SUPPORTO Serena Porrati e Chan Genova

serena porrati /~ supporto

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ita

Muovere lo sguardo

Molti, la natura li disturba: i più non la vedono.

In lei io mi verso. è la sola costanza, la sola fedeltà che conosco, nell’incertezza di tutto.

Camillo Sbarbaro Tracciare i contorni delle cose significa spesso - in origine - compiere delle scelte: “la linea non imita il visibile, ma ‘rende visibile’, sostiene Klee”1. E proprio in questa demarcazione dell’esistente si gioca il lavoro di Serena Porrati: i suoi interventi, sempre leggeri, sottili, ci portano a riflettere su questa zona “limitrofa” tra noi e le cose, un territorio che si rivela lo spazio più fecondo.

Il suo percorso si incentra, potremmo dire, sulla visione: intesa come “palpazione con lo sguardo”2, attitudine che costringe a confrontarsi con un accesso quasi “panico” al mondo esterno, per cui “colui che guarda può possedere il visibile solo se ne è posseduto”3.

L’ambiente che ci circonda, lo spazio naturale in particolare, viene riscoperto, riletto attraverso sottili scarti nel vedere che ci propongono di scoprire un nuovo senso o meglio un nuovo significato nelle cose e nel paesaggio. La messa in questione è quella del filtro visivo della nostra esperienza culturale. Il mondo si rivela come territorio di continua esplorazione e scoperta, in cui procedere consapevoli di uno sguardo confuso - il nostro - basato su “un’esperienza lenta e una riflessione limitata”.4

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P. Klee, cit in R. Bodei, La vita delle cose, Laterza, Bari, 2011 M. Merleau- Ponty, Il visibile e l’ invisibile, Bompiani, Milano, 2009 ibidem D. Diderot, Interpretazione della Natura, Editori Riuniti, Roma, 1995

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I lavori di di Serena Porrati intendono così di volta in volta con mezzi diversi (il video, la scultura, il frottage...) costringerci ad una relazione attiva con ciò che ci circonda, instillarci il sospetto che “forse l’immobilità delle cose intorno a noi è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall’immobilità del nostro pensiero nei loro confronti”5.

CHAN

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M. Proust, Du coté de chez Swann, cit. in Bodei, La vita delle cose, Laterza, Bari, 2011

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My thoughts between now and then

Nel romanzo fantascientifico a ritroso “Il più grande uomo scimmia del pleistocene” Roy Lewis descrive con grande potenza immaginativa i primi tentativi umani nel controllare il fuoco.

Di fronte ad una colata lavica, il più grande uomo scimmia del Pleistocene aveva scoperto qualcosa che lo portava più vicino alla verità su com’era fatto il mondo: “mi colpì subito un particolare: quando il vomito incandescente toccava un albero lungo la sua strada, quell’albero immediatamente prendeva fuoco. Ecco quello che cercavo, la connessione tra il fuoco eterno della terra e quello portatile che serviva a me. Guardando meglio, capii il segreto della faccenda: quando un albero aveva preso fuoco, l’attaccava ai vicini. Era il principio della trasmissione del fuoco. Bastava raccogliere un ramo caduto, accostarlo a un albero in fiamme per portarlo via. Mi resi conto che per trasportarlo occorreva organizzare una specie di catena. Per prima cosa diedi fuoco ad un ramo. Poi lo portai più lontano che potevo e proprio quando stava per spegnersi, staccai un altro ramo da un altro albero, lo accesi e proseguii; lo stesso feci con il successivo”.6 C’è qualcosa d’affascinante in questa lettura che ha a che fare con la meraviglia; non la meraviglia legata allo stato d’animo del personaggio, al tecnologico – quello che l’uomo scimmia ha scoperto – ma a quella del lettore che ritrovandosi nella condizione di condividere un avvenimento primitivo, ospita nella sua testa un pensiero fatto – probabilmente – per la prima volta 3 milioni di anni fa. è possibile per noi oggi concepire un pensiero primitivo? Sembra un’impresa assurda o comunque poco realistica.

In questo mondo pieno d’immagini, simboli e simulazioni, accettiamo tutto come il risultato di scelte storiche irreversibili. Un abisso ci allontana dall’uomo scimmia non in termini di tempo ma di visione delle cose.

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Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del pleistocene, Adelphi, Milano, 2001

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Eppure credo che la possibilità di pensare a ritroso – resistere alla congestione dei significati attribuiti alle cose e sovvertire le categorie culturalmente imposte – sia un tentativo necessario se vogliamo ritrovare la vitalità del pensiero e i vincoli che ci legano all’umanità più materiale. Da qui si sviluppa una tensione che può generare forme ignote, analisi inedite e la possibilità di fantasticare sul mondo.

L’idea o la presunzione di poter guardare le cose attraverso gli occhi di un uomo scimmia – essere in altre parole fuori controllo e in uno stato di misticismo materiale – inevitabilmente porta a reinterpretare gli elementi che compongono l’ambiente e la nostra umanità in relazione alle altre forme di vita. è così che il palazzo di una banca si riduce a un’architettura del pensiero, a una rappresentazione. Ora vedo distintamente solo un cumulo ordinato di pietre bianche e sporche di polvere, materia organica sedimentata, percepisco la densità del marmo che è durezza ma anche plasticità dilatata nell’arco di un tempo inumano, penso all’acqua, al cielo, al buio e al calore della terra.

Raggiungo una dimensione che mi avvicina all’infanzia dell’umanità (forse prima ancora dell’apparizione dell’Homo Sapiens); tutto si muove in una dimensione di necessità, vedo le forze del mondo esterno da cui proveniamo e so che sono le stesse che hanno formano la pietra. La materia silenziosa ritorna ad essere familiare.

“I nostri antenati, dobbiamo presumere, percepivano la singolarità della loro condizione molto timidamente. Non avevano le ragioni che abbiamo oggi per sentirci stranieri nell’universo perché per loro non esistevano oggetti inanimati”.7 Serena Porrati 7

Jacques Monod, Chance and necessity, Alfred A. Knopf, New York, 1971

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Di domenica

Il film di Jules Dassin Mai di domenica racconta la storia di Ilya, una giovane prostituta abituata a pensare con la propria testa che vive al Pireo. Ilya è l’anima del luogo: ogni domenica – il suo giorno libero – invita gli amici a pranzo. All’inizio del film un intellettuale americano arriva al Pireo e cerca di redimere Iliya, dandole una paga giornaliera perché abbandoni la prostituzione e si dedichi allo studio dei classici, con l’intento di restituirle la virtù, allontanandola dal peccato. Con l’avanzare del film, ci rendiamo conto che il buon intellettuale è in realtà assoldato dal magnaccia locale, Mister X, che mal tollera la libertà di Ilya e cerca in questo modo di impedire che influenzi le altre prostitute sotto il suo controllo.

Mai di domenica non è un film eccezionale. Il personaggio principale incarna il cliché della “sgualdrina di buon cuore”, un cliché fondato sul presupposto che promiscuità e virtù morale si escludano a vicenda. In ogni caso la morale del film non è particolarmente chiara: Dassin sta forse cercando di fare di Iliya un simbolo del carattere nazionale della Grecia moderna? Il finale lascia lo spettatore nell’incertezza. Nonostante questi aspetti negativi, Mai di domenica tocca due punti che si ricollegano al tema della mostra di Serena Porrati da CHAN. Il primo riguarda il titolo. Facciamo finta di non aver letto la precedente descrizione. Senza conoscere la trama o il tema generale del film, ci si potrebbe aspettare che esso si riferisca tanto alle banche, quanto alla prostituzione. Dopotutto, anche le banche sono chiuse la domenica. E continuando su questo punto si potrebbe risalire alle radici religiose della settimana lavorativa. Basti ricordare che la domenica rappresenta un intervallo nel regolare funzionamento della banca, e, soprattutto, che è un intervallo dettato da una specifica tradizione religiosa e dal suo ordine morale.

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Un secondo aspetto del film lega insieme – anche se in modo diverso – soldi e moralità. Nel suo settimo seminario sull’Etica della psicanalisi, Lacan attira la nostra attenzione su una scena di Mai di domenica girata in un ristorante, in cui un abitante del posto, ubriaco, inizia a spaccare bicchieri sul pavimento. Come fa notare Lacan, ogni volta che un bicchiere va in frantumi, il registratore di cassa vibra freneticamente, come a voler mettere in conto le azioni del personaggio e rapportarle a un metro di giudizio morale.8

In entrambi i punti c’è una sorta di relazione tra denaro e moralità, ma il carattere particolare di questo rapporto non è lo stesso nei due

8 Jacques Lacan, The Ethics of Psychoanalysis, a cura di Jacques-Alain Miller, The Seminar of Jacques Lacan: Book VII, Oxon: Routledge, 2008, p. 390

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casi. Se nel primo caso abbiamo una sorta di interruzione – uno spazio nella regolare settimana lavorativa determinato dalla moralità– nel secondo caso non ci sono interruzioni ma si attua una specie di fusione tra denaro e moralità, una fusione senza distinzione.

Nel secondo caso infatti le attività economiche non vengono affatto interrotte, ma è piuttosto l’ordine finanziario che prende possesso della moralità dall’interno e ne ne fa affiorare lo specifico tipo di espressione.

Quale di queste relazioni si avvicina di più alla verità? Per rispondere occorre considerare un altro problema: quali sono le condizioni perché la verità sia percepita come tale? Per rimanere nel campo della finanza, potremmo cercare una risposta nei libri contabili: sono solo dei registri di transazioni oppure hanno un ruolo attivo nel comporre la verità e nella produzione di elementi di verità? *** In History of the Modern Fact, Mary Poovery dà una risposta precisa, sostenendo che l’invenzione della contabilità a partita doppia ha avuto sia effetti sociali che epistemologici.9 L’effetto sociale riguardò soprattutto la classe mercantile, ovvero coloro che più degli altri utilizzavano i libri contabili. Uno dei motivi per cui i mercanti si servirono così accanitamente della contabilità era perché ciò li faceva sembrare più onesti agli occhi di un pubblico e di un’aristocrazia da

9 M. Poovey, A History of The Modern Fact: Problems of Knowledge in the Sciences of We-

alth and Society, University of Chicago Press, Chicago, 1998

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cui erano trattati con sospetto. D’altro lato uno degli effetti epistemologici della contabilità a partita doppia fu ‘far sì che la precisione formale del sistema a partita doppia […] sembrasse garantire l’esattezza dei dati che registrava’.10 Da entrambi i punti di vista, potremmo dire che nel 1494, con la codificazione della contabilità a partita doppia fu favorita un’associazione essenziale tra precisione formale e rettitudine morale. Lo scopo di una contabilità di questo tipo era di rappresentare come equilibrato il rapporto tra credito e debito: le due colonne si compensavano visivamente e i profitti sembravano semplicemente compensare i rischi che il mercante correva.

L’ideale dell’equilibrio costituiva un segno di virtù che, secondo la Poovery, ‘ricordava sia la bilancia della giustizia che la simmetria del mondo divino’. La simmetria era rappresentata visivamente dal libro mastro a partita doppia, il che significava che le proporzioni potevano essere verificate rapidamente e semplicemente dalle persone addette all’interpretazione della sua rappresentazione numerica.

Ma resta il dubbio di cosa venisse esattamente verificato. Certamente non l’accuratezza referenziale di somme e quantità riportate dal libro mastro, perché è chiaro che lo scopo di ogni attività commerciale è la realizzazione di un profitto, più che la compensazione di debito e credito. Invece la precisione formale del sistema era essa stessa soggetta al rigore delle verifiche. Secondo la Poovery veniva data priorità alla precisione formale e tale priorità ‘tendeva a creare ciò che avrebbe dovuto descrivere’. 11

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Ibidem, p. 30 Ibidem, p.56

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Non era realmente importante chi scriveva nel libro contabile, a condizione che venissero rispettate le regole. Teoricamente chiunque avrebbe potuto scrivere a patto che si attenesse alle regole e agli ideali che costituivano il sistema nel suo insieme. L’esclusione della personalità individuale rappresentava così solo una delle molte restrizioni che caratterizzavano il sistema della contabilità a partita doppia: nei libri contabili dei primi del Cinquecento non si trova ad esempio cenno a naufragi, tempeste o fluttuazioni nei tassi di cambio. Questi fattori, pur essendo assolutamente influenti, poiché mettevano a rischio la percezione di una precisione formale complessiva, venivano semplicemente omessi. *** Ritorniamo alla nostra domanda: la relazione tra denaro e moralità si basa su un’interruzione o piuttosto su una unione? A mio parere su entrambe. La differenza è che l’interruzione ora è nascosta, esclusa, eliminata, assorbita nella rappresentazione come sistema per nascondere una situazione di imbarazzo.

In una tale prospettiva potremmo osservare cosa avviene nel lavoro di Serena Porrati esposto da CHAN. La relazione tra denaro e moralità non è il soggetto principale di queste opere così delicate ma in esse si possono notare tematiche simili.

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La prima volta che ho visto questa serie di frottage, mi sono venuti in mente i segni numerici o a cancelletto usati dai carcerati per contare i giorni di prigionia. La dimensione esplosa – ogni blocco di pietra è “schiacciato” in tre o quattro proiezioni rettangolari o romboidali – mette in evidenza lo strato superficiale di un sistema che vuole trasmettere solidità e spessore. In modo simile, nel libro contabile troviamo un’alleanza figurativa in cui la precisione formale sta a sottolineare una concezione morale dell’equilibrio e dell’armonia.

Il primo passo per smantellare entrambi i sistemi è mettere in evidenza il loro carattere superficiale. Schiacciando i quattro lati di un blocco per trasferirli su un foglio di carta, Serena Porrati sembra porre l’accento sulla pietra come costrutto discorsivo, un costrutto discorsivo compiuto proprio in quanto senza tempo e senza struttura. Questa strategia è simile al mostrare la pagina del libro contabile per ciò che realmente è: una superficie, una rappresentazione bidimensionale con le sue regole e le sue omissioni.

Il secondo passo per opporsi a questo sistema è occupare metaforicamente queste omissioni, interruzioni, queste fessure nella pietra.

Credo che una possibile sfida per un’arte vitale in questo contesto sia trovare e sfruttare degli angoli ciechi negli ingranaggi istituzionali della rappresentazione.

Nel Regno Unito l’espressione ‘pittore della domenica’ è spesso usata in modo dispregiativo. Evoca immagini di pensionati con tanto di basco calato sulla fronte che salgono sulle colline per dipingere

un acquerello pomeridiano. Se tuttavia trasferiamo l’idea di pittura della domenica in una dimensione più astratta, potremmo generalizzando considerarla come l’interruzione, il momento in cui le banche sono chiuse e la “casa del denaro” fa un sonnellino. Invece di dire ‘mai di domenica’, potremmo provare a pensare dal punto di vista dell’interruzione, tenendo sempre a mente la domanda: ‘perché non è sempre domenica?’.

Theo Reeves-Evison

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Supporto

Nella sfera del semiocapitale gli artisti sono direttamente coinvolti nel processo di semio-produzione, e la dittatura finanziaria taglia le risorse per la cultura e l’educazione.

Franco Bifo Berardi La vita si sviluppa in un ambiente; non semplicemente in esso, ma a causa di esso, attraverso una interazione con esso.

John Dewey Il termine “supporto” può riferirsi a una struttura, un sostegno per reggere qualcosa, mentre in arte è la base (legno, tela, carta, ecc.) su cui viene realizzata l’opera.

Qui tutto ha inizio (e fine) dalla scelta del luogo – una banca – e dalla definizione dell’atto performativo che ne segnerà in qualche modo la presenza. L’azione elegge un elemento architettonico dell’edifico – un blocco di pietra – e lo riporta “a frottage” sul supporto cartaceo.

E se ammettiamo che “con la realizzazione, viene incorporato negli oggetti, assieme al loro significato, un materiale di riflessione”12, la pietra, proprio quella pietra, porta con sé l’aura di potere ideologico dell’edificio da cui è stata “tolta”. Le caratteristiche che le sono connaturate in quanto materiale un tempo appartenuto al mondo della natura, si fondono con il significato dell’edificio diventando il pretesto per attivare un pensiero. Il lavoro di Serena Porrati offre la possibilità di partire da un ordine costituito e rovesciarlo, di andare contro le condizioni fisiche e sociopolitiche del luogo eletto, prima esponendole e poi sovvertendole13. Come sostiene Richard Serra, “every context has its frame and its ideological overtones”14 e alcuni 12 John Dewey, Arte come esperienza e altri scritti, La Nuova Italia Editrice, Scandicci, 1995 13 Miwon Kwon, One place after another. Site-specific art and locational identity, The MIT Press, Cambridge, 2002 14 Richard Serra: Sculpture: Forty Years, The Museum of Modern Art, New York, 2007

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contesti in particolare, connotati ideologicamente e politicamente, richiedono un forte lavoro di opposizione (semantica) per far capire che l’opera nasce proprio in contrasto con tali valori.

La finanza è effimera, la pietra eterna. La Banca d’Italia incarna le accezioni oggi negative di mercato e denaro, mentre le pietre che la dovrebbero proteggere, qui, infondono vita e fanno pulsare qualcosa che è già ontologicamente morto.

Il calco della pietra sul foglio diviene così una palingenesi, il ritorno a una nuova vita leggera ed effimera. chan

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eng

Move the gaze

“Many are disturbed by nature; more do not see it …

In her, I pour myself. It is the only constant, the only loyalty I know, within the uncertainty of it all.”

Camillo Sbarbaro “To draw the outlines of things often means - in origin - to make choices, the line does not imitate the visible, but it makes it visible”1, says Klee. It is in the demarcation of existence that Serena Porrati’s work plays: her interventions, always subtle and delicate, lead us to think of this “neighbouring” area between us and things, a territory that reveals itself to be the most fertile space. Her path is concerned with, shall we say, vision: intended as “touch with the gaze”2 an attitude that forces us to confront with an almost “Panic” access to the outside world, so as “the one who looks can own the visible only if he is owned by it”3.

The environment that surrounds us, the natural one in particular, is being rediscovered, reinterpreted through thin scraps in seeing which invite us to discover a new sense or rather a new meaning in things and in the landscape. What it is questioned is the visual filter of our cultural experience.

The world reveals itself as a territory of constant exploration and discovery in which we proceed aware of our confused look based on “a slow experience and a restricted thinking”4. Serena Porrati’s works, from time to time and through different media (video, sculpture, frottage ...) compel us to an active relationship with what is around us, induce the suspicion that “perhaps the stillness of the things around us is imposed on them by our conviction that they are so and not others by our static thinking of them”5. chan 1 2 3 4 5

R. Bodei, The Life of Things (Bari:Laterza, 2011) M. Merleau- Ponty, The Visible and the Invisible (Milano:Bompiani, 2009) ibidem D. Diderot, On the interpretation of Nature (Roma : Editori Riuniti, 1995) M. Proust, Du coté de chez Swann, in R. Bodei, The Life of Things (Bari:Laterza), 2011

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My thoughts between now and then

In the science fiction book “The Evolution Man or how I ate my father” Roy Lewis describes with great imaginative power the first human attempts to control fire.

In front of a lava flow the big monkey man had discovered something that brought him closer to the truth about what the world was like: “I was struck by just one thing: when the vomiting glowing touched a tree along the way, the tree immediately caught fire. That was what I was looking for; the connection between the eternal fire of the earth and the portable that served me. Looking closer, I realized the secret of the matter: when a tree caught fire, the neighbours would start burning. It was the beginning of the transmission of fire. It was enough to pick up a fallen branch, approach it in a tree on fire to take it away. I realized that it was necessary to organize a kind of chain. Firstly I set fire to a branch then I took it farther as I could and just as he was about to go out, I tore another branch from another tree and did the same with the next”6.

There is something fascinating in this description that has to do with wonder, wonder that is not linked to the state of mind of the character nor to the phenomenon – what monkey man discovered – but to the reader’s emotions in being transported to a position of sharing this primitive experience, to be confronted by an event that first happened millions of years ago.

Is it possible for us today to conceive primitive thoughts? It seems absurd or at least unrealistic. In this world full of pre-established knowledge, images, symbols and simulations, we accept everything as the result of historical, irreversible learning. An abyss separates us from monkey man, not in terms of time but of vision.

However, I believe that the ability to think backwards - against the 6

R. Lewis, The Evolution Man (Milano: Adeplhi, 2001)

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congestion of the meanings attributed to things- and to subvert categories imposed culturally is a necessary endeavour if we want to find the vitality of thought and the links that bind us to a more intrinsic humanity. From here we can develop a potential for generating unknown forms, new understandings and the ability to fantasize about the world.

The idea or the presumption of being able to look at things through the eyes of a prehistoric man - in other words to be out of control and in a state of material mysticism - inevitably leads us to reinterpret the elements of the environment and of our humanity in relation other forms of life.

That’s how I can now see the building of a bank, reduced to an architecture of thought, a representation. Now I see clearer a pile of ordered white stones soiled with dust, unsettled organic matter, I feel the density of marble and its hardness but also its plasticity stretched over an inhuman time, I think about the water, the sky, the dark and the heat of the earth.

I can reach a milieu that brings me closer to the infancy of humanity (perhaps even before the appearance of Homo sapiens) where everything moves in a dimension of need. I see the forces from which we come and I know they are the same ones that formed the stone. The matter returns to become familiar again. “Our ancestors, we must assume, perceive the uniqueness of their condition very timidly. They had no reason to feel that we have today for aliens in the universe because they do not exist as inanimate objects “ 7.

Serena Porrati

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J. Monod, Chance and necessity, (New York: Alfred A. Knopf, 1971)

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On Sunday

Jules Dassin’s film Never on Sunday follows the story of Illya, am independently minded young prostitute who lives on the island of Piraeus.

Illya is the life and soul of the island, and every Sunday she takes the day off to invites her friends over for lunch. Early on in the film an American scholar arrives on the island and tries to reform Illya, paying her a daily wage to give up prostitution and learn the classics, which he believes will restore her virtues and lead her away from sin. As the film develops, we learn that the morally upright scholar is in fact being employed by the local pimp called ‘no-face’, who resents Illya’s freedom and tries to stop her from influencing the other prostitutes under his control.

Never on Sunday is not a great film. For one, the central character repeats the common cliché of a ‘tart with a heart’, a cliché that rests on the assumption that promiscuity and moral virtue are mutually exclusive. In any case, the moral of the film is not particularly clear: Is Dassin trying to position Illya as a symbol of the national character of modern Greece!? The film’s ending leaves us in the dark. Despite these drawbacks, Never on Sunday does raise two points that resonate with the theme of Serena Porrati’s exhibition at the Contemporary Art Association in Genova.

The first concerns the title. Imagine you haven’t read the description above. Without knowing anything about the plot or the general theme of the film, one could guess that it is as much about banking as it is about prostitution. After all, banks are closed on Sunday as well. To follow up on this point we could trace the genealogy of the working week back to its religious roots. To avoid a lengthy exposition of this kind, here it is enough to simply point out that Sunday is a gap in the regular functioning of the bank, and, what is more, it

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is a gap that is determined by a particular religious tradition and its accompanying moral order.

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A second aspect of the film also ties the strands of money and morality together in a different way. In his 7th seminar on The Ethics of Psychoanalysis, Lacan draws our attention to a scene in Never on Sunday shot in a restaurant, in which a drunken local starts smashing glasses on the floor. As Lacan points out, every time a glass is shattered the cash register vibrates frenetically, accounting for the actions of the character and imbuing them with the measure of a judgment.8 In both of these points we have something like a relationship between money and morality.

The particular character of this relationship in each case however is not the same. If with the first example we have something like an interruption – a space opened up by morality in the regular working week - with the second example we have no interruption, but rather a kind of fusion between money and morality, a fusion without division. In the second case it is not that the operations of money are interrupted at all, but rather that the fiscal order inhabits morality from the inside, ventriloquising it’s specific mode of representation.

8 Jacques Lacan, The Ethics of Psychoanalysis. ed. by Jacques-Alain Miller, The Seminar of Jacques Lacan: Book VII (Oxon: Routledge, 2008), p. 390

Which of these relationships is closer to the truth? To answer this we need to pose another question, an age old question: what are the conditions for truth to be perceived as such? Working with the same financial tool kit, we could look to account book for an answer. Is the account book just a record of transactions or does it have a role to play in the framing of truth, in the production of truth affects? *** In the History of the Modern Fact Mary Poovey’s answer in unambiguous. She writes that the invention of double entry bookkeeping had both social and epistemological effects.9 The social effect concerned the merchant class, the class of people who used account books more than anyone else. One of the reasons that merchants took up account keeping so eagerly was because it made them seem more honest in the eyes of a public and an aristocracy who treated them with suspicion. One of the epistemological effects of double-entry account keeping was ‘to make the formal precision of the double-entry system, […] seem to guarantee the accuracy of the details it recorded.’10 On both points, we could say that with the codification of double entry bookkeeping in 1494 a fundamental association between formal precision and moral rectitude was galvanized. With account keeping of

9 Poovey, Mary, A History of The Modern Fact: Problems of Knowledge in the Sciences of Wealth and Society (Chicago: University of Chicago Press, 1998) 10 Ibid., p. 30

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this kind, the aim was to represent the relationship between credit and debit as balanced. The two columns of figures were offset against each other and the profits were shown to do no more than offset the risks that the merchant incurred.

The ideal of balance constituted a sign of virtue, which, according to Poovey, ‘conjured up both the scales of justice and the symmetry of Gods world.’ Symmetry was represented visually in the double-entry ledger, which meant that proportions could be verified quickly and easily by those adept at interpreting its numerical representation. But a question remains as to what exactly was being verified. Certainly it was not the referential accuracy of the sums and quantities the ledger described, because surely the aim of any business is to make a profit, rather than balance debit and credit. Rather the formal precision of the system was itself subjected to the rigors of verification. According to Poovey, formal precision was given priority, and this priority ‘tended to create what it purported to describe.’11 Furthermore, it did not really matter who wrote in the book of accounts, as long as they followed the rules. Theoretically anyone could occupy the writing position, so long as they were attuned to the rules and ideals that constituted the system as a whole. And the exclusion of personality was just one of many exclusions that characterized the system of double-entry account keeping. In the account books of the early modern period you’ll find no mention of shipwrecks, storms at sea, or fluctuations in currency rates. These factors were certainly influential, but since they threw the perception of formal precision into jeopardy, they were simply excluded.

11

Ibid., p. 56

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*** Returning to our above question: is the relationship between money and morality based more on an interruption or a fusion? In my opinion it is both. The difference is that the interruption is now hidden, excluded, expelled. The interruption is absorbed within representation as a means to cover over its embarrassment.

Perhaps with this final perspective we can look at what’s going on in Pottari’s work at CHAN. The relationship between money and morality is not the primary subject of these delicate artworks. But in their presentation we can clearly see a similar set of ideas emerge.

The first time I saw these rubbings together they reminded me of numerals or tally marks that a prisoner might use to count away the days. Their exploded dimensions – flattening each stone block into three or four rectangular or rhomboid projections – highlight the surface of a system that aims to convey solidity and depth. Similarly, in the account book we have a representational alliance in which formal precision bolsters a moral conception of balance and harmony. The first step to dislodging both systems is to highlight their superficial character. By flattening four sides of a block and transposing them onto one sheet of paper, Pottari seems to be highlighting the stone as a discursive construct; the perfect discursive construct, because it appears timeless and unconstructed. This strategy is akin to showing the page of the account book for what it is: a surface, a two dimensional representation with its rules and exclusions.

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The second step in opposing this system is to metaphorically occupy these exclusions, these interruptions, these cracks in the stones. I think a potential task for critical art in this context is to find and exploit blind-spots in the institutional machinery of representation.

In the UK the term ‘Sunday painter’ is often used pejoratively. It evokes images of pensioners doffing their berets and heading to the hills for an afternoon’s watercolor painting. If we push the idea of Sunday painting into a more abstract dimension however, we can generalize it to the position whereby we occupy the interruption, the point at which the banks close and the house of money takes a nap. ‘Instead of saying never on Sunday’, we might instead try to think from the position of the interruption, always keeping the question in our minds: ‘why isn’t every day a Sunday?’

Theo Reeves-Evison

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Support

“In the sphere of the semio-capital artists are directly involved in the process of semio- production, while the financial dictatorship cuts resources to culture and education.”

Franco Berardi Bifo “Life develops in an environment; not simply in it, but because of it, through an interaction with it.”

John Dewey The term support can refer to a structure, a prop to hold something, while in art it is the base or the medium (wood, cloth, paper, etc..) on which the work is carried out.

Here it all begins -and ends- from the choice of the place, a bank, and from the definition of an act that will somehow mark its presence.

The action isolate a block of stone -an architectural element of the building- and recreates it as a frottage on the paper support.

And if we assume that “With the realization, material of reflection is incorporated into objects as their meaning”12 , the stone, that very stone, brings with it the aura of power of the ideological building from which it has been removed.

The characteristics that are inherent in the material, once belonging to the world of nature, blend with the significance of the building and become the pretext to trigger a thought.

Serena Porrati’s work offers the possibility to start from an established order to overthrow it, to go against the physical and socio-political conditions of the selected place, first exposing and then subverting them13.

As stated by Richard Serra, “Every context has its frame and its ideo-

12 John Dewey, Art as Experience (Scandicci: La Nuova Italia Editrice, 1995) 13 Miwon Kwon, One place after another. Site-specific art and locational identity (Cambridge: The MIT Press, Cambridge, 2002)

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logical overtones�14. For some contexts, particularly those that are ideologically and politically characterised, great efforts are needed to clarify that the work of art is created in contracts to these values.

Finance is ephemeral, the stone eternal. The Bank of Italy embodies today the negative connotations of money and economy, and while the stones are supposed to protect it, here, they instil life and make something pulse although essentially and ontologically dead. The stone traced on the paper becomes a palingenesis, a return to a new ephemeral and weightless life.

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Richard Serra: Sculpture: Forty Years (New York, The Museum of Modern Art, 2007)

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Serena Porrati Supporto 5 ottobre 2012 - 5 febbraio 2013 testi di CHAN, Serena Porrati, Theo Reeves Evision grafica a cura di CHAN CHAN www.chanarte.com

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