Libro Don Bosco è Qui - Peregrinatio dell'Urna in Lombardia ed Emilia Romagna

Page 1

31 GENNAIO - 28 FEBBRAIO 2014

QUI CON VOI MI TROVO BENE LOMBARDIA, EMILIA-ROMAGNA, SVIZZERA, SAN MARINO


SONDRIO

13-14 febbraio

LUGANO

25-26 marzo

BERGAMO

7-9 febbraio

BRESCIA

10-11 febbraio

MILANO

31 gennaio 4 febbraio

CREMONA CREMA

PAVIA

5 febbraio

MANTOVA

12 febbraio

6 febbraio

27-28 febbraio

MODENA

25-26 febbraio

PARMA

FERRARA

18-19 febbraio

15-16 febbraio

RAVENNA

REGGIO EMILIA

23 febbraio

21-22 febbraio

BOLOGNA

17-18 febbraio

FORLĂŒ

20-21 febbraio

SAN MARINO

24 febbraio


31 GENNAIO - 28 FEBBRAIO 2014

QUI CON VOI MI TROVO BENE LOMBARDIA, EMILIA-ROMAGNA, SVIZZERA, SAN MARINO



Lettera di inaugurazione della Peregrinazione dell’Urna di don Bosco don Claudio Cacioli Ispettore dei Salesiani dell’Ispettoria Salesiana Lombardo Emiliana

Come Salesiani di Lombardia - Emilia Romagna - Svizzera - San Marino - siamo contenti di poter ospitare nelle nostre regione le reliquie di un santo a cui siamo particolarmente devoti e riconoscenti. Il senso di questo pellegrinaggio è stato così spiegato dal nostro Rettor Maggiore, don Pascual Chavez Villanueva, IX successore del Santo educatore: “Ho immaginato quanto potesse essere bello e importante far arrivare il nostro caro don Bosco in tutti i paesi in cui operiamo e offrire ai tanti giovani e alle famiglie la possibilità di sentirlo ancora più vicino. Oggi don Bosco, il dono più bello che l’Italia ha dato ai ragazzi del mondo, vuole andare là dove sono i suoi figli, i giovani, vera luce e speranza per il futuro”. Non un richiamo nostalgico al passato, quindi, ma una affermazione che don Bosco è ancora vivo e ancora parla ai giovani. Vogliamo allora che le nostre regioni dal 31 gennaio al 28 febbraio 2014 siano coinvolte in un grande evento che manifesti l’attenzione ai giovani, come don Bosco ha fatto durante tutta la sua vita: in questo modo “restituiamo” don Bosco alla Chiesa, alla società e soprattutto ai nostri cari giovani! Mi pare bello pensare a quanto dice Chesterton in un suo passaggio molto significativo, in cui afferma che “ogni tempo è salvato dal santo che maggiormente lo contraddice”. Ecco allora che in una società in cui troppi vengono meno al loro compito educativo, dalla famiglia alla scuola, don Bosco ci “salva” riaffermando che non c’è cosa più Santa, utile, importante... Che educare i giovani!

Don Claudio Cacioli - Ispettore 3



Lettera dal Rettor Maggiore a don Elio Cesari Delegato per la Pastorale Giovanile dell’Ispettoria Salesiana Lombardo Emiliana Carissimo don Elio, è stata una grande gioia rivederti questi giorni del vostro incontro al Salesianum. Ti ringrazio dell’affetto e grande stima che hai del Rettor Maggiore, il Don Bosco d’oggi per te! Mi complimento con te per l’organizzazione e preparazione del pellegrinaggio dell’Urna di Don Bosco nella Ispettoria a partire del 31 gennaio sino al 28 febbraio. Mi auguro che il passaggio del nostro amato padre e fondatore per l’Ispettoria porti con sé non soltanto molto entusiasmo ma soprattutto il desiderio di rinnovamento profondo dei Confratelli, membri della Famiglia Salesiana, collaboratori laici, e un decisivo impegno anche vocazionale da parte dei giovani. Ben volentieri accetto l’invito che mi fai di lasciarti tre cose che vorrei dire loro e di cui ti farai portavoce. Vi dico ció vi direbbe don Bosco oggi: 1. Cari giovani, la vostra giovinezza è un grandissimo dono. Non sprecatelo, ma fate di essa il momento dei grandi sogni. Dovete sognare in grande e seguire con gioia, decisione e convinzione i vostri sogni. 2. Cari giovani, non lamentatevi di tutto quanto c’è di male, di brutto e di falso nella società, ma scoprite tutto quanto c’è di buono, di bello, di vero e mettete in gioco la vostra vita per trasformare il mondo. 3. Cari giovani, camminate su questa vita lasciando orme dietro di voi, affinché altri le possano seguire. Siete chiamati a cose grandi. Non lasciatevi sedurre dalla mediocrità. 4. Cari giovani, non dimenticate mai che la vita è un dono di Dio e che va vissuto donandola a Lui e agli altri. È così come essa cresce, si sviluppa, si rende feconda e il suo frutto rimane per sempre. 5. Cari giovani, nessuno vi ha amato come Cristo, perché nessuno tranne Lui ha dato la vita per voi e alla fine l’unico che vi risorgerà dalla morte sarà Lui. Vale la pena amarlo. Vale una vita seguirlo. Spero che vadano bene. Un abbraccio forte e la mia benedizione.

don Pascual Chávez V., sdb - Rettor Maggiore 5






a s a c a i a s m a c a l a i è QueQstuaesta è la m




Omelia del Card. A. Scola per il passaggio di don Bosco a Milano Duomo di Milano, 4 febbraio 2014 “Contemplerò ogni giorno il volto dei santi per trovare conforto nei loro discorsi” Queste bellissime parole della Didachè che potremmo definire come il primo catechismo dei cristiani del primo secolo, spiegano molto bene la ragione per cui molto popolo si muove quando si prende la decisione di far pellegrinare un Santo nelle terre abitate dagli uomini. Maria Santissima, Giuseppe suo sposo, i Santi sono familiari di Dio e sono l’espressione dell’amore costante che egli porta al suo popolo, non lo abbandona mai lungo la storia perché il Dio di Gesù Cristo, cioè Dio, è uno che si è coinvolto nella storia, che si è compromesso con la storia, che si è giocato con tutto l’uomo e con tutti gli uomini. Ne ha condiviso ogni aspetto di vita, si è persino lasciato trattare da peccatore lui che non aveva peccati, per amore. Allora dopo queste giornate in cui il grande don Bosco ha visitato il nostro popolo noi siamo qui per un saluto che solo apparentemente è un congedo, perché non ci si può congedare da chi vive in eterno in Paradiso. Siamo innanzitutto riconoscenti alla comunità salesiana, alla comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice per tutto il bene che hanno seminato in tutto il mondo e anche nella nostra diocesi in tutti questi anni. Carissimi, il tempo di don Bosco non era meno travagliato del nostro, certo la natura delle trasformazioni in atto era assai diversa e tuttavia era un tempo acceso di grandi contraddizioni, un tempo in cui i cristiani non erano sempre ben accolti.

13


A loro non si davano spesso possibilità di espressione compiuta, pensiamo per esempio al campo delle università, però in quel tempo Giovanni Bosco trovò una strada capace di unire amore e intelligenza e quindi una strada geniale e creativa per mostrare che il cristiano altro non è se non l’umano compiuto, l’umano svelato da colui che è venuto per gettare vera luce sull’uomo. Molte sono le cose che impressionano nella vita di questo Santo, ma non sta a me ricordarle questa sera dal momento che i nostri amici salesiani ci hanno in continuazione, soprattutto in questa bella e straordinaria occasione, fornito strumenti per meditare sulla sua vita e anche sul suo pensiero che meriterebbe di essere un poco più recuperato dentro le nostre chiese. Una cosa la voglio però dire ed è che la genialità di don Bosco si vede nella capacità di instaurare una grande familiarità con i santi del suo tempo: il Cafasso, il Cottolengo, Orione. Divennero amici tra di loro e mostrarono così la doppia, inevitabile dimensione del fatto cristiano, quella della personalità riuscita nella comunione. Il Santo è un uomo riuscito perché è un uomo di comunione e perché dalla comunione fiorisce la libertà, non esiste comunità autentica se non fa fiorire libertà, ma non esiste libertà che non abbia necessità di accogliere la comunione trinitaria. Questa è la fonte della tenerezza di cui ci ha parlato l’epistola, tenerezza ed amore totale con cui San Giovanni Bosco seppe guardare fin dal primo ragazzo che incontrò tutti i giovani che gli furono affidati, creando così questa grande famiglia che ancora oggi si china sul bisogno di tutti a partire dagli ultimi e dai più fragili.

14



Come ci ha ricordato San Giacomo: “La fede se non è seguita dalla opere è morta in se stessa. Qualunque cosa facciate in parole ed in opere tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre”. San Giovanni Bosco aveva a cuore l’anima, cioè il centro dell’Io dei suoi ragazzi e l’elemento da cui personalmente ricavo il senso della genialità cristiana e creativa del nostro Santo è l’affermazione che l’azione educativa deve comunicare la vocazione ad essere felici nel tempo e nell’eternità. Noi invece oggi siamo spesso tentati di separare questi due aspetti riservando l’eternità a una nebulosa, astratta idea di aldilà di cui ci è stato fatto conoscere solo il minimo necessario, pensiamo che il tempo di oggi debba essere vissuto e consumato fuori da questa prospettiva eterna. Non così i Santi, per questo dobbiamo contemplare ogni giorno il loro volto, per imparare che non c’è rottura tra la vita di quaggiù e la vita eterna, questo vale per chi ha avuto il dono della fede o per chi cerca con verità e pienezza di coscienza, soprattutto per chi accetta di verificare, in un certo senso legittimare, la verità che ci abbraccia nella carità.

16


Perché tante persone si sono mosse per poter pregare di fronte al Santo? Perché noi ci siamo mossi questa sera con questo stesso scopo? Perché percepiamo questo bisogno di cambiamento, di conversione, questa urgenza di verità. Abbiamo così profondamente bisogno di essere amati e di essere amati oltre la morte, definitivamente, per poter a nostra volta Amare, Noi vogliamo percepire che l’amore e i Santi sono vivi, non sono morti e ci comunicano questa capacità. Mi si domanda, diceva don Bosco, come educo i miei ragazzi e rispondeva: “Li tiro su come mia madre tirava su noi in famiglia, di più non so”. E noi invece quante ne sappiamo di più! Riflessioni su tecniche e contro tecniche, uso esasperato di scienze umane, ma mancanza di abbraccio tenero al cuore profondo dell’altro, soprattutto dei giovani, mancanza di disponibilità ad imparare da loro, persino dalle loro fragilità. Indisponibilità ad accettare che nell’esperienza semplice della povertà c’è un insegnamento che ci raggiunge tutti, perché i ricchi possono sempre dilazionare il cambiamento, i poveri sono costretti a farlo il prima possibile. Allora carissimi noi salutiamo in don Bosco colui che ha scoperto la grande verità: che educare è un’arte. Si possono usare molte tecniche, ma certamente è l’arte del cuore a cuore, è l’arte dell’accoglienza anche dentro la contraddizione, è l’arte del perdono, è l’arte dell’accompagnamento, è l’arte della condivisione soprattutto del dolore e della prova. Siamo qui come espressione di comunità educanti, siamo educatori nei vari campi in cui si muove la vita dei ragazzi e dei giovani: dallo sport, al divertimento fino alla domanda di senso, alla cultura, all’iniziazione cristiana. Domandiamo allora umilmente a questo grande Santo, ora, questa sera, l’intercessione per il nostro cambiamento, per quella conversione per cui all’inizio abbiamo riconosciuto i nostri peccati e chiediamo attraverso di lui alla Vergine Santissima e attraverso la Vergine a Gesù che tocchi il nostro cuore, che sciolga ogni nostra durezza, che ci spalanchi gli uni agli altri in quel dialogo di comunione che possa contagiare i nostri fratelli come don Bosco, ancora questa sera, contagia noi stessi. Amen

17







LaLcahiachreizazreazzdaelldaelvlaocvaozcazione i o n e e l e‘alm‘aom o re arellaalClahiCeshaiesa



Omelia di Mons. M. Camisasca per il passaggio di don Bosco a Reggio Emilia Duomo di Reggio Emilia, 22 febbraio 2014 Cari fratelli e sorelle, cari amici, cari giovani che siete venuti così numerosi per venerare San Giovanni Bosco, il passaggio dell’urna che contiene le sue spoglie mortali è un’occasione di gioia e di festa per tutta la nostra Diocesi. Ma soprattutto è un’occasione per riflettere assieme sulla vita e sull’opera di questo grande figlio della Chiesa. Diverse sono le prospettive attraverso cui potremmo considerare la sua figura, tante le cose che potremmo dire sulla sua fede, sulle opere da lui nate, sul carisma particolare e fecondo che lo Spirito di Dio gli ha donato e che continua a fiorire ancora oggi in tutto il mondo. Ma ciò che mi sembra più interessante, per noi questa sera, è andare al cuore della sua testimonianza e riflettere su ciò attorno a cui tutta la sua figura si raccoglie: l’educazione dei giovani. Qual è il segreto dell’attrattiva così forte che don Bosco esercitava su centinaia e centinaia di ragazzi, provenienti quasi sempre dalla strada? Che cosa li attirava in lui? Quale percorso il sacerdote di Torino tracciava davanti alle loro giovani esistenze? Vorrei provare a riassumere in poche parole il genio educativo di don Bosco. Tre mi sembrano i fondamenti della sua opera di padre: la chiarezza della sua vocazione, l’amore fiducioso alla Chiesa e il coraggio di una proposta globale, totale, fatta ai ragazzi.

25


La chiarezza della vocazione e l’amore alla Chiesa Don Bosco vive in un momento storico non meno travagliato del nostro. Anzi, dal punto di vista politico, sociale e culturale, forse più difficile. Basti pensare che la sua vita attraversa i duri anni dei moti risorgimentali, delle agitazioni provocate da continue rivoluzioni e restaurazioni. La stessa fede della Chiesa deve affrontare sfide nuove e inaspettate, che riflettono nel panorama italiano gli attacchi che il cristianesimo aveva iniziato a subire con l’Illuminismo (la rivoluzione francese risale a solo trent’anni prima). I seminari si svuotano e nel 1855 la legge Rattazzi sancisce la soppressione degli ordini religiosi. Dal punto di vista culturale il suo è il tempo di Feuerbach, di Marx, di Darwin… In questo contesto ancor più straordinaria ci appare la statura di don Bosco. La stima di cui era circondato anche da parte dei più convinti detrattori della Chiesa. L’intelligenza con cui seppe far sorgere nuove congregazioni, proprio mentre tutte le altre venivano soppresse e, cosa abbastanza paradossale, proprio con l’aiuto di Rattazzi. Molti, anche giovani sacerdoti come lui, iniziarono un’opera simile alla sua, raccogliendo intorno a sé, per carità cristiana, tanti ragazzi altrimenti destinati a diventare dei disperati. Ma quasi nessuno di quei sacerdoti riuscì a resistere alle seduzioni della rivoluzione sociale che “politicizzava” tutto, e così, assieme ai loro ragazzi, si lasciarono trascinare da una visione politica della vita, finendo per essere inglobati in quel sistema contro il quale volevano combattere.

26



In don Bosco tutto ciò non ha alcuna presa. Il suo cuore è raccolto attorno ad un’unica certezza: Gesù è la risposta vera che ogni uomo cerca per la sua vita. E questo vale anche per i ragazzi che ancora non lo sanno. Questa certezza nasceva in lui dalla sua esperienza di fede, dal suo rapporto personale e fiducioso con Dio. Proprio per questo era libero da ogni compromissione con il potere. La libertà nasceva in lui dalla fedeltà alla vocazione, dalla certezza della fede: ubi fides, ibi libertas.

28


La libertà che don Bosco viveva, alimentata da un indomito struggimento per il bene dei suoi ragazzi, era in lui anche fonte di creatività. Dio è sempre nuovo e sempre nuove sono le strade che ogni epoca è chiamata a percorrere per seguirlo. Questa coscienza, che si nutriva anche di una sapiente considerazione della storia della Chiesa, lo rendeva audace nel proporre forme “alternative” di vita cristiana. I parroci di Torino non capivano tutto questo e accusavano don Bosco di portare via i giovani dalle parrocchie. In loro prevaleva spesso l’attaccamento ad una forma tradizionale rispetto all’urgenza di far incontrare Cristo ai ragazzi. Non capivano che l’oratorio di don Bosco non era innanzitutto una struttura che si poneva in alternativa ad altre strutture, ma una vita. San Giovanni Bosco non ha mai perso troppo tempo nel considerare le critiche che gli venivano rivolte. Neppure quelle di chi gli rimproverava di far affezionare i ragazzi alla sua persona. Non temeva questo poiché sapeva bene che egli era totalmente relativo a Gesù. Ma Gesù si voleva servire di lui per essere vicino a quei giovani. Il cristianesimo è sempre un evento personale e don Bosco ce lo insegna in modo luminoso. Il bene dei suoi ragazzi, la sua confidenza in Dio, assieme ad un’obbedienza lieta al suo vescovo, erano per lui fonte di pace e alimento della sua opera. Egli era “l’uomo della fede” e della provvidenza, come presto venne chiamato da coloro che con ammirazione guardavano i frutti della sua opera. Un “prete pazzo”, secondo gli altri, un “sempliciotto” che non capiva la necessità di assumere una posizione politica. Occorre stare con il papa: questo era il suo unico criterio in campo politico. Un criterio semplicistico, secondo le accuse di alcuni. Alienante, secondo altri. In realtà era il segreto della sua libertà dal potere. In un’epoca in cui persino gli anticlericali, animati dalla speranza di un papa liberale, gridavano “Viva Pio IX!”, don Bosco insegnava ai suoi ragazzi che era più giusto gridare “Viva il Papa!”. Ciò che più gli interessava era far crescere in loro l’amore alla Chiesa. Ma solo raramente lo esplicitava. Il più delle volte era il suo esempio a educare i giovani che sempre più numerosi lo seguivano e imparavano ad amare la Chiesa.

29


Una proposta globale Il cuore del metodo educativo di don Bosco si può riassumere nell’intuizione che il cristianesimo è una vita e non qualcosa che si aggiunge ad essa. Proprio per questo era convinto che non sono innanzitutto le regole ad educare, né l’indottrinamento, né la proposta di alcuni momenti “spirituali” che si pongono accanto all’esperienza di ogni giorno. Per educare veramente i giovani occorre vivere con loro, far loro vedere, dall’interno della vita stessa, la convenienza umana del seguire Gesù. Nessun aspetto della vita era censurato nell’avventura che i ragazzi vivevano con quel sacerdote. Assieme mangiavano, studiavano, si divertivano, si impegnavano in opere di carità. Costruivano laboratori, scuole, tipografie. Tutta una vita fioriva attorno a loro, a partire dalle esigenze concrete che essi stessi avevano. In tutto questo don Bosco non dimenticava mai – come purtroppo oggi molto spesso accade – che ciò che di più caro aveva da comunicare a quei ragazzi era Gesù Cristo. E il primo modo in cui lo comunicava era la sua stessa esistenza. Erano la sua testimonianza, la sua fede rocciosa, la sua fiducia nella provvidenza ad affascinare quei ragazzi. Pur vivendo assieme a loro, egli sapeva che non poteva confondersi con loro. Doveva condurli. Ma per condurli occorreva armarsi di pazienza, aspettare i tempi di ognuno, essere liberi da misure e calcoli. Attraverso le esperienze quotidiane che viveva con loro, don Bosco sfidava la loro libertà, correggeva e incoraggiava. E loro si sentivano innanzitutto voluti bene. Capivano che in mezzo a loro c’era un padre da guardare e da seguire. Egli non aveva un progetto su di loro, non voleva inglobarli in una struttura, non aveva il problema del successo della sua opera pastorale. Tutto nasceva in lui dalla gratitudine per la sua vocazione e dal desiderio che anche altri potessero incontrare ciò che lui aveva incontrato. E i ragazzi si accorgevano di questo. Avevano davanti a loro un uomo vero, realizzato, libero. Un uomo che, proprio per questo, aveva a cuore la loro felicità. Era questa la ragione, spesso inconsapevole, per la quale lo seguivano: egli sapeva dove e come condurli, conosceva la strada.

30


Anche oggi, cari fratelli e sorelle, ciò di cui hanno bisogno i nostri giovani non sono strategie pastorali, organizzazione di eventi, comunicazione di dottrine o teorie. Essi hanno bisogno di incontrare uomini e donne afferrati totalmente da Cristo, che li aiutino a scoprirlo nel cuore della loro stessa vita, a scuola, in università, nel lavoro. Nel modo di utilizzare il tempo libero, nell’esperienza dell’amore, nei drammi che a volte devono attraversare. Padri e madri che conoscano la strada e la sappiano indicare con fermezza e misericordia assieme. Questo era don Bosco per i suoi ragazzi. Questo è chiamato ad essere ognuno di noi per le persone che gli sono affidate. Chiediamo a San Giovanni Bosco la grazia della sua stessa libertà nel seguire il Signore, la sua passione educativa nel prenderci cura dei giovani, la sua stessa pace nel consegnare a Dio i frutti della nostra vita. Amen.

31






e r e i t s e m n u o d n a segInnsegnando un mestiere




Discorso del Sindaco R. Balzani per il passaggio di don Bosco a Forlì

Palazzo Comunale di Forlì, 20 febbraio 2014 Caro don Emanuele, vedere qui, intorno a don Bosco, riunita tutta la comunità, a partire dalle sue istituzioni civili e religiose, è un momento di grande commozione per me e per tutta l’amministrazione comunale di Forlì, che ha condiviso pienamente questa scelta, in tutte le sue componenti, con entusiasmo. Perché? Prima di tutto, perché i salesiani sono fortemente legati alla nostra città: lo sono stati nel passato - e vedremo subito in quale misura -, e lo sono attualmente, impegnati a disegnare il futuro, a costruire un percorso possibile per la nostra gioventù. Non è un caso strano né unico: il contributo formativo che don Bosco ha tracciato nella storia del nostro paese è strettamente connesso alla crescita civile della nazione. Don Bosco nasce nel 1815, quindi è pienamente un uomo del Risorgimento, e muore nel 1888. La sua prima attività nell’oratorio di Valdocco risale al 1846, quando stava emergendo nello Stato Sabaudo il primo barlume di un regime aperto con il Re Carlo Alberto. Un regime non ancora del tutto costituzionale - lo sarebbe diventato da lì a due anni -, ma connotato da un progressivo allargamento della sfera delle libertà civili. Insieme a questa trasformazione istituzionale, in Piemonte si generano anche una trasformazione economica e una trasformazione sociale, in netto anticipo sul resto del paese: quella delle prime imprese finanziarie, degli investimenti industriali ancora modesti, delle attività che da artigianali diventano manifatturiere. Benché percepito solo in un’area geografica limitata, il ritmo del cambiamento, nella Torino dei primi anni Cinquanta dell’Ottocento, appare ai contemporanei tumultuoso: ci sono fermenti, ma ci sono anche resistenze;

39


si genera ricchezza e insieme distruzione di legame sociale, come avviene in tutti i processi creativi e di innovazione. Quello che si guadagna da un lato in termini di sviluppo di crescita e anche di futuro, dall’altro lato produce una perdita. E questa perdita, in quella Torino, in quel Piemonte, è la progressiva disgregazione delle vecchie comunità: che erano poi le comunità della piccola proprietà contadina e dei fittavoli, degli artigiani più marginali, delle puntiformi, minuscole attività di quartiere situate proprio dentro la capitale. Questa perdita significa anche – diremmo oggi – una riduzione di capitale umano, con famiglie che si frantumano, nuove famiglie che arrivano, fenomeni di immigrazione dalla periferia rurale piemontese verso la città; e ancora famiglie di residenti che cambiano quartiere al mutare dello status, relazioni umane che si rarefanno, bambini per strada soli e abbandonati. Quello che capitava e che era capitato a Londra, a Parigi, a Manchester e nei grandi centri della prima industrializzazione si ripeteva, se pure in formato ridotto, anche in alcuni territori selezionati della nostra Italia. Lo sfaldamento della società preesistente è intuito precocemente, nel nostro caso, da quello che diventerà poi San Giovanni Bosco. È uno dei pochissimi a capire che la grande opportunità che si apre nel paese è tuttavia in qualche modo minata da una grande, potenziale crisi sociale; e don Bosco si dedica specificamente, in quegli anni ‘50 piemontesi, ai giovani, cioè a quella porzione di comunità più esposta al rischio di dispersione, di abbandono, di fallimento, di crisi. E’ questa la sua grandezza.

40


Con don Bosco abbiamo il primo tentativo di leggere il progresso italiano senza sconti, senza l’occultamento - spesso praticato dalla classe dirigente liberale - delle conseguenze peggiori. Don Bosco non è certamente un uomo che intende fermare questi processi: sa che ci sono. Crede, però, che dentro questi processi debbano essere portati tutti, anche i giovani, insegnando loro un mestiere, restituendo loro una dignità, costruendo un percorso civile e civico che li possa pienamente rendere protagonisti dell’incipiente sviluppo. Questi anni Cinquanta sono, in quella Torino, in quel Piemonte, qualcosa che non ha eguali in Italia. Potevano farlo solo lì. Solo lì, in Italia, stava crescendo un sentimento che potremmo dire di portata europea: non certamente a Forlì, che era una periferia; non certamente in gran parte del Mezzogiorno. Altrove, al di là di un sottile, friabile strato di intellettuali, non c’era questa sensibilità. Ma quando l’Italia diventa unita, allora ecco che il messaggio può pienamente dispiegarsi nel resto del paese e anche fuori: è la seconda parte dell’attività salesiana - quella missionaria -, che sappiamo subentra da un certo punto, intorno alla metà degli anni Settanta, nella vicenda umana del fondatore e nell’impianto organizzativo della congregazione. Tale, in estrema sintesi, l’importanza di San Giovanni Bosco nella storia d’Italia. Noi siamo qui con il tricolore a rendere omaggio a un grande italiano, oltre che a un uomo di straordinaria spiritualità. E sottolineo con piacere questo duplice elemento, perché c’è un forte collegamento con quello che succede anche oggi in questa città.

41


Poi c’è la disseminazione del metodo salesiano di recupero e di contatto con la gioventù, che tocca pure il nostro centro, nel caso forlivese con l’oratorio dedicato a San Luigi: uno degli spazi giovanili più importanti, sito nel quartiere più povero della città, con maggiori problemi sociali, con maggiori presenze di famiglie disgregate. Ebbene, quel luogo è stato un luogo di formazione indimenticabile per intere generazioni di forlivesi: un luogo dove si sono incontrati ragazzi di estrazione diversissima, che, attraverso lo sport e la pratica religiosa, è divenuto luogo di formazione e di crescita. “Il” San Luigi rimane nel cuore di tutti noi che lo abbiamo frequentato. È stato un faro, una luce che ha reso vivo quello spazio: lo ha reso un sito assolutamente unico del nostro centro storico, strettamente collegato com’è all’identità urbana e alla sedimentazione di una memoria e di un vissuto collettivi. Non bisogna trascurare, quindi, l’elemento topografico, che lo ha avvinto tanto strettamente alle dinamiche generazionali della nostra Forlì. Questa è la storia. Chiunque ci è passato sa che centinaia di ragazzi lo avevano preceduto: tante passioni, tanti desideri, tanta incomprimibile voglia di vivere. Pensiamo anche a tutte le attività costruite intorno, dai cineforum ai dibattiti. Lo spunto del confronto con la contemporaneità: questo è un altro aspetto tipico della formazione di don Bosco; l’idea, cioè, di scegliere quale oggetto della riflessione non il passato, ma il presente. I giovani hanno bisogno di futuro e quindi debbono saper leggere la realtà sociale contemporanea, la realtà lavorativa, anche la realtà politica. I salesiani hanno proposto chiavi di lettura della realtà a intere generazioni di giovani che erano privi di punti di riferimento.

42



Lo hanno fatto liberamente. Ci sono persone che si sono formate lì e che hanno avuto più tardi le più svariate esperienze politiche; ma lì – nell’oratorio - essi hanno avuto a che fare per la prima volta con gli elementi della collettività e della socialità, in un modo diretto, empirico, coinvolgente. Questa modalità li ha segnati per sempre e credo sia stata una grande ricchezza per intere generazioni di questa città. E poi c’è la parte contemporanea, la nostra, quella della formazione professionale, della tanto bistrattata formazione professionale: che, in realtà, è un perno della civiltà del nostro paese. Quando parliamo di istruzione in Italia, pensiamo ai licei, alle università, alle scuole tecniche, ma la formazione professionale ce la dimentichiamo. Invece, la formazione professionale, che coniuga il sapere con il saper fare, è un pezzo della vitalità di questo paese, che è stato un paese di artigiani, di tecnici pratici, di persone che hanno fatto fisicamente cose bellissime con le loro mani: un’abilità che adesso dobbiamo recuperare. Per quello che mi riguarda, io difenderò finché mi sarà possibile, facendolo presente a livello nazionale, questa articolazione della formazione: è assolutamente decisivo che nel sistema generale dell’istruzione questo elemento non sia dimenticato. E poi permettetemi ancora un’osservazione: la formazione professionale è oggi il vettore attraverso cui si crea la relazione nuova dei salesiani con la nostra città. Non c’è più la dimensione di massa dei giovani dispersi, sciamanti nell’oratorio San Luigi; oggi, purtroppo, la curva demografica è ben diversa, la vita dei quartieri è diversa, i giovani sono molto più sparpagliati. Una volta vivevamo tutti qui dentro, perché queste mura erano la nostra casa. Forlì andava poco oltre le mura rinascimentali. Adesso ci sono bellissimi centri sportivi e i ragazzi si trovano ovunque e questa centralità si è perduta; ma non è andata perduta quella formativa, non è andato perduto il pilastro che raccoglie l’eredita di don Bosco: la costruzione di un lavoro che nobiliti i giovani e che dia loro un futuro.

44


Io sono toccato dal fatto che tutti gli anni gli amici salesiani portano in consiglio comunale i loro ragazzi presentandoli alla città; ad essi noi diamo la Costituzione come elemento di saldatura fra la comunità che rafforza lo spirito civico, da un lato, e, d’altra parte, l’elemento della formazione del loro specifico percorso di lavoro. Questa opportunità è bellissima; io l’ho trovata subito splendida: essa è in linea con la cultura salesiana e insieme con l’idea di nazione che risorge, che pure sta dentro la vita e l’opera di San Giovanni Bosco. Ecco i motivi per i quali credo che questo evento andasse ricordato così, dentro lo spazio civico. Per la grande lezione che è stata donata da don Bosco alla gioventù, da un lato, e per il debito di riconoscenza che questa città ha contratto con i salesiani: per quello che hanno dato, in virtù della loro grande storia nella vita di Forlì - storicamente accertata nei quartieri del nostro vecchio centro storico -; e per quello che danno alla nostra gioventù, creando un solido pilastro, insieme al resto della formazione professionale: un pilastro della qualità della formazione nel nostro territorio. Voglio sottolinearlo con forza, ancora una volta, perché anche questa è qualità. Qualità dal punto di vista del valore del sapere e qualità dal punto di vista civico. Perciò grazie don Bosco, perché sei tornato fra noi.

45





49





. e l l o t a r e t e a c s a m i n a . i e l h l i o t m a a r e D t e a c s a m i n Da mihi a



. .. e r d a m a i m e ComCome mia madre...


. .. i n g o s i d o t r e i èuiunè uensp esperto di sogni... LuL



. .. o t s i r C e r i r f f o r e p a s o m a i b b o . .. D o t s i r C e r i r f f o Dobbiamo saper


Lettera di ringraziamento a conclusione della Peregrinazione dell’Urna di don Bosco don Elio Cesari Delegato per la Pastorale Giovanile dell’Ispettoria Salesiana Lombardo Emiliana Carissimo Amico, ormai a una settimana dal saluto del nostro Amato Padre don Bosco e al termine della peregrinazione della Sua urna nella nostra Ispettoria, vorrei semplicemente farmi presente per ringraziarti con queste poche righe. Con semplicità, vorrei sottolineare e condividere con te alcune impressioni che mi hanno toccato in modo particolare. 1. Abbiamo sperimentato insieme la gioia della santità, come elemento che attira ancora la gente e la muove “in massa” a Dio. Se è vero che ogni santo è “un dito puntato verso Dio”, la preghiera nutrita dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione è stato il segno visibile più bello che c’era in atto qualcosa di miracoloso. 2. Abbiamo goduto insieme la gioia e l’emozione di trovarci davanti a un “Grande nella fede”, prete tutto per i giovani, che ci stimola a rinnovare la nostra scelta vocazionale e a ringraziare il Signore per il dono della vocazione sacerdotale a servizio della gioventù. 3. Personalmente, nel corso del mese di febbraio, ho toccato con mano il vivo senso della sproporzione: non c’era rapporto di continuità tra quanto avevamo preparato e quanto nei fatti mi passava davanti agli occhi. Più volte mi sono emozionato nel vedere che ancora oggi don Bosco è amato: non c’è gioia più grande per un figlio che vedere il proprio papà amato e ammirato e stimato. 4. Ho sentito viva – e ti ringrazio di questo in particolare – l’accoglienza e la vera amicizia da parte tua per me e i miei collaboratori. Lo scambio fraterno e i gesti di attenzione ricevuta sono ricordi vivi che terrò sempre nel cuore e nella mente. Il desiderio più grande è che l’emozione del momento si trasformi in frutti abbondanti di bene e santità nelle diocesi che don Bosco ha visitato: la Sua benedizione provochi i cuori, soprattutto quelli dei giovani dalla tua diocesi. Con profonda stima e gratitudine,

don Elio Cesari - salesiano di don Bosco 59


Sommario pag. 3

Lettera di don Claudio Cacioli Ispettore

pag. 5

Lettera del Rettor Maggiore don Pasqual Chรกvez

pag. 5 pag. 5 pag. 5 pag. 49

CASA Omelia del Card. A. Scola - Milano CHIESA Omelia di Mons. M. Camisasca - Reggio Emilia SCUOLA Discorso del Sindaco R. Balzani - Forlรฌ CORTILE Photogallery

pag. 59 Lettera di ringraziamento - don Elio Cesari


Credits Produzione Organizzazione: Accompagnatori: Autisti: Riprese Video: Fotografia: Comunicazione: Ufficio stampa: Sviluppo App: Grafica e redazione libro:

Associazione Salesiana Opera del Sacro Cuore Salesiani Lombardia – Emilia don Elio Cesari, Arianna Ambrosi, Don Luca Dalla Casa, Don Luca Indraccolo, Marco Caglioni, Mattia Benedettini Pierangelo Faletti, Mattia Ruggeri, Davide Colpano, Roberto Averoldi, Sergio Sato Andrea Arienti e Cristiano Beretta Caterina Massarotti Giancarlo Cazzaniga e Publitrust Ramona Brivio e Tramite RP Flavio Ventre Lucia Di Terlizzi

Stampato a novembre 2014


€ 8,00


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.