatore, la vetrina affacciata su Largo Mesia poteva quindi apparire come un microcosmo, la caverna di Platone, un hortus conclusus medievale, un giardino zen, l’antro di un alchimista; comunque un luogo potente, dal sapore vagamente iniziatico. Grazie a microfoni e altoparlanti Silvia Stucky, chiusa nel suo spazio separato, non solo dalla strada, ma anche dal resto della galleria tramite tre pareti mobili, poteva però comunicare con l’esterno. Al pubblico in strada leggeva brani scelti da alcuni dei suoi autori preferiti. E in questo particolare periodo storico, il vetro trasparente come schermo e la mediazione della tecnologia per consentire la comunicazione, richiamavano dolorosamente alla mente gli sforzi fatti da ciascuno di noi per restare in contatto con gli altri, nonostante il forzato isolamento dettato dall’emergenza sanitaria.

L’opera Come l’acqua che scorre ha dunque offerto, sia al pubblico occasionale, che si trovava a passare davanti alla vetrina, sia allo spettatore più avveduto, un’esperienza catartica e un messaggio di speranza. L’insegnamento che se ne può trarre è di non aver paura del mutamento, piuttosto occorre imparare ad accoglierlo perché, come recita un noto aforisma, variamente attribuito a Eraclito o al Buddha, non c’è nulla di permanente, tranne il cambiamento.

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L’Acqua è... vitale connessione

Connessioni/In equilibrio allo spazio/vetrina Mesia a Roma, che accoglie artisti in “residenza” e “residenza parziale” ci propone Silvia Stucky con il suo Come l’acqua che scorre. Si tratta di un articolato lavoro in mostra che... si mostra, ovvero una installazione crescente e azione performativa con partecipazione distante del pubblico –separato da ciò che accade solo da una grande vetrata –che però interagisce, in qualche modo: più specificatamente, facendo esperienza dell’opera/azione dell’artista che si trova nel box su strada (appunto, una vetrina).

Un “vedente veduto”, o “veduto e vedente” che dir si voglia, secondo l’analisi di Shitao in Sulla pittura, Mimesis, 2008: «Il vedere profondo, non superficiale, è un vedere che diventa anche un ascoltare, un contemplare, un entrare in risonanza con il suo oggetto. Il vedere, così inteso, diventa altresì un essere visto, essere accolto in seno all’ambiente nel quale lo sguardo spazia, si muove, circola (...) e si trasforma in una circolazione energetica, respiratoria» (oh, che bel termine è ‘respirare’, in tempo di Covid e mascherine protettive!).

Grazie Silvia, che con leggero, fluido narrare poetico –tu che produci anche haiku illuminanti –convochi il rapporto tra uomo e mondo, interno ed esterno, spazio circostante e spazio dell’arte, e tra essenza e superficie: con i tuoi segni, disegni, la voce e atti di intensità.

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foto Franca Bernardi

Come l’acqua che scorre Roberta Melasecca

Il lavoro di Silvia Stucky non si muove mai in modo statico. Silvia Stucky attraversa un fluido divenire dove le cose accadono nel loro evolversi spontaneo e lei stessa ne è parte. È, al pari degli elementi naturali che lei manipola solo con l’esigenza e l’urgenza di renderli visibili allo sguardo, l’artista diventa oggetto di un percorso di mutazione che varia nel suo esternarsi tra il dentro e il fuori, tra il vedente e il veduto, tra l’essente e il presente.

Lo schermo solido trasparente la divide e la protegge e contemporaneamente consente una com-partecipazione e una com-passione per le creature che crescono tra le sue mani, variando vita e colore, modificando sostanza costitutiva e evidenza delle anime e dei pensieri. Ogni nuovo nato subisce un processo di trasformazione e di doppia proiezione, nel suo essere proiettato deliberatamente dall’artista e ribaltato nel riflesso del vetro di demarcazione che, a sua volta, cattura immagini provenienti da mondi altri.

E così l’artista non fa altro che darci un’occasione di rimembranza attraverso segni, gesti, parole, immagini; il risultato è una realtà sottile e palpabile dove ci riconosciamo non semplici passanti di un breve peregrinare.

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foto Alessandro Riva

La bellezza è un mistero Giovanna Iorio

La bellezza è un mistero, sa curare e salvare. E l’installazione di Silvia Stucky, apparsa nel cuore di Roma, ha saputo curare chi vi ha posato lo sguardo.

Ogni sera per un mese anche io me ne andavo a cercare la vetrina azzurra di Silvia per immergermi nel prodigio dell’acqua che scorre.

Ogni sera, ad ogni mutamento di luce e forma, il mondo si faceva più leggero e limpido, la paura e l’inverno si allontanavano e ho intravisto un po’ di speranza.

Solo gli artisti più puri somigliano all’acqua: hanno il dono della trasparenza, la forza della sorgente, la profondità della cisterna dove l’acqua canta più forte del buio.

Questa installazione mostra le virtù orientali di cui è imbevuta l’opera di Stucky:la saggezza dell’haiku, l’umiltà del silenzio. Silvia non usa una sillaba di troppo nelle sue composizioni che sanno stare al mondo in equilibrio.

Questa installazione ha trovato la sua forma nel cuore della gente e ha portato il disgelo.

Anche io qui ti ringrazio, per il dono che ci hai fatto. Grazie Silvia, per aver portato l’acqua nei nostri occhi stanchi.

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foto Emanuela Lena

Osservare dall’esterno Fabiana Carpiceci

Gli occhi degli invitati alla rappresentazione come l’acqua che scorre, guardano attraverso un vetro trasparente all'nterno della piccola stanza piena di blu e bianco, c’è una presenza umana (Silvia), discreta, assorta nella lettura, come se stesse lì

ad indicare qualcosa che sta accadendo in quell’istante.

E non dipende né da lei né da noi che osserviamo, ma dall’insieme delle due cose. Sembra una inevitabile possibilità di ‘guardare dentro’, all’interno di noi stesse, di noi stessi.

Osservare l’acqua che scorre dentro. E lasciarsi portare.

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Sarà festa grande

Sandra Naggar

Confortante sapere che il pianeta Terra proseguirà la sua vita, come l’acqua che scorre, anche senza gli esseri umani, beneficiando del giusto tempo per rigenerarsi e rimarginare le ferite degli abusi che l’umanità gli avrà inflitto per anni.

Impossibile mantenere l’equilibrio con i tempi della Natura, l’iperbole sembra non fermare la sua corsa inesorabile.

Le piante di ogni specie gioiranno dispiegando tutta la loro bellezza. Sarà festa grande e non ci sarà memoria.

A meno che ...

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Come l’acqua che scorre Seduta in un angolo, come nel ventre avvolta, sento vicini i passi far oscillare il suolo. Trasale il sangue, come l’acqua che scorre lungo i rivoli del bosco, il ghiaccio si è disciolto, e gli occhi di vetro mostrano la trasparenza della mia carne. Ti vedo, turista di abitudini perdute, hai confuso il tempo che ordinava le ore per la felicità. Guardami, il pensiero respira profondo, e libera il mio passo dalla marcia serrata del giorno.

Sara Fiorelli

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Vivere.

La mia vita è come l’acqua che scorre, è come il sangue che scorre nelle mie vene, veloce e gioioso di aiutare l’organismo. Amo la vita con le sue molteplici sfaccettature, finalmente mi sento libera, felice di amare l’universo, l’infinito e tutto ciò che ho. Che fortuna vivere con leggerezza questo magnifico gioco e viaggio chiamato vita. Laura Pesce

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foto Giacomo Calabrese

Blu. Bianco. Verde. Cinzia Colombo

Blu: si spandeva sulla strada, sui corpi degli uomini fermi, nonostante il freddo, distanziati come alberi ascoltavamo il flusso continuo della tua voce, immersi nel blu notte dello spazio sulla terra.

Bianco: un volto di pietra bianca lunare, un angelo custode non ha emozioni guarda il mondo degli umani come acqua che scorre, si muove, crea forme, muta, si chiude poi si apre, si volta e vola via.

Verde: eccole apparire le semplici sono state raccolte da te in ogni dove e qui sono in mostra per noi che rimaniamo ciechi verso le piante.

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Appendice

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122 4.1.2021 Come l’acqua che scorre allestimento
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127 Come l’acqua che scorre vernissage amici, pubblico, passanti dentro / fuori fuori visto da dentro
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Come l’acqua che scorre amici, pubblico, passanti fuori visto da fuori
foto di Jacopo Benci Alberto D’Amico e Alessandro Riva
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Tàijíquán, Giacomo Calabrese
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sommario

Cinzia Colombo e Alessandro Riva Connessioni 4

Silvia Stucky 5

Blu, trigramma, luce 7.1.2021 –14.1.2021 6

#trasformazione 14.1.2021 24

Bianco, trigramma, fiori 14.1.2021 –21.1.2021 32

Verde, erbario 21.1.2021 –28.1.2021 48

L’esterno entra dentro 28.1.2021 –30.1.2021 70

Maila Buglioni Silvia Stucky. Come l’acqua che scorre 95

Maria Elvira Ciusa Una finestra sulla strada 97

Giulia Del Papa Compenetrazione 99

Anna Maria Di Stefano πάντα ῥεῖ: come l’acqua che scorre... L’armonia nascosta dell’eterno divenire 101

Francesca Gallo L’acqua che scorre ritorna? 105

Flavia Matitti Osmosi 107

Barbara Martusciello L’Acqua è... vitale connessione 109

Roberta Melasecca Come l’acqua che scorre 111

Giovanna Iorio La bellezza è un mistero 113

Fabiana Carpiceci Osservare dall’esterno 115

Sandra Naggar Sarà festa grande 117

Sara Fiorelli Come l’acqua che scorre 118

Laura Pesce Vivere 119

Cinzia Colombo Blu. Bianco. Verde. 120 Appendice

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