Sector Noir #2

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SPECIAL: NEW WAVE OF HARD ROCK NEW! BACKSTAGE DIARY & SOCIAL CULTURE: NEIL McCORMICK, TITO FARACI ART: SIMON MILNER/IS TROPICAL

HOT ALBUM: FRANZ FERDINAND, KATAKLYSM TRACK BY TRACK: CARCASS, WITHERSCAPE NEW! MUSICIAN TALKS SPECIAL: BOOKS & DVDs, TRAVEL. CINEMA. LIFESTYLE. REVIEWS

GOD IS AN ASTRONAUT, ARCADE FIRE, LOCAL NATIVES, SAND, OCTOBER TIDE, RED FANG, OSANNA, WINDHAND, RYAN GOSLING'S BAND DEAD MAN'S BONES, HIS CLANCYNESS

2013

#2

ANNEKE VAN GIERSBERGEN

THE NEW PROG QUEEN?



Direttore Responsabile Roberta Mastruzzi Direttore Editoriale Federica Sarra - Fred@sectornoir.com Vicedirettore/Caporedattore Centrale Francesco Passanisi Francesco@sectornoir.com Art Director Emelie Vandewalle Photo Editor Jean Philippe Woodland Grafica ed impaginazione Giacomo Cerutti Giacomo@sectornoir.com giacomo_graphic@libero.it

Photographers Catherine Jane Robertson Eliana Giaccheri Gabriele Capriulo Jorre Janssens Illustrator Eleonora Antonioni Redazione sectornoir@sectornoir.com Contact info@sectornoir.com Marketing adv@sectornoir.com

Reviews Coordinator Iacopo Mezzano Editors (English text) Adam Soshnick Max Carley Traduzioni e consulenze linguistiche Irene Pennetta Emanuele Risso Contributors Eugenio Crippa Federico Sanna Francesco Melis Gabriele D'Angiolo Giacomo Cerutti Gioele Palazzi Giuseppe Felice Cassatella Gregorio Nastasi Stefano Solaro

In copertina Anneke Van Giersbergen Photo: Eugenio Crippa

Ăˆ severamente vietata la riproduzione totale o parziale dei contenuti, foto, loghi ed altri elementi contenuti nella rivista previa autorizzazione del direttore. "Testata in attesa di registrazione presso il Tribunale di Roma anno 2013" Sector Noir Š 2013


CONTENTS CHECK IN pag. 6

ENTER THE SECTOR

FOCUS Dolomite Minor COVER STORY Anneke Van Giersbergen

pag. 8 pag. 9

INTERVIEWS God Is An Astronaut Lino Vairetti/Osanna Sand October Tide Red Fang THE STORY/HERITAGE New Wave Of Hard Rock

pag. 14 pag. 18 pag. 22 pag. 23 pag. 24 pag. 25

SPECIAL BAND Ulysses Windhand

pag. 30

EXTRA NOIR His Clancyness pag. 63 Local Natives pag. 64 Arcade Fire pag. 66 HOT ALBUM Franz Ferdinand pag. 67 VISIONS Dead Man's Bones pag. 68 REVIEWS EXTRA NOIR pag. 70 STYLE OFF pag. 72

pag. 32

TRACK BY TRACK Carcass Witherscape

pag. 34 pag. 36

REVIEWS/HOT ALBUM Kataklysm

pag. 39

REVIEWS pag. 40 CINEMA Batman pag. 42 CULTURE Neil McCormick pag. 45 Tito Faraci pag. 48 SPECIAL BOOKS & DVD pag. 51

ART Simon Milner /Is Tropical pag. 52 PEOPLE Dan Swanรถ pag. 54 SOCIAL Skid Row pag. 55 BACKSTAGE DIARY WITH Is Tropical pag. 56 MUSICIAN TALKS Inside the scene pag. 58 TRAVEL Zoom on... pag. 60

ENGLISH TEXT Anneke Van Giersbergen pag. I Red Fang pag. VI Ulysses pag. VII Local Natives pag. VIII Neil McCormick pag. IX Simon Milner/Is Tropical pag. XII Arcade Fire pag. XIII Zoom on... pag. XIV Sand pag. XV Windhand pag.XVII God Is An Astronaut pag. XIX



New Years Eve with Peter Hook! "Hooky" Live in Bologna info@comcerto.it

Must Have - Sony Blu-ray Disc Player

The one to watch... 'THE WORLD IS OVER' out in December

check in

Deep Purple, a delightful masterpiece (earMUSIC) photo Jim Rakete

Now What?! Gold

Now What?!

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FOCUS

Dolomite Minor VELVET DARK BLUES Text Federica Sarra Photo Courtesy of SureShot Pr

Da tenere d'occhio, gli inglesi Dolomite Minor, Joe Grimshaw e Max Palmier, si fanno spazio a colpi di rock, duro e crudo, permeato da un fascino oscuro come un velluto nero. Una storia che merita d'essere raccontata attraverso le loro parole chiave.

READING FESTIVAL

Suonare live al Reading è stato bellissimo, dopotutto è famoso come uno dei migliori festival nel mondo, ed è anche molto vicino alla nostra stessa città ed il pubblico è stato fantastico, speriamo vivamente di potervi ritornare!

DUO

Amiamo essere un duo. L'importante è solamente generare abbastanza rumore per riempire le lacune. Significa anche avere molto più spazio e libertà per lavorare, non necessitiamo di completare la formazione con altri musicisti. È, metaforicamente, una tela nera che possiamo riempire totalmente a nostro piacimento.

JACK DANIEL'S

Siamo troppo poveri per permettercelo…

PASSATO

Ci siamo decisamente evoluti dagli inizi. Iniziammo con un sound estremamente blues, che ora risulta un po’ più oscuro e personale.

DARK

La nostra prima canzone pubblicata ufficialmente, è un buon pezzo per i fan alle prime armi. Ci rappresenta pienamente!

LIVE

I live sono molto importanti per noi, confrontarci con diversi luoghi durante il tour è magnifico.

RAW

Il nostro sound è abbastanza crudo e tagliente.

“FUZZ BLUES”

Ogni influenza dei DM si rifanno al blues. Ma non significa che siamo una band blues. Per me è fuzzy psychedelic riff filled rock n roll.Venite a vederci e vediamo che pensate…

DOMANI

Continueremo a fare quello che facciamo adesso. Tour, registrazioni e una continua crescita come band.

LABEL

Abbiamo un vecchio brano al quale ci riferiamo sempre per indicare oscuro o oscurità. Le nostre influenze ci portano a descrivere il lato più cupo delle cose. Una di queste è il brano, appunto blues, di Rev Gary Davies "Death have no mercy". Più oscuro e cupo di cosi non si può!

Non abbiamo richieste assurde, solo controllo sul materiale nuovo e supporto. Non ci viene detto come impostare il sound per scopi commerciali. L'identità è più importante del successo. Immaginare di creare un album che non venderà abbastanza e dopo essere cestinati è terribile. Cosi ci impegniamo in qualcosa solamente se la nostra etichetta è fortemente convinta di ciò.

SOUTHAMPTON

KURT COBAIN

Essere nativi di questa città non è affatto male per una band emergente, ci sono molte opportunità per suonare in ottimi locali.

“LET ME GO”

Una delle molte influenze.

OSTACOLI

Tre uomini bloccati durante il tour, e i servizi della Chieveley. 8


ANNEKE VAN GIERSBERGEN COVER STORY

THE NEW PROG QUEEN? Text & Photo Eugenio Crippa

Traduzione Emanuele Risso

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COVER STORY

L'intervista inizia mostrando ad Anneke una copia della suddetta rivista (più tardi ne avrei comprata un'altra in un'edicola in città per poi scambiarla con uno dei suoi CD) chiedendo come ci si sente ad avere conosciuto questa nuova famiglia progressive e il suo roster. È fantastico! Per me la parola "progressivo" significa "aperto mentalmente". Sono un po' da tutte le parti, faccio musica che piace al pubblico progressive, metal, alternative... chi segue il metal dice che la mia musica è tendente al pop, il che ci può stare visto che ascolto anche quello, ma per uno che ama il pop la mia musica è molto, molto pesante. Non è neanche così facile passare in radio, al contrario di quanto si possa credere. (Proprio durante la prima risposta, la band di Anneke ha iniziato il soundcheck sul palco. Il volume troppo alto copriva le nostre voci e ci ha costretto a spostarci sul suo pullman per continuare l'intervista) Stavamo dicendo che per il pubblico pop la tua musica è pesante... E per il pubblico metal a volte è leggera! Sì, e per questo dicono che in un certo senso sei diventata "commerciale". Lo so, l'aver lasciato i The Gathering è un dato di fatto. In molti trovano interessante anche il fatto che non faccia mai lo stesso album due volte. Direi che la mia musica procede a ondate: ci sono ad esempio momenti in cui mi sento bene, viaggio molto e incontro molte persone e faccio un album come "Drive". Quando finisco un album ho un'idea molto chiara di cosa voglio fare dopo. Ho fatto "Everything is Changing", che a tratti è un po' cupo e up-tempo; ci sono elementi pop, ma anche rock e dark. Quando l'ho finito ho pensato "Ok, il prossimo deve essere up-tempo, energico, tipo canzoni di 3 minuti, più 'allegre', con base heavy, batteria heavy"... detto fatto! Procedo a ondate, sto già scrivendo canzoni per il prossimo album e sono di nuovo un po' cupe e più malinconiche. Per me è qualcosa di naturale. Forse non sarò mai estremamente popolare, perché la gente deve riflettere un po' mentre mi ascolta, deve seguirmi, fare uno sforzo; chi si immerge nella mia musica, imparando a conoscermi come artista e come persona, mi sono accorta che non se ne va, perché ama davvero questo mondo e questa atmosfera. Per questo sono davvero felice di quello che faccio. Da quello che hai detto - che sai già quale sarà il prossimo passo - sembra non abbia paura di perdere l'ispirazione. Sì, oggi è solo l'ottavo giorno di tour, ma so già cosa farò dopo. Ho un sacco di idee, a volte è una maledizione ma il più delle volte è una benedizione. Lavorare con la Inside Out è fantastico perché mi danno questa grande "piattaforma" per comporre e sono molto sinceri a riguardo. È il tuo primo album con la Inside Out Records? Sì. Mi rendo conto ora del perché sia apparsa su "Classic Rock Presents Prog", essendo la Inside Out un'etichetta progressive con artisti come Pain of Salvation, Flower Kings... Beh, i Pain of Salvation hanno fatto una canzone da discoteca... "Disco Queen". Sì, fanno un sacco di cose e alla gente piace perché è un prodotto sincero, quella musica è proprio quello che volevano fare in quel momento e alla gente prog... piace molto la qualità, giusto? Cioè, finché è musica di qualità, a loro piace. Può essere vero, ma per uno che ama i vecchi Pain of Salvation gli ultimi lavori sono difficili da digerire. Direi che fare così è da coraggiosi, ma anche da pazzi. È entrambe le cose, ma è anche naturale, sono esseri umani che ogni tanto cambiano. Ci sono poche band che non hanno mai cambiato stile, tipo gli AC/DC e i Rolling Stones, ma persino band come i Beatles hanno visto enormi cambiamenti durante la loro carriera. Okay, sto parlando della più grande band del pianeta, ma è un bell'esempio di fare quello che si vuole ma sempre suonando come... i Beatles, no? Senti tre note e capisci che sono loro. Lo trovo molto stimolante.

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COVER STORY Hai uno studio a casa? Come componi di solito? Scrivo da sola ma anche con altre persone, come il chitarrista della mia band, un ottimo musicista e compositore. Per quest'album ho scritto anche con Arno Krabman, che è anche produttore. In pratica mi piace comporre con diverse persone, per il nuovo album ho alcune idee di scrittura con qualcuno che mi possa aiutare a creare l'atmosfera che voglio.

Quello dovrebbe essere il ruolo dei produttori: tu hai un'idea di suono che vuoi realizzare e loro ti aiutano a trasformarla in realtà. È proprio quello che è successo con "Drive": volevo canzoni up-tempo, energiche, euforiche e le stavo scrivendo, ma avevo bisogno di Arno per crearle, perché non so che suoni usare dal punto di vista tecnico. Gli ho detto allora che volevo molto groove, e lui mi ha aiutato anche più di quanto pensassi possibile: ha portato le mie idee a un livello superiore, proprio quello che ti serve quando assumi un produttore. Mi piacerebbe parlare delle tue collaborazioni, partendo da quella con John Wetton, secondo me la più inattesa. Davvero? Io trovo che sia una cosa normalissima! Spiegami il perché. Perché ci conosciamo da molto tempo, da quando ero nei The Gathering. Loro erano ovviamente più tendenti al prog come lui, quindi quando abbiamo iniziato a lavorare insieme è stato molto naturale, perché non è solo un bassista ma anche uno dei migliori cantanti che abbia mai conosciuto. La sua voce è molto intensa e si abbina benissimo alla sua mente perché è molto diversa. È stato lui a chiedere per primo di collaborare? Sì, poi io ho chiesto a lui di collaborare nel mio album di ballate "Pure Air", per il quale abbiamo realizzato una versione acustica della stessa canzone frutto del primo lavoro insieme, "To Catch a Thef". La sua voce è pazzesca, la adoro! Lo incontrerò di nuovo perché partecipo al "Progressive Nation at Sea", in crociera sull'Oceano Pacifico. So di cosa parli: sono appena stato al Melloboat Festival sul Mar Baltico. Non è raro che facciano crociere heavy metal su queste navi che partono a Stoccolma e arrivano in Finlandia. Questa invece è una crociera prog. Non ci sono mai stata, sarà la mia prima volta. Che ne pensi di questo tipo di esperienza, da visitatore? È fantastica, ovviamente. Il bello è che non paghi per i concerti, solo per il viaggio. Di conseguenza ci sono un sacco di persone che vogliono solo farsi un viaggio dalla Svezia alla Lituania; ti ritrovi a bordo con band come gli Opeth in giro per la nave come chiunque altro, con la maggior parte dei passeggeri che li ignorano perché non sanno chi sono! Qualunque fan degli Opeth direbbe "Questi sono pazzi". È il bello di questo tipo di ambiente. [Mikael Åkerfeldt] poteva andare al negozio senza che nessuno lo disturbasse, ma in questo contesto musicale tutti lo riconoscerebbero. È un mondo strano, vero? Su quella nave c'era anche Devin Townsend, che tra l'altro è la seconda persona di cui vorrei parlare con te. Adoro lavorare con Devin perché non è solo un grande musicista; mi ha insegnato molto su composizione e registrazione, ma da vocalista mi fa fare cose con la mia voce che non pensavo di essere in grado di fare. Anche se canto da molto tempo e conosco me e la mia voce molto bene, lui sa perfettamente fino a che punto posso arrivare, la mia estensione, i miei limiti. Quando ha scritto le mie parti per il suo album, per adattarmi al suo stile mi ha spinto a un limite tale con le alte e le basse frequenze, i piani e i forti, che a volte gli dicevo "Devin, non so se ci riesco" e lui mi rispondeva "Certo che ci riesci". Mi incita con fiducia sviluppando allo stesso tempo le mie abilità vocali. Ciò è stimolante perché quello che mi ha insegnato si è ovviamente rivelato utile per la mia carriera, nei miei album. Anche per "Drive" penso di avere esteso molto le parti vocali in alcune canzoni dal punto di vista dell'energia, pensando sempre "Se Devin pensa che posso farlo, posso farlo!". È una persona molto forte.

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COVER STORY Beh, è una sorta di Steven Wilson, a modo suo... Sì, ha moltissime idee e la capacità di trasformarle in realtà, per cui lo ammiro davvero molto.

Un altro con cui hai lavorato è Danny Cavanagh degli Anathema. So che dovete pubblicare un album insieme. Sì, abbiamo fatto un album dal vivo insieme e un paio di volte all'anno ci ritroviamo da qualche parte nel mondo per suonare una o due settimane. Quando abbiamo concerti acustici mescoliamo cover e canzoni delle nostre band. Diciamo sempre che faremo un album - di inediti o cover - ma Danny è in un grande momento della sua carriera grazie agli ultimi due album con gli Anathema, che sono geniali, quindi sta girando molto. Tuttavia troviamo sempre il modo di incontrarci ogni tanto. Tra l'altro Danny suonerà in Italia nei prossimi giorni [era il weekend del 26 ottobre, nda] con gli Anathema sotto forma di trio acustico (io stesso l'ho fatto suonare da solo un paio di volte qui a Milano). Sono questi gli show che preferisco, con versioni alternative, molte cover e parti improvvisate. La prima volta che ha suonato da solo a Milano è andato avanti per quasi 3 ore! È un uomo di grande talento ed è fantastico lavorare con lui. Siamo come fratello e sorella, siamo molto in sintonia. Come si suol dire, il passato è passato, ma sai meglio di me che non posso non chiederti nulla sulla tua band precedente, i The Gathering. No, certo. Ebbene, la domanda è: che cosa ti manca davvero dell'era "TG" e cosa non ti manca per niente? Non mi manca nulla di "materiale", nel senso che con i The Gathering abbiamo avuto una grande carriera, abbiamo visto di tutto e siamo andati in ogni parte del mondo; ho imparato tantissimo crescendo in questa band, nella mia vita musicale con loro ho fatto tutto, per cui la sento completa. Quando ho lasciato era davvero il momento di spiegare le ali, andare per conto mio a proseguire la mia carriera con un mio programma. Ne avevo bisogno. Non mi manca nessuna esperienza perché le ho già vissute tutte, tengo cari i ragazzi della band più che sentirne la mancanza. Sono sempre in cerca di esperienze nuove, per cui non mi guardo molto indietro, ma quando capita lo faccio con affetto e orgoglio. A volte mi mancano loro e l'essere come in famiglia o tra amici. Il fatto di avere un figlio ha influito sulla tua decisione? Sì, essere da sola vuol dire anche riuscire ad avere cura della famiglia. Non volevo lasciare la musica perché è la mia vita, ma volevo essere in grado di decidere dove e quando la famiglia viene prima della musica e viceversa. I The Gathering erano una band di cinque persone con tanto di troupe, dovevamo tutti badare ad ognuno di noi, un compito enorme. Non potevi fare nient'altro. Se volevo lavorare a qualche side project potevo, ma dopo poco dovevo tornare al lavoro con il gruppo; sentivo che volevo di più, lavorare con altre persone, magari a due side project e a tutti gli album che avevo voglia di fare. Quando questa sensazione era troppo forte, mi sono liberata dell'enorme peso della band. Non c'era nulla di personale con gli altri ragazzi, eravamo ancora famosi e tutto stava andando alla grande, quindi è stata davvero una scelta di cuore. Cosa è successo con Agua the Annique? Hai pubblicato solo un paio di album e poi hai sciolto la band... No, era solo un nome. In realtà è stato stupido perché prima lascio il gruppo per iniziare la carriera solista, poi mi trovo un nome per la nuova band. È stato davvero incoerente. E poi nessuno capiva un nome simile... pensavo suonasse bene mentre bevevo vino al bar [sembra strano, ma è proprio quello che ha detto, nda], ma poi la gente diceva "Ok, ora è da sola ma ha una band". La situazione si era fatta decisamente poco chiara, quindi dopo un paio di album ho pensato fosse meglio abbandonare il nome. Da una parte era solo un nome, dall'altra era uno scudo: dopo 13 anni nei The Gathering essere da sola mi faceva sentire un po', come dire... nuda. Mi spaventava. In questo modo mi sembrava di potermi nascondere un po', ma in realtà non ne avevo bisogno. Senza un nome per la band mi sentivo libera, non mi serviva.

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COVER STORY

Hai anche chiesto ai tuoi fan di progettare un logo per il tuo "Brand", che ora non stai usando. In realtà lo uso, semplicemente non lo uso sempre. A volte forse le cose non sono molto chiare, con il nome della band, il logo, il mio stile musicale, ma alla fine è quello che è: tutto cambia di continuo perché mi piace cambiare. A volte la gente non mi segue, salta degli album e ritorna con quello nuovo - e ci sta - altri semplicemente spariscono, altri ancora dicono "Oh, questo è davvero interessante" e non vedono l'ora di vedere cosa farò dopo. L'unica cosa chiara per me è che sono io, sono Anneka Van Giersbergen, è il nome con cui sono nata e devo usare quello. Le cose possono non essere chiare ma sono sincere, è quello che sento in quel momento. Se ti va bene sei nel posto giusto, ma devi fare un piccolo sforzo. A proposito di cambiamenti, confesso che di solito non mi importa quando i gruppi cambiano le loro formazioni (non penso possano durare per sempre), ma quando hai lasciato i The Gathering era come avere i Black Sabbath senza Ozzy Osbourne! Lo prendo come un complimento, loro sono in giro da anni e so che è stato un grosso cambiamento. Per me era la musica perfetta con la voce perfetta. Adesso c'è una nuova cantante che è fantastica, ma a volte senti che non riesce a colpire la nota giusta (in particolare con i vecchi classici). Sì, deve anche crescere nel cuore della gente. So come ci si sente. Abbiamo visto Fish l'altro giorno, suonavamo entrambi allo stesso evento a Monaco di Baviera; ha lasciato i Marillon qualcosa come 25 anni fa e ancora dicono "Fish: ex-Marillon". Eppure ha fatto tante di quelle cose! Questo perché era al top della carriera della band. Erano in tour con i Queen, ad esempio. Sì, però non mi sto paragonando a gente come Fish. Sto dicendo che, quando uno cresce in una certa band e c'è un grosso cambiamento quando è nel cuore della gente, è dura per i fan accettare e andare avanti. Quando ti sei resa conto di avere un grande talento vocale? Hai seguito qualche corso? Iniziai a prendere lezioni di canto quando avevo 13 anni. La mia insegnante di musica a scuola mi diceva "hai una bella voce, ma dovresti svilupparla, dovresti iniziare a fare pratica adesso". È quello che ho fatto, ho preso lezioni per circa 14 anni, ho studiato qualcosa di tecnica, un po' di classica, un po' di jazz... anche prima di avere 13 anni cantavo e sapevo che avrei fatto qualcosa in ambito artistico; partecipavo a piccoli concorsi e mi sorprendevo sempre di finire tra i primi tre senza prendere lezioni. In breve adoravo cantare, prendevo lezioni, ero in gruppi di tutti i tipi e poi mi sono unita ai The Gathering. Il resto lo sai. Amo ancora cantare, non c'è giorno senza che abbia voglia di farlo. Ho la raccolta dei TG "Accessories - Rarities and B-sides" e l'edizione deluxe di "Mandylion", con diversi demo e tracce di prova. Credo che in alcune di quelle canzoni la tua prestazione sia anche migliore di quella nella versione finale. So cosa intendi. Il tuo primo sforzo è lì e, anche se il suono non è un granché, il testo non è ancora giusto o chissà quali altri difetti, ti fa sentire talmente bene che, quando registri la canzone ed è tutto perfetto, non è più la stessa cosa come con il demo; alcuni contengono il vero spirito della canzone e quando li pulisci senti la mancanza di alcuni elementi di spontaneità. Alcuni dicono che una canzone è bella quando ottieni lo stesso effetto se la suoni solo con chitarra e voce. I demo sono più grezzi ma sicuramente più spontanei; quando entri in studio e rimodelli un po' le cose, tutto suona più raffinato ma anche un po' "finto". Con i The Gathering (ma anche adesso) cercavamo sempre di non strafare con il suono, tutti i membri della band avevano tantissime idee per ritmi e melodie. Per questo il suono dei TG era così intenso, perché tutti componevano musica. Tuttavia mi piace anche il suono grezzo. "Air", il mio primo album da solista, era grezzo tanto quanto i demo. Era esattamente quello che volevo fare: ho detto "queste sono le canzoni", la band le ha imparate, siamo andati in studio e dopo una, due, tre prove era tutto pronto, con solo un po' di overdubbing. Si sentono alcuni intoppi nella registrazione, qualche mia sbavatura, ma è un disco molto sincero. 13


GOD IS AN ASTRONAUT JOURNEY OF SOUNDS Testo Federica Sarra

Foto Eliana Giaccheri

La nostra intervista a Torsten Kinsella e Jamie Dean si svolge all'Orion a Roma. Di li' a poco, avremmo assistito a uno show che non lascia spazio a critiche. Abbiamo parlato anche di questo con i due membri della band...

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INTERVIEW

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INTERVIEW

Da quali idee o esperienze avete tratto ispirazione per "Origins"? T. Beh, è stato molto semplice: tutta la nostra musica viene dalle nostre esperienze degli ultimi tre anni, per cui quello che è accaduto nelle nostre vite ci è sempre stato di ispirazione. Dal punto di vista dello stile, questa volta, volevamo fare qualcosa di un po' diverso. Abbiamo quindi deciso di lavorare in maniera alternativa, come scolpendo il suono e trasformando suoni strani in canzoni. È molto emozionante, perché si lavora senza un programma, è pieno di sorprese ed esalta molto di più il suono. Per cosa si differenzia dai vostri lavori precedenti? T. Non so se è molto diverso. Alcuni elementi sono gli stessi ma c'è molto di più: un po' groove, linee di basso, parti vocali... Come è avvenuto il passaggio dall'idea al risultato sonoro finale? T. È una sorta di stato mentale in cui ti trovi in un certo momento, dove emozioni e paesaggio sonoro entrano in connessione. Uno stato mentale che deve entrare in collisione con il suono, quando hai una certa struttura in mente che poi diventa una canzone. Una specie di viaggio di suoni? T. Assolutamente...nostalgico ed emozionante. J. Si tratta sempre di un riflesso dell'umore che hai, non puoi semplicemente sederti davanti al pianoforte o alla chitarra e dire "oggi scriverò questa o quella canzone!" Ad esempio, io ho scritto "Strange Steps" come omaggio a mia zia, che è morta l'anno scorso. Sono state le emozioni a guidare il processo di creazione della canzone. È stato un momento triste... Ma è anche quello il potere della musica: si può trasformare la tristezza in un bellissimo testo o melodia. J. Certo, decisamente. Mi piace il fatto che le canzoni abbiano un grande significato per noi e che allo stesso tempo possano significare qualcosa di completamente diverso per l'ascoltatore. T. Ci sono anche canzoni come "Calistoga" che celebrano la vita. Cosa sperate che possa dare "Origins" a chi lo ascolta? T. Spero solo che si riesca a viaggiare con ogni canzone e che si mantenga la mente aperta durante l'ascolto. Sapevo già prima di pubblicare l'album che sarebbe stato molto forte in termini di emozioni. Spero anche che la gente si

prenda il tempo per esplorarlo, ascoltare bene le canzoni, non solo "sentirle". J. Tutte queste nuove tracce funzionano benissimo dal vivo, vediamo il pubblico totalmente coinvolto. T. E sono sicuro che quando ascoltano l'album live riescono a capirlo di più. Dopo sette album a volte la gente si impigrisce, ma io spero che si prenda del tempo per ascoltare bene, non un ascolto veloce, così poi al concerto possiamo entrare in sintonia con il pubblico e magari fare cambiare idea a qualcuno. I critici italiani, ad esempio, sono stati molto duri con "Origins", ma a questo punto vi posso dire: hanno torto! T. Speriamo allora di fargli cambiare idea suonando dal vivo. Com'è la scena musicale irlandese al giorno d'oggi? T. È molto difficile per band come la nostra avere successo al di fuori del nostro Paese. Tuttavia ci sono tanti bei gruppi che se avessero l'opportunità di suonare all'estero potrebbero farsi un bel po' di fan internazionali. A quanto pare se sei inglese è più facile ottenere attenzione, ma più o meno lo stesso vale per i gruppi italiani... T. L'Inghilterra è decisamente molto influente per molte nazioni. Londra è una delle capitali mondiali della musica, quindi è abbastanza normale che stampa e pubblico prestino maggiore attenzione a una città del genere. Anche città americane come New York e Los Angeles sono musicalmente molto esposte. Ma noi siamo stati molto fortunati! All'estero state andando alla grande, quindi immagino possiate dire di avercela fatta! T. Questo non lo so! È come fare due passi avanti e uno indietro: a volte produci un album come "Origins" che, pur piacendo all'interno della tua scena locale, riceve molte critiche da qualche altra parte, oppure il contrario...non puoi mai sapere! J. Io comunque non penso che le band debbano farsi influenzare dalle critiche negative. Rispondete con sincerità a quest'ultima domanda: credete di avere "colleghi" o "rivali" nella situazione attuale del mercato musicale? J. (ride) Ottima domanda! È una battaglia, sempre, ma una battaglia amichevole. Puoi avere una sana concorrenza. Hai mai visto il film "Rush"? Quello è un buon esempio di essere amici e rivali allo stesso tempo. Mi piace la parte in cui Niki Lauda dice al suo rivale: "Ho bisogno di te qui, perché mi motivi a dare il massimo, ho bisogno di te intorno!". 16


INTERVIEW

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LINO VAIRETTI/OSANNA

SPECIAL INTERVIEW

Landscape Of Life Text Giuseppe Felice Cassatella Photo Courtesy of Lino Vairetti

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SPECIAL INTERVIEW

È un Lino Vairetti sospeso tra passato e futuro quello che ha risposto alle nostre domande. Ovviamente i suoi Osanna sono stati l’oggetto principale della nostra chiacchierata, ma non sono mancati neanche spunti interessanti in ambiti non propriamente musicali… Partirei dall’ultima esibizione degli Osanna a cui ho assistito, ovvero quella al Fasano Jazz del 2011. All’epoca mi colpì la tua notevole verve sul palco: dove trovi ancora tutto questo entusiasmo dopo tanti anni di carriera? L’entusiasmo è una dote naturale. Come la passione e la voglia di giocare come se fossi sempre un bambino. L’entusiasmo ti accompagna lungo il percorso della tua vita come un “vizio” o come un “pregio” caratteriale. Pur appartenendo in origine a una famiglia molto modesta, ho avuto un’educazione, sia materna che paterna, ispirata ai principi di libertà, di semplicità, di accettazione serena della propria dimensione. La creatività, i desideri, i sogni, l’affetto, la gioia di vivere e, quindi gli entusiasmi anche per le piccole cose, sono la vera ricchezza. Questi valori li ho tenuti sempre dentro di me e li ho portati e li porto ancora oggi, anche in scena, dove mi esprimo con i linguaggi che ho costruito con tanto lavoro, rigore e determinazione.

queste cooperazioni? Le collaborazioni con i musicisti che hai menzionato, ma anche con altri con cui ho lavorato, hanno lasciato un segno. Si attinge sempre dall’esperienza, dalla creatività e dalla personalità degli altri musicisti. Gianni lo conosco da una vita, mentre David, che collabora con me dal 2008, mi ha particolarmente colpito, al di là del grande musicista che è, per la sua umiltà e per la sua passione. Più che sul piano creativo, attingo da loro dal punto di vista umano e professionale. Una delle vostre collaborazione più celebri è stata quella con Luis Bacalov, in occasione della scrittura della colonna sonora di Milano Calibro 9: cosa ricordi di quella esperienza? Luis Bacalov è un musicista straordinario. La vittoria dell’Oscar ne è una testimonianza più che eloquente. Quando la Fonit Cetra ci propose di fare la colonna sonora di Milano Calibro 9 con Bacalov, accettammo di corsa, abbandonando momentaneamente il lavoro di Palepoli che fu ripreso l’anno successivo. Fu un’esperienza formativa per tutti noi lavorare con un’orchestra e con un grande Maestro.

In quella occasione hai condiviso il palco con tuo figlio: quali sensazioni provi quando ti esibisci con Irvin? L’inserimento di Irvin nel gruppo è avvenuto in modo casuale. Lui è stato sempre al mio fianco fin da piccolo, affascinato dal mio mondo, e seguendo le mie tracce. Mi aiutava moltissimo nelle fasi tecniche e organizzative, finché, dopo vari cambiamenti di formazione, mi sono accorto che il suo aiuto era diventato indispensabile per il gruppo. L’emozione è sempre costante. Quando suoniamo e ci guardiamo c’è sempre una strana magia che ci coinvolge reciprocamente. È bello quando sono gli altri a notarlo. In Giappone questo nostro rapporto fu sottolineato con molto interesse, come se fosse un evento straordinario. Oggi questa sensazione la provo anche nei confronti degli altri musicisti che sono coetanei di Irvin. In questi anni non sono mancate le collaborazioni con artisti del calibro di Gianni Leone, Sophya Baccini e David Jackson. Dal punto di vista creativo cosa t’hanno lasciato 19


SPECIAL INTERVIEW

Ricordo il lavoro in sala sia a Roma che a Milano e i tanti suoi racconti a pranzo e a cena che accrescevano la nostra esperienza musicale. Con lui c’era anche Sergio Bardotti produttore e paroliere del progetto, altra figura straordinaria che ha segnato il mio giovane cammino d’artista. Siete stati anche tra i pionieri delle contaminazioni tra rock e musica folk, nel caso particolare quella partenopea. Molti hanno seguito il vostro esempio, mi vengono in mente nomi come 99 Posse e Almamegretta. Ti piacciano questi artisti? Nonostante le evidenti differenze di sonorità, riscontri nella loro musica qualcosa riconducibile al vostro modo di intendere la musica? Stili diversi in epoche diverse con linguaggi diversi. Essendo più “vecchio”, ho seguito maggiormente queste evoluzioni anche se spesso sono stato ai margini. Ho apprezzato e apprezzo tuttora sia 99 Posse che Almamegretta, ma anche Pino Daniele, Edoardo Bennato, Enzo Avitabile, Bisca, Napoli Centrale e tanti altri artisti che sono stati protagonisti del famoso “Naples Power”. Tutti hanno utilizzato quell’“humus” partenopeo e attinto, come noi Osanna, al folklore, alle tradizioni e al dialetto napoletano, pur se proiettato in un linguaggio artistico e stilistico diametralmente opposto. Il rock, il prog, il jazz, l’hip-hop, le posse o il dub ecc. sono stati gli stili utilizzati per esprimere le nostre creatività in questi decenni dagli anni ’70 ad oggi. Tutti abbiamo denunciato nei nostri testi, seppur in modi diversi, il malessere della nostra città utilizzando la musica come un grido di guerra con messaggi socio-politici. Non riscontro, tuttavia, elementi riconducibili al nostro modo di intendere la musica. Ti sei mai sentito schiavo del repertorio classico degli Osanna? Hai mai pensato che in qualche modo possa essere una sorta di gabbia per il Lino del 2013? Hai mai immaginato te fuori dagli Osanna, che so in una nuova band o in progetto solista? In verità no! Non mi sono mai sentito schiavo di tutto ciò che riguardava sia il repertorio che tutto il passato degli Osanna: perché è qualcosa che mi appartiene profondamente. Avendo anche altri interessi artistici che vanno dalla musica, all’arte e a tutto ciò che riguarda il mondo dello spettacolo, ho avuto negli anni tante occasioni per fare altre cose che hanno arricchito il mio bagaglio culturale e mi hanno proiettato anche in dimensioni completamente diverse dagli Osanna. Io sono uno scultore oltre che un musicista, e sono sempre curioso e attento alle nuove tecnologie e a tutto ciò che riguarda l’avanguardia artistica e culturale, pertanto percepisco gli Osanna in sintonia con la contemporaneità che vivo quotidianamente. Ora non posso non chiederti quali siano i progetti futuri in casa Osanna, puoi già anticiparmi qualcosa? Abbiamo appena ultimato e pubblicato in dicembre un doppio DVD dal titolo “OSANNA Tempo” che contiene nel primo

un concerto “Live in Naples” (con tanti ospiti come: David Jackson, Gianni Leone, Sophya Baccini, Giampiero Ingrassia, Tito Schipa Jr., Elio Eco, Maurizio Capone, Antonella Morea e una orchestra d’archi diretta dal maestro Gianluca Falasca oltre alla Banda CMS di Pino Ciccarelli), e nel secondo “OSANNA Story” con una serie di video e filmati storici anche inediti dal 1971 al 2009. Stiamo lavorando a un nuovo CD e doppio LP dal titolo “Palepolitana”, che sarà pubblicato nella prossima primavera e che presenteremo in Messico nell’aprile del 2014, a cui seguirà un tour italiano che successivamente ci porterà in Giappone e in Brasile. A proposito di creatività, una delle discussioni che più appassionano gli amanti della musica riguardano le cover band, tacciate di essere l’anticreatività per eccellenza. Eppure i locali chiamano più facilmente la tribute band di Tizio che non i gruppi con pezzi propri. Tu come ti poni rispetto a questa questione? Le tribute band sono un fenomeno imitativo che francamente non mi appassiona molto. Alcune band sono davvero brave, ma appunto, sono solo la copia di un originale che ha ben altro spessore culturale e artistico. Sono, come dici tu stesso, un fenomeno legato alla possibilità di poter suonare in giro nei locali, dove il pubblico non deve sforzarsi a seguire nulla di nuovo e si accontenta di ascoltare e magari cantare con loro brani già conosciuti. I gestori vendono panini e bibite, non fanno cultura. In questi anni ti è mai capitato di ascoltare il rifacimento di un vostro pezzo e pensare: “cavolo è quasi meglio dell’originale!”? Sì, ho ascoltato molti gruppi che eseguivano brani degli Osanna, ma non ho mai pensato che fossero meglio dell’originale. Mi sono molto emozionato pensando al fatto che qualcuno eseguisse una mia creatura. Sicuramente i “Calibro 35” nella esecuzione di “Preludio” da Milano Calibro 9, sono quelli che mi sono particolarmente piaciuti. Il rock vive di miti, uno di questi è quello che Peter Gabriel abbia preso ispirazione da te per il face painting. Confermi che le cose siano andate così? Alcune cose diventano una leggenda ed io non mi sento di affermare una cosa del genere. Tuttavia è vero che nell’ estate del ’72 abbiamo fatto un tour italiano insieme e loro rimasero affascinati dal nostro particolare look, facendoci anche tanti complimenti (ampiamente ricambiati da noi nei loro confronti). Peter Gabriel non si truccava ancora, mentre l’anno successivo iniziò a farlo… sarà stato un caso o lo abbiamo ispirato? Lascio a te la risposta, anche se qualche giornalista ha avuto notizie affermative in proposito direttamente dall’interessato. Quale è stato l’incontro cruciale per la carriera degli Osanna? A me verrebbe da pensare ad Arbore. 20


SPECIAL INTERVIEW

Sicuramente Renzo Arbore fu il nostro vero “talent scout”, ma anche Pino Tuccimei, nostro primo manager dell’epoca, ci aiutò moltissimo. Entrambi credettero parecchio nel nostro talento e ci indirizzarono verso mete importanti che furono determinanti per il nostro successo: Il “Festival di Caracalla” e il “Il Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze” di Viareggio ,che vincemmo con PFM e Mia Martini. Di lì a poco usciva il nostro primo LP, “L’Uomo”, che arrivò anche in classifica. Invece il momento più brutto della tua lunga carriera? Il momento più brutto sicuramente dopo Palepoli, esattamente nel 1974 durante la registrazione di “Landscape of Life”, quando tra di noi scoppiarono tensioni che ci portarono allo scioglimento. Probabilmente la colpa è individuabile nella stanchezza e forse anche l’inesperienza dovuta alla nostra giovane età (eravamo poco più che ventenni), che non ci fece capire fino in fondo la cazzata che stavamo facendo. Qual è il tuo rapporto con la religione o con la spiritualità in genere? Da piccolo giocavo a pallone nel cortile dell’oratorio dove ho avuto una lunga esperienza da boy scout e ho fatto anche il chierichetto servendo la messa. Ma crescendo, man mano mi sono staccato dal cattolicesimo in cui non ho più creduto e pur leggendo tanto e documentandomi sulle altre religioni, non ho avuto alcun rapporto con nessuna altra fede. Credo in un Dio che riconosco in ogni essere umano, nella vita di tutti i giorni e nella realtà che mi e ci circonda. La mia spiritualità la respiro in ogni attimo della mia esistenza e la metto in gioco in tutti i rapporti con i miei simili. Io mi sento un uomo fortunato e felice grazie a tutto quello ciò che mi è stato donato in modo trascendentale. Oggi come oggi c’è un notevole interesse nei confronti del rock progressivo. Io ritengo che gran parte del merito vada dato al filesharing, alle piattaforme audio (Spotify, Grooveshark, ecc) e a youtube. Tutti strumenti che tradizionalmente vengono indicati come i grandi affossatori del-

l’industria musicale classica. Però se da un lato le vendite sono calate, dall’altro è aumentata la notorietà dei gruppi, e, di conseguenza, le presenze ai concerti. Domanda netta: gli Osanna dei giorni d’oggi sono stati più favoriti o sfavoriti da questi fenomeni? Il Progressive rock è ritornato prepotentemente in auge in questi ultimi anni come genere “cult” in contrapposizione a tanto degrado culturale vissuto in questi ultimi decenni per colpa di una violenza fatta dai mass media a discapito della qualità. Gli Osanna, come tanti altri gruppi, si ritrovano felicemente in questo trend positivo anche grazie ai nuovi mezzi mediatici messi a disposizione sul web. Sicuramente questi canali sono indispensabili per la divulgazione della nostra musica che è ancora oggi considerata come genere di “nicchia”, ma è anche vero che gli Osanna e tutto il panorama prog, sono ricordati principalmente per quello che hanno fatto in quei primo anni ’70, testimoniato dagli LP storici che ancora oggi sono in circolazione con un certo valore. Sono passate tante generazioni e tante innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato modi, stili, costumi e mercati ma fortunatamente quello che abbiamo creato è rimasto un cimelio pari (forse dico una eresia) quasi alla musica classica. Ti ringrazio per la piacevole chiacchierata, in chiusura ti chiedo: qual è la domanda che ti sei stufato di sentire durante un’intervista e qual è invece quella che vorresti tanto ricevere, ma che non t’è stata mai fatta? Io non mi stufo mai per nessuna domanda fatta da qualsiasi persona. Per me il dialogo è una forma di arricchimento continuo e un modo per comunicare emozioni. Fare l’amore con la propria donna potrebbe sembrare una routine che si ripete per giorni, per anni e pure magicamente (se c’è complicità e piacere a scambiarsi emozioni), si rinnova ogni volta. Quindi anche una stessa domanda può avere una risposta nuova secondo l’umore del momento. Una domanda che non mi è mai stata fatta deve ancora arrivare, io sarò qui ad aspettarla per rispondere. Tu mi hai chiesto della mia spiritualità ed era la prima volta che qualcuno me lo chiedesse. Tu lo hai fatto. 21


SAND

INTERVIEW

KALEIDOSCOPE OF EMOTIONS Text Federica Sarra

Traduzione Emanuele Risso Photo Courtesy of SureShot Pr

Sam Healy, già nei North Atlantic Oscillation, si cimenta con il suo primo progetto solista. L'abbiamo intervistato per carpire i segreti e l'ispirazione dietro questo lavoro incantevole e raffinato. Che paragoni si possono fare tra l'esperienza di quest'album e quella con i North Atlantic Oscillation? Sono due esperienze molto diverse, perché stavolta non ho detto quasi a nessuno del progetto prima di averlo finito e perché ci ho lavorato completamente da solo. Lavorare da solista ha presentato svantaggi? Sì: la minaccia incombente della pazzia. Più si lavora per conto proprio, più si tende a dubitare del proprio materiale e a vederci più difetti che pregi. Tuttavia ci sono anche molti vantaggi: il non avere scadenze dall'esterno, né problemi di orario o il bisogno di tradurre musica in linguaggio parlato per far capire a qualcun altro quello che vuoi... sono tutte grandi libertà. Puoi fare un paragone tra Sand e Fog Electric? Cosa hanno o non hanno - in comune? Sand è un po' più personale, sia nei testi che negli arrangiamenti. Ci sono più chitarre acustiche e percussioni più morbide. Inoltre, mentre Fog Electric affronta temi più ampi ed "eterni", Sand tratta di esperienze ed eventi specifici. Quello che hanno in comune, spero, è una tendenza a evitare cliché musicali. Qual è stata la prima canzone dell'album a cui hai lavorato?

Non mi ricordo! Forse "Astray", ma sinceramente non ne sono sicuro. Ho lavorato a più canzoni contemporaneamente, quindi la loro sequenza temporale è indistinta. Quali sono le tematiche principali affrontate dai tuoi testi? L'esasperante, spassoso, spaventoso, orgasmico deposito di rottami che sono la vita e l'essere uomo. Cosa pensi che i fan dei N.A.O. apprezzeranno di più del tuo progetto? Anche se spero che Sand rispetti il trend dei N.A.O. - musicalmente inventivo senza scendere nell'autoindulgenza - penso offra anche una prospettiva meno meccanica e più organica sugli stessi scenari.

R EV I EW

“Sand” (Kscope) Musicalmente questo esperimento solista non si discosta molto dai lavori con i N.A.O. ma brilla di una propria luce data dall'estenuante ricerca di suoni e commistione di generi. Sono presenti impalcature quasi pop che sorreggono melodie intense e momenti energici o introspettivi, sapientemente miscelati per dar vita ad un'opera prima che cattura l'ascoltatore sin dal primo brano Life Is Too Easy. Sand mette subito in chiaro le intenzioni: voler essere un disco libero da ogni catalogazione, molto personale, fonte solo della pura e fertile ispirazione di Sam Healy e ci riesce. I brani, inebrianti, ricchi di sfaccettature, colori e immagini, si susseguono come un caleidoscopio di emozioni, sorprendendo ad ogni passaggio. Sand si appresta a diventare una piccola grande gemma nel panorama del movimento neoprogressivo. Voto - 9/10 22


OCTOBER TIDE

INTERVIEW

THE DARKEST SIDE Text Federico Sanna Photo Courtesy of Pulverised Records

L'oscurità della notte è certamente presente e percettibile nel sound degli svedesi October Tide. Per saperne di più abbiamo chiesto a Fred Norrman, chitarrista e leader della band, al secolo uno dei fondatori dei Katatonia e figura fondamentale della scena svedese più oscura. Iniziamo parlando di Tunnel Of No Light, come descrivereste il vostro ultimo album? A che punto un album inizia a prendere forma secondo voi? Di solito quando si hanno un po’ di brani quasi finiti e la scrittura procede fluidamente. Quest’album è certamente il più oscuro degli October Tide, come non accadeva da tempo. Come molte bands doom metal svedesi, i vostri brani sono di atmosfere desolate e cupe. Questo ha qualche relazione con i vostri bellissimi paesaggi? Che cosa vi ha ispirato per generare queste meravigliose e cupe atmosfere? La musica non mi ispira particolarmente, sono piuttosto i sentimenti, gli stati d’animo e i pensieri…i cambiamenti climatici e la notte inoltre sono molto propizi. Riguardo alla scrittura, cerchi di scrivere ogni volta che ne hai il tempo, oppure preferisci fermarti quando un album è pronto? Scrivo non appena ho un ritaglio di tempo. Da quando sono padre di tre figli non ho molto tempo libero, e per questo scrivo maggiormente durante la notte. Mi si addice molto bene.

Gli October Tide nacquero come progetto parallelo dei Katatonia, ma dal 2010 tutti i membri dei Katatonia che fondarono gli October Tide non sono più nella band. In seguito a questo ci sono stati cambiamenti nell’approccio musicale e alla composizione? E che risposta c’è stata dai fan, ne avete persi o guadagnati? Diciamo che la situazione da te descritta non è del tutto corretta dato che ci sono ancora io nella band! Per di più c’è anche mio fratello ora che, anche lui ha militato nei Katatonia. Recentemente avete suonato a Roma, che percezione hai avuto della scena metal in Italia in questo periodo storico rispetto agli altri paesi, come la Svezia per esempio. E che mi dici del pubblico e dei fan in generale? Oh, in realtà non sono molto aggiornato nella scena metal italiana, o forse dovrei dire nella scena metal principalmente. Ma apprezzo i The Foreshadowing che suonarono con noi quella sera. Una band eccellente! Mi ha sempre fatto piacere suonare in Italia fin dai miei giorni nei Katatonia fino ad ora! Cosa possiamo aspettarci in futuro dagli October Tide? Abbiamo iniziato a scrivere nuovi brani. Quindi, se tutto va bene ci sarà un altro album targato October Tide. Ci sono anche una manciata di date live in vista ma dobbiamo concentrarci senza dubbio sul nuovo album. 23


RED FANG

INTERVIEW

RAW FLAVOUR Text Adam Soshnick Traduzione Gabriele D'angiolo Photo James Rexroad

Sta per uscire il vostro prossimo disco, Whales and Leeches. Potete darci qualche indiscrezione? Direste che il vostro sound è cambiato completamente? Credo che suoni ancora come un disco dei Red Fang, ma ha comunque qualche nuova influenza. Questo album ha un suono più “impellente” e “grezzo”. È difficile descrivere queste sonorità a parole, perciò incito tutti quanti a sentirlo da voi. Tutti quanti. Avanti! ORA! Il vostro singolo, Blood like Cream, sfoggia una linea elegante sulla copertina che dice che è stato registrato in stereo. Qual'è la storia dietro questo fatto? È vero! E' stato registrato in stereo. Lo capisci veramente quando lo ascolti con un paio di cuffie con le palle. Ti porta veramente in un mondo completamente nuovo dove la sinistra è la destra e la destra è la sinistra, e Whales and Leeches, Live in Harmony e Wolves Have Antlers e tutto quanto sono fantastici. Ad oggi avete pubblicato due dischi per la Relapse. Com'è stata la vostra esperienza con loro? La nostra esperienza con la Relapse è stata fantastica. Hanno aperto un ufficio nella West Coast a Portland, OR (dove viviamo noi) cinque o sette anni fa. È bello poterli incontrare tranquillamente fuori da un bar e cazzeggiare. Non sono personaggi spaventosi ben vestiti che lavorano dietro tende d'oro, sapete? Sono persone normali come noi, perciò ci sentiamo perfettamente a nostro agio a lanciare idee di qua e di là. Ora come ora abbiamo una relazione formidabile.

Un sound crudo e duro è il loro marchio di fabbrica ancora ben presente anche nel nuovo lavoro Whales and Leeches, uscito il 15 ottobre scorso per la Relapse. In questa intervista che ha preceduto l'uscita del disco, la band ci svela alcuni retroscena interessanti...

Cosa avete programmato per il dopo 2013? O è ancora presto da dire? Un sacco di concerti!! Abbiamo show programmati fino ad aprile 2014 per adesso, e sono sicuro che ne arriveranno molti altri. Ci vedremo molto presto! E se posso chiedervelo: Con quale band vi siete trovati meglio durante un tour? Siamo stati molto fortunati, e quasi OGNI band con cui siamo stati in tour è stata grandiosa. Mastodon, Valient Thorr, Black Tusk, The Sword, Saint Vitus, Crowbar, Clutch, Cancer Bats.... e la lista va avanti. Decisamente troppi compagni di viaggio per poterne scegliere uno solo. C'è altro che vorreste aggiungere? Siamo davvero MOLTO emozionati all'idea di tornare in Portogallo! È uno dei paesi più belli che abbiamo visitato, e non abbiamo mai il abbastanza tempo per godercelo come merita. Si spera che almeno questa volta avremo un giorno per poterci immergerci come si deve! 24


THE STORY/ HERITAGE

NEW WAVE OF HARD ROCK Text Giuseppe Felice Cassatella Photo Courtesy of Nuclear Blast and Crusher Records

GRAVEYARD

Tutti defunti… tranne i vivi Ritrovarsi nella seconda decade degli anni Duemila a parlare di hard rock può apparire strano a chi, come noi, ha passato un’intera vita (musicale) a sentirsi dire che il genere era defunto da un pezzo. Il rock and roll è morto, ci hanno raccontato, anche se tutti sapevamo che era un luogo comune, sterile come il suo alter ego il rock non è morto. Non ci siamo mai nascosti dietro i motti, abbiamo sempre lasciato che le nostre orecchie seguissero le proprie radici, perché diciamocelo: chi oggi ascolta altro è partito con i soliti Led Zeppelin, Deep Purple e Doors. Poi si è approdati altrove, ma proveniamo tutti da là. Neanche la tiritera “il grunge ha fatto tabula rasa” regge. Ma a chi vogliono farlo credere? Come se noi all’epoca non ci accorgessimo che Soundgarden, Alice In Chains e Pearl Jam si sono rifatti al sound di Hendrix, Black Sabbath o Neil Young. E poi c’erano loro in quegli anni, gli unici a portare in alto la bandiera del rock duro: i Black Crowes.

Uomini che odiano le mode Di acqua sotto i ponti ne è scorsa, e con lei tutte le mode trapassate con la rapidità di un bucaneve. Poi è arrivata la rete, la grande assassina del music biz, quella che avrebbe dovuto spazzar via capre e cavoli, ma che alla fine ha fatto bene sia alle capre che ai cavoli (un po’ meno ai negozi di dischi). E così band per le quali non spendeva più una lira nessuno, si sono ritrovate ad appesantire l’hard disk di una miriade di ragazzini sparsi sul globo terraqueo. Le cantine di mezzo mondo sono tornate a riempirsi dei suoni saturi della degenerazione del blues. Le voci d’incanto sono ritornate nuovamente pulite e squillanti. L’armadio di papà, e forse anche di mamma, s’è andato sempre più svuotando. Non siamo così sprovveduti da pensare che all’improvviso ci sia stato un proliferare di band dedite a sonorità datate. Negli anni c’è sempre stato chi ha tentato di portare avanti un certo discorso musicale, mi riferisco ai vari Spiritual Beggars e Firebird, giusto per citare un paio di esempi di mutazione da estremismo a revisionismo musicale. Ciò che mancava era una scena. 25


THE STORY/ HERITAGE

Sapore di male quarant’anni dopo Che il fuoco dell’hard non si fosse mai spento l’abbiamo detto, ma cosa ha scatenato il vero e proprio incendio? Difficile da dire, certo quando gli svedesi Witchcraft hanno pubblicato il proprio esordio, nessuno poteva immaginare che dopo quattro decadi si potessero trovare le riviste piene di foto di fricchettoni. Possiamo considerare gli autori di Legend gli ultimi degli sfigati o primi dei fortunati, tant’è che oggi, abbandonata la Rise Above, godono di ottima salute su Nuclear Blast e contano ben quattro album in bacheca. Il sound pian piano s’è trasformato, sempre meno dark prog, sempre più vicino a certo hard rock acido fine anni sessanta – inizio anni settanta. La qualità però è sempre rimasta elevata. Ma l’anno che fa da spartiacque è quello successivo, il 2005, in cui arrivano all’esordio le due band probabilmente di maggior successo: Wolfmother e Black Mountain. I primi hanno percorso la solita gavetta all’australiana, prima successo in patria e poi internazionale. Il loro sound richiama direttamente i Led Zeppelin, ma anche i Blue Cheer e i Sabbath. Nulla di nuovo per i vecchi rocker, parecchia carne al fuoco per le nuove generazioni. Tanto improvviso quanto effimero il loro successo, dopo solo due album e

due Ep, la carriera dei Wolfmother s’è conclusa con l’ultimo concerto tenuto a Melbourne di spalla agli Aerosmith. Dall’altro capo del mondo, in Canada, arrivano invece i Black Mountain, autori di un rock duro con influenze psichedeliche, folk e progressive. Una sorta di compendio di tutto ciò che andava di moda tra metà anni Sessanta e fine anni Settanta. Brutti, sporchi, nativi di Australia sposerebbero la gloria Dici Australia e pensi gli Ac/Dc. Gli Airbourne sono australiani e hanno nel proprio DNA certe sonorità sporche, cattive e ignoranti. A voler essere malvagi potremmo parlare di loro come dei cloni della band dei fratelli Young, ma non ce la sentiamo. Troppo veraci per essere dei semplici copioni, preferiamo pensare a loro come dei fan entusiasti. Forse un po’ monotoni ma capaci di grandi performance dal vivo. The Answer, un esempio di fedeltà alle proprie radici britanniche. La ricetta si rifà direttamente a quella dei padri del genere, hard blues di scuola zeppeliniana. Niente d’esaltante, ma sufficiente per essere nominati nel 2005 miglior nuova rock band dalla rivista "Classic rock". Di origini finlandesi sono gli Orne, nati da una costola dei doomster Reverend Bizarre. Nel 2006 sono stati capaci

WITCHCRAFT

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di dare vita a uno dei migliori album di dark prog egli ultimi vent’anni, The Conjuration By The Fire. La lezione dei Black Widow del primo album è stata ripresa ed attualizzata: probabilmente gli Orne sono ciò che gli Opeth dei giorni d’oggi vorrebbero essere. Göteborg, seconda spiaggia a sinistra Per l’italiano medio vissuto durante il boom economico, la Svezia rappresentava una meta tra le più ambite, ricca com’era di donne formose e disinibite. Per l’italiano medio odierno quel Paese resta una località da raggiungere, ma per altri più miseri motivi, soprattutto legati alla musica. Neanche il ritorno alle abitudini musicali di una volta ha riportato l’interesse dalle sette note alle curve. Sei in fissa per i suoni datati? Vai a Göteborg per

ascoltare i Graveyard, con buona pace del mito dell’uomo focoso latino. Se c’è un gruppo di punta di questa nuova ondata di band dedite all’hard rock classico, sono proprio i Graveyard. Emblema di quella voglia di suoni saturi che si sposa con la modernità, non a caso il primo contratto con la TeePee Records viene strappato grazie a una manciata di brani postati su Myspace. Grazie all’esordio omonimo, gli svedesi attirano le attenzioni della Nuclear Blast, e il gioco è fatto: Hisingen Blues, del 2011, calamita tutti i riflettori su questi ragazzi di Göteborg e, di rimando, su una miriade di band che bazzicavano il sottobosco hard rock. Il terzo Lights Out del 2013, anche se più mediato, ne ha confermato lo stato di grazia.

VIDUNDER

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THE STORY/ HERITAGE

SPIDERS

Per l’etichetta tedesca il successo degli scandinavi ha aperto nuovi inaspettati scenari, un nugolo di band old style sono state messe sottocontratto o semplicemente distribuite: Kadavar, Blues Pills, Scorpion’s Child e Orchid. I ragazzi venuti dal passato La Nuclear Blast soddisfatta dell’operazione Graveyard portata a termine con la TeePee Records ci riprova nel 2011 con i tedeschi Kadavar. Bollati subito come i nuovi Black Sabbath, in realtà questi crucchi vanno oltre il semplice riff rubato a MR Iommi. La loro musica è un caleidoscopio di riff grezzi, asprezze lisergiche e blues decrepito. In soli due album il trio è riuscito a creare un ottimo ibrido che lo pone a metà strada tra i quattro cavalieri di Birmingham e gli Hawkwind. Per chi scrive sono la migliore realtà della nuova ondata di band dedite all’hard rock classico. Chi può essere tacciato di essere un mero clone dei Sabs, risponde al nome di Orchid, ma siamo convinti che per gli americani questa affermazione suoni come un complimento! Negli anni in tanti hanno cercato di ricreare il sound degli autori in Paranoid, probabilmente in Capicorn (2011) e in The Mouths of Madness (2013) è possibile ascoltare un qualcosa che ci si avvicina parecchio. I Blues Pills sin dal monicker lasciano poco spazio a frain-

tendimenti su ciò che propongo. Svedesi di nascita, statunitensi d’elezione. Graeteful Dead e Jefferson Airplane, con un pizzico di Affinity, e il gioco è fatto. A impreziosire la discografia dei nostri (Bliss e Devil Man) è il timbro particolare della voce della bella Elin Larsson. L’ultima scommessa in casa NB risponde al nome di Scorpion’s Child, a giudicare dal battage promozionale messo in atto, l’etichetta tedesca deve puntare non poco su questi americani. Questa volte è il songbook dei Led Zeppelin ad essere preso di mira. Ciò che riporta alla mente la band che fu di Page, non è tanto il rifframa, quanto la voce di Aryn Jonathan Black, sicuramente una delle migliori ugole della scena. Febbre a 70 Gli Scorpion’s Child non sono l’unico caso di band statunitense accasatasi nel Vecchio Continente, una delle compagini di spicco del movimento, i Rival Sons, sono riusciti, con il loro rock blues di scuola inglese a metà strada tra Zeppelin e Free, nell’impresa di strappare un deal con la Earache Records, etichetta che negli anni Novanta aveva dettato le regole da seguire in campo estremo, ma che da un po’ di tempo vive pulsioni revivalistiche (non dimentichiamo il tentativo di riportare 28


THE STORY/ HERITAGE

in auge un certo sound NWOBHM con band quali White Wizzard, Enforcer e Cauldron o thrash con Evile, Vektor e Bonded by Blood). Tuttavia il vero motore della scena in Inghilterra è la Rise Above di Lee Dorian, casa discografica a cui non può essere imputato di essere salita sul carro dei vincitori: il leader dei Cathedral ha sempre puntato su certe sonorità sin da tempi non sospetti. Tra le realtà migliori della scuderia albionica troviamo: gli occult rocker Blood Ceremony (figli illegittimi dei Black Widow), i fenomenali psych-dommers Uncle Acid and the Deadbeats e gli ultimi arrivati, i fricchettoni Purson. La musica degli altri Ogni scena ha poi i propri cani sciolti, band che si muovono affannosamente nel sottobosco, alcune arrivano all’agognato contratto dopo anni di gavetta, altri dopo alcune settimane dalla fondazione. Certune ce la faranno, molte verranno dimenticate o diventeranno fenomeni di culto. Per non lasciar nulla al caso, ci preme citare in ordine sparso i Seremonia, i Mammoth Mammoth, gli Spiders e i Vidunder. Se un domani dovessero diventare i nuovi Rolling Stones, ricordate che noi li avevamo citati.

Italiani bravi musicisti Situazione particolare quella del vecchio Stivale, il nostro Paese da sempre soffre di torcicollo, preso com’è dalla smania di guardarsi alle spalle. Difficilmente le mode nascono da noi, più facilmente le seguiamo, magari a decenni di distanza. Ed è proprio questa caratteristica rende l’Italia un caso particolare, da noi si suona dell’ottimo hard rock, non perché stiamo seguendo l’ultima tendenza in ambito musicale, ma perché siamo dei nostalgici che non hanno mai smesso di eseguire e ascoltare certe cose. In questo ambito è degna di particolare menzione la Black Widow Records, sempre attenta a lanciare sul mercato band, non solo nostrane, dai suoni vintage. Ciò che caratterizza i nostri connazionali è una maggiore predisposizione per le sonorità progressive e doom, non fosse altro per un background storico e culturale che ci appartiene da sempre. Pur non rientrando strettamente nel filone di cui si è discusso sin ora (sia per motivi cronologici che per altri più prettamente modaioli), non possiamo non menzionare Areknamés, Standarte, Abiogenesi e Wicked Minds. Altre realtà italiane interessanti sono i purpleiani Graal, gli intergalattici L’Ira del Baccano, gli psych-progster Il Ballo delle Castagne e gli hard bluesman Black Mama.

BLUES PILLS

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SPECIAL BAND

ULYSSES “...We'll give you the 70s!!!!” Text Federica Sarra Traduzione Emanuele Risso

Sono la perfetta colonna sonora dei film polizieschi anni 70, sono inglesi e citano subito James Bond come una sorta d' ispirazione e punto di partenza. Luke Smith ci racconta chi sono e cosa hanno intenzione di fare!

Photo Lily Smith

Come è iniziato tutto? È successo qualcosa in particolare che vi ha spinto a iniziare a scrivere Kill You Again? Qual è stata la prima canzone a cui avete lavorato? La prima canzone che abbiamo fatto per l'album è stata la cara, vecchia Mrs Drawnel. Credo che Kill You Again sia nata poco più tardi. Ci siamo subito resi conto che avrebbe potuto essere la colonna sonora di un film di James Bond degli anni '70, quindi abbiamo seguito quella strada, pensando a tutte le location e alla parte centrale reggae! A quel punto Kill You Again è diventato il titolo dell'album e la base per il concept grafico. 30

A che punto pensate di aver trovato il sound che avete adesso? Ci è voluto un po'. Siamo sempre stati vagamente anni '60 ma comunque piuttosto heavy, per cui continuavano a dirci che eravamo anni '70. Quindi abbiamo pensato "Ok, vi daremo gli anni '70!!!" Mentre scrivete i testi e la musica, provate mai a pensare a cosa provocherà maggiori reazioni nei fan o pensate di più a cosa volete voi? Facciamo letteralmente quello che vogliamo, molto egoisticamente, senza pensare a come reagiranno


SPECIAL BAND

gli altri. Tutto ciò che conta per noi è fare qualcosa che ci piaccia, ci diverta, ci faccia muovere. Siamo come dei selvaggi nella foresta che costruiscono qualcosa. Etica del lavoro maschile! Descrivici le migliori qualità di ognuno dei membri della band Jules (basso) è il punto di riferimento, il cuore e l'anima della band. È tipo il nostro Mick Fleetwood è il nostro John McVie! Il suo momento migliore: La parte centrale di Kill You Again, una figata. Tom (chitarra ritmica) è il caos, magia nera

e un certo non so che. Il suo momento migliore, sicuramente in Taxi Driver, il primo assolo. Poi c'è Shane, il batterista, la gente lo ama, è il nostro Keith Moon, molto esuberante e ne sa anche parecchio di armonie vocali. In Mrs Drawnel, la traccia per batteria è eccellente! Poi ci sono io (voce/ chitarra solista), scrivo canzoni carine, credo, e suono abbastanza bene la chitarra ogni tanto. Forse il mio "best moment" è in April Showers. Finora è quella che più si avvicina alla canzone pop perfetta, tra quelle che ho scritto. Ci sto ancora provando!

R EV I EW

“Kill You Again” (Black Glove Records) Chi cerca delle novità, sottovaluterà Kill You Again. È un album in pieno stile anni 70 registrato nel 2013 ma senza quell'effetto nostalgico. Gli Ulysses non saranno arditi sperimentatori e scelgono strade sicure, ma hanno la grande capacità di essere classici senza per questo risultare vecchi o noiosi. L'ascolto è divertente e la proposta complessiva riesce a intrigare in virtù di brani come Mrs Drawnel, April Showers o la title track, che hanno un buon impatto sonoro oltre a uno spirito goliardico che pervade l'intero lavoro. Ben confezionato, Kill You Again ha inoltre un grande pregio, quello di essere un disco genuino. I fan del genere apprezzeranno sicuramente. Voto - 7,5/10

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SPECIAL BAND

Abbiamo raggiunto Parker Chandler, bassista dei Windhand, sul loro tour bus da qualche parte negli Stati Uniti. Una band da tenere d'occhio...

WINDHAND “Our long song lengths probably hurt us more than they help us from a professional standpoint.” Text Max Carley Traduzione intervista Emanuele Risso Traduzione review Irene Pennetta Photo Tony Linch

Descrivi il tuo rapporto con lo strumento e il comporre musica. Per me riguarda solo l'umore che hai nel momento in cui decidi di prendere la chitarra e iniziare a suonare. Puoi iniziare perché stai provando determinate emozioni, o forse vuoi solo suonare la chitarra e quello è il riff che ne esce fuori. Evergreen si distingue chiaramente in Soma. Parlaci di come è nata e di come si adatta alle altre canzoni. Sicuramente Evergreen si lega all'atmosfera gene32

rale del disco, ma volevamo anche qualcosa che desse un taglio per evitare che l'ascoltatore venisse preso a pugni tutto il tempo. È la canzone che Dorthia ha donato all'album ed è tutta opera sua. Che storia c'è dietro la particolare lunghezza delle vostre canzoni? La lunghezza media delle nostre canzoni, da un punto di vista professionale, ci fa del male più che aiutarci. In media una canzone dura intorno ai tre minuti, ma le nostre più brevi si aggirano tra i sei


SPECIAL BAND

e i sette. Penso che abbia più senso per noi come band avere qualcuno che presti più attenzione alle nostre canzoni per più tempo, al giorno d'oggi in particolare. Quali sono le differenze tra le vostre canzoni registrate in studio e le stesse quando vengono suonate dal vivo? Dal vivo mi affido al nostro batterista, Ryan, per mettere in risalto quello che fa. Ci sono alcune canzoni in cui ci fermiamo prima del lungo outro perché ci piace averle a metà scaletta, come Summon the Moon: abbiamo modificato questo e un paio di altri pezzi per mere ragioni di tempo. I fan come hanno accolto e reagito a Soma durante il tour? L'accoglienza dei fan a Soma è stata fantastica. L'album sembra andare bene e piace molto. Detto questo, quando suoniamo una canzone più vecchia, come Winter Sun, hanno una reazione maggiore. Penso che con il passare del tempo familiarizzeranno anche con le tracce di Soma e risponderanno allo stesso modo.

R EV I EW

“Soma” (Relapse) Ogni grande opera d’arte ha la capacità di estendersi e fiorire al di là del suo rispettivo medium, plasmando un ambiente precedentemente immaginario nella mente e nell’anima di chi guarda ed ascolta. Soma, il secondo album integrale dei Windhand, è paragonabile ad un rituale misterioso ed impetuoso che si svolge nei più profondi boschi oscuri di una notte nebbiosa di Ottobre. Un ottimo capolavoro in lo-fi, Soma è allo stesso tempo minaccioso ed estremamente accessibile - inizialmente lo si riconosce nel suo chiaro ed inequivocabile doom metal, ma si trasforma presto in qualcosa di straordinariamente inclassificabile. Gli spettrali passaggi vocali della frontwoman Dorthia Cottrell si intrecciano fluidamente all’interno dei passaggi strumentali, che sembrano echeggiare fra mille pianure aride, conferendo a Soma un eccezionale senso di movimento. La sua “Evergreen” in acustica è dannatamente bella. Le tracce esplosive ed impetuose come “Bones Feral” e “Cassock” devono la loro efficacia anche a fattori come la scrittura, la produzione e il talento musicale. Voto - 8,6/10 33

Qual è il pezzo del nuovo album che preferisci suonare live? Mi piace Feral Bones, ha una tempistica un po' strana, quindi devo starci un po' più attento. Qualche storia divertente presa dalla strada durante questo tour? Ne ho una particolare: dovevamo suonare in un club di San Francisco, e il tizio che stava all'entrata faceva lo stronzo arrogante. Gli dicevamo che avremmo dovuto suonare lì quella sera, ma lui diceva cose tipo "sì sì, suonano tutti qui stasera". Poco dopo è finito in una rissa lì davanti con un tipo che era la metà di lui. Siamo andati a vedere poco più tardi e c'era gente che guardava uno per terra in strada. Era il tizio dell'entrata! Si contorceva dal dolore e c'era sangue ovunque, non sono sicuro di chi lo abbia pestato. Che cosa ascoltate ultimamente quando siete in furgone? Ascoltiamo molto l'ultimo dei Queens of the Stone Age e la registrazione del libro di Keith Richards.


TRACK BY TRACK

Carcass “Surgical Steel”

(Nuclear Blast Records) Text Francesco Passanisi Photo Courtesy of Nuclear Blast

La classe non è acqua, ma acciaio chirurgico!

1985 (instrumental) Intro che ci riporta direttamente all'anno di fondazione della band riprendendo quelle sonorità hard rock un po' Thin Lizzy un po' Queen che sono stati il pane dei 4 necrofori di Liverpool. Evocativa. Thrasher's Abattoir “Die...time to die...die in pain” Velocissima traccia che strizza l'occhio alle origini grind della band. L'intro da pugno in faccia, il riffing circolare serratissimo e un Walker in grande spolvero che vomita oscenità nelle nostre orecchie sono un colpo basso al cuore dei fan di vecchia data che si risentiranno subito a casa. Bentornate vecchie carcasse. Cadaver pouch conveyor System “A putrid picador in this circus of death” Traccia con una maggiore dose di melodia e il solito, fantastico, humour nero inglese dei Carcass che non sembrano prendersi troppo sul serio nemmeno loro. I fasti di “Heartwork”, pesantementi richiamati da questa traccia, sono lontani ma si trovano lo stesso dei tocchi di classe in grado di far sfigurare un buon 60% delle band della scena estrema odierna. A Congealed clot of Blood “For you will discover that nothing is true but infinite human conflict For do true prophets come armed with sword?” L'intro da Up-tempo mette in mostra il buon lavoro di Daniel Wilding, chiamato al difficile compito di sostituire l'estro dello sfortunato Ken Owen dietro le pelli, ma è nel morboso rallentamento dell'intermezzo che la band da il suo meglio. Chitarre, basso e batteria colpiscono come bombe chimiche spandendo un odore di morte e putrefazione che stordisce l'ascoltatore. Allucinante. 34


TRACK BY TRACK

The Master Butcher's Apron “In the name of his tyrannical majesty To serve the imperialist tragedy” L'intro Grind è un altro colpo basso ai fan dei vecchi Carcass che, per non farsi mancare niente, proseguono il pezzo rientrando nel periodo “post-Necroticism“ continuando a mostrare tonnellate di classe rendendo “Surgical Steel“ un gradito episodio, anche se inferiore al loro glorioso passato. Noncompliance to ASTM F 899-12 Standard “The cycle of death exhausted well and truly plagued” Il velocissimo tremolo picking iniziale, con il suo mix unico di brutalità e melodia, potrebbe tranquillamente vincere il titolo di “riff del decennio” con 7 anni di anticipo mostrando ancora una volta quanto l'unione di due menti come Steer e Amott abbia giovato all'intera storia della chitarra metal. Pur non partecipando attivamente, lo spirito del geniale guitar hero svedese aleggia in tutto l'album, con tutti i suoi lati positivi e quelli negativi che rendono l'album un po' troppo ruffiano ma al contempo godibile e con un vistoso trademark Carcass forgiato a fuoco nelle note di quest'album. The Granulating Dark Satanic Mills “Your heirs will be deprived this fate. A penitentiary as consumer villains” Titolo squisitamente idiota che ripercorre la vena ironica che ha sempre caratterizzato i Carcass per una delle tracce migliori del lotto. Steer interpone riff tiratissimi ad altri più melodici seguito da un Wilding in grande spolvero, supportando Walker che riversa tonnellate di veleno con la sua voce. I vostri stereo rigurgiteranno liquami decomposti per un bel po' di tempo dopo aver riprodotto questo squisito esempio di Carcass sound. Unfit For Human Consumption “Seductive lymphandetitis/ Delectable septic metritis/Tempting glanders jaundice/For human consumption unfit”

I maestri sono sempre i maestri e “Unfit...” lo dimostra perfettamente. Un sapiente mix di grind, influenze thrash, melodia ed un testo preso di peso da un libro di patologia dell'università di medicina spazzano ancora una volta i 3/4 delle odierne band estreme con classe inarrivabile, grazie anche ad uno Steer veramente illuminato nel costruire riff che rapiscono l'ascoltatore fin dal primo secondo e lo macellano come nel miglior film gore pensabile. Un tritacarne destinato ad uso umano. 316 L Grade Surgical Steel “Love is a bitch it maims to please I'll see you again once more down on your knees” Ancora una volta le chitarre reggono le redini della traccia con un'inarrestabile sequenza di riff tritaossa che pescano a piene mani dalle radici Thrash della band pur non risultando mai noiosi o ripetitivi, non disdegnando una brevissima e mozzafiato incursione nel grind che colpisce duramente il cuore dei fan di vecchia data. Una mazzata. Captive Bolt Pistol “Aimed accles and shelvoke cash The cranium punctured penetrated and mashed” Nuova incursione nel grind melodico a la “Heartwork” con una delle perfomance migliori del buon Walker che, con il suo personalissimo scream, aggiunge colore ad un testo che gronda violenza da ogni poro, aiutato dal geniale riffing di Steer. Trascinante. Mount of Execution “Stupefying horror across the river awaits Come taste god's own medicine pooling at your gates” Finale inatteso con una meravigliosa suite di 8 minuti che chiude degnamente un album lontano dai fasti precedenti ma comunque ben fatto e molto divertente, che riporta in auge uno dei più grandi nomi della scena extreme metal. Ben tornati Carcass, che possiate continuare a decomporre le nostre orecchie per lungo tempo. 35


TRACK BY TRACK

Witherscape

“The Inheritance” (Century Media Records) Text Francesco Passanisi Photo Courtesy of Century Media Records

Il progressive death metal riabbraccia una delle sue più grandi leggende. Welcome Back Mr. Swanö!

Mother of the Soul “How can he live without her strength, she was taken away His dreams that appear now for her, drown the harder he prays” Il primo growl di Swanö, perfettamente sottolineato dall'oscuro arpeggio di Widerberg sono un colpo al cuore per ogni fan del leggendario artista svedese. Echi di “Moontower” e “Crimson II” avviano un tango perfetto tra riff death metal e riff più vicini al progressive rock settantiano creando una sincronia di rara bellezza. Astrid Falls “Searching relentlessly, to bring her home He asks the old man, his words tear him away” Il perfetto alternarsi di parti violente e parti evocative (con menzione d'onore per lo splendido solo di Synth a circa metà pezzo) creano una traccia che si insinua direttamente nel cervello dell'ascoltatore rapendolo completamente. Swanö si rende protagonista di una prova immensa dietro il microfono sfruttando tutte le sfumature della sua voce, dal growl più gutturale fino alla voce più suadente sorretto da un ottimo lavoro di chitarra. Capolavoro! Dead for a Day “I wish I could be dead for a day Just to hear what all the people would say To find out in the end, who was really my friend” Il contrasto continuo tra i delicati arpeggi della chitarra acustica e il putiferio 36


TRACK BY TRACK

death metal delle chitarre distorte riporta la nostra mente ai capolavori di Opeth e Edge of Sanity, celebrandone in modo perfetto il ritorno di una delle sue leggende. Bentornato Dan. Dying for the Sun “He does not know what set him free, the stagnation of the dark. Burning neath the beast of dying, strangle the night with nested wire” Un crescendo continuo accompagna l'ascoltatore nei territori del progressive per poi sbarcare con violenza nel death più estremo, grazie anche all'azzeccato inserimento delle vocals di Paul Kuhr, vocalist dei November's Doom e curatore dei testi insieme a Dan Swanö, che con il suo potente growl gutturale crea un contrasto di grande effetto con il graffiato rock di Swanö regalandoci l'ennesimo capolavoro del disco. To the Calling of Blood and Dreams “He couldn't live with his broken heart in a dream, harder to waken on the hour's toll” I Witherscape continuano a muoversi agilmente al confine tra death metal e prog Rock, Swanö duetta con se stesso alternando al pulito il suo potente growl mentre Widerberg, oltre a regalarci un grande assolo a metà prezzo, fonde nelle sue linee chitarristiche lo spirito prog rock ad un suono più pesante e violento. Ibrido di sicuro effetto. The Math of the Myth “If ever he arrives, he could still believe And no one here will tell, and he will never die here” Splendido crescendo che inizia con influenze quasi

Thrash per poi sfociare in un meraviglioso intermezzo che sembra arrivare dagli anni d'oro dei mai troppo compianti Edge of Sanity. Swanö si rende protagonista di una prova maiuscola dietro al microfono, supportato da un Ragnar Widerberg in grandissimo spolvero che supporta il continuo evolversi del brano in tutte le sue sfaccettature. Immensa. Crawling from Validity “Somewhere we will fall, the nightmare comes alive” Il continuo contrasto tra le rilassanti sezioni acustiche e le oscure sezioni distorte crea una traccia di incredibile intensità, sospinta dalle capacità interpretative del duo Swanö/ Widerberg The Wedlock Observation “He's falling to pieces, he falls to the ground, and he prays it's a dream He's dying in silence, he's dying to see her again” Riuscire a superare l'intensità e la maestosità delle tracce precedenti sembrava impossibile, eppure i Witherscape riescono a regalarci l'ennesima perla da questo disco, forse la più brillante di tutte. Chiudete gli occhi e abbandonatevi completamente a questi 6 minuti di capolavoro indescrivibile a parole. Una pietra miliare. The Inheritance [Instrumental] I Witherscape si commiatano da noi con uno splendido e brevissimo strumentale che chiude quello che forse è il miglior disco del 2013, lasciandoci speranzosi per un futuro ritorno sulle scene della coppia Swanö/Widerberg 37


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REVIEWS/HOT ALBUM

KATAKLYSM

“Waiting for the end to come” (Century Media Records) “We are the light of rebellion” Text Francesco Passanisi Photo Courtesy of Century Media Records

Dopo un anno passato a rimembrare i fasti dell'antica Roma sui palchi metal di tutto il mondo con il side-project Ex-Deo, i Kataklysm tornano al presente con un album dal titolo che, guardando il mondo attorno a noi, sembra pronto a diventare una profezia. Spogliati delle ampie atmosfere epiche degli Ex-Deo, il quartetto di Montreal colpisce duro con una batteria martellante (purtroppo orfana del geniale Max Duhamel, impegnato in una battaglia contro il demone dell'alcolismo, ma con un Oli Beaudoin che ne fa ottimamente le veci) ed azzeccatissime melodie vocali che sfruttano a pieno la duttilità di Maurizio Iacono mantenendo una capacità evocativa non indifferente. Se gli Ex-Deo erano in grado di trasportarci in sanguinose battaglie all'arma bianca, marciando e sudando sotto una pesante lorica da legionario, con i Kataklysm veniamo trasportati nel bel mezzo di una guerriglia moderna, con gli anfibi che bruciano i nostri piedi poggiando sull'asfalto bollente e il peso delle armi automatiche a stancare le nostre braccia. Un assalto sonoro formato da 11 tracce di puro Northern Hyperblast, con ottimi riff di chitarre che colpiscono duro come ordigni nucleari e testi che colgono la realtà più dura della progressiva decadenza della società moderna e del bisogno di ribellione di una popolazione sempre più ridotta alla disperazione dal turbinio di follia che sembra aver agguantato i poteri forti di nazioni, multinazionali e banche. Ascoltatelo ad alto volume, fate in modo che l'energia trasmessa da quest'album fluisca attraverso il vostro corpo e magari troverete la forza di alzare finalmente la testa e ribellarvi contro la decadenza dell'essere umano stesso. Un consigliatissimo inno alla libertà. 39


REVIEWS

KATATONIA “Dethroned & Uncrowned” (Kscope) Molti di noi se lo aspettavano, altri addirittura lo speravano: prima o poi i Katatonia sarebbero approdati alla Kscope.Quello che non ci aspettavamo però è che si sarebbe trattato di un album rivisitato in una chiave del tutto nuova, che si addice bene alla maturità artistica raggiunta dalla band. Dethroned & Uncrowned è un lavoro raffinatissimo dove fluttuano melodie crepuscolari mai scontate. Senza dimenticare del tutto il capolavoro Dead End Kings, i Nostri creano variopinte atmosfere neo prog. offrendoci un altro punto di vista su questo materiale, o per meglio dire, materia prima, plasmata e riarrangiata in versione semi-acustica. Per capire fino in fondo questo lavoro è necessario evitare comparazioni con Dead End Kings e godere dei brani che vivono una seconda vita. Unico neo, nessuna variazione alle linee vocali. Voto 7,3/10 F.SR.

VISTA CHINO “Peace” (Napalm Records) Amanti dello Stoner Rock, esultate. John Garcia e Brant Bjork, due dei quattro membri fondatori dei Kyuss sono finalmente tornati in studio dopo quasi 20 anni. Passata l'esperienza come Kyuss Lives! la band si presenta ora come Vista Chino, e Peace è la loro prima fatica discografica. Inutile fare paragoni con la band-culto con cui i due (insieme a Josh Homme e Nick Oliveri) hanno inventato un genere, la battaglia è persa in partenza. Ma questo disco, è ciò che tutti stavamo aspettando. Suoni cupi e distorti, lunghe suite psichedeliche, riff ipnotici e pesanti, melodie grintose e ritmi martellanti. I Vista Chino sono riusciti a ridare linfa vitale ad un genere sempre più in espansione, ma su cui gravava lo spettro della mediocrità, ritornando al concetto originale di Desert Rock. Un esordio che non può deludere, non siamo ancora di fronte ad un altro capolavoro, ma le premesse per il futuro ci sono tutte, con canzoni, come Dargona Dragona, Sweet Remain e Barcelonian, che già dopo un primo ascolto risultano inattaccabili e splendide. Citando il reduce di Desert Storm, Anthony Swofford (Jarhead), "Siamo ancora nel deserto". Voto 9/10 G.D'A.

MOTORHEAD “Aftershock” (UDR) Non tra i migliori della loro carriera, ma neppure tra i peggiori (se per qualcuno ce ne fossero...), Aftershock Ë l'ultimo album nato dalla leggendaria creatura hard 'n heavy degli inglesi Motorhead. Il disco, come di consueto, non cambia di una virgola il sound del gruppo e ci presenta un Lemmy Kilmister in forma nonostante i crescenti alti e bassi di salute, e una formazione tutta sugli scudi. Rumoroso, grezzo, denso di groove, attitudine ed energia, Aftershock gode di hit come Lost Woman Blues, Dust and Glass e Going to Mexico, senza dimenticare Knife e la finale Paralyzed. Con sudore e polvere, il prodotto che tutti i fans attendevano.

Voto 8/10 I.M.

THE DILLINGER ESCAPE PLAN “One of Us is the Killer” (Party Smasher Inc) Si rivela difficile parlare del nuovo album dei Dillinger Escape Plan, poiché come tutti i suoi predecessori è quasi indescrivibile. Violentissimi, matematici, distruttori, i cinque ragazzi riconfermano quanto detto in passato con questa nuova uscita. Ricordando lo stile dei primi album e discostandosi dagli esperimenti elettronici delle ultime due fatiche, gli statunitensi ripropongono tempi dispari impossibili e ritmiche serratissime che fanno da contorno a chitarre distorte ed a una voce aggressiva e schizoide. La band dimostra di avere una personalità molto accentuata in tutti i brani, estremi come non mai anche per il ritorno ai soli strumenti convenzionali del loro sound. Il disco ha un ottimo songwriting che caratterizza ogni momento, alternando momenti di apparente calma con altri episodi più scatenati. La lunga e gloriosa carriera dei Dillinger Escape Plan continua con una scia qualitativa che distrugge molte produzioni delle band moderne, le quali di fronte al mathcore/progressive metal del quintetto del New Jersey non possono far altro che inchinarsi. Voto 8/10 G.N.

LESLIE WEST “Still Climbing” (Provogue Records) Temevamo di averlo perso per sempre dopo i quattro giorni di coma e l'amputazione della gamba destra dovuti a una grave crisi di diabete, invece lo ritroviamo più forte e in forma che mai. Leslie West, eroe di Woodstock ed ex-Mountain, lavora assieme alla moglie Jenni al suo nuovo album Still Climbing, perfetta mistura di brani inediti e cover fedeli alle influenze musicali dell'artista. La sua voce roca e potente, ed il suo tocco unico alla chitarra, sono più forti che mai, e portano a un album hard rock a tinte blues che di più potenti e prestanti non abbiamo ascoltato in tutto l'anno. Un disco a cinque stelle, nel quale ogni nota diventa magia e risveglia nostaglie settantiane. Forte del contributo di ospiti come Mark Tremonti degli Alter Bridge/Creed, Jonny Lang, Johnny Winter e Dee Snider dei Twisted Sister, Still Climbing è puro rock, bollente! Voto 9,5/10 I.M.

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REVIEWS

KYLESA “Ultraviolet” (Season of Mist) Sarebbe da folli ignorare una delle migliori realtà del metal odierno, gli statunitensi Kylesa che ormai sono giunti alla sesta fatica in studio, dopo gli ottimi lavori intitolati "Static Tension" e "Spiral Shadow". Forte delle ottime critiche ricevute grazie a questi ultimi due album, il quintetto si appresta a pubblicare "Ultraviolet" sotto l'egida della Season of Mist. Squadra che vince non si cambia. I Kylesa si tengono in gran forma, energetici più che mai sin dalla partenza: riff sludge fino al midollo che ricordano i migliori Mastodon e Baroness, ma la band rimane sempre sulle proprie coordinate e non si permette di scopiazzare qua e là, e questo è importantissimo. I ragazzi continuano come sempre a picchiare creando dei momenti mostruosi, anche grazie alla spinta in più della doppia batteria che dà un groove magistrale ai pezzi, permettendo al basso di muoversi liberamente sulle pentatoniche. La band non si reinventa per nulla, anzi continua ostinata sulla scia già intrapresa precedentemente. Questo è il disco che ci si aspettava dai Kylesa: "Ultraviolet" è un album fresco, energetico, variegato, con molte idee ben studiate e per queste ragioni ogni amante del metal contemporaneo non deve lasciarselo sfuggire. Voto 8/10 G.N.

THE MISSION “The Brightest Light” (SPV/Steamhammer) A tre anni di distanza dall'ultimo lavoro in studio, e con ben ventisette anni di onorata carriera alle spalle, gli storici inglesi The Mission ritornano sulle scene con il nuovo album The Brightest Light. Il leader Wayne Hussey si rimette in discussione e, richiamati a se tutti i componenti originali, si produce in un prodotto ora meno personale e più nei canoni moderni del rock. Lo spirito di gruppo torna così a farla da padrone, per un disco fatto di canzoni di facile ascolto, emozionanti e varie, che hanno tutte una storia vera e sincera da raccontare. Capace di ricordare in certi passaggi Alice Cooper e i Cheap Trick, il prodotto resta altresì solido dell'inconfondibile marchio The Mission, come dimostra la hit 'Sometimes The Brightest Light Comes From The Darkest Place'. Uno degli highlight rock di questo 2013. Voto 9/10 I.M.

TRISTANIA “Darkest White” (Napalm Records) A distanza di 3 anni dall'ultimo lavoro, Rubicon, la band norvegese torna sulle scene con un album che questa volta mette d'accordo quasi tutti. Se il suo precedessore aveva convinto poco e fatto gridare alla svolta commerciale, Darkest White, disco numero 7, è qui a rimarcare le origini, a ribadire ai detrattori che la band c'è ed è armata fino ai denti di melodie e riff potenti da lasciare stupefatti. Senza dubbio le critiche hanno sortito il loro effetto, ma che ben vengano se questo ne è il risultato. Seppure sia uscito a maggio, riesce a ritagliarsi un suo spazio tra gli ascolti invernali, il mood e il sound si adagiano alla perfezione sui paesaggi innevati. I Tristania risalgono così sul podio delle migliori symphonic gothic band scandinave. Forma e sostanza. Voto 7,8/10 F.SR.

DREAM THEATER “Dream Theater” (Roadrunner Records) Con Mangini ormai stabilmente in formazione ed integrato nel processo compositivo che, adesso più che mai, vede la partecipazione dell'intera band quasi per tutte le tracce, i Dream Theater confezionano un compitino pulito e preciso, ma quasi svogliato che non riesce ad andare oltre la sufficienza piena. Naturalmente, la classe di questi 5 musicisti rimane immutatamente immensa e l'album è disseminato di guizzi geniali, ma il contraltare costituito da riff apatici e preconfezionati è comunque troppo forte, come se per intere sezioni suonasse una band che, senza troppa inventiva, si sia preposta di suonare “Alla Dream Theater”. Per usare un linguaggio tipicamente scolastico: “Hanno le capacità ma non si applicano”. Voto 6,8/10 F.P.

IHSAHN “Das Seelenbrechen” (Candlelight Records) Dopo appena un anno dal precedente “Eremita”, Ihsahn torna sul luogo del delitto con un album incentrato principalmente sulla filosofia Nietschiana che estremizza ancora di più il concetto di Progressive Extreme Metal sviluppatosi nelle ultime sortite degli Emperor e lungo la carriera solista del musicista svedese. Echi di Black Metal, Ambient, Symphonic si incrociano ad intere sezioni Noise/ Free Jazz, quasi difficili da digerire se non abituati a certe sonorità, che mantengono comunque costante l'atmosfera di oppressiva solitudine che si respirava in “Eremita” creando un album che è al contempo summa ed evoluzione dell'intera carriera (comprensiva di Side Project come i purtroppo defunti Peccatum) di questo geniale musicista che anche dopo centinaia di ascolti riesce ugualmente a sorprendere. Un album coraggioso di un musicista in perenne evoluzione. Voto 9,6/10 F.P.

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CINEMA

“Io credo in Jim Gordon. Io credo in Harvey Dent. Io credo in Gotham City, Io credo in Batman”. Text Francesco Passanisi Illustration Tom Lynch

È un vigilante che opera al di là della legge per realizzare qualcosa di positivo, ma spinto da desideri negativi infrange la legge e rischia di distruggere la società. Penso che sia una figura di supereroe complessa e molto problematica ed è per questo che è così interessante trattarlo. Questa frase del regista Christopher Nolan riassume in pieno l'essenza del complesso personaggio inventato da Bill Finger e Bob Kane negli anni '30 unendo al concetto di supereroe appena avviato dal neonato Superman una dimensione più terrena e tormentata, presa di peso dai racconti pulp e noir che impazzavano in un'America che già presagiva un suo intervento nella II Guerra Mondiale, anticipando ed estremizzando di fatto i “Supereroi con superproblemi” di Stan Lee. Durante gli anni il personaggio di Batman si è evoluto in diverse sfaccettature, approfondendone la psicologia oscura, prendendo elementi di sociologia e alternando toni scherzosi e giocosi ad altri più oscuri e pulp, creando un personaggio ricco di sfaccettature complesse da osservare a 360 gradi per comprenderlo veramente. Come per ogni personaggio letterario di successo, il cinema ha spesso guardato con interesse alle avventure del cavaliere oscuro, trasponendo attraverso la settima arte buona parte delle sue sfaccettature. Sector Noir ripercorre oggi l'affascinante carriera cinematografica del Miglior Detective al mondo, mostrando come il connubio di due diverse arti figurative riesca a donarci veri capolavori. “Certi giorni non riesci proprio a liberarti di una bomba” Nei primi anni '50 lo psichiatra Fredric Wertham pubblica “Seduction of the Innocent”, uno studio sugli effetti causati dalle immagini di violenza e dalle storie oscure presenti nei fumetti in voga tra bambini e ragazzi a quel tempo. Uno dei personaggi più colpiti è proprio Batman, tacciato addirittura di omosessualità e pedofilia, visto il suo stretto rapporto con Robin, il ragazzo meraviglia inventato da Bill Finger proprio per alleggerire i toni del fumetto, inizialmente molto duro e violento. Ne nasce, più o meno volontariamente, il Comics Code Authority e lo stesso Batman viene pesantemente alleggerito dai contenuti più controversi. Nasce così la cosiddetta “Era Camp” sospinta dall'enorme successo della fumettistica serie TV trasmessa dalla ABC. Proprio da questa serie TV nasce il suo primo film (esclusi i due serial cinematografici “Batman” e “Batman and Robin” degli anni '40), realizzato con lo stesso cast artistico e tecnico della serie TV durante una pausa tra la prima e la seconda stagione. Il film rispecchia esattamente il tono leggero del Batman fumettistico del periodo con scazzottate a tempo di musica, pose plastiche degli eroi, un Joker quasi

involontariamente comico nel suo atteggiarsi da clown e il resto dei “Super-villain” buttato lì solo per essere sconfitto dal “Dinamico Duo”, colori accesi e sgargianti ed un gadget coloratissimo per ogni occasione. Dimmi una cosa amico mio. Danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio? Lo scarso successo e la scarsa qualità del film degli anni '60, nato più come prodotto pubblicitario per lanciare la serie TV oltreoceano che come esigenza artistica, sembra stroncare sul nascere la carriera cinematografica dell'alter ego di Bruce Wayne. Fortunatamente, il versante editoriale è molto più attivo e prolifico. L'allentamento della morsa della censura permette al supervisore Julius Schwartz di riportare, con una serie di intuizioni geniali, le atmosfere oscure e decadenti delle origini, iniziando un processo che culminerà con lo splendido “Il Ritorno del Cavaliere Oscuro” di Frank Miller, progetto fuori serie che garantirà allo stesso Miller la supervisione della serie principale. Le nuove atmosfere decisamente più adulte ed oscure in linea con cinema e letteratura del periodo, attraggono di nuovo le attenzioni dei lettori e, soprattutto, della Warner Bros. che acquista i diritti per un nuovo film. A dirigere viene chiamato un giovane Tim Burton, perfetto nel trasporre su schermo le atmosfere oscure del fumetto. Ne nasce un successo critico ed economico senza precedenti per un cine-comics. Michael Keaton è un Batman solido ma al contempo tormentato dal suo passato e dal suo desiderio di vendetta, impegnato in una lotta all'ultimo sangue contro il suo avversario più pericoloso, il Joker, interpretato da un Jack Nicholson istrionico ed affascinante che incarna perfettamente la follia del clown, con quel ghigno perennemente scolpito sulla bocca e gli occhi come specchio dell'anima oscura di uno dei migliori villain della storia del fumetto. Il teatro che fa da sfondo all'epico scontro è una Gotham pesantemente influenzata dalla serie “Batman: Anno Uno”, ma vista con gli occhi di Tim Burton e Anton Furst che creano una metropoli fredda e tetra, dominata da travi metalliche scoperte, palazzoni immensi sormontati da gargoyle di pietra dalle forme demoniache ai quali si intersecano vicoli oscuri e sporchi. Perfino la Wayne Manor è fredda ed austera, più un museo che un'abitazione, tanto che, colpo di genio alla Burton, l'unica scena familiare (una cena tra Bruce Wayne e Vicky Vale) viene ambientata nella depandance del fido Alfred (un carismatico Michael Gough, nome storico dei film della Hammer). Nonostante qualche licenza poetica di troppo (Harvey Dent afroamericano, Batman che uccide il Joker, le origini del Joker fin troppo chiare e il suo coinvolgimento nella morte dei genitori di Wayne) 42


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abbia fatto storcere il naso ai fan del fumetto, Batman è un immenso e meraviglioso film d'autore, che ha rilanciato in pieno il franchising del cavaliere oscuro. “Io ero il loro primogenito. E loro mi hanno tolto il diritto di esserlo... Ma è nell'umana natura temere... l'inconsueto. Può darsi che quando stringevo il mio, il mio sonaglino di Tiffany, con la mia lucida nera pinna, invece che con 5 paffuti ditini... rabbrividissero... Ma io li ho perdonati.” L'enorme successo del film crea subito i presupposti per un sequel lampo che sfrutti il ritorno sulla cresta dell'onda del Cavaliere Oscuro. Tim Burton riesce fortunatamente a frenare le ambizioni della Warner Bros. ottenendo il pieno controllo creativo del film a partire dalle nuove scenografie di Bo Welch, che aveva già lavorato con Burton in “Edward Mani di forbice” che estremizzano la freddezza e l'atmosfera tetra del primo film, grazie anche ad una sceneggiatura riscritta più volte quasi senza controllo della casa distributrice. Il film risulta oscuro e, a tratti, addirittura angosciante, dimostrando in pieno la lungimiranza di Daniel Waters e Tim Burton nel trattare il fumetto come vera e propria letteratura, senza sporcarlo con le infantilità che lo avevano quasi distrutto negli anni '50-60. A colpire sono soprattutto gli antagonisti del pipistrello, il deforme Pinguino (un Danny DeVito che, alle prese con un insolito ruolo drammatico, riesce a stupire per la sua ottima interpretazione) e la sensuale e perversa Catwoman, interpretata dalla bellissima Michelle Pfeiffer pienamente a suo agio nel passare dalla goffaggine della povera Selina Kyle alla perversa follia di una Catwoman dai tratti sadomasochistici che attireranno sul film la critica dei benpensanti. Ennesima intuizione geniale di Burton è il personaggio di Max Shreck (citazione del “Nosferatu” di Murnau), industriale senza scrupoli che dimostra come il nemico più pericoloso di Batman sia la società Gothamita stessa, assoggettata ad un meccanismo di corruzione ed arricchimento personale che la famiglia Wayne ha combattuto durante tutta la sua vita. Io sono tanto Bruce Wayne che Batman, non perché ne sia obbligato, no... perché questa è la mia scelta. Nonostante il successo di “Batman Returns” e gli incassi addirittura superiori al primo film, la Warner Bros. comprese che le critiche alla violenza e alla perversione e l'atmosfera dark che traspariva dalle immagini di Burton impedivano al film di diventare un successo planetario, un prodotto mainstream che avrebbe scatenato una seconda bat-mania dopo quella dell'era camp degli anni '60. Fu così deciso di relegare Burton ad un ruolo da produttore e di ingaggiare Joel Schumacher, un onesto mestierante specializzato in film d'azione, per dirigere il film. La differenza si fa sentire, per quanto una parte della critica e del pubblico apprezzi l'approccio maggiormente action-oriented di Schumacher, il distacco qualitativo dai precedenti, veri e propri film d'autore, è immenso. A salvare “Batman Forever” ci pensano gli attori. Val Kilmer, nuovo Batman/Bruce Wayne ha il fisico ed il carisma adatto a riuscire bene in entrambi i ruoli, per quanto Bruce Wayne sia stato reso un personaggio poco interessante, un vip con tendenze alla filantropia e dall'amore facile che ha ben poco del personaggio che sfoga i suoi tormenti nel combattere il crimine mascherato, mentre lo stesso Batman è un supereroe più cartoonesco,

un paladino della giustizia e della luce adorato dagli abitanti di una Gotham trasformata in un tripudio di neon, statue e colori che ha ben poco con il “Girone infernale” descritto nei fumetti. Da notare è anche la splendida interpretazione di Jim Carrey nel ruolo de “L'Enigmista”. L'ex Ace Ventura crea un personaggio dalla follia frenetica e quasi comica che il Washington Post non esita a definire “un riuscito incrocio tra Fred Astaire e Caligola”, mentre Tommy Lee Jones riesce a dare spessore alla follia di Due Facce nonostante il mood cartoonesco dell'intera produzione. Unico pregio di Schumacher è l'aver creato, prendendo spunto da una scena già accennata in “Batman Returns”, la “scena della vestizione” dei supereroi, veramente iconica e ben fatta. Sorpresa. Sono il tuo nuovo compagno di cella e sono venuto a rendere la tua vita un vero inferno. Preparati per un amaro raccolto... Finalmente è arrivato l'inverno! Il successo commerciale di “Batman Forever” spinse la Warner Bros. ad allestire a tempo di record un seguito che sfruttasse e potenziasse le nuove caratteristiche del franchise cinematografico, rendendolo ancora più leggero e carico di azione, una specie di cartone animato con attori in carne ed ossa. Nasce il Batman per ragazzini, trasposizione diretta del cartone animato di Paul Dini più che del fumetto. Sceneggiatura raffazzonata, ottimi attori come George Clooney e Uma Thurman costretti dal regista stesso a recitare “come in un cartone animato”, effetti speciali enormi e colorati, una serie di scadenti momenti da commedia (tra tutti, Mr. Freeze che costringe i suoi sgherri ad una parentesi canterina nel suo gelido covo seguendo un cartone animato e Batman che augura la buonanotte ad un componente della banda di Freeze dopo un pugno) e un Bane trasformato da nemico più pericoloso di Batman a bestia senza cervello sono licenze che nessun fan di Batman perdonerà mai a Schumacher. Il film intero è riassumibile nella frase di Clooney <<Ho paura che abbiamo ammazzato un franchise>>. Perché i pipistrelli, signor Wayne? Perché mi fanno paura. Che li temano anche i miei avversari. Dopo la prima settimana di successo, un velocissimo passaparola affossa gli incassi di “Batman & Robin”. Dileggiato da critica e pubblico, fa incetta di recensioni negative, Razzie Awards, parodie e mette in discussione diverse carriere. La cocente sconfitta porta la Warner Bros. a rifiutare le continue idee proposte per almeno un lustro. Quando il primo “X-Men” e il successivo successo di “Spiderman” riportano l'attenzione del pubblico sui supereroi, la Warner Bros. si riattiva ingaggiando il regista Christopher Nolan, fresco del successo di “Memento” e “Insomnia”, e lo sceneggiatore David S. Goyer, specializzato in adattamenti cinematografici di fumetti (sue le sceneggiature della fortunata serie “Blade”) per un reboot completo del marchio. Tornando a prendere spunto dai fumetti dell'epoca milleriana, in primo luogo da “Batman: Anno Uno”, Nolan porta sullo schermo un Batman moderno e realistico, scevro da qualsiasi connotazione soprannaturale, senza allontanarsi troppo dal fumetto, usandolo anzi come base di partenza per lo studio dei personaggi da parte degli attori. Nolan inscena così le origini del Cavaliere Oscuro, cogliendo in 43


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pieno l'aspetto che rende Batman diverso da tutti gli altri supereroi. Batman è essenzialmente un uomo comune, che grazie alla sua immensa forza di volontà, si addestra a raggiungere l'eccellenza nel fisico e nella mente, una sorta di superuomo Nietzschiano ben lontano dai superpoteri di un Superman o di uno Spiderman. Ad interpretare Bruce Wayne/Batman chiama l'ottimo Christian Bale che, in un curioso parallelismo con il personaggio che dovrà interpretare, attua una trasformazione fisica ai limiti delle capacità umane aumentando la sua massa muscolare di 31 Kg dopo che, per “The Machinist”, era dimagrito fino a 55 Kg. Bale riesce finalmente a dare giusto risalto anche a Bruce Wayne, protagonista per buona parte del film. Il suo scontro con Ra's al Ghul (interpretato ottimamente da quel dio del carisma che risponde al nome di Liam Neeson), l'ecoterrorista che Nolan rende anche mentore di Batman per semplicità, si svolge in una Gotham dall'aspetto realistico, molto simile alle metropoli americane, lasciando da parte le complesse architetture gotiche di Burton e i neon da Shangai impazzita di Schumacher in nome di un approccio realistico mai visto prima in un film di Batman, approccio che si applica anche ai gadget (un misto di tradizione ninja e tecnologia militare) e alla stessa Tumbler (il termine Batmobile non viene mai utilizzato in tutto il film), molto più simile ad un mezzo militare che alla macchina di un supereroe. A mezzanotte vi farò saltare tutti in aria. Però, se uno di voi premerà il bottone, lascerò libera la sua nave. Quindi, chi rimarrà? La collezione di letame dei super ricercati di Harvey Dent o i dolci e innocenti cittadini? A voi la scelta. Ah, e vi consiglio di decidere in fretta perché i passeggeri dell'altra nave potrebbero anche non essere tanto altruisti... “Batman Begins” fu un immenso successo di critica e pubblico che rilanciò l'intero franchise su diversi fronti riuscendo a soddisfare sia i fan del Cavaliere Oscuro che quelli meno avvezzi alle avventure del Detective di Gotham. Fu confermato subito un seguito che Nolan sviluppò dopo una perla come “The Prestige”. Con l'ormai fido David S. Goyer al suo fianco, Nolan inizia a scrivere una sceneggiatura ambiziosa che riunisce due dei nemici più pericolosi e più amati di Batman, Joker e Harvey Dent/Due Facce. Proprio con il personaggio di Joker, Nolan riesce a creare la nemesi perfetta per il Cavaliere Oscuro e, forse, per l'intera umanità. Spogliandolo, come già aveva fatto con Ra's Al Ghul in “Batman Begins”, di ogni possibile irrealisticità soprannaturale Joker diventa solo pura follia, un superuomo nietzschiano che sfrutta la sua condizione superiore per apportare quanto più dolore possibile al prossimo e minare le fondamenta stesse della società. Ad interpretarlo, nell'ormai tristemente famoso ultimo ruolo, troviamo un Heath Ledger pienamente a suo agio nella follia e nella comicità perversa del clown (tanto da far attribuire la sua morte ad un eccesso di immedisimazione nel personaggio). Oltre ai protagonisti, a colpire è la perfetta caratterizzazione dei comprimari, con menzione d'onore per il carismatico Michael Caine nel ruolo di Alfred, fido maggiordomo degli Wayne che, in questa trilogia, trova finalmente il giusto spazio come indispensabile aiutante di Batman e vero padre adottivo di un Bruce Wayne sempre più autoisolatosi nella sua lotta contro il crimine. Gotham, vera protagonista del film

con i suoi cittadini, è ancora una volta una metropoli fredda ed austera, dove la gente vive di corsa chiudendo spesso un occhio sulla corruzione imperante nella città e che di notte lascia spazio a criminali di ogni lega, ma che vede nel coraggioso procuratore distrettuale Harvey Dent una speranza di redenzione. Sta arrivando una tempesta signor Wayne. È meglio che lei e i suoi amici vi prepariate al peggio perché quando arriverà vi chiederete come avete potuto pensare di vivere così alla grande lasciando così poco per tutti noi. Nonostante il successo planetario di questo secondo capitolo, ancora più ampio di quello di “Batman Begins”, un terzo capitolo della saga Nolaniana non viene confermato subito. Le difficoltà di bissare la qualità de “Il Cavaliere Oscuro” spingono Nolan e Goyer a prendersi una pausa dalle avventure del Crociato di Gotham. Goyer continua ad adattare, con fortune alterne, fumetti per il cinema mentre Nolan si dedica ad un altro capolavoro che pesca dal suo passato, l'intenso “Inception”. Solo nel 2010 Nolan, in compagnia del fratello Jonathan e dell'ormai fido David S. Goyer iniziano a lavorare ai primi abbozzi di sceneggiatura, scontrandosi con la difficoltà di pescare un villain abbastanza carismatico da sopravvivere al confronto col malatissimo Joker del precedente capitolo. C'era un solo personaggio che poteva reggere il confronto con il clown di Gotham, il potentissimo Bane, ingiustamente distrutto da Schumacher nel pessimo “Batman & Robin”. Come per Joker, Bane viene liberato da ogni irrealisticità passando da supercriminale trasformato dal Venom in un superuomo nietzschiano che condivide parzialmente origini ed addestramento di Batman (per lo meno nell'universo Nolaniano dove Batman e Bane vengono entrambi addestrati dalla durissima Setta delle Ombre di Ra's Al Ghul), così come ne condivide il genio tattico e l'immensa forza di volontà. Ancora una volta Nolan non si limita ad inscenare il tipico scontro tra supereroe e supercattivo ma si estende ad una vera e propria critica alla società moderna. I fatti accaduti alla fine de “Il Cavaliere Oscuro” hanno portato Bruce Wayne all'isolamento totale mentre la Wayne Enterprises investiva buona parte del suo capitale in un progetto per un reattore nucleare che in seguito si rivelerà poter diventare un'arma letale, ha ampliato le differenze sociali in una Gotham ormai tornata ad essere terreno fertile per industriali senza scrupoli e corruzione. Sarà proprio su questo terreno minato che Batman sfiderà per l'ultima volta uno dei suoi nemici più mortali, la pochezza umana stessa. Il film è un ennesimo successo, anche se la critica lo considera inferiore a “Il Cavaliere Oscuro”, con Nolan si conferma l'unico ad aver saputo comprendere pienamente le potenzialità che questo fantastico personaggio con più di '70 anni di onorata carriera sulle spalle che, nonostante le cadute di stile fumettistiche e cinematografiche, è riuscito a cadere e a rialzarsi decine di volte. Adesso, mentre si rincorrono rumors e gossip su un progetto cinematografico che lo vedrà fronteggiare niente meno che Superman, non ci resta che fissare ancora lo schermo nella speranza che il bat-segnale torni ad illuminare la sala di un cinema. Durante l'attesa, approfittatene per leggervi qualche suo fumetto scoprendo a pieno l'affascinante mondo di Batman e dei fumetti in generale. 44


NEIL McCORMICK

CULTURE

SMART MARKS Text Federica Sarra Traduzione Irene Pennetta Photo Courtesy of Neil McCormick

Il suo piano segreto da adolescente era quello di "uccidere" Bono Vox, suo compagno di classe. Oggi quell'adolescente è un acclamato scrittore e giornalista musicale e quel piano è diventato uno spassoso e ironico libro autobiografico e un film sui sogni da musicista in erba che tenta di emergere nel difficile mondo del music biz. Perché secondo te la musica è una via di fuga? La musica mi trasporta in un mondo interiore, è la più personale di tutte le forme d’arte, perché risuona nella tua testa, come una cassa di risonanza, ed i testi sono interpretati attraverso i propri ricordi, i suoni innescano sensazioni emotive. Ma è anche la forma d’arte più universale: se sei in una stanza ed ascolti musica con altre persone, il ritmo e la melodia ti inchiodano in un groove collettivo. Fin da quando ero bambino, la musica mi ha trascinato dal momento presente fino all’eternità. È una cosa straordinaria, davvero.

Quale tipo di musica ti piaceva all’inizio della tua carriera? Ed ora, è cambiato qualcosa? Le mie preferenze musicali non cambiano come cambia il corpo umano. Amo ancora tutta la musica che ascoltavo prima, solo che ora si aggiunge tanta grande musica che scopro man mano. I miei modelli musicali sono quelli comuni per un bambino degli anni Sessanta: Elvis, i Beatles, Bob Dylan sono e saranno sempre i miei punti di riferimento, gli Dei primordiali del rock. Quando per la prima volta ho scritto per una rivista ero un adolescente punk, ed ancora ora fiuto tutto ciò che porta una scossa di novità. Mi piace la musica che porta con sé la profondità e la ricchezza delle canzoni con cui sono cresciuto, ma amo anche la musica che mi frastorna e disorienta, come se non possa essere esistita in un’altra epoca. Sono un grande fan dell’hiphop, che per un uomo sulla cinquantina, bianco e con i capelli grigi potrebbe 45


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essere abbastanza ridicolo. E mi piace un sacco di pop moderno, un po’ meno i suoi testi e i suoni digitalizzati. Musica classica, jazz, folk, elettronica, techno, ambient, space, dub: potrei davvero ascoltarli tutti, ma probabilmente non capiterà che mi troviate ad ascoltare metal (o meglio, ad ascoltare qualche roba che ha a che fare con cantanti che strillano). Che cosa è per te il successo? Pensi di averlo raggiunto? La vita è sempre in continua evoluzione, è fatta di trionfi e sconfitte quotidiane. Un attimo mi sento di aver raggiunto il successo, l’attimo dopo invece mi sento un principiante. Se il mio io adolescenziale potesse vedermi adesso, nella veste di critico musicale di un quotidiano britannico di tutto rispetto, piuttosto che in realtà fare la mia musica, probabilmente avrebbe voglia di schiaffeggiarmi. Per intenderci, potrei dargli io uno schiaffo per primo, invece di fare la parte di un ridicolo sognatore. Ho una relazione da 25 anni ed un figlio di dieci che mi danno una gioia infinita. Ecco si, questo lo considero un successo. Quando scrivo qualcosa che mi piace, questo lo considero un successo. Non è una questione di record. Le priorità cambiano. Ho scritto un libro autobiografico (Killing Bono) di cui hanno fatto un film con un bellissimo attore (Ben Barnes) che interpretava la mia parte. E ora il mio libro è stato tradotto anche in italiano. Quindi suppongo che io stesso dovrei considerarmi un successo. Nella tua carriera, quali sono le sfide più grandi che hai dovuto affrontare? Ho trascorso 13 anni in band musicali, sperando in un contratto discografico e in un pezzo bomba, ed è stato impegnativo sono tutti i punti di vista. Insomma, ho finito per sentirmi un vecchio fallito di 30 anni. Ho dovuto tirarmi su ed iniziare una nuova carriera, e questa sì che è stata una sfida del tutto diversa. È stato interessante. La sfida adesso è quella di rimanere sempre entusiasti, coinvolti, e continuare a fare il lavoro che mi rende felice, questo lavoro piuttosto insolito, che, diciamocelo, è ridicolo per un uomo di mezza età. Tornando indietro nel tempo, credi che qualcuno abbia cercato di controllare la tua libertà creativa in qualche modo? Sono sempre stato un tipo molto testardo, molto passionale e molto polemico, tengo duro sulle le cose in cui credo. Quello che faccio come giornalista ha dei limiti che devo riconoscere, lavorare con i miei redattori per creare il tipo di testo in ambito musicale che più si adatta alla pubblicazione. Questo è un limite. Non ho la libertà di un poeta o di un cantautore e a volte mi ritrovo ai ferri corti

con i miei capi. Ad ogni modo, posso considerare interessante il mio lavoro. Ora raccontaci del tuo libro “Killing Bono”, da poco pubblicato in italiano. Quanto tempo hai impiegato per scriverlo? L’ho scritto in pochissimo tempo, circa sette settimane, ma posso dire di aver avuto una vita per pensarci. È la storia della mia carriera fallita come musicista, in una band che ha iniziato a muovere i primi passi in un College frequentato anche da un’altra band, gli U2. È stato abbastanza difficile vederli andare avanti con il successo, mentre io rimanevo fermo ad un livello minimo della musica. Ma la mia carriera piuttosto triste è forse più vera delle esperienze di molti artisti. Il successo commerciale è raro, e noi perdenti saranno sempre più numerosi dei vincitori. Ho pensato che sarebbe stato divertente scrivere una guida che parlasse veramente di “come NON riuscire nel mondo della musica”. Ho imparato molto su me stesso lungo la strada, e ho avuto modo di rispondere alla domanda del perché il mio amico Bono sia arrivato in vetta ed io no. Ci vuole talento, questo è certo, ma ci vuole anche costanza e fortuna. Fortuna, più che altro. A qualsiasi band che viene da me per un consiglio, dico sempre che dovrebbe mettere la musica al primo posto, fare cose per le giuste ragioni, al meglio delle proprie capacità e cercare di divertirsi. Poi, se il successo commerciale arriva, si può certo parlare di una grande carriera, ma in caso contrario, si avrà ancora il piacere di fare grande musica. La musica dovrebbe essere la sua stessa ricompensa. In quale band ti piacerebbe adesso suonare? E perché? Suono tuttora in una band, proprio perché la musica è la mia vita. Solo che ora non cerco più di fare pressioni su nessun altro. Suono con un mucchio di vecchi rockers (tra cui il batterista della mia vecchia band, Shook Up!), ci siamo chiamati i Groovy Dad. In realtà siamo incredibilmente bravi. Se avessi avuto questa band a 21 anni, avrei conquistato il mondo. Ma a 51 è solo un hobby, si suona per il puro piacere di farlo. E spero di poterlo fare fino a quando sarò un nonno Groovy. Pensi che la lettura sia stata compromessa oppure potenziata dal mondo del digitale e della sua interattività? In che maniera? La tecnologia cambia, ma l’istinto di creare arte, di scrivere e di leggere e condividere esperienze rimarrà sempre la stessa. È di sicuro un momento difficile per il mondo del giornalismo, con i vecchi media che sono in una completa fase di cambiamento, vista la grande ondata interattiva di Internet. Ma è anche un momento eccezionale questo, nuove forme di comunicazione stanno emergendo ed il 46


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“KILLING BONO” NEIL M C CORMICK ( best BUR )

ruolo del giornalista professionista come guardiano delle notizie e delle arti sta diventando in esubero. I vecchi tendono a lamentarsi dei cambiamenti, ma se fossi un ragazzo ora, sarei entusiasta di tutte le nuove possibilità che questi cambiamenti stanno offrendo. In una brutta giornata, potrei lamentarmi del mio lavoro e paragonarlo allo spalare merda in un pozzo senza fondo. In una buona giornata invece, mi godo il privilegio di partecipare ad una conversazione in cui si parla di musica moderna. Che cosa ti piace del mondo moderno? (Band, artisti, musicisti, scrittori) C’è così tanta buona musica e così poco tempo! Mi piace molto Kanye West, è il David Bowie del pop moderno. Laura Marling è una straordinaria cantautrice ad alti livelli. Amo le band fuoricampo come i Polica e gli Arcade Fire che seguono solo i loro ritmi. Me la spasso con i Daft

Punk come fanno tutti. Penso che la sedicenne neozelandese Royale sia davvero interessante perché fa un pop moderno che sembra del tutto in contrasto con i suoni plastificati che hanno dominato per tanto tempo. Elvis Costello riesce ancora a sorprendermi – l’album che ha fatto con i Roots è fantastico, come qualsiasi cosa che provenga dal fiore del suo new wave. Ma è come se stessi scavando nel passato per scoprire cose che ho perso la prima volta. Con un po’ troppo ritardo ho conosciuto i Crosby Stills Nash & Young. Per quel che riguarda gli scrittori invece, ho sempre avuto ottimi libri nel mio kindle! I miei ultimi preferiti sono “Il Tempo è bastardo” di Jennifer Egan, “I lanciafiamme” di Rachel Kushner, “Billy Lynn's Long Halftime Walk” di Ben Fountain e la divertentissima autobiografia di Morrissey. Ma non si può battere Shakespeare. Lui è e sarà il mio numero uno per sempre. Via, consumati, breve candela!! 47


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“DEATH METAL” TITO FARACI ( PIEMME)

DEATH METAL di Tito Faraci Text Francesco Passanisi

Lorenzo D., Walter E., Barbara A., Matteo T., e Stefano H. sono 5 ragazzi pugliesi componenti degli Snake God Hunters, una delle dieci death metal band emergenti più promettenti al mondo secondo niente meno che “Kerrang!”, titolo guadagnato grazie ad un'ottima capacità strumentale e ad un carisma naturale amplificato dal concept attorno al quale ruota la produzione della band incentrata sugli antichi e oscuri riti pre-cristiani che adorano una divinità che si manifesta sotto forma di serpente, frutto delle intense ricerche di Stefano e Barbara. La qualità della loro proposta viene premiata dalla partecipazione all'Oltrepò Death Festival, dove la giovane band si esibirà prima dei leggendari Tiamat, headliner del festival situato nelle campagne dell'oltrepò pavese, un vero dedalo di paesini e stradine di campagna dove è molto

facile perdersi e fare “strani” incontri. Complice la nebbia tipica della zona e le precarie condizioni del loro Volkswagen Westfalia, aerografato seguendo il concept della band, anche gli SGH si perdono nel bel mezzo della desolata campagna lombarda. Sarà proprio il loro appariscente furgone ad attirare le attenzioni di individui ben poco raccomandabili che trasformeranno un meraviglioso viaggio all'inseguimento di un sogno in un vero e proprio incubo.

<<Passeggiavo nella solita nebbia di Silent Hill con l'amico Tito fino a che non scorgemmo Stephen King seduto nella malandata sedia di un bar abbandonato che chiaccherava con Dylan Dog. Ci sedemmo accanto a loro e iniziammo a parlare di “Left Hand Path” degli Entombed fino a che non ci venì voglia di raccontarci storie horror.>> 48


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Ecco l'immagine più vivida che mi ha evocato “Death Metal”, secondo parto letterario di Tito Faraci, nome noto a chi bazzica nei territori del fumetto italiano, autore e sceneggiatore per Dylan Dog, Diabolik, Tex e soprattutto della serie Topolino Noir dove riesce, genialmente, a fondere lo spirito Noir Hollywoodiano con la leggerezza tipica del più famoso eroe Disneyano in una sequenza di chiaroscuri che hanno dato il via ad un nuovo corso per la testata italiana dedicata al topo più famoso del mondo. Libero dai territori più restrittivi del fumetto pur mantenendone come punto di forza il ritmo serratissimo dell'avanzamento della storia, Faraci costruisce una storia che fonde l'horror slasher alle atmosfere tipiche del maestro Stephen King, condendola con elementi presi da musica, fumetti (l'ombra di Dylan Dog aleggia in tutto il libro) e videogiochi pur senza risultare troppo derivativo, riuscendo anzi a creare un universo che farà la felicità di chi, come il sottoscritto, è cresciuto con “IT” sul comodino, “Necroticism” dentro lo stereo, “Silent Hill” e “Resident Evil” stabilmente dentro la Playstation e Dylan Dog sulla scrivania. “Death Metal” scorre con velocità grazie anche ad un serrato alternarsi di due linee temporali diverse (presente e passato) e ad una serie azzeccata di colpi di scena, ben distribuiti in entrambe le linee temporali, che contribuiscono a mantenere altissima la suspance di un romanzo che non fatica a rapire il lettore (il sottoscritto è andato a letto alle 4 del mattino per finirlo in una sola notte, 49

con la sveglia impietosamente puntata alle 6,00). Una menzione d'onore va fatta per i frequenti flashback che raccontano la torbida storia di un bambino cresciuto da una madre debole e da uno zio psicopatico e la sua crescita una volta fuggito da quella folle infanzia che ha lasciato diverse cicatrici dentro di lui. Cicatrici che avranno un ruolo fondamentale anche nella storia degli Snake God Hunters dispersi in una campagna fortemente evocativa e ben descritta, alle prese con eventi ben al di sopra della loro portata. La grande capacità di Faraci sta proprio nell'occhio con cui tratteggia i protagonisti dei suoi romanzi. Così come per “Oltre la Soglia”, il suo esordio letterario, in “Death Metal” non ci sono eroi senza macchia e senza paura, ma solo un gruppo di ragazzi che si ritrova a dover lottare per la propria sopravvivenza scoprendo lati nascosti (per qualcuno repressi) del loro carattere. Il lettore più giovane non potrà che familiarizzare con questi 5 ragazzi, finendo col diventare il sesto componente della band, mentre il lettore più adulto potrebbe imparare ad osservare il mondo dei giovani con lo stesso trasporto e la mancanza di preconcetti che muove l'autore, che sembra uscire dalle pagine del libro per raccontare al lettore la storia che ha inventato con l'intimità che si ha con un vecchio amico. Re Stephen è una stella polare irragiungibile, ma il buon Tito Faraci si avvicina tantissimo a lui con quest'ottimo libro che vi terrà legati alle sue pagine fino alla fine.


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special books & dvd DVD + BLU-RAY TESTAMENT Dark Roots Of Thrash (Nuclear Blast)

ALICE COOPER Welcome To My Nightmare (Tsunami Edizioni)

ALL THE MADMEN (Odoya)

DVD DEVIN TOWNSEND The Retinal Circurs (HevyDevy)

JETHRO TULL A Passion Play (Soundcheck Books)

DVD LIVE AT WACKEN 2012 (UDR Music)

ROGER WATERS Oltre Il Muro (Tsunami Edizioni)

DVD MINISTRY Enjoy The Quiet (UDR Music)

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ART

SIMON MILNER/IS TROPICAL heART

Text Federica Sarra Traduzione Irene Pennetta Photo Courtesy of Simon Milner

Sensuale, spensierato e invitante, è questo il cuore pulsante dei lavori di Simon Milner (che ritroveremo più avanti nelle vesti di musicista). Le sue opere, ricche di metafore, oscillano fra la realtà e un mondo astratto, rivisitato attraverso una prospettiva personalissima. Un'arte ad alto impatto emotivo che si fa strada verso una nuova sensibilità... Chi è il tuo pubblico? A sud di Londra avevamo una galleria aperta al pubblico, che negli ultimi tempi era frequentata da amici e dalla famiglia. Ora però sto cercando di organizzare una grande collezione che veda alla base una sorta di coerenza concettuale. Mi piace considerare la mia arte come parte di un tutt’uno, e non come un’entità a sé. Come definisci l’arte, o la buona arte? Io credo nell’arte concettuale, ma a mio avviso dovrebbe essere coinvolto in essa anche un aspetto dell’estetica. Durante il primo anno di università ero scoraggiato nel vedere lavori pretenziosi giudicati in maniera ottima, poi quando ho lasciato gli studi ero circondato da buffoni senza talento che facevano fortuna semplicemente tagliando la tela. Voglio che l’arte sia per me un’ispirazione. Che cosa ti ha avvicinato all’arte? C’è stato un certo mo-

"LH" 40x50 cm 52


ART

"Our Dead Cat In A Costco Bag" 100x70 cm

"Christopher Green" 100x100 cm

"Britney Spears" 70x100 cm

"Naomi Campbell" 100x100 cm

mento o una qualche opera che ha suscitato il tuo interesse? Disegnare, è stata da sempre l’unica cosa che avrei voluto fare. Sono cresciuto in un ambiente molto povero, per cui carta e matita erano le uniche cose che avevo. Dicci alcuni aspetti chiave per avere una sorta di equilibrio fra vari ruoli creativi (come musicista e artista). Fa bene avere due hobby, così utilizzi uno per scappare dall’altro. L’etica del lavoro è importante per i campi creativi, ma un sacco di gente è ancora convinta che bisogni aspettare l’ispirazione. L’ispirazione è come la fortuna: bisogna trovarsela da soli. Quali sono i tuoi soggetti d’arte? Non mi sono mai occupato di autoritratti. Sono più interessato ai miei amici e al cercare di catturare le loro aure. Poi sono molto attirato dalla fama e dalla morte. Mi piace ricreare le foto di personaggi famosi che abbiamo visto tutti mille volte e ridurli in blocchi di colore astratti, quasi proponendo una nuova immagine. Con la morte, voglio catturare la serenità del soggetto. Qual è il messaggio nascosto dietro il tuo lavoro? C’è per caso un qualche filo comune presente in tutti i tuoi lavori? Vorrei che la gente vedesse le cose attraverso i miei occhi, mostrando la bellezza dove prima non c’era. Cosa speri che la gente possa cogliere dalla tua arte? La calma. Una volta un artista ha detto che il suo lavoro dovrebbe essere un divano. Altri invece non hanno apprezzato quest’analogia, mentre io si. Posso avere un quadro di Bacon, ma Damien Hurst ne ha uno sopra il suo letto... questo è troppo. Molti artisti fanno fatica a trovare il modo di vendere i loro lavori. Come definisci il mercato delle opere d’arte a Londra in questo momento? Ci sono alcune persone che stanno facendo un sacco di soldi. Io non sono effettivamente parte del mercato dell’arte, i soldi rendono le cose meno genuine. Ho iniziato a fare musica perché odiavo questo mercato - proprio come succede per gli studi, è necessario giustificare il proprio lavoro parlando di una marea di cazzate. Ho pensato quindi che il mondo della musica fosse migliore (ride). No, forse è peggiore. 53


PEOPLE

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Dan Swano

Behind the Desk

I Produttori, coloro che forgiano il suono delle band che amiamo e che spesso ne hanno segnato indelebilmente il successo o il declino. Oggi si parla di una vera leggenda, Dan Swanö. In America uno come Dan Swanö si definirebbe “bigger than life”, espressione che tradotta in italiano, pur perdendo molto del suo significato, suonerebbe come “uno da leggenda”. Ed in effetti, “leggenda” è la prima parola che viene in mente parlando di questo straordinario artista e produttore svedese. Attivissimo nella scena svedese fin dai primi anni '90 esattamente mentre la scena Death Metal iniziava a lanciare i primi vagiti dai Sunlight Studio di Tomas Skogsberg, Swanö è perfettamente considerabile come il padrino che ne ha accompagnato la crescita e l'evoluzione del death verso buona parte dei sottogeneri che ha generato. Nei suoi Unisound studios, i giovanissimi componenti di band esordienti chiamate Opeth, Katatonia e Novembre hanno trovato il tramite perfetto per trasporre in una registrazione la ricerca di un sound personale ed innovativo, che non snaturi le radici death metal ma che metta in evidenza le nuove sonorità che cercavano all'epoca. Dan riesce perfettamente nel compito, bilanciando

il tipico sound sanguigno del death metal con la chiarezza e la cristallinità di una produzione di alto livello. Eccellente nella gestione di tastiere e sintetizzatori, riesce a dargli importanza nonostante i muri di chitarre che riesce a erigere e soprattutto senza renderle fastidiose impostandole troppo nelle frequenze alte. Ottimo anche nella gestione delle Vocals, molto aggressive quando si parla di growl e scream e molto affascinanti nel clean grazie ad un sapiente uso del riverbero. Swanö fu anche uno dei primi a riuscire, nonostante i limitati mezzi, a donare a questi album una profondità avvolgente, dando l'impressione che le note di questi dischi fossero in grado di uscire dagli stereo per modificare il luogo attorno all'ascoltatore e trasformarlo esattamente nei luoghi dove queste band dal sound così evocativo volevano portarlo. Sebbene i suoi migliori lavori dal punto di vista “tecnico” appartengano alla sfera Prog Death o Doom Metal, Swanö si trova perfettamente a suo agio anche con i versanti più estremi ed intransigenti 54

Text Francesco Passanisi Photo by Eric Holsson

del metal dove riesce ad unire perfettamente brutalità e pulizia, donando una potenza non comune al sound di band come Dark Funeral e Bloodbath. Fece solo un enorme errore nella sua lunga carriera, ovvero quello di rifiutarsi di produrre lo storico "Brave Murder Day" dei Katatonia dopo aver mal digerito un tale cambiamento di sound. Un errore che comunque non ne ha pregiudicato la sfolgorante carriera da produttore che lo ha visto forgiare il sound di dischi come “Orchid” e “Morningrise” degli Opeth, “The pale hunter departure” dei November's Doom e, ultimamente “Second World” dei The Foreshadowing, oltre a curare personalmente la produzione dei suoi innumerevoli progetti musicali, raggiungendo picchi di classe inarrivabili con album come “Crimson” degli Edge of Sanity o “The Breathing Shadows” dei Nightingale. Di fronte a leggende come queste, che sembrano nascere una volta ogni mille anni, non si può far altro che togliersi il cappello, accendere il proprio impianto migliore e godersi questi capolavori sonori.


SOCIAL

VENI, VIDI, VICI

GLI SKID ROW CONQUISTANO ROMA Text Federica Sarra Photo Gabriele Capriulo

Nella splendida cornice del Cross Roads, a pochi passi da Roma, Gli Skid Row incendiano un'audience già surriscaldata dall'ottima prestazione degli australiani Dead City Ruins. Il pubblico è composto da fan di lunga data ma anche giovanissimi. Una massiccia dose d' energia e un mix di gloriosi successi e nuovi brani sono la miscela che gli Skid Row hanno in serbo per noi, regalandoci uno show indimenticabile. Tengono in pugno la scena per più di un'ora e mezza, il tutto senza mai avere un calo ed è questa la prerogativa delle grandi band che restano tali anche con il passare degli anni e delle mode.


BACKSTAGE DIARY with :

IS TROPICAL Text Federica Sarra Photo Gabriele Capriulo

Difficili da catalogare, sospesi tra ritmi cool e sonorità sperimentali, melodici e ritmati, gli Is Tropical sono una di quelle band che riesce a far felici allo stesso modo hipster metropolitani e aficionados di quell' 'indie rock di migliore fattura. Questa volta vi conduciamo all'interno del loro backstage per un'esperienza molto intima.

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BACKSTAGE DIARY


BACKSTAGE DIARY

Il compito della band inglese più hot del momento è quello di inaugurare Euphoric, la nuova, imperdibile stagione di eventi, concerti e dj set targata Rock 'n York. La cornice è quella dell' esclusivo Atlantico, in zona Eur, in quel di Roma. L'ampio spazio è ben congegnato in puro stile "clubbing" ed è in grado di ospitare al meglio numerose presenze. Veniamo subito accolti calorosamente dal simpatico tour manager degli Is Tropical, Owen, che ci accompagnerà per il resto della serata fra balli scatenati, cocktails, risate e quel pizzico di sana follia che alberga in ogni backstage che si rispetti. I Nostri sono molto concentrati prima dell'esibizione, organizzando accuratamente ogni passaggio della performance che di lì a poco avrà luogo. Prendono molto sul serio il loro mestiere, sebbene l'atmosfera dei loro spettacoli sembrerebbe improvvisata e piuttosto easy. Ma nulla è lasciato al caso. Li vediamo discutere, provare alcuni passaggi e ci viene da pensare che il professionismo nella musica è anche questo. E nuovamente ci sorprendono, mostrando una scrupolosità che è difficile da percepire se li si osserva solo superficialmente. Noi riusciamo a rubare alcuni di quei momenti scattando qualche foto, mentre nel locale l'atmosfera si scalda con l'energico set dei djs romani Cornerstone, che propongono novità e vecchi successi in un mix ben collaudato, il pubblico, composto per lo più da giovani molto attenti alle tendenze, sembra apprezzare molto. È puro divertimento. Qualche birra dopo, l'aria che si respira è frizzante, l'orologio segna le 00 e 30, Simon, Gary e Dominic salgono sul palco regalando un ottimo set serrato, combinando il groove danzereccio che conquista sin da subito i presenti con il carisma e il piglio brillante del trio inglese che non si risparmia mai, l'ambiente è surriscaldato al massimo. On stage prende vita un mix perfettamente dosato di personalità ed emozione. A metà concerto irrompe sul palco l'ormai nota "guest singer"

di turno, che interpreta Dancing Anymore con un notevole savoir faire, giocando e facendo divertire il pubblico. Lo show, impeccabile, si conclude con uno dei miei brani preferiti Yellow Teeth, che canticchio sottovoce dalla mia postazione dietro al palco, quasi con il timore di essere scoperta e lanciata on stage. Con loro non si è mai al sicuro in un certo senso! L'after della serata è affidata al dj set di Tiger, che intrattiene straordinariamente il pubblico proiettato in un delirio danzante. Il nostro personalissimo "after party" continua nel backstage insieme agli Is Tropical a questo punto liberi da ogni pressione si distendono con noi parlandoci di Londra, dei paesi che visiteranno prossimamente (il Ghana!). Adorano viaggiare e prediligono mete non scontate. Luoghi come l'Islanda o le più recenti Colombia e Perù, hanno rappresentato per Simon e soci , esperienze di vita e incontri con culture molto diverse che lasciano segni profondi ci dice Simon. I londinesi Is Tropical dal canto loro, hanno diffuso il loro "verbo", la loro musica e quel loro stile unico. Mentre ci raccontiamo, accomodati sui divani con i drink in mano come se ci trovassimo ad un party in una qualsiasi casa di amici, mostriamo loro con una certa fierezza il primo numero di Sector Noir, dove c'è la loro intervista. Il titolo "Serial Thrillers" è stato molto apprezzato e ci dicono di trovarlo azzeccatissimo. Il chiacchiericcio e le risate si confondo con l'odore dei vodka-apple che ci vengono offerti, shakerati da Simon in persona. Non accade spesso di essere accolti con tale calore, come in una famiglia. Sì per alcune ore ci siamo, o meglio, hanno permesso di sentirci parte della loro famiglia musicale, condividendo con noi gesti e riti pre e post performance. La simpatia e l'affabilità di questo scoppiettante trio non è visibile o confezionata ad uso esclusivo delle loro apparizioni pubbliche. Sono così. Ed è per questo che li amiamo.

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MUSICIAN TALKS

MUSICIAN TALKS INSIDE THE SCENE Text Paolo Serboli Photo Omar Lanzetti

Quando nel 1995 uscì l’album “The Gallery” dei Dark Tranquillity fui sorpreso da quanto il death metal fosse suonato in maniera diversa da come ero abituato a sentirlo. Quel disco mi colpì da subito, me ne innamorai e in quell’anno promisi a me stesso che se avessi trovato qualcuno con cui condividere musicalmente la passione per quelle sonorità , un giorno avrei suonato sullo stesso palco con coloro che personalmente considero i capostipiti del Melodic Death Metal, i Dark Tranquillity appunto. Lo stesso anno incontrai i Desecrate. Dal 1995 a oggi facemmo moltissime cose: album, tour, concerti, registrazioni, split e reunion (nel 2010) ma un’idea è sempre rimasta costante nella mia testa specie dopo la suddetta riunificazione della band, la mia promessa del 1995: Suonare sullo stesso palco con “i maestri”. È il 28 aprile 2013 quando ci viene comunicato dalla House of Ashes, nostro management, che c’è una forte possibilità di suonare il 22 Novembre proprio con i Dark Tranquillity in Italia per il Construct European Tour. La sensazione era di quelle che ti fanno venire le farfalle nello stomaco un inizio di incredulità che lentamente si trasforma in soddisfazione e poi di nuovo in incredulità, erano 18 anni che aspettavo e aspettavamo questa notizia. 18 anni di sacrifici, chilometri, ore di prove, concerti, registrazioni, soddisfazioni, delusioni e tutto ciò che passa una band che ha sempre creduto in quello che fa ma raramente ha realmente concretizzato. Dopo un’attesa di circa 6 mesi finalmente arriva la notizia ufficiale: “I Desecrate saranno in apertura al concerto dei Dark Tranquillity e Tristania il 22 Novembre 2013 al Rock’n Roll Arena di Romagnano Sesia”. È mattina presto quando suona la sveglia in albergo il 22 Novembre, la sera prima abbiamo suonato al Colony di Brescia e quella prima ancora al Traffic di Roma, date organizzate dalla House of Ashes per permetterci di rodare bene la band prima della fatidica serata. Sono le 9 del mattino quando saliamo sul tour bus in direzione Romagnano Sesia (No), il viaggio è di circa due ore, siamo ancora storditi dalle poche ore dormite la notte precedente e c’è poca voglia di parlare anche perché con la testa siamo già là. Durante il viaggio avviso i miei compagni d’avventura che quella sera noi saremmo stati considerati quasi “in più” e che avremmo dovuto in qualche modo adeguarci al fatto che per gli addetti ai lavori prima vengono i due “gruppi grandi” e poi noi “piccoli” pertanto, probabilmente avremmo potuto perfino essere stati trattati a calci nel sedere. Scendo dal tour bus e prima degli altri supero la porta d’ingresso, non c’è ancora nessuno, sorpasso uno dei due varchi e a sinistra intravedo il grosso mixer ancora coperto con un telo, a destra c’è il palco. Immediatamente sento salire dallo stomaco le famose farfalle, confuso tra soddisfazione, commozione e incredulità: quella sera divideremo il palco con i Dark Tranquillity… Sono circa le 11 e, dopo essere stati “posteggiati” all’interno del locale ci dicono di rimanere in attesa di nuove indicazioni, 58


MUSICIAN TALKS

a mezzogiorno passato ci portano finalmente a mangiare un panino in un bar poco distante dall’Arena, quando torniamo l’enorme tour bus bianco è posteggiato di fronte all’entrata e una decina di persone sono intente a scaricare attrezzature e strumenti, con il groppo alla gola ci facciamo avanti per chiedere se possiamo dare una mano ma, inaspettatamente, ci viene chiesto di metterci in un angolo e aspettare, cosi facciamo. Nel mentre che aspettiamo, oltre a veder girare avanti e indietro gli addetti ai lavori, vediamo anche i membri delle bands entrare e uscire dal locale e li le emozioni sono sempre più forti, noi nello stesso posto e per la stessa ragione insieme ai “grandi”, ci sentiamo dei bambini. Alle 16,15 tutto è pronto per il sound check ma i DT non si muovono dal loro backstage e il tempo passa. Comincia a pervadere l’idea che non riusciremo a fare il nostro soundcheck, nel frattempo leggiamo tutte, ma proprio tutte le scritte che le altre band hanno lasciato sui muri... sono le 17,00… sono le 18,00!!!! Alle 18, 15 finalmente la band principale esce dal camerino e scende verso il palco, il tempo di una canzone, qualche regolazione di rito e tornano tutti indietro, sono stati velocissimi, ora speriamo lo siano anche i Tristania, e cosi è, fortunatamente. Immediatamente dopo la band di Mariangela Demurtas veniamo chiamati per le nostre prove del suono, una volta saliti sul palco viene montata la mia batteria ai piedi di quella di Anders Jivarp e di conseguenza tutto il resto della nostra strumentazione, l’organizzazione è impeccabile e professionale tanto da farci sentire serviti e riveriti come dei veri professionisti. Le prove sono andate benissimo, tutto è a posto, non ci resta che aspettare l’apertura dei cancelli e alle 21 saliremo sul palco per dare tutti noi stessi e anche di più. L’attesa è snervante, il silenzio comincia ad invadere il nostro camerino mentre ci cambiamo, intanto la gente entra e si accalca sotto il palco, è previsto il tutto esaurito per stasera e quella gente non è certo qui per noi, ma noi siamo qui per loro e dobbiamo dare il tutto per tutto... E’ ora, ci vengono a prendere! Entriamo sul palco dalle quinte di sinistra, io non guardo neanche verso il pubblico, il mio solo pensiero è andarmi a sedere dietro la batteria, faccio un cenno con la mano per salutare e sento qualche voce che urla, ma solo alcune. Certo, non siamo mica i Dark Tranquillity, tutti si staranno chiedendo cosa facciamo, come lo facciamo, ma soprattutto chi siamo. Non importa, mi siedo, alzo lo sguardo e, in attesa che i miei soci si sistemino, guardo finalmente verso il pubblico… La sala è già piena, non ci voglio pensare, ne ho fatti mille di concerti, certo non cosi, ma ne ho fatti mille… Partiamo! Premo il tasto play del computer per far partire l’intro del concerto che dura circa 40 secondi, un’eternità, ecco che finisce, si parte! Man mano che andiamo avanti a sfornare i brani dell’ultimo album, di quello precedente e anche un paio di inediti, l’atmosfera si fa sempre più eccitata, il pubblico in sala pone un’attenzione nei nostri confronti progressivamente sempre più alta e alla fine di ogni brano le braccia alzate e gli urli di compiacenza sono sempre di più. Ci siamo, li stiamo conquistando, abbiamo sfatato nelle nostre teste quello che era lo stereotipo del gruppo di apertura preso a fischi e ortaggi dal pubblico impaziente di vedere i gruppi principali. Niente di tutto questo, solo applausi e grida, e coloro ai quali dei Desecrate non frega nulla o non sono granchè graditi, ci riservano il rispetto del silenzio, insomma niente fischi o ortaggi, ciò che sentiamo è la consapevolezza che su un palco cosi importante ci sappiamo stare anche noi. È finita. Con l’ultimo pezzo salutiamo il pubblico che di rimando riserva nei nostri confronti un calorosissimo applauso, soddisfatti in toto ci dirigiamo verso il nostro camerino e lasciamo il palco a quelli “grandi” ma con la convinzione che stasera, un pochino, anche noi siamo cresciuti, tesi avvalorata dal fatto che pochi minuti dopo ci viene detto che Mikael Stanne (leader e vocalist) ci ha guardato tutto il tempo dalla piccola balaustra che dal backstage da sul palco. Nei due giorni successivi lo scambio di messaggi e telefonate tra di noi è stato continuo solo per raccontarci sensazioni, aneddoti personali e impressioni, sempre con le immagini di quella sera negli occhi. Per qualcuno sarà una cosa normale, per qualcun altro sarà solo un sogno, per noi è stata la prima volta, forse sarà anche l’ultima, ma di certo resterà indimenticabile! 59


TRAVEL / CULTURE

zoom on... seattle Text Max Carley Traduzione di Emanuele Risso Illustration Eleonora Antonioni Photo Courtsey of EMP Museum

Luce fantasiosa che splende sulla regione del Pacific Northwest, l'Experience Music Project (EMP) di Seattle si autoproclama "museo all'avanguardia, non-profit, dedicato alle idee e all'audacia che alimentano la cultura popolare contemporanea". Fondato nel 2000 e inizialmente chiamato Experience Music Project and Science Fiction Museum and Hall of Fame, l'EMP è frutto dell'immaginazione di Paul Allen, co-fondatore di Microsoft e geek god. Posto ai piedi del celeberrimo Space Needle, la sua struttura bizzarra di oltre 13.000 metri quadrati è opera del noto architetto Frank O. Gehry, tra i cui progetti spicca il Museo Guggenheim di Bilbao. Lo spettacolo continua all'interno, dove i visitatori si imbattono in meraviglie come la Sky Church (un'enorme, avveniristica sala per eventi il cui nome rende omaggio a Jimi Hendrix) e la favolosa IF VI WAS IX, un'enorme, impressionante scultura composta da oltre 500 strumenti musicali e 30 computer. I veri protagonisti che si annidano all'interno del fantastico ambiente del museo sono i contenuti dal valore inestimabile, che

compongono le innumerevoli installazioni che abbracciano musica, cinema, arte e qualunque cosa coinvolga creatività e innovazione. Il lato musicale dell'EMP funge da ottima controparte all'altrettanto magnifica Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland, con esibizioni a rotazione che mostrano costantemente un'ampia gamma di opere di pregevole fattura, tra cui quelle della collezione privata di Paul Allen di artisti come Renoir, Picasso e Monet. Tra le attuali mostre in programma, l'EMP offre profonde visuali sulla scalata al successo dei Nirvana, Jimi Hendrix a Londra, un omaggio alle icone della fantascienza e una mostra cinematografica intitolata Can't Look Away: The Lure of Horror Film ("Non riesco a non guardare: il fascino del cinema horror"). A gennaio il museo sarà sede di un concorso di esecuzione dedicato a Elvis e inaugurerà un'opera in Lego "costruita" intorno all'edificio. La versatilità dell'EMP lascia senza parole, offrendo un'esperienza varia e ricca di sfumature come i personaggi e le leggende custodite al suo interno. 60


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XTRA

E N

OIR LAYOUT BY GIACOMO CERUTTI


EXTRA NOIR

HIS CLANCYNESS

IN HIS OWN STYLE T ext F rancesco M elis Photo Giulia Mazza

His Clancyness nasce come progetto di Jonathan Clancy, cantante e chitarrista italo-canadese già nei Settlefish prima e ora negli A Classic Education. Vicious esce ora per l'etichetta americana FatCat Records, con Chris Koltay (già al lavoro con Liars, Akron Family, Atlas Sound ed altri) alla produzione. Jonathan Clancy ha raccontato a Sector Noir tutte le vicende legate a Vicious, che per certi versi può essere considerato quasi un debut album per His Clancyness. Parliamo di Vicious: in quanto tempo è stato concepito? Da aprile a luglio, quattro mesi per quattordici canzoni. Sono tornato da un tour di sette settimane con A Classic Education negli Stati Uniti e il primo giorno a casa ho scritto e registrato interamente il demo di “Hunting Men”. Poi siamo stati tre settimane a Detroit a registrare il disco. Rispetto alle precedenti produzioni della band si nota un suono più “pieno” e, per certi versi, più completo. È un'evoluzione naturale o è qualcosa di voluto durante le registrazioni del nuovo materiale? Direi che più che naturale, quasi inevitabile, è il primo disco registrato in uno studio, con una band. Jacopo Borazzo e Paul Pieretto mi conoscevano da una vita, abbiamo suonato assieme l'ultimo anno prima di andare in studio e non ho avuto nessun timore a condividere le canzoni con loro. Com'è nato il contatto con la FatCat Records? Veramente casuale, un sogno. Abbiamo registrato il disco senza etichetta, poi ho mandato il master a cinque-sei etichette preferite tra cui loro senza ricevere risposta. Abbiamo suonato a Londra con degli amici, i Lotus Plaza, e casualmente tra il pubblico c'era uno stagista di FatCat

che preso dal live ci ha chiesto informazioni. Dopo qualche giorno mi sono ritrovato una mail dalla label!. Il disco è stato registrato negli USA e la stampa specializzata estera inizia a prestare sempre più attenzione alla vostra musica. Vi vedete maggiormente in una dimensione internazionale rispetto al periodo di Always Mist? Mah, direi di no: per me scrivere le canzoni prescinde un po' da dove andranno a finire o dalla dimensione che poi gli verrà data. A noi escono così. Di sicuro siamo contentissimi del fatto di poter suonare di più in giro e della maggiore attenzione. Però ormai sono tanti anni che faccio/facciamo album e per me il massimo è semplicemente continuare a suonare. Di sicuro sono orgoglioso che questo sia considerato il primo vero e proprio album di His Clancyness, è stato pensato come un album unico, e sono molto felice di come sia uscito”. Com'è stato lavorare con Chris Koltay? Facilissimo perché non dovendo produrre si è concentrato sul tirare fuori il meglio per ogni suono. In più è una persona fantastica dalla personalità fortissima e siamo entrati subito in sintonia, siamo ancora amici adesso. Sta per iniziare il tour. Ci sarà un approccio diverso rispetto al disco? Cosa si dovrà aspettare chi assisterà a un vostro live? Stiamo piano piano imparando tutte le canzoni, e capendo come suonarle in quattro. Devo dire che è stato più facile di quanto pensassi. Mi piace moltissimo la dimensione live che abbiamo in questo momento, riusciamo anche a giocare un po' di più con le canzoni, dilatandole, etc. 63


EXTRA NOIR

LOCAL NATIVES

Dichotomy Of Life T ext F ederica S arra Traduzione Emanuele Risso Photo Bryan Sheffield

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EXTRA NOIR

Se talento e ambizione fossero un cocktail inebriante, loro ne sarebbero costantemente sotto effetto. A sugellare il successo planetario che i Local Natives hanno conquistato di merito con Gorilla Manor, è arrivato a distanza di pochi anni, Hummingbird. L'ultimo lavoro è a tutti gli effetti un vero gioiello che segna la crescita e il consolidamento del gruppo di Los Angeles. Ne abbiamo parlato con Taylor Rice... Come è stato il viaggio che avete intrapreso in questo ultimo anno (o negli ultimi anni)? Che cosa è cambiato davvero? Passare dai garage e piccoli bar ai club e teatri in giro per il mondo è stato un viaggio davvero pazzesco. Il nostro obiettivo da ragazzi, ai tempi del liceo, era avere una band con cui andare in tour. Ora è una realtà che ha preso il controllo delle nostre vite (quest'anno abbiamo avuto più di 180 date). Hummingbird è un disco molto personale e è molto toccante sotto tutti i punti di vista: le tematiche, le tonalità, il sound. È come se, in un certo senso, tutte le canzoni parlassero all'ascoltatore: riescono a costruire un forte legame, si percepisce che sono oneste e sincere. È qualcosa di molto raro al giorno d'oggi. I testi, inoltre, sono maturi e intensi. Era questo il vostro obiettivo quando avete iniziato a comporre il materiale o è qualcosa di spontaneo? Questa caratteristica svela anche molto di voi. Non vi sentite un po' vulnerabili con tutte queste persone a leggere i vostri testi e a sentire le vostre canzoni? Lavorare a Hummingbird ci faceva effettivamente sentire più vulnerabili. Come band ci trovavamo in una situazione incredibile: avevamo realizzato il sogno di una vita, ma ci eravamo anche trovati ad affrontare cose davvero dif-

ficili come la morte in famiglia e relazioni interrotte che ci riguardavano da molto vicino. Penso che l'album sia frutto di queste due categorie di emozioni completamente diverse, eravamo consci di volerlo mantenere personale e sincero. Si direbbe che ha un sapore "agrodolce". Non mi sembra agrodolce, in realtà. Penso che immergersi nelle cose difficili della propria vita sia catartico e molto edificante. Cosa intendi quando dici che esprimete la vostra passione attraverso la musica? Le canzoni devono parlare a tutti noi e per tutti noi, solo in quel momento decidiamo di portarle avanti. Siamo molto collaborativi e con tre autori, quindi mettere tutti d'accordo può essere difficile. È importante che ognuno di noi si appassioni veramente a una canzone prima che continuiamo a lavorarci. Cosa pensi che stia cercando chi ascolta la tua musica, in particolare con Hummingbird? Ognuno ha probabilmente qualcosa di diverso nella vita che lo lega alla musica. Penso che chi ascolta la nostra musica lo faccia per provare le emozioni che già sta provando, non per sfuggirne. Hai qualche influenza musicale imprevista, tipo musica che i tuoi fan potrebbero non immaginare tra i tuoi ascolti? Le mie maggiori influenze musicali mentre lavoravo a Hummingbird sono state Leonard Cohen, Bob Dylan e Nick Drake, non tanto per la musica o lo stile canoro, quanto per la loro abilità nel raccontare storie e il loro considerare una canzone come un viaggio.

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ARCADE FIRE

EXTRA NOIR

A WORLD APART Text Stefano Solaro Photo JF Lalonde

Difficile parlare in poche righe del fenomeno Arcade Fire. Difficile perché a detta di molti il gruppo di Montréal detiene indiscutibilmente lo scettro di band più importante degli ultimi dieci anni. Quasi due lustri sono passati infatti dall’uscita di “Funeral”, album a suo modo unico, che riuscì a catturare lo Zeitgeist di inizio millennio, lanciando in orbita questa piccola orchestra di musicisti canadesi. Nel frattempo sono successe molte cose: gli endorsments di noti artisti e celebrità, l’incetta di premi ed di primi posti in classifica di The Suburbs, e nel mezzo pure qualche accusa di essere diventati mainstream o di aver smarritolo smalto degli esordi. In tutto questo gli Arcade Fire non hanno mai perso in coerenza e sono andati avanti per la loro strada, pienamente consapevoli del ruolo guida a loro attribuito da fan e media. Dopo una pausa al termine del loro ultimo infinito tour si sono chiusi di nuovo in studio con James Murphy a vestire i pannidel loro personale vate, decisi più che mai a lasciare di nuovo il segno. Quello che ne è venuto fuori è ancora una volta l’album giusto al momento giusto. “Reflektor” ci mette un po’ per scaldare i motori, ma una volta

che è entrato in circolo non si può che restare sedotti dalla pienezza del suo suono e dal suo calore. Sono già state spese molte parole sulle influenze haitiane, sui groove quasi caraibici, su un sound mai così vicino alla dance di marca DFA. Quello che preme invece sottolineare a chi scrive è la grandezza di una band che sembra aver fatto della proprio percorso musicale una sorta di missione. Alla base c’è come prima e più di prima la voglia di reinventare e reinventarsi, in definitiva di stupire. Il disco è ancora una volta denso di brani dal carattere universale, capaci di suscitare all’ascolto una moltitudine di sensazioni. Si pensi ai mille riverberi della perfetta title-track, alla sorprendente innocenza di “Here Comes The Night Time”, agli infiniti risvolti e rimandi dell’accoppiata “Oh Euridice - Oh Orpeheus”, o alla perfezione rasentata da “Afterlife”, da cantare e ballare dal primo all’ultimo minuto. Ma in “Reflektor” c’è molto altro ancora. C'è prima di ogni cosa la volontà ed il coraggio di provare a scrivere della musica che sia ancora qua fra dieci o magari vent’anni. E di questo, cari Arcade Fire, ve ne siamo grati. 66


EXTRA NOIR/HOT ALBUM

FRANZ FERDINAND

“Right Thoughts, Right Words, Right Action” (Domino Records)

“Don’t play pop music You know I hate pop music” Text Federica Sarra Photo Andy Knowles

"È l’incontro tra Intelletto e Anima, suonato da un gruppo di cazzoni” dice Alex Kapranos. Chi è cresciuto con il sound degli scozzesi si troverà estremamente d'accordo con l'affermazione, riconoscendo lo spirito del disco dalle prime, esplosive note. L'urgenza incalzante è quella di produrre un lavoro "animale" e contemporaneo che si pone perfettamente a metà fra un ritorno alle origini scanzonate e una maturità lirica acquisita con il tempo, dove la visione estetica dei Franz Ferdinand è la chiave e punto di partenza. Dopo un'attesa durata 4 anni e un album (Tonight: Franz Ferdinand) che non ci aveva lasciato con un gusto saporito, Alex e soci oggi mettono in scena un ammaliante viaggio fra cori, suoni martellanti così cari ai nostri, note infervorate e spensieratezza dando vita ad uno strano incantesimo vivace e colorato che non riesce a tenere fermo l'ascoltatore. Numerosi sono i punti di contatto con i suoni delle prime band new wave, fra tutti i Talking Heads, influenti al punto giusto. La parte più divertente sarà vedere la band dal vivo. I 10 brani di Right Thoughts, Right Words, Right Action sembrano infatti perfetti per essere eseguiti live e ci si aspetterà molto dalle performances. Di una cosa possiamo essere certi, l'elemento che non manca mai qualsiasi cosa i Franz Ferdinand facciano è la classe. E non è poco. 67


EXTRA NOIR / VISIONS

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EXTRA NOIR / VISIONS

DEAD MAN'S BONES DARK FOLK MELODIES Text Federica Sarra Photo Hama Sanders

Attore pluripremiato, sex symbol conclamato e neo divo hollywoodiano consacrato dalla critica cinematografica come il migliore della sua generazione. Sarebbe facile pensare che Ryan Gosling si sia tolto qualche sfizio interpretando questa volta il ruolo del musicista, insieme al suo amico Shields. Niente di più sbagliato. I due invece fanno sul serio, sebbene gli impegni lavorativi di Ryan abbiano permesso la realizzazione di un solo album fino ad oggi. Quell'unico lavoro omonimo, uscito nel 2009, rappresenta una parte molto intima dell'attore. Registrato con alcuni membri del Silverlake Conservatory of Music's children's choir, edito dall'etichetta ANTI- e prodotto da Tim Anderson, nell'album si trovano ben 12 brani intrisi di un'atmosfera teatrale e tetra che rende insolita la proposta del duo il cui sound, in patria, viene subito etichettato come "spook rock". Da sempre affascinato da storie di fantasmi e creature mostruose, Ryan decide di trasporle in musica dando vita a un Folk Rock dal sapore scurissimo e ruvido, talvolta ossessivo e screziato da innesti Blues e Indie Rock. Scopriamo doti inaspettate come una voce calda e profonda e un talento compositivo che lascia sorpreso anche l'ascoltatore più prevenuto. Brani come Dead Hearts, In The Room Where You Sleep non lasciano certo indifferenti. Ne viene fuori anche un tour di successo che tocca solo alcune città americane, dove si assiste ad un inedito Ryan Gosling alle prese con chitarre e microfono e l'attitudine di chi sa il fatto suo. Verrebbe da pensare che come attore possa risultare del tutto naturale calarsi in un ennesimo ruolo, ma stando ai commenti dei critici, anche dei più scettici, quello sembrerebbe essere il suo vero stato di grazia. Sul palco infatti esprime spontaneità e doti sincere da musicista consumato. Le ultime notizie circolate riguardanti i Dead Man's Bones li vedevano invitati da Brian Fallon, cantante dei Gaslight Anthem, a prendere parte al loro tour. Ma la band sembra essere in 'stand by' al momento (vista la mole di film che l'attore/cantante ha girato come protagonista in questi ultimi anni) e l'invito è caduto nel vuoto. Tuttavia l'affascinante e stravagante avventura con i Dead Man's Bones non è terminata o quanto meno non sono mai giunte note ufficiali di uno split, possiamo dunque sperare di sentir parlare ancora di loro. Noi ce lo auguriamo.

Spotify: http://open.spotify.com/ album/49utCA26yGI308xWodqm9x iTunes: https://itunes.apple.com/be/album/ dead-mans-bones-feat.-silverlake/ id332572954

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REVIEWS

ARCTIC MONKEYS “AM” (Domino Records) Ci sono band che provano a cambiare sound con risultati dubbi. Il processo evolutivo che hanno iniziato gli Arctic Monkeys da qualche anno a questa parte trova il suo apice nel nuovo lavoro. Intitolato semplicemente “AM”, il disco mostra un gruppo ricco di spunti e di idee che riesce a rielaborare attraverso la propria cifra stilistica generi apparentemente distanti. Così troviamo brani un po' più “classici” come “R U mine?” o “I want it all” insieme a momenti più spiazzanti come il singolo “Why'd only call me when you're high?”. Senza dubbio una delle uscite discografiche più interessanti di questo 2013. Voto 8.7/10 F.M.

MELVINS “Tres Cabrones“ (Ipecac Recordings) 30 anni dopo la loro formazione, i Melvins sono ancora qui. Sopravvissuti ai cambi di tendenza più svariati ed attingendo a generi come Grunge, Stoner, Doom, Hardcore Punk e Sludge, il gruppo ha ormai guadagnato lo status di band di culto e per certi versi d'avanguardia, ma sembra che non gliene freghi proprio niente. E questo perché i Melvins sono un gruppo di un altra scuola, quella del "suoniamo, beviamo e ripartiamo". Instancabili e provocatori, eccoli di nuovo con il loro "Tres Cabrones", pieno chitarre sature, toni Sabbathiani, accelerazioni punk e cori alcolizzati al limite della demenza più totale. Quale sarà il messaggio di quest'album? Provate a chiederlo a pezzi come "American Cow", "99 Bottles of Beer", "You're in The Army Now" e sopratutto "Stick 'Em Up Bitch". Voto 7/10 G.D'A.

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Ermenegildo Zegna, Jazzy elegance listen to: Gerry Mulligan "Mulligan Meets Monk"

L'Occitane, sweet Folk melodies listen to: Nick Drake "Pink Moon"

Diesel FUEL FOR LIFE SPIRIT, only for real Hard Rockers listen to: Graveyard "Lights Out"

Davidoff Cool Water Nightdive, Cold New Wave lovers listen to: Clan Of Xymox "Clan Of Xymox"

THE SCENT OF ROCK

GUESS Seductive I'm Yours, intriguing as Indie Rock listen to: Arctic Monkeys "AM"

Maison Martin Margiela, Replica, Synthpop allure listen to: Cabaret Voltaire "Red Mecca" 72


STYLE

POLICE To Be The King and The Queen, it's only real Metal! listen to: Lacuna Coil "Dark Adrenaline"

Diesel ONLY THE BRAVE TATTOO, Dark Metal attitude listen to: Katatonia "Dead End Kings"

DIESEL Loverdose, pure Art Rock listen to: Anneke van Giersbergen "Drive" 73


Mieke Dierckx

back in black  HIM LN Beanies

WE

Werkstatt Munchen

FilippaK

Bjorn Borg

FilippaK KENNEL & SCHMENGER

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TommyHilfiger


STYLE

Rituals EMPORIO ARMANI BLUGIRL

SILIS

Kipling Chanel Marie Sixtine Liu Jo

Chanel

back in black  HER 75


ENGLISH TEXT LAYOUT BY GIACOMO CERUTTI


ANNEKE VAN GIERSBERGEN

ENGLISH TEXT

THE NEW PROG QUEEN? Text & Photo Eugenio Crippa Edited By Max Carley

October 24th 2013, a warm autumn day in Milan, saw the ex-The Gathering singer Anneke Van Giersbergen touring Europe again and playing in a place called Salumeria della Musica, a small club usually reserved for classy jazz evenings. Anneke has a new album to promote, "Drive", that consists of heavy-rock oriented songs. Her unique voice shines as usual on this most recent effort. "Drive" is licensed by Inside Out, a record label often strictly focused on today’s progressive rock sound. It feels strange to put Anneke close to the likes of Pain of Salvation, Transatlantic, The Flower Kings and so on… not because she’s not a valid artist, just because her work today is really different. It seems strange to see Anneke interviewed in the English magazine "Classic Rock Presents Prog", along with a retro-cover ad saying that she “takes prog to the masses”. Quite the contrary, she’s taking masses to the prog! It does not come as a surprise that "Drive" has received tremendous acclaim, yet for lots of other listeners who grew up with the music of Anneke’s previous band, this beautiful Dutch singer’s solo career cannot have the same impact as albums like “Madylion” (1995) or “How to Measure a Planet” (1998). We discuss this as well in the words that follow. I


ENGLISH TEXT

I start the interview by showing Anneke a copy of the above mentioned magazine – later that day, I would buy her a new copy in a city centre newsstand, and exchange it with one of her CD’s available at the merch table. I ask how it feels to have met this new recording family and their progressive roster. I love it! The word ‘progressive’ means ‘open-minded’ to me. I am all over the place, so I make music that appeals to progressive rock, metal, and alternative audiences… people in metal say that my music is pop-oriented - and that may be the case - I listen to that genre also. Yet for a pop artist my music is way, way heavy. It’s also not as easy to get airplay on the radio as one may think. (During this first question, Anneke’s band started sound-check on stage; the volume was too high, covering our voices and making us move to the tour bus to continue). We were saying that for a pop audience your music is heavy… And for a heavy audience sometimes it’s light! Yes, that’s why they used to say that in some ways you became ‘commercial’. I know - that’s a contributing factor to me leaving The Gathering. Lots of people also think it’s interesting that I never make the same album twice. I would say that my music goes in waves - and "Drive" is one of these moments when I feel good, I tour, and I see a lot of people. I have a very clear idea when I finish an album of what I want to do next. I made "Everything is Changing", and that album is sometimes a little bit moody - it is up-tempo and there are some poppy elements, but it has darker rock elements as well. After I finished that I thought “Ok, next time I should be up-tempo, energetic, like 3-minute songs, hooky, with very happy production - heavy-bass, huge drums, and the moment it’s released… it’s done! I’m going in waves, I’m already writing songs for the next album, they’re a bit moody again and more melancholic - it’s just a natural thing for me. I may never become massively popular, because people have to think a little bit when listening to my music, they have to follow me around, make an effort; if they dive into my music, into me and who I am as an artist and as a person, I notice that they don’t go away - they really love this world, this atmosphere. I’m extremely happy with what I do. Sounds like you’re not afraid of losing inspiration, since you said you already know what the next step will be. Yes! I’m on day eight of my tour, and I already know what I’m going to do next. I’ve got lots of ideas, sometimes it’s a curse but most of the times it’s a blessing. Working with Inside Out has been fantastic because they give me a big ‘platform’ to make my music and they’re very honest about it. This is your first album on Inside Out Records. Yeah. I now realize why you’ve been featured in Classic Rock Presents Prog magazine, since Inside Out is a progressive music label, with artists like Pain of Salvation, Flower Kings… Well, the guys in Pain of Salvation made a disco song… “Disco Queen”. Yeah, they do lots of things and people love it because it’s honest. That music is exactly what they wanted to make at that moment in time. The prog people… they really love quality, right? Unless it’s not quality music, they’ll love it, you know. Could be true, but if you love the old Pain of Salvation, the new stuff is a bit difficult to get into. I’d call their attitude courageous, but really crazy too. It can be either of those two, but it’s also a natural thing. They’re human beings and they change from time to time. There’s only a few bands that never changed their music - AC/DC or Rolling Stones, but even bands like The Beatles made huge changes in their career. Okay, now II 78


ENGLISH TEXT

I’m mentioning the biggest band in the world, but it’s a good example of doing what they want but continuing to sound like… The Beatles, right? You hear three notes and you know it’s them. I think it’s very inspiring. Do you have a studio at home? How do you usually write music? I write both by myself and with others, like my live band’s guitar player - a very good musician and composer. I also wrote for "Drive" with producer Arno Krabman. I already have ideas about writing for the new album with someone that can take me to the atmosphere that I want. The ideal producer: you have an idea of the sound you want to get, and they make you get there. That’s exactly what happened with "Drive". I wanted up-tempo, energetic, euphoric songs… I was writing them but I needed Arno to make it happen - I don’t know the sonic-technical side as well. I told him I wanted everything big and fat, and he helped me even more than I had hoped, taking my ideas to the next level - exactly what you need when you hire a producer! I’d like to talk about your collaborations. The one with John Wetton: the most unexpected in my opinion. Really? Because I think it’s so natural! Tell me why, then. Because we know each other from way back, since I was in The Gathering. Of course, John Wetton is more prog-oriented you know. When we got to work together, it was so natural because he’s not only a bass player but also one of the best vocalists I’ve ever met. His voice is rich and matches his mind so well because it’s so different, and it’s a good team. Did he ask you to collaborate first? Yes. I asked him to work with me on my ballad album "Pure Air", where we did an acoustic version of that same song. His voice is tremendous, I love it! I’m going to meet him again, because I’m doing the Progressive Nation at Sea, on a cruise in the Pacific Ocean. I know that kind of stuff, I’ve just been to the Melloboat Festival on the Baltic Sea. They make heavy metal cruises on those boats going from Stockholm to Findland, but this one was prog. I’ve never been on one, this will be my first. What did you think about the cruise, as a visitor? It’s great of course, the coolest thing is that you don’t pay for the concerts - just for the trip itself. So you have lots of people who just want to go from Latvia or Finland to Sweden… you have bands like Opeth on board, going around the boat like everyone else, and almost everybody is ignoring them since they don’t know who they are! Any Opeth fan would think, “these guys are crazy”. That’s the beauty of this scene. He (Mikael) could go to the store and nobody would bother him, but tonight for example everyone would. It’s a funny world, right? There was also Devin Townsend on that cruise, and he’s the second guy I wanted you to say something about. I love working with Devin because he’s not only very musically talented, but I have learned so much from him about writing and recording. As a vocalist he makes me do things with my voice that I didn’t know I could, and I’ve been singing for a long long time! I know myself and my voice very well, but he knows exactly what I can do, what my range is, what my limits are. When he wrote my parts for his albums he stretched me for the highs, the lows, the louds, the softs to suit his style. I would say “Devin, I don’t know if I can do this,” and he would say “Yes you can”. He pushes me with confidence, but also stretches my vocal abilities. It’s inspiring because I use this in my own career as well. On "Drive" I think I really stretched my vocals for some songs, power-wise or in a high powered-voice, and I would always think like “If Devin thinks I can do it, I can do it!” He’s a very powerful person. Well, he’s a sort of Steven Wilson, in his own way… Yeah, he has so many ideas and the ability to make them happen as well. I admire him very much. III


ENGLISH TEXT

Another one you worked with is Danny Cavanagh from Anathema. I know you were supposed to release an album together. Yeah, we did a live album together and every half year we go somewhere in the world where we play one or two weeks together, we have like this thing going when we do the acoustic shows mixing our bands’ and cover songs. We always say we’re going to make an album, either a collection of originals or covers, but obviously Danny’s career took off like crazy with Anathema’s last two albums, which are genius. So he’s touring a lot but we find a way to meet from time to time. Danny’s actually playing in Italy in the next days (it was the 26-28th October weekend) with Anathema as an acoustic trio. I personally made him play solo a couple of times here in Milan. Those are the shows I prefer, with alternate versions, lots of cover songs and improvisation. The first time he played solo in Milan he went on for almost 3 hours! He’s such a talented man, he’s great to work with too. We are like brother and sister, we connect very well. They usually say that what’s in the past stays in the past, but you know better than me that you can’t avoid questions about your previous band, The Gathering. No, of course. Well, the question is: what are you really missing from the ‘TG-era’, and what don’t you miss at all? I don’t miss anything ‘material’, I mean, with The Gathering we had such a rich career. We’ve seen everything, we went every place in the world, I grew up in this band. In my musical life I did everything with them, and it feels complete. When I left it was really time to spread my wings, go on to make my own career and my own agenda… I needed to do that. I don’t miss any experience, because I already had them, I cherish them rather than miss them. I always look for new experiences, so I don’t look back a lot, but when I do I think about lots of love and pride and sometimes I miss the guys, like family. Did having a child have an impact on your decision? Yes, part of the inspiration to be on my own was also to take care of my family. I didn’t want to quit music because it’s my life, I just wanted to be able to make my own decisions where family could come first. The Gathering were a band of five people, with a crew, we had to take care of each other which was like a big massive thing, and you can’t do anything aside from that. I wanted to make some side projects, and of course I was allowed to, but I would soon be back to business. In my heart I felt like I wanted more than that, to work with other people, making maybe two side projects and all the albums I want. So when the feeling was too strong, I cut loose from the big massive thing that was The Gathering. There wasn’t anything personal with the other guys, we were still popular and everything was going great, so it was really a thing from the heart, you know. What happened with Agua the Annique? You just made a couple of albums and then split the band… No, it was only a name… it was actually quite stupid because I left the band, I went solo, but I came to town to play with a band name – totally illogical. Also, nobody understood a name like that… I thought it sounded good at the time when I was drinking wine at the bar, but people were wondering “Ok she’s going solo but she’s got a band…” - it got really unclear and after a couple of albums I dropped the name. Without a band name I felt free, I didn’t need one. You also asked your fans to create a logo for the “Anneke Van Giersbergen” ‘brand’, which you aren’t using now. I actually do, just not for everything. I know things are quite unclear sometimes, with the band name, with the logo, with my style of music too, but… it is what it is, everything changes constantly because I like to change and sometimes people don’t follow - they skip albums and come back to the new one and that’s fine, some others just disappear forever, while many say “Oh, that’s really interesting” and will look forward to what I’m making next. The only one thing that’s clear to me is that… it’s me, Anneke Van Giersbergen, it’s the name I was born with and I should use that. Things may be unclear, but they’re honest, it’s what I feel at the time and if you like that then you’re in the right place. But you have to make an little bit of an effort. IV 80


ENGLISH TEXT

Speaking about changes, I confess that I don’t usually care when bands change their lineups, I guess they can’t last forever. But when you left The Gathering… it was like having Black Sabbath without Ozzy Osbourne! I’ll take that as a compliment, they have been there for years and I know that was a big change. To me it was the perfect music with the perfect voice. There’s a new singer now, who’s great, but you feel sometimes that she can’t hit the right note [especially on the old classic songs]. Yeah… she has to grow in people’s heart, too. I know what that’s like. We saw Fish the other day - we played in Munich in the same venue. He left Marillion something like 25 years ago, and they still say “Fish: ex-Marillion” - he did so many things after! Because it was at the peak of the band’s career, they were touring with Queen for example. Yeah. I’m not comparing myself to the likes of Fish, but I’m saying when people grow up with a certain band and they’re in their hearts and a big change takes place, it takes effort to accept that and go on. When did you realize you had this great vocal talent? Did you follow any course? When I was 13 I started to take vocal lessons, and my music teacher at school told me “you have a voice, but you should develop it, you should take training now,” and I did. I took lessons for 14 years or so, I did some technical stuff, some classical, some jazz… even before I was 13 I knew I would do something with music, art, dancing, and I was singing as well. I did these little competitions, and I was always surprised to be in the top three every time, without taking any lessons. I loved singing, I took lessons, I was in all kinds of bands, I joined The Gathering, and you know the rest. I still love singing, there’s not a day that I don’t feel like that. I’ve got the TG’s “Accessories – Rarities and B-sides” compilation and the deluxe “Mandylion” edition with lots of demos and rehearsal tracks, and I believe that in some of those songs you sing even better than on the final versions. I know what you mean, your first effort is there, and of course even if the sound is bad, the words aren’t right yet or there’s a lot of stuff that’s wrong with it, it feels so good. When you actually record it and everything is fine, it doesn’t feel like the demo; demos have the true spirit of the song. When you clean it up you miss some elements of spontaneity. Some say that a song is good when you get the same effect if you play it just with a guitar and voice. Demos are more raw and spontaneous. When you enter the studio you have to shape things a little bit, it sounds more refined but a little bit ‘fake’. With The Gathering and also now I have always worked to make it sound like we’re not overdoing it. All the guys in the band had so many melodic and rhythmic ideas - that’s what made the rich sound of TG - they all wrote music. But I also like it rough, and my first solo album, "Air", was as rough as the demos - exactly the point I was trying to make. I was like, these are the songs. The band learned them and then we did a few takes in the studio with a few overdubs. You hear some glitches, some mistakes, some crackles I made, but it’s a very honest record.

V


RED FANG

ENGLISH TEXT

raw flavour Text Adam Soshnick Photo James Rexroad

You have a new record coming up called Whales and Leeches. Can you give us any clues? Would you say your sound has changed at all? I think it certainly still sounds like Red Fang, but it's got some new flavor as well. This record feels a bit more "urgent" and "raw." It's hard to describe sounds with words, so I encourage everyone out there to check it out for yourself. Everyone. Go ahead! Do it now! Your single, Blood Like Cream, sports a nifty line on the cover that says it was recorded in stereo. What’s the story behind that? It's true! It was recorded in stereo. You can really tell when you listen on a pair of kick-ass headphones. It really takes you to a whole new world where left is right and right is left and whales and leeches live in harmony and wolves have antlers and everything is awesome. You’ve released two full-lengths with Relapse so far. What’s your experience been like with them? Our experience with Relapse has been fantastic. They opened a West Coast office in Portland, OR (where we live) five or seven years ago. It's nice to be able to run into them socially out at the bar and just kick it. They are not scary men in suits working behind golden curtains, ya know? They are regular bros just like us, so we feel pretty comfortable tossing ideas back and forth. We have a pretty killer relationship right now. What do you have planned past 2013? Or is it too early to tell? Lots of touring!!! We have tours booked through April 2014 so far, and I'm sure there will be plenty more. We will see you soon! And if I may ask: what band has been your favorite to tour with? We have been very lucky and almost EVERY band we've toured with has been killer. Mastodon, Valient Thorr, Black Tusk, The Sword, Saint Vitus, Crowbar, Clutch, Cancer Bats... the list goes on. FAR too many rad bros to choose a favorite. Anything else you’d like to add? We are VERY excited to come back to Portugal! It's one of the most beautiful countries we have visited, and we never get to spend enough time there. Hopefully, we can have a day off to really soak it in next time! VI 82


ULYSSES

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"...We'll give you the 70s!!!!" Text Federica Sarra Edited by Adam Soshnick Photo Lily Smith

What was the incipit? Is there any specific experience you can point to that originally motivated you to start writing Kill You Again? And the first song of the album you've worked on? The first song we did for the album was that crazy old lady Mrs Drawnel. I think the song Kill You Again came a bit later. We soon realised Kill You Again (the song) was a theme song for a '70s James Bond film that never was, so we went to town with it, all the locations - the reggae middle section! Then that became the title for the album and the artwork concept. At what point do you think you guys really found your sound that you have now? It took a while. We'd always been kind of '60s, and yet kind of heavy, and then people kept saying we were '70s, so we thought OK then - we'll give you the 70s!!! When you're writing music and lyrics, do you try to think of what fans would react to most, or what you guys personally want most? We literally just do what we want to do very selfishly, with no regard to how other people are going to react to it. As long as we get rocked by it or find it funny or are moved by it, then that's all that matters to us. We're like wild men in the woods building something - that male work ethic! Give us the best qualities of the musicians in your band... Jules (bass) - the anchor, the heart, and the soul of the band - he's like our Mick Fleetwood AND our John McVie! JULES MOMENT: Kill You Again middle section - so groovy. Tom (rhythm guitar) - chaos, black magic, and a certain '"je ne sais quoi." TOM MOMENT: Taxi Driver - first solo. Shane (drums) - people love him. He's our Keith Moon. Very flamboyant - a great vocal harmonist, too. SHANE MOMENT: Mrs Drawnel - lyrical drumming par excellence. Luke (vocals / lead guitars) - I write a nifty song, I guess, and play a mean guitar every now and then. LUKE MOMENT: April Showers - as close to a perfect pop song as I've written so far. I'm still trying! VII


LOCAL NATIVES

ENGLISH TEXT

Dichotomy Of Life Text Federica Sarra Edited by Max Carley Photo Bryan Sheffield

What has your journey as a band been like over the last several years? How have things progressed? Going from playing in garages and tiny bars to clubs and theaters all over the world has been a really crazy journey. Our goal when we were kids in high school was to be a band on tour, and that reality has definitely taken over our lives. We played over 180 shows this year. Hummingbird comes across as a deeply personal record that speaks directly to the listener. It is a touching album both thematically and sonically. Did you intend for this work to be so mature and intense? Do you ever feel vulnerable with so many people reading your lyrics and hearing your songs? Making Hummingbird did feel more vulnerable. We were in a really crazy place as a band, having fulfilled this life long dream, yet at the same time going through some really difficult things like death in the family and broken relationships that were very near to us. I think the album pulls from these two very different sides of our emotions, and we wanted to keep it personal and truthful. Would you say the making of the album was bittersweet? It doesn't feel bittersweet actually. I think diving into the hard parts of your life is very cathartic and uplifting. How would you say that you express your passion through your music? The songs have to speak both to us and for us before they cross the line to becoming full band songs. We're very collaborative with three song writers, so getting everybody on board can be difficult. It's important that everyone is really passionate about a song before it can move forward. What do you believe the listener is searching for when they’re listening to your music, especially with Hummingbird? Each person is probably bringing something different in their lives to interact with the music. I think people listen to our music to feel what they are feeling, not to escape it. Do you have any kind of unexpected influences? My biggest influences while I was working on Hummingbird were Leonard Cohen, Bob Dylan, and Nick Drake, none of which are really melody lead artists. I was pulled in by their sense of story, that feeling of every song being a journey. VIII 84


NEIL MCCORMICK

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SMART MARKS Text Federica Sarra Edited by Max Carley Photo Courtesy of Neil McCormick

How would you say that music gives you an escape? Music takes me to an inner world, it is the most personal of all art forms, because it resounds in the echo chamber of your own head, lyrics are interpreted through your own memories, sounds trigger your own emotional feelings. But it is also the most universal art form, because if you are in a room listening with other people, rhythm and melody lock you into a groove together. Ever since I was a child, music has released me from the present moment into the eternal moment. It's extraordinary stuff, really. What was your music taste at the time you started your job? How has it changed? My music taste doesn't so much change as grow. I still love all the music I started out loving but I add to that with each great new artist I discover. My musical templates are the obvious ones for a child of the Sixties: Elvis, The Beatles and Bob Dylan are my touchstones, always, the primal Gods of rock. When I first wrote for a magazine I was a teenage punk, and I still respond to anything that carries the shock of the new. I like music that has depths and riches that correspond to the songs I grew up with but I also like music that baffles and bamboozles me, that sounds like it couldn't have existed in another age. I'm a big hip hop fan, which as a grey haired white guy in his fifties could be construed as quite embarrassing. And I like a lot of modern pop, not so much for the lyrical content as the digital sounds. Classical, jazz, folk, electro, techno, ambient space dub, I can take it all but you probably won't find me listening to much metal (or, indeed, anything involving screaming vocalists). What is Success to you? At this point, do you believe you have reached it? Life is so ever changing, full of daily triumphs and defeats. One moment I feel successful, the next I feel like a beginner. If my teenage self could see me now, working as a music critic for a respectable British newspaper rather than actually making my own music, he'd probably want to slap me. Mind you, I might slap him first for being such a ridiculous dreamer. I have a 25 year relationship, and a ten year old son who brings me endless joy. That's success of a kind. When I write a good sentence, that feels like success. It's not a number one record though. Priorities change. But I guess, I wrote a book about my own life (Killing Bono) and they made a film of it with a very handsome actor (Ben Barnes) playing me. And now I have even been translated into Italian. So I should just declare myself a success. IX


ENGLISH TEXT

What are the major challenges that you have faced in your career? I spent 13 years in bands, trying to get a record deal and have a hit, that was challenging on every level and I wound up feeling like a thirty year old failure. I had to pick myself up and start a new career, and that was a very different kind of challenge. It's been interesting. The challenge now is to stay excited, stay involved, and keep doing work that makes me glad to have this rather peculiar job, which, let's face it, is a ridiculous occupation for a middle aged man. Looking back, has someone tried to control your creative freedom somehow? I have always been very headstrong, very passionate and very argumentative, so I push hard for the things I believe in. What I do as a journalist has constraints that I have to recognise and really I work with my editors to create the kind of music writing that suits the publication. That's a limit. I don't have the freedom of a poet or a songwriter and sometimes I find myself at loggerheads with my employers. But it keeps things interesting. Now tell us about your "Killing Bono" book, recently released in Italian. How long did it take to write? I wrote it very quickly, in about seven weeks, but I had already had a lifetime to think about It. It's the story of my failed career as a musician, in a band that started out with my schoolfriends in U2. It was quite hard to watch them going on to world beating success whilst I was stuck at the bottom level of the music business, but my own rather dismal career is probably more true of most musician's experiences. Commercial success is rare, and we losers will always outnumber the winners. I thought it would be funny to write a guide that was really "How NOT To Succeed In The Music Business." And I learned a lot about myself along the way, and I was able to try and answer the question of why my friend Bono made it and I didn't. It takes talent, sure, but it takes perseverance and luck too. Probably luck most of all. Now I tell any band that comes to me for advice that they should always put the music first, do things for the right reasons to the best of your ability and try and have fun. Then, if commercial success comes, you'll have a great career but even if you don't succeed, you'll still have had the pleasure of making great music. Music should be its own reward. Which band would you like to play in nowadays? Why? I still play in a band, because music is for life. I just don't try and push it on anyone else anymore. I play with a bunch of old rockers (including the drummer in my old band, Shook Up!) and we call ourselves Groovy Dad and actually we're pretty shockingly good. If I had had this band at 21, I'd have taken over the world. But at 51, it's just a hobby, and we play for the sheer pleasure of it. And I hope I'm still doing it when I'm a Groovy Grandad. Has reading been compromised or enhanced by the digital world with its interactivity? How? Technology changes but the instincts to create art, to write and read and share experience will always be the same. It's a challenging time for journalists, for sure, as the old media is being changed completely by the barrier-less interactivity of the Internet. But it's also an exciting time, new forms of communication are emerging and the role of the professional journalist as gatekeeper to the news and arts is becoming redundant. Oldies tend to grumble about change but if I was young, I'd be thrilled by all the new possibilities. On a bad day, I might grumble about my job effectively becoming shoveling shit into a bottomless pit. On a good day, I enjoy the privilege of participating in an ongoing conversation about modern music. Who surprises you today (bands, artists, musicians, writers)? There is so much good music and so little time! I am fascinated by Kanye West, he is X 86


ENGLISH TEXT

“KILLING BONO� NEIL M C CORMICK ( best BUR )

the David Bowie of modern pop. Laura Marling is an extraordinary singer-songwriter working at the highest level. I love left-field bands like Polica and Arcade Fire who just follow their own noises. I've been grooving to Daft Punk like everybody else. I think that sixteen year old New Zealand girl Lorde is really interesting because she's making modern pop that seems completely at odds with the big plastic sound that has dominated for so long. Elvis Costello can still surprise me - the album he has made with the Roots is fantastic, as good as anything from his new wave prime. But I am just as likely to be digging back and discovering things I missed out first time round. I rather belatedly just got into Crosby Stills Nash & Young. As for writers, I've always got a good book on my kindle! Recent favourites have included Jennifer Egan (A Visit From The Goon Squad), Rachel Kushner (The Flamethrowers), Ben Fountain (Billy Lynn's Long Halftime Walk) and Morrissey's outrageously entertaining autobiography. You can't beat Shakespeare though. He's my permanent number one. Out, out, brief candle! XI


SIMON MILNER/IS TROPICAL

ENGLISH TEXT

heART Text Federica Sarra Edited by Max Carley Photo Courtesy of Simon Milner

Who is your audience? We used to have a gallery in South London open to the public, but as of late it has been my friends and family. Now I'm trying to get a large collection together with a running coherence. I like my art to be part of a package, I never really do one offs. How do you define art, or good art? I understand conceptual art but in my belief there should be an aspect of aesthetics involved. In the first year of university I was put off by the pretentious work that got good grades, and then on dropping out, I was surrounded by talentless jokers making a fortune producing gash work. I want art to inspire me. What got you into art? Was there a certain moment, or a certain piece that got you interested? Ever since I can remember I've been drawing, it was the only thing I wanted to do. I grew up very poor so a pencil and paper was sometimes the only thing about. What are some key aspects to balancing multiple creative roles (as musician and artist)? It's good to have 2 hobbies, use one to escape the other. Work ethic is important to the creative fields, yet a lot of people think they should wait until inspiration comes along. Inspiration is like luck: you have to find it yourself. What subjects do you deal with in your art? I've never made a self-portrait - I'm more interested in my friends and trying to capture their auras. I also have a fascination with fame and death. I like to recreate photos of famous people that we've all seen a thousand times before and break them down to abstract block colours, almost making a new image. With death, I want to capture the serenity of the subject. What is the message behind your work? Is there some common thread present in all your pieces? I guess I want people to see things though my eyes, showing beauty where it wasn't before. What do you hope people will take away from your art? Calmness. An artist once said that his work should be a sofa. Other artists didn't like this analogy, but I agree. I get a Bacon painting, but Damien Hurst has one above his bed…that's too much. Many artists struggle to find ways to sell their work. How is the London art market at the moment? Some people are making a lot of cash. I haven't really been part of the art market, money makes things less pure. I started to make music because I hated the art market – it’s just like in studies, you have to back up your work with talking shit. I thought the music industry was better (laughs). Maybe it's worse. XII 88


ARCADE FIRE

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A WORLD APART Text Stefano Solaro Traduzione Irene Pennetta Photo JF Lalonde

It finds it hard to briefly talk about the Arcade Fire phenomenon. According to many, the Montréal band unquestionably holds the primacy of the most important band of the last ten years. In fact, from the unmatched album “Funeral” have nearly passed two decades, that album that cast a spell on the Zeitgeist of the new millennium, launching this small band of Canadian musicians. In the meantime, a lot has happened: the endorsements of famous artists and celebrities, the hoard of awards and first place of the hit of The Suburbs, as well as some accusations of becoming mainstream or of having lost their early sheen. In all this, the Arcade Fire has never lost its consistency and has taken its own way, fully aware of the leading role assigned by fans and media. After a break at the end of the last endless tour, the band got started in the studio with James Murphy who dressed up the part of a personal foreseer, bent, more than ever, on leaving again his mark. What came out is once again the right album at the right time. “Reflektor” takes a little time to warm up the engines, but once entered the bloodstream you will be attracted by the power of its sound. Many words have been said about Haitian influences, almost Caribbean grooves, for a sound ever so close to the label DFA dance. Instead, what needs to be highlighted is the greatness of a band that seems to have made some sort of mission of musical journey. Basically, it is still alive, more than ever, the desire to re-invent and reinvent themselves. To sum up, the desire to amaze. The album is once again full tracks with universal features, likely to give a multitude of sensations. Just think about a thousand reflections of the perfect title-track, the amazing innocence of “Here Comes The Night Time”, the infinite implications and references of the couple “Oh Euridice - Oh Orpeheus”, or about the almost perfect “Afterlife”, that deserves to be sung and danced from the first to the last minute. But in “Reflektor” there is much more. First of all, the desire and the audacity to try to write music that will be still here in ten or even twenty years. And for that, dear Arcade Fire, we are grateful.

XIII


ZOOM ON:

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SEATTLE Text Max Carley Traduzione di Emanuele Risso Illustration Eleonora Antonioni Photo Courtesy of EMP Museum

A creative beacon glowing atop America’s Pacific Northwest, Seattle’s EMP bills itself as ‘a leading-edge, nonprofit museum, dedicated to the ideas and risk-taking that fuel contemporary popular culture.’ Founded in 2000 and formerly known as Experience Music Project and Science Fiction Museum and Hall of Fame, EMP is the brainchild and gift-to-all of Microsoft co-founder and geek god Paul Allen. Situated at the foot of the world famous Seattle Space Needle, EMP’s absurd structure and flowing 140,000 square foot floor plan are the work of famed architect Frank O. Gehry – whose lofty resume includes Bilbao Spain’s Guggenheim Museum. The visual feast continues inside, as guests are treated to wonders like the indoor Sky Church venue (which looks exactly how you picture it in your head right now, but with more black and purple) and the awesome IF VI WAS IX, a massive, tornadic, jaw-dropping sculpture composed of over 500 instruments and 30 computers. The true stars nestled within the museum’s gorgeous environment are the priceless contents that make up the myriad installations spanning music, film, art, and all things creatively innovative. EMP’s musical side serves as a brilliant cross-country counterpoint to Cleveland Ohio’s equally superb Rock and Roll Hall of Fame, and its rotating exhibits consistently display a wide array of world-class work - including pieces from Paul Allen’s personal art collection by the likes of Renoir, Picasso and Monet. EMP’s current exhibit lineup features an in-depth looks at Nirvana’s rise to fame, Hendrix in London, an homage to Science Fiction icons, and a film exhibit entitled ‘Can’t Look Away: The Lure of Horror Film.’ In January the museum will host an Elvis performance competition and unveil a Lego exhibit ‘built’ around architecture. EMP’s creative versatility is astounding, offering up an experience as varied and nuanced as the characters and legends enshrined within. EMP Museum 120 6th Ave N. STE 100, Seattle, WA 98109 EMPmuseum.org

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SAND

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Kaleidoscope of Emotions Text Federica Sarra Edited by Adam Soshnick Traduzione Emanuele Risso Traduzione review Irene Pennetta Photo Courtesy of SureShot Pr

How did your experience writing this album compare to recording with North Atlantic Oscillation? Very different, because I told almost nobody about the project until it was finished, and because I was working on it entirely alone. Were there any disadvantages to working solo? Yes: the looming threat of insanity. The longer you work on your own, the more you begin to doubt your material, and to hear more bad than good in it. But there are many advantages, too. Having no external deadlines, and no scheduling problems, and no need to translate from music into spoken language so that someone else can understand what you want, these are great freedoms. XV


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Could you compare Sand with Fog Electric? What they have in common or don't? Sand is a bit more personal, both in the lyrics an in the arrangements. There are more acoustic guitars and softer drums, and while Fog Electric deals with larger, more "eternal" themes, Sand is about specific experiences and events. What they have in common, I hope, is a tendency to avoid musical clichés. What was the first song from the album that you worked on? I can't remember! It might have been Astray, but I'm honestly not sure. I worked on several songs simultaneously, so the timeline is blurry. What are the main themes that influenced your lyrics? The infuriating, hilarious, horrifying, orgasmic junkyard of being human and alive. What do you think N.A.O. fans will love most about your project? While I hope that Sand continues NAO's trend of being musically inventive without descending into self-indulgence, it perhaps offers a less mechanistic, more organic perspective on the same scenes.

R EV I EW

“Sand” (Kscope) This solo experiment is musically likely to be the same as for the N.A.O.’s works, but it shines on its own thanks to the heavy search of sounds and mix of genres. There are almost pop frameworks holding intense melodies and energetic or introspective moments, wisely tied up to give life to a prime song that captures the listener from the very first song “Life Is Too Easy”. Sand makes his intentions clear: a very personal album, far from cataloguing, just source of the pure and fertile inspiration of Sam Healy and he succeeds with it. His heady songs, full of multiple faces, colors and images, are just like a kaleidoscope of emotions, amazing listeners at every step. Sand is likely to become a great little gem within the neo-progressive landscape. Rate - 9/10

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WINDHAND

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"Our long song lengths probably hurt us more than they help us from a professional standpoint." Text Max Carley Photo Tony Lynch

Describe your relationship to your instrument and to making music. To me, it is all about the mood you are in when you decide to pick up a guitar and play music. You may go in to it feeling a certain way, or maybe you just want to play guitar, and that's the riff that comes out. "Evergreen" is an obvious standout on Soma, talk about how it came to be and how it fits with the rest of the songs. "Evergreen" definitely ties in to the feel of the record, and we also wanted something to break it up so that every song doesn't just pummel the listener the whole time. It was Dorthia's song she contributed to the album, and she's the only one on it. What's the story behind your long song lengths? Our long song lengths probably hurt us more than they help us from a professional standpoint. An average song is around three minutes long, but our shortest ones are up around six or seven. I think that it means more to us XVII


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as a band to have somebody pay attention to our songs for longer, especially in this day and age. What are some differences between your songs as they are recorded compared to how they are played on stage? On stage I play to Ryan our drummer, I work to accent things that he does. There are some songs, like 'Summon the Moon', where we don't go in to the extended outro on it because we like to play it in the middle of our set - we retrofitted this and a couple other songs just for the sake of time. How has fan reception and reaction to Soma been during the tour? Our fans' reception of Soma has been great. The album seems to be doing well and people really like it. That being said, when we play an older song like 'Winter Sun,' the crowd has a bigger reaction to it. I think that over time they will respond the same way to our Soma tracks, once they have had time to become more familiar. What's your favorite track off the new album to play live? I like 'Feral Bones' - the timing on it is a little weird, and I have to pay a little more attention to it. Any good stories from the road on this tour? Here's a crazy one: we were playing a club in San Francisco, and the door guy was being a dick and acting very important. We told him we were playing tonight and he was like, 'yeah, everybody's playing tonight.' Soon after that he got in to a fight out front with this guy that was half his size, then we looked back a little later and there were people standing over a body in the street - it was the door guy! He was twitching and there was blood everywhere, I'm not sure who beat him up. What have you been listening to in your van? A lot of the new Queens of the Stone Age album, and the Keith Richards book on tape.

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GOD IS AN ASTRONAUT

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JOURNEY OF SOUNDS Text Federica Sarra Edited by Adam Soshnick Photo Eliana Giaccheri

What experiences or ideas inspired Origins? T. Well, it was really simple. All our music comes from our experiences from the last three years, so what happened in our lives has inspired us. Stylistically, we wanted to do something a little bit different this time, so we decided to work unconventionally, like sculpturing the sound and turn weird sounds into songs. It's very exciting because this is a way to work without planning. It's surprising, and it brings the sound out a lot more. How is it different from your past work? T. I don't know if it is very different. Some elements are the same, but we brought much more into it, like some groove, bass lines, vocals... And how do you get from an idea to the final soundscape? T. It's a kind of mental state you are into at the time, where feelings and soundscape get connected. It has to collide with the sound. You have a certain frame in mind, and then it turns into a track. It was like a journey of sounds? T. Absolutely... Nostalgic and groovy. J. It's always a reflection of the mood you're in; you cannot just sit in front of the piano or the guitar and say, "today I'm going to write this or that song!" For instance, I wrote "Strange Steps" as a tribute for my aunt. She died last year, and the emotions guided the making of the song. It was a sad moment... But that's the power of music. You can turn a sad emotion into a beautiful melody or lyrics... J. Yeah, definitely; sure. I like the fact that there is a strong meaning into our songs XIX


ENGLISH TEXT

for us, and at the same, time they can mean something completely different for the listener. T. Songs like "Calistoga" also celebrate life. What do you hope people will take from Origins? T. I just hope they'll go on journey with every track, and I hope people will have an open mind while listening to all the tracks. I knew before we released this album that it would have been very strong in terms of emotion. I also hope they will take the time to explore it, to listen to the songs, not to just "hear" music but "listen,� too. J. All these new tracks are working very well live. We can see people are totally into it. T. Moreover, when they hear this album live, I'm sure they can understand it more. You know, after seven albums, sometimes people get lazy or whatever, but I hope people will take time to have a proper listen, not a speedy listening. So when we perform songs, we can connect with the audience and maybe someone can change his mind. Italian critics, for example, were really rough about Origins, but I can tell you by now, they're wrong! So we hope to change their minds by playing it live. How is the music scene in Ireland at the moment? T. Well, it's really difficult for a band like ours to make it outside the country. However, there are a lot of good groups. I think that, if they got the opportunity to play outside the country, they could make a bit of an international fanbase. If you are a band coming from England, it seems like you would get more exposure. It's pretty much the same for Italian bands... T. England is definitely very influential for a lot of countries. London is a musical capital, so it's kind of normal that people and press are more focused on those cities... Also the American cities as New York or Los Angeles are musically very exposed. But we were really lucky! Internationally, you're doing great, so I guess you can say you made it! T. Well, I don't know it! It's like two steps forward one step back. Sometimes you make an album, which has appeal in your local scene, as Origins, and it gets a lot of critics somewhere else, or the opposite... You never know! J. In any case, I don't think bands should be influenced by bad critics, anyway. Now, be honest with this last question: do you feel you have more "colleagues," rather than "competitors," with the current state of the music business? J. (laughs) That's a really good question! It's a battle. You are doing a battle all the time, but it's a friendly battle. You can have healthy competition. Have you seen the movie Rush? That is a good example of being friends and having a competition at the same time. I like the part when Niki Lauda says to his rival, "I need you to be here, because you motivate me to be my best. I need you around!"

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