RIFLETTORI SU... 17

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che avremmo poi usato come palco, e si rivolse a noi subito come dei giovani colleghi. Noi eravamo emozionati, adoranti come davanti a un dio. Aveva 39 anni, noi appena ventenni. Per prima cosa ci spiegò l’importanza dello sbruffo del cavallo, che consisteva nel far vibrare una precisa parte del labbro superiore. Ognuno di noi si cimentò immediatamente. E lui ci scrutò con attenzione per capire come avremmo reagito, se avremmo saputo esaudire una richiesta così bizzarra (soprattutto me, che ero anche allievo di regia all’accademia d’arte dramma-

mento, noi ci saremmo dovuti allenare con il nostro corpo, la nostra voce. Credo che Gigi scegliesse gli allievi per la loro personalità. Ognuno di noi era già un po’ personaggio. E nessuno di noi allievi del laboratorio si è mai sognato di imitarlo. Come un grande maestro, Gigi sapeva valorizzare la personalità ed anche i difetti/caratteristiche di ognuno di noi. E ci faceva capire come il “non essere attori omologati” fosse fondamentale. I cosiddetti in gergo “attori corretti” che dicono la battuta “forte e chiaro” non erano contemplabili nel suo laboratorio.

tica). Poi ci disse che anche le orecchie si potevano e si dovevano muovere (lui era un maestro anche in questo) e anche con le orecchie immediatamente ci cimentammo. Capimmo subito che ci saremmo divertiti molto, ma anche che nel divertimento nulla era casuale. Che far ridere era un lavoro serio e come un musicista deve allenarsi col proprio stru-

Finti si, falsi mai. Ognuno doveva coniugare sé stesso nei personaggi, variando, cercando strade non ovvie, non facili. Durante la registrazione del varietà televisivo “Attore amore mio” mi disse che, secondo lui, “il mio clown” era un ragazzo piacente ed aitante che non manteneva le promesse, meno forte di quello che dava a vedere, che nascondeva gracilità e insicurezze. E

© Gianmarco Chieregato

Fools di Neil Simon; mi è capitato anche come attore di partecipare a spettacoli musicali: cito fra tutti A che servono gli uomini di Iaia Fiastri, regia Pietro Garinei, musiche Giorgio Gaber, al teatro Sistina di Roma. Mi ricordo, nel 2010 Gigi, è tutta colpa tua!, spettacolo-evento per i 30 anni del Laboratorio di esercitazioni sceniche diretto da Gigi Proietti. Quanto è stato importante per lo spettacolo italiano? E quanto per te? Qualche aneddoto legato a lui? Vidi Gigi per la prima volta nei camerini del teatro Tenda nel 1976 (ero studente di architettura) e non avevo mai visto una persona così sudata in vita mia. Era letteralmente zuppo. Quella camicia larga, bianca, un po’ “cyranesca”, gli aderiva totalmente addosso come una seconda pelle. Non sapevo che l’avrei rivista tante e tante volte quella camicia, condividendo con lui il palcoscenico, ed anche molti studi televisivi. Lui aveva 36 anni, io 19, gli dissi che avrei voluto fare l’attore. Nel 1979 quando si sparse la notizia che avrebbe aperto una scuola, nonostante mi mancassero ancora 5 esami per laurearmi in architettura, non volli perdermi l’opportunità di partecipare alle selezioni. Al provino portai una poesia su una bambina appena nata (in romanesco) che piangeva sempre (sua figlia Susanna era appena nata e sicuramente sarebbe stato sensibile sull’argomento). Poi cantai una canzone folkloristica della mia città natale Civitavecchia bella città d’incanto rise molto e negli anni a venire me la fece cantare in più occasioni (anche quando fui ospite con lui da Raffaella Carrà). Il primo giorno del laboratorio, nella sala all’ultimo piano del teatro Brancaccio, adiacente al terrazzo (esattamente 41 anni fa), Gigi si sedette sulla pedana,

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