Via Crucis

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Luigi Schiatti

LA SUA E LA MIA

VIA CRUCIS L’uomo nella Bibbia


INDICE CHE TIPO DI VIA CRUCIS È? ...................................... pag.

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I STAZIONE A MORTE! HA BESTEMMIATO! ............................................ pag.

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II STAZIONE L’ALBERO DELLA VITA “NUOVA” ...................................... pag. 10 III STAZIONE LE MIE “PRIME” CADUTE .................................................... pag. 14 IV STAZIONE GESÙ E LA MADRE .............................................................. pag. 17 V STAZIONE COLUI CHE CONDIVIDE ...................................................... pag. 21 VI STAZIONE CONTROCORRENTE ............................................................ pag. 24 VII STAZIONE VORREI, MA.… ...................................................................... pag. 27 VIII STAZIONE CON-PATIRE ......................................................................... pag. 30 IX STAZIONE BUIO! ..................................................................................... pag. 33 X STAZIONE L’UMANITÀ S-VELATA ......................................................... pag. 37 XI STAZIONE L’ALTRA LIBERTÀ ................................................................. pag. 40 2


XII STAZIONE TUTTO È COMPIUTO ............................................................ pag. 45 XIII STAZIONE LA MADRE E IL CORPO DEL FIGLIO .................................. pag. 50 XIV STAZIONE IL SILENZIO REGNA ............................................................. pag. 53 IL VIVENTE! ......................................................................... pag. 59

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CHE TIPO DI VIA CRUCIS È?

Quanti testi ci sono per “fare” la Via Crucis! Qui non c’è da “percorrere” nessun cammino. Si deve rimanere seduti, in silenzio, in un luogo che favorisca la riflessione. Sono spunti per la meditazione personale e un aiuto, quasi uno stimolo, ad avviare un esame di coscienza partendo dalla Via Crucis di Gesù. Nelle singole stazioni ho tenuto presente la Via Crucis che Gesù ha percorso nella Sua “ora”, quella che lo ha portato a morire in croce per i nostri peccati. Però tutti sappiamo per esperienza che ciascuno di noi, se vuole camminare “concretamente” sulle orme di Gesù, ha una sua personale Via Crucis da percorrere, stazione dopo stazione senza tralasciarne alcuna, altrimenti il “Per me vivere è Cristo” è una parola vuota o un semplice desiderio. Pertanto ogni stazione è composta di due parti: una riguarda Gesù; in essa mi chiedo come Lui ha affrontato quella stazione; un’altra riguarda ciascuno di noi e mi chiedo dove sperimento e come io vivo quella determinata stazione nella mia vita quotidiana. Inoltre, ho dato un titolo a ogni stazione, che esprime un aspetto importante vissuto da Gesù in quella stazione e… nella mia. Mi sono servito anche di una lunga riflessione, inedita, del beato Paolo VI sul cammino di Gesù verso il Calvario. Per entrare nel clima meditativo, invito a tener presenti tre elementi della Via Crucis di Gesù: SOLO – In tutto il cammino sulla via della Croce Gesù è rimasto solo: nessuno “dei Suoi” lo ha seguito, né Pietro, né gli altri Apostoli, né i discepoli, né gli ammiratori, ossia le folle che lo seguivano dappertutto attratti e affascinati dai suoi discorsi e dai miracoli. È una constatazione che mozza il fiato! TACE – In tutto il percorso verso il Calvario Gesù non dice nemmeno una parola! Ormai ha detto tutto quello che doveva dire, che doveva insegnare. La Parola del Padre l’ha comunicata tutta: ora tace e vive in silenzio la volontà del Padre. Non si giustifica e non chiede spiegazioni; non accusa nessuno; non vuol coinvolgere proprio nessuno, perché questa è la sua “ora”! Solo 4


quando è inchiodato sulla croce manifesta la sua umanità… “tragica”: «Padre, perché mi hai abbandonato?». SALE – Lentamente e faticosamente verso il Golgota: deve arrivare fino in cima. Non si ferma qualche istante per… riprendere fiato o per rinnovare la sua decisione: cade tre volte perché è sfinito; si rialza e riprende a salire verso la croce! Tutta la Via Crucis “racconta” fatti, gesti e basta. Nessuna stazione si sofferma ad esaminare i sentimenti di Gesù e degli altri attori. La Via Crucis è la prova esagerata dell’amore di Dio per noi uomini: la morte di Gesù in croce è un fatto reale, è storia e vita! È la pura verità; non è una presa in giro. Anche nel male c’è una oggettività, che non può essere elusa né dimenticata. Pensa a un vetro rotto: con o senza responsabilità, se è rotto, è rotto! Non sono sufficienti le belle intenzioni o le scuse per aggiustarlo. Dio è solo Amore; quindi ogni “atto” fuori della Trinità è un atto di amore. È necessario partire da questa certezza per non correre il rischio di lasciarci condizionare dal sentimento o dalla emotività. Se vivo “IN Cristo”, devo seguirLo anche nella Via Crucis, anzi: nella MIA Via Crucis! Accettata e vissuta. Me lo insegna il Santo Curato d’Ars. In un periodo in cui il Santo Curato si sentì perseguitato da più violente contraddizioni, decise di scrivere al Vescovo per dare le dimissioni. Ma, giunto al punto di mettere la firma, alzò la testa e si incontrò col Crocifisso dello scrittoio. Subito rifletté: oggi è venerdì, il giorno in cui Nostro Signore è salito sulla croce. Come avrò il coraggio di scendere dalla mia croce, mentre vedo che Gesù resta sulla sua, solo per mio amore? Non ebbe più il coraggio di apporre la sua firma! Logicamente, la seconda parte di ogni stazione ho voluto (ho… dovuto!) introdurla con: “Per me vivere è Cristo”.

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I STAZIONE A MORTE! HA BESTEMMIATO!

Sì, l’hanno proprio condannato a morte, perché ha osato dichiararsi Figlio di Dio! Questa è una bestemmia, sentenziano i capi dei sacerdoti. «Che bisogno abbiamo di testimoni…?». È parola del Sommo Sacerdote! Proprio perché Figlio di Dio fatto Uomo, è la Verità, l’Amore, la Comunione per noi, affinché noi uomini possiamo trovare in Lui il fondamento “reale” della verità, nell’amore, per la comunione. Fissiamo per un momento Gesù dinanzi a Pilato; ascoltiamo quanto scrive A. M. Cànopi: «Gesù compare davanti al governatore come imputato e subisce l’interrogatorio: “Sei tu il re dei Giudei?”. Pilato fa la domanda capitale: era stato infatti accusato di questo. E Gesù non risponde: sì, lo sono, ma: “Tu lo dici”; tu stesso, senza volerlo, dici la verità. Dopo questa risposta si mette però in silenzio, e lascia che tutti dicano qualsiasi cosa contro di lui. Mentre lo accusano i sommi sacerdoti e gli anziani, egli non risponde nulla. E quando Pilato lo esorta a difendersi dalle ingiuste accuse, ancora Gesù tace: non gli risponde neanche una parola, con grande stupore di Pilato, che era abituato invece a sentire l’autodifesa, spesso veemente, di quelli che venivano accusati. Chi non si sente in diritto di difendersi dalle accuse che gli possono causare la condanna a morte? Gesù invece tace. Poiché non ottiene nulla, Pilato, il quale sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia, cercava una via d’uscita proponendo la liberazione, secondo la consuetudine di liberare a Pasqua un condannato. La scelta è tra Barabba e Gesù. Pilato pensa: sceglieranno Gesù, sicuramente migliore di Barabba! Questi era un famoso prigioniero…, che doveva aver commesso cose molto gravi. Eppure la folla, sobillata dai capi, grida che vuole libero Barabba e crocifisso Gesù: “Chi dei due volete che vi rilasci?” Quelli risposero: “Barabba!” Ultimo tentativo di Pilato: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?” Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!”. “Ma che male ha fatto?” Essi allora… urlarono: “Sia crocifisso!”… La folla, in preda a una specie di delirio, grida: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Non sa che cosa dice e che male si fa. Accade così quello che doveva accadere. Davvero bisognava che il sangue di Gesù fosse versato su tutti noi che eravamo là a urlare: “Sia crocifisso!”». 6


Gesù percorre la sua Via Crucis quando il processo è terminato. La condanna, definitiva, è già stata pronunciata, e non c’è possibilità di ricorrere ad alcuna autorità superiore. Anche il “dubbioso” Pilato ha ormai preso la sua decisione; o meglio, si è ormai piegato alla volontà dei Giudei, per paura o per debolezza o per convenienza. Mi pare di udire Pilato che, mentre si lava le mani, si premura di dire, di assicurare: «Io non c’entro». Il “caso Gesù di Nazaret” è chiuso! Ora la parola è agli aguzzini. La verità (=Gesù è davvero Figlio di Dio) è negata: diventa addirittura una bestemmia; anzi, “la” bestemmia in assoluto. Pertanto “merita” solo la morte, la eliminazione fisica, e una morte umiliante e disonorevole. La Via Crucis è la somma delle sofferenze, fisiche e morali; ma ancor più è il tentativo di distruggere la personalità e la dignità di Gesù. Penso alla “bestialità” dei soldati, che scaricano sull’uomo Gesù, totalmente ma liberamente inerme, tutta la loro rabbia per i soprusi e le violenze subite a loro volta. L’uomo in questi casi diventa una belva inferocita! Penso agli schiaffi, soprattutto agli sputi…! Forse sono l’umiliazione peggiore della dignità di Gesù. Ripeto quello che ho scritto in un’altra occasione: mi immagino Gesù con le mani legate come un vero delinquente, pericoloso, incoronato di spine, fra una turba di soldati arrabbiati, inferociti, bisognosi di scaricare tutto il loro odio contro qualcuno inerme e senza sapere se sia colpevole o no; a loro interessa solo “imbestialirsi” contro…! E gli sputano addosso, proprio in faccia, per umiliarlo, per tentare di annullare la sua dignità umana. (Il volto umano è lo specchio della dignità di una persona!). Proprio contro quel Volto, il Volto santo di Colui che è il Salvatore degli uomini! E non uno sputo solo da parte di un solo uomo, ma tanti, in continuità, fino a quando pensano di aver annullato quell’uomo e si ritengono sazi del loro odio! Gesù è stato condannato a morte in croce, perché ha bestemmiato! – così hanno sentenziato i Capi. È proprio vero che «la Verità vi farà liberi!» (Gv 8,32). Solo la Verità ci rende capaci di vedere come stanno realmente le cose, senza condizionamenti di nessun genere. Per questo mi chiedo: «Io ho il culto della verità? Mi impegno a cercare la verità su persone e fatti, oppure giudico troppo spesso istintivamente, emotivamente, e talvolta perfino irrazionalmente…?». E ancora: dove vado a cercare la verità? Nel 7


pensiero dominante del momento, o nella parola di Dio? La Verità (con la “V” maiuscola) è solo Gesù, il Dio fatto uomo per noi! Noi rinnoviamo la condanna a morte di Gesù tutte le volte che neghiamo la verità preferendo le nostre opinioni, i nostri interessi, l’opinione del momento o ascoltando le interpretazioni… guidate dei mezzi di comunicazione sui fatti del giorno. Ancora: quando ci chiudiamo nel nostro egoismo rifiutando il perdono o un aiuto, quando non ci apriamo alla misericordia. Soprattutto condanniamo Gesù a morte quando esaltiamo solo il nostro “gruppo” e quando critichiamo gli altri gruppi… anche ecclesiali. Una domanda: la condanna a morte di Gesù è solo frutto dell’odio, della cattiveria degli uomini? No: la Croce per Gesù fa parte del mistero del Padre. È un tremendo mistero divino, frutto dell’amore di Dio per noi uomini. È quasi impossibile da accettare, eppure è proprio così! È un mistero “ineffabile” – direbbe Paolo VI. Penso alle tentazioni di Gesù nel Vangelo di Matteo: «Fu condotto nel deserto dallo Spirito per essere tentato…!». Quindi non è stato un caso, ma una volontà espressa del Padre. Questo “progetto” di Dio era già stato manifestato nel IV carme del Servo del Signore: Isaia, vissuto alcuni secoli prima di Gesù, prevede con certezza la gloria di questo misterioso personaggio, ma dice che prima verrà rifiutato, condannato, sputacchiato, percosso… e alla fine verrà ucciso. PER ME VIVERE È CRISTO + “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21). Quindi anch’io ho la “mia” Via Crucis da percorrere, da soffrire. Se no, il “Per me vivere è Cristo” è un’illusione; peggio, è una menzogna e un inganno, se lo dico per sembrare un uomo “spirituale” I salmi dicono che la vita umana è sempre intessuta di prove e dolori: «La vita dell’uomo dura settant’anni, ottanta per i più robusti; quasi tutti dolori e sofferenze, poche gioie» (Salmo 90,10). Quindi non illudiamoci: siamo “costretti” a vivere personalmente la propria via crucis. L’evangelista Matteo è ancora più esplicito: la felicità – dice – sta nell’affrontare tentazioni e prove, però vissute nel nome di Cristo, per la sua gloria: «Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…» (Mt 5,11). 8


+ Gesù non accusa e non condanna nessuno. Ogni mia accusa alla situazione in cui vivo, alle strutture, alle autorità, alla società ecc. è un’evasione, un rimandare o un tentativo di evitare la prova cruciale dell’autenticitò della mia fede. + È il mondo, sono i potenti di oggi che mi accusano e che mi fanno soffrire. Oggi è “potente” colui che poggia la sua autorità sulla forza politica, sociale, psicologica, sulla forza del gruppo, dell’opinione pubblica, dei soldi e, aggiungo, dei mezzi di comunicazione spesso “guidati”. Potente è anche chi approfitta del posto che occupa per imporre una sua opinione o preferenza senza rendere conto a nessuno: valida per il solo fatto che è imposta da chi può! + Quanto è presente in me il bisogno, il culto, l’ansia per la Verità? Il Card. Martini aveva scelto come motto del suo episcopato: «Pro veritate adversa diligere» (Pur di salvare la verità sono disposto ad affrontare difficoltà e contrarietà). Beato lui! E che esempio! Io come reagisco di fronte alle bugie nei miei confronti? Alle incomprensioni o alle cattiverie contro di me? DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Pilato si lava le mani! Il bisogno di discolpa riconosce che la condanna di Cristo è delitto. Che importa la morte di un giusto? Basta che non gli sia imputata – pensa Pilato –; eppure procede dall’autorità! Cedere è più comodo che resistere. Bisogna trovare il modo di farlo senza esteriore vergogna. Bisogna salvare le forme. Gesù aveva tanto riprovato le forme bugiarde: ed ora si vendicano contro di Lui. Le forme sono salve, e Gesù è perduto: le mani lavate, ma dentro che c’è? Il peccato tipico di omissione è stato compiuto, il peccato del bene debole, della responsabilità declinata, del ripiego trovato, dell’incoerenza giustificata, della violenza gratuita, della formalità ritenuta sufficiente. Quale responsabilità più grave che declinare una doverosa responsabilità?

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II STAZIONE

L’ALBERO DELLA VITA “NUOVA” Gesù è già condannato; ora non fa più parte della comunità “civile”, di chi ha valore: è ormai un escluso, un rifiutato, fa parte degli “scarti” – dice papa Francesco. Adesso ogni vessazione nei suoi confronti è permessa e lui non ha più diritto di opporsi, tanto meno può difendersi, perché non ha più il valore di “persona”. I promotori della condanna sono finalmente tranquilli e soddisfatti: hanno vinto! E la tragicommedia può aver inizio. Il primo gesto è quello di schiacciarLo sotto la croce: con diabolica soddisfazione gli viene messo sulle spalle un tronco d’albero, molto pesante. È il segno dei nostri peccati. Penso ai due alberi del paradiso terrestre: «Non ne dovete mangiare, altrimenti dovrete morire!». Erano gli alberi della vita e quello della conoscenza del bene e del male, cioè della pretesa dell’uomo di poter disporre a sua discrezione della vita umana e di essere lui a decidere i princìpi della moralità. L’uomo ha infranto il divieto di Dio; ciò ha causato un male oggettivo, reale e cosmico; si è posto liberamente “contro” Dio! Occorreva una riparazione oggettiva, reale, non solo “volontaristica”, ci voleva una riparazione degna di Dio; occorreva perfino la morte del peccatore. L’Antico Testamento ci dà moltissimi esempi a tale riguardo. Penso ai nostri progenitori: la disubbidienza di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre ha introdotto la morte, anzi, ha dato origine alla morte per noi uomini; l’ubbidienza del Figlio di Dio con la morte sull’albero della croce ha ridonato la vita all’uomo, una vita… diversa e definitiva, quindi una vita… nuova, quella che noi chiamiamo “vita eterna”. Gesù accetta sulle sue spalle l’albero (il tronco della croce), segno e strumento del peccato di Adamo ed Eva, e anche dei nostri peccati, per dirci: «Pago io, riparo io il danno causato dal peccato!». Ossia: muoio io, sull’albero (!), al tuo e al vostro posto! Questo è amore sommo! Grazie, Gesù! 10


LA CROCE DI GESÙ + La Croce è “altro” da Gesù: non fa parte della sua persona, anche se è preparata apposta per Lui e sulla sua… misura. Ha delle dimensioni, è fatta di una determinata materia: è di legno; è oggettiva e reale, non solo pensata o immaginata; è pesante e assai dolorosa. Ed è strumento per la morte. + Gesù non la chiede; però l’accetta per ubbidienza al Padre! Che mistero! + Non può sceglierla su misura o sui “gusti” suoi personali. È scelta e preparata da altri, ma proprio e solo per Lui! Gli è messa addosso da altri, da uomini del popolo, ma in nome dei potenti! Uomini imbestialiti, o almeno accecati dalle loro sofferenze; con la volontà di farLo soffrire, di distruggerLo, se fosse possibile. E senza capirne il motivo! Con il piacere di scaricare su di Lui le oppressioni di cui loro sono oggetto + “CROCE”, non decapitazione, né lapidazione! Gesù è condannato a morte mediante il supplizio della croce, che era un supplizio romano; invece la lapidazione era in uso presso il popolo d’Israele. Come mai? È vero che, per condannare a morte, occorreva il benestare del rappresentante ufficiale di Roma; però nel caso di Gesù c’era probabilmente anche il tentativo di escludere la propria responsabilità. Inoltre la croce era strumento di umiliazione, di disprezzo: il condannato alla croce non aveva più la minima dignità; per questo era il supplizio riservato agli schiavi, considerati alla stregua di “cose”. Prima della flagellazione e della corona di spine vedo gli insulti, le beffe («Indovina chi ti ha percosso») e soprattutto gli sputi! Questo è forse uno dei momenti più “interiormente” drammatici della Passione di Gesù. Ancora un’altra volta, mi immagino Gesù con le mani legate come un delinquente, con una turba di soldati inferociti, bisognosi di scaricare il loro odio contro qualcuno, non contro… qualcosa (Questo non dà soddisfazione!), proprio contro un uomo, inerme e senza sapere se è colpevole o no: a loro interessa solo “imbestialirsi” contro…! E gli sputano in faccia, per umiliarlo, quasi tentando di annullare la sua dignità umana. Tenta anche tu di sentire tanti sputi sulla faccia: che cosa provi? Non sofferenza 11


fisica, ma ti senti umiliato, quasi distrutto e annientato. Credo che sia stata una delle sofferenze peggiori subite da Gesù. In silenzio, senza reagire e senza ri-odiare, cioè senza odiare a sua volta quegli uomini inferociti. Ha accettato una tale umiliazione… per amore; sì, solo per amore verso noi peccatori! Che mistero! + Gesù è proclamato da Pilato “Re dei Giudei”. È verità e satira – afferma papa Paolo VI – Sì, Gesù è davvero “Re dei Giudei”; eppure dai Capi una tale affermazione è ritenuta una bugia inaccettabile, una tremenda falsità o una farsa: per questo decidono di eliminarlo fisicamente. Quale stravolgimento: si sa che Satana è il padre della menzogna! PER ME VIVERE È CRISTO + La sequela di Cristo comprende, senza eccezioni, l’accettare e il portare la propria croce: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». (Lc 9,23). L’affermazione di Gesù ci meraviglia, ci destabilizza non poco; ci saremmo aspettato: partecipa ogni giorno all’Eucaristia; oppure: sii fedele ogni giorno a qualche bella devozione… Invece, no! Parla di croce, della croce personale, e… ogni giorno! + Anche la “mia” croce è “altro” da me: viene normalmente dall’esterno; ha una storia, delle precise dimensioni ed è legata a situazioni del momento. Può essere un fatto, una situazione, una circostanza, o una persona vicina; una malattia; talvolta deriva da incomprensioni o divisioni; fallimenti nella vita e umiliazioni, ostacoli o critiche… Può essere anche una sofferenza interiore, del cuore: uno stato d’animo buio, grigio e perdurante; può essere una profonda insoddisfazione o mancata realizzazione, disistima, mancanza di fiducia o addirittura ostilità da parte dei “vicini”, o dei “capi”! + Non sempre sono pronto, né umanamente né spiritualmente, ad accettare la croce che la vita mi mette addosso. Normalmente sono “altri” che me la gettano sulle spalle, talvolta in nome di ideali superiori, o di… necessità che superano la volontà del singolo. Qualche volta non sanno neppure loro perché mi fanno soffrire; e non lo vorrebbero; ma io sento ugualmente il peso della “mia” croce! 12


+ Quanti “perché”, senza risposta, sono per me autentiche croci! Spiegatemi almeno perché tante volte siamo gli uni sofferenza per gli altri e forse senza nemmeno rendercene conto. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Per convincere Pilato a condannare Gesù e per dare un aspetto di legalità alla condanna, è stata proposta la croce, supplizio romano, piuttosto che la lapidazione. La croce viene: Gesù la prende. Davanti a tutti è ormai terribilmente chiaro che Lui ha torto, che Lui è colpevole. Il disonore prima del dolore. Le spalle di Cristo s’incurvano sotto l’iniquo peso, e i passi si muovono. Alla morte! Ecco lo scettro della sua regalità, ecco il trono su cui regnerà. Sì, è questo il carattere del suo dominio, soffrire per gli altri, soffrire per salvare. Il suo primato è l’essere ultimo, la sua autorità è l’umiliazione, la sua gloria l’ignominia. E perché non vi sia alcun dubbio sul carattere messianico della sua morte, Pilato verga il cartello: re dei Giudei. Verità e satira, storia e profezia, realtà e mistero, politica e teologia, condanna e proclamazione, rovina e trionfo.

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III STAZIONE LE MIE “PRIME” CADUTE

È inevitabile che Gesù cada: la croce è troppo pesante per un uomo straziato da una disumana flagellazione, fiaccato nell’animo dagli insulti, dai maltrattamenti e continue derisioni, dagli sputi in faccia che volevano umiliare, perfino distruggere la sua dignità e piegarne la volontà. Tutto era finalizzato a insinuarGli il dubbio sulla sua divinità e sulla sua missione: questo è l’oggetto principale delle tentazioni di Gesù nel deserto, narrate da Matteo. E questo è (forse) lo scopo dei maltrattamenti nella sua passione. Anche l’incontro con la Madre, se da una parte ha dato a Gesù un attimo di sollievo, dall’altra, visto il dolore di Lei, gli fa sperimentare la condivisione del dolore umano. E per un momento, cede: cade a terra perché è uomo vero come noi, con le forze limitate come noi. Ma l’adesione alla volontà misterica del Padre gli dà la forza di rialzarsi subito; ovviamente, per continuare a salire verso il Calvario. Penso alle tentazioni di Gesù nel deserto (Mt 4,1-11): le metto in relazione con le cadute della Via Crucis, e vedo in esse anche le mie, le nostre cadute quotidiane. Nella prima caduta colgo le tentazioni che vengono dall’esterno, dalle “cose” e dalle varie situazioni: prove che riguardano innanzi tutto il corpo e la psiche; solo in un secondo momento toccano il cuore e i sentimenti. Quindi sono tentazioni… vincibili; sì, si possono vincere con un po’ di buona volontà e con le belle qualità umane. Proprio come Gesù, il quale nella terza stazione si rialza subito, probabilmente senza essere aiutato. LA CROCE DI GESÙ + Anche Gesù ha subito le tentazioni derivanti dall’“esterno” della sua persona e che non riguardano l’oggetto delle tentazioni del deserto: ha sofferto la fame e la stanchezza (nel deserto); la sete (sulla croce); il potere e la gloria (nel deserto); lo 14


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smarrimento e l’angoscia (nell’orto degli ulivi); il dolore fisico (nella flagellazione e nella coronazione di spine)… Quante e varie tentazioni! Gesù si risolleva prontamente e riprende subito il cammino. Gesù trova la forza di rialzarsi nell’amore che porta a noi e nella volontà del Padre. Non suda sangue per queste prove: non sono queste le prove che spezzano un uomo! Di solito è sufficiente un pizzico di buona volontà per superarle. Le prove “esterne” di Gesù sono tentazioni legate alla sua missione divina e alla situazione in cui vive come uomo. Se non avesse subìto simili tentazioni, avremmo faticato di più a credere alla sua umanità. Scrive il beato Paolo VI che la passione di Gesù è tutta sua; è solo sua: la percorre da solo, nonostante la folla! I discepoli scappano, cercano di mettersi in salvo. Giuda si allontana, soprattutto spiritualmente. E lo tradisce, lo… “vende”! Pietro lo segue, ma “da lontano”, “a distanza”. E lo rinnegherà. Ancora Paolo VI scrive: Gesù uomo «è proprio COME noi»; «io non avrei mai immaginato – commenta una Religiosa – che tu saresti caduto. Ma non sei Dio? Non sei forte? Non sei un eroe? Ora comincio a capire qualche cosa di Te, perché ti riconosco uguale a me. E, perdonami Gesù, mi fa bene».

PER ME VIVERE È CRISTO + Conosco le mie “prime cadute”? Quelle dovute ai sensi, alla mia viva (eccessivamente viva) sensibilità? Oppure causate dalla salute, dalle difficoltà inevitabili della vita, procuratemi da chi mi sta intorno, o da qualche “scombussolamento” improvviso e imprevisto dei miei piani ecc.? + Come affronto le mie “prime cadute” derivanti dall’ambiente, dalla situazione mia personale in cui sono chiamato a vivere? Legate al mio stato di vita, o alla mia struttura personale e alla salute, oppure dal vedermi non compreso ecc.? + Quante difficoltà ho vissuto anche oggi, da quando ho aperto gli occhi stamattina fino a questo momento! So accettare le mie tentazioni di oggi, non previste né programmate, senza lamentarmi? E sono capace di non lasciarmi condizionare e “tarpare le ali” da simili tentazioni? Sono pronto 15


a vederle e ad accettarle come volute dall’amore di Dio per la mia crescita? Sì, perfino le tentazioni, con il reale pericolo di soccombere, sono almeno permesse dall’amore del Padre per un mio bene, anche se mi è sconosciuto. Per vincerle, mi occorre un buon esame di coscienza quotidiano, la ricerca dei miei difetti predominanti e dei miei limiti umani, e un programma di vita serio e adatto a me. + Il papa Paolo VI nella sua riflessione dice che Gesù ha vissuto anche la sua prima caduta “PER noi”. Pertanto oso aggiungere che le mie prove, perfino le mie “prime cadute” non sono inutili, ma finalizzate alla salvezza degli uomini di oggi, perché faccio parte del Corpo Mistico di Cristo. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI La Passione di Gesù è tutta sua. Essa è vissuta in una profondità personale che noi non riusciamo mai ad esplorare…. Avviene una cosa meravigliosa: Lui come noi: chi potrebbe supporre una cosa simile? Poi, Lui con noi: eccolo vicino ad ogni nostra infermità, anche al peccato nostro. Lui innocente, Lui l’innocente! Poi ancora, Lui per noi: “per il suo sangue siamo stati salvati”. Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo: questa è la sua definizione, questa è la sua rivelazione. è l’amore!

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IV STAZIONE GESÙ E LA MADRE

“Eccomi”: ci sono; sono qui! Penso che sia ciò che meglio esprima la Mamma di Gesù, la sua personalità, il suo essere mamma nell’incontro con il suo Figlio. Il primo Eccomi, pronunciato all’Annunciazione, lo ripete nei momenti principali della sua vita, o meglio, nella vita del suo Figlio Gesù: alle nozze di Cana la Mamma c’è, ed è lei che invita Gesù ad iniziare la Sua vita pubblica compiendo il primo miracolo; quando Gesù si “smarrisce” e rimane nel tempio, Maria si trova davanti al mistero dell’ubbidienza di Gesù al Padre, e silenziosamente l’accetta; nell’“ora” di Gesù, la via del Calvario e la Croce, lei c’è, per sostenere il Figlio e per piangerLo ormai morto, sia pure sicura della sua risurrezione. Maria, la Mamma di Gesù e nostra c’è sempre, anche nella nostra vita, specialmente nelle nostre prove quotidiane, tentazioni, dolori ecc. Anche a me, a ciascuno di noi dice: «Eccomi, sono qui con te, non aver paura!». Grazie, Mamma. La quarta stazione è un mistero di dolore perché è questione di amore, forse senza capire il perché e il per come. Gesù riceve amore e aiuto dalla Mamma; il cuore di Maria è stracolmo di dolore per il Figlio Gesù, perché è un cuore colmo di amore divino. Sì, la Mamma c’è! È la prima persona amica e buona che Gesù incontra sulla via del Calvario. Per Gesù è senz’altro un attimo di sollievo, perché la Mamma è vicina, è presente! Ma è nello stesso tempo occasione e causa di sofferenza maggiore: anche la Madre soffre con Lui. Questo aumenta il dolore di Gesù. Gesù si è appena risollevato dopo la prima caduta, la Mamma gli si pone accanto quasi per dirgli: «Coraggio, Figlio, ci sono io accanto a Te!». Quale forza interiore deve aver sentito in sé Gesù da questo incontro: nessuna parola, ma un’intesa perfetta di due cuori! Dopo questo incontro di dolore e di amore, probabilmente Gesù trova la forza per continuare la sua Via Crucis e si sente ancora più in sintonia con sua Madre. Certamente in tale momento la sente “corredentrice”. 17


LA CROCE DI GESÙ … E DI SUA MADRE È una sofferenza straziante quell’incontro con il suo Figlio Gesù condannato alla croce. Il sangue che esce dalle ferite di Gesù richiama alla Madonna l’Ultima Cena: «Questo è il mio sangue versato per voi». Là, nell’Ultima Cena, le parole di Gesù potevano sembrare… un modo di dire; qui, nella IV stazione, sono realtà! Qui, forse, Maria SS. avrà pensato: «Per questo sangue sono… piena di grazia». Ed è vero! È il momento in cui sente tutto il peso e la realizzazione del Sì dell’Annunciazione. E rinnova ancora il suo “Eccomi”! Il suo “Fiat” dell’Annunciazione diventa il “Fiat” di Gesù… per la croce. Riporto il commento di due donne che sanno scrutare, molto meglio di me sacerdote, il cuore della Madonna nell’incontro col suo Figlio: «Maria, è in quell’incontro col tuo Figlio (dopo che è caduto sotto la croce, prima di esservi inchiodato) che devi aver compreso fino in fondo il ‘fiat’ dell’Annunciazione. Nessuna lacrima. Le hai consumate tutte prima, in disparte, quando te lo hanno tradito, venduto, condannato, flagellato, incoronato di spine, schernito. Uno strazio lacerante nell’anima, quello sì. E silenzio. Chissà perché gli incontri più veri avvengono sempre in silenzio. Il tuo sguardo di madre nel suo, per rassicurarlo: “Sono qui. Puoi ancora contare su quel ‘fiat’. Poi insieme il Suo e il tuo cuore in unico mistero di salvezza. Dimmi, Maria, non ha vacillato la tua fede di fronte alla follia della croce? Ecco, ora che Lui ti ha donato ad ogni uomo come madre, voglio incontrarti anch’io nel momento della croce. Voglio lasciarmi avvolgere dal tuo sguardo d’amore e sostenere dal cuore compassionevole. Voglio viverti. Non a parole, ma in silenzio, per poter sentire: “Sono qui! Puoi ancora contare su quel ‘fiat’ che ho detto anche per te”». E l’altro commento tipicamente femminile così recita: «“… anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Gesù incontra sua Madre che, anche se ha perso il suo ruolo ‘sociale’ (colei che cresce il figlio), non ha perso il suo ruolo ‘intimo’ di chi ama per sempre colui al quale ha dato la vita. Lei è lì, sulla via, perché non può essere da nessun’altra parte! È lì per prendere su di sé, tacitamente, le sofferenze di quel suo Figlio e rendere la sua passione un ‘dolore condiviso’. Come ogni madre farebbe! 18


Maria è la Madre che non abbandona, che non può non soffrire con e per il Figlio. Maria è la Madre che ha un legame unico e irripetibile con il Dio della Vita. Un legame che trascende ogni legame di amore materno. Un legame che le permette di farsi carico intimamente delle sofferenze dell’UomoDio. E Gesù si riconsegna a lei, alle sue braccia di Madre, attraverso uno scambio di sguardi. Attraverso quel silenzioso sguardo intimo che è stato all’origine della sua incarnazione. Allora Maria diventa sostegno in quel cammino di sofferenza che sta portando suo Figlio alla morte. L’incontro con Maria è l’abbraccio di commiato e di affidamento tra Gesù e l’umanità, che si risolverà poco prima della sua morte nelle parole riservate alla Madre: “Sei qui, Madre,/ mentre io sono altrove./ Sei qui,/ e questo basta/ a farmi rialzare./ Madre, guardami,/ cammina con me/ e lascia che le mie lacrime/ siano raccolte dai tuoi occhi,/ come quando mi sollevavi, bambino,/ dalla polvere”». PER ME VIVERE È CRISTO + È vero: ci vuole la buona volontà per superare le prove della vita. Ma talvolta mi vengono meno le forze per il continuo rialzarmi: la capacità di ripresa talvolta si esaurisce. Ma la Mamma non mi abbandona e nasconde nel suo cuore le mie sofferenze. + La devozione mariana non è un “porto franco”, non mi… sconta le sofferenze, però mi dà coraggio e mi rende più leggera la croce. + Anch’io prego così: «Maria, da questo momento mi dai il diritto di chiamarti “mamma”. Nel tuo dolore per Gesù c’è anche l’amore per il “mio” dolore. Come a Lui, non mi dici nulla; non puoi e non devi dire, ma da ora sei con me. Ogni mia sofferenza si ripercuoterà nel tuo cuore». DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Cerchiamo insieme i sentimenti che si addicono a Maria Dolente. Non lamentiamoci per il nostro soffrire, ma sappiamo soffrire. E congiungiamo il nostro soffrire con quello della Madonna. Soffriamo insieme: tra lei e noi ci sia unione di sentimenti. Il dolore non scava un abisso tra chi soffre e chi sta bene, il dolore resta personale. Il dolore diviene mezzo per comunicare con Maria santissima. Tutte

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le apparizioni la presentano in atteggiamento doloroso. La Madonna ha quasi atteggiamenti apocalittici. Perché questo? Perché il mondo è cattivo? Perché noi siamo cattivi? È questo lo stato del mondo che la Madonna vede: la nostra responsabilità, la nostra infedeltà fa piangere la Madonna. La Madonna Addolorata impone un esame di coscienza.

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V STAZIONE COLUI CHE CONDIVIDE

Ho la sensazione che raramente prendiamo sul serio la quinta stazione; in fondo consideriamo il gesto compiuto dal Cireneo quasi estraneo al dramma che Gesù sta vivendo, perfino una distrazione che sospende per un momento la nostra riflessione e condivisione delle sofferenze di Gesù. Chi è questo uomo “costretto” a sostituirsi per un breve tratto di strada a Gesù, semplicemente perché passava di lì per caso? È certo che questo Simone ci insegna che quella croce è di Gesù, è solo per Lui; ma ci dice anche che nessuno può sentirsi estraneo alla Sua croce. Anch’io in certi momenti devo sentire sulle mie spalle il peso di quella croce, quindi tutto il dolore fisico e morale racchiuso in quel tronco di legno, e i “perché” della condanna e della morte di Gesù. In quella croce, almeno nel tratto di strada portata dal Cireneo, vedo i peccati miei e dell’umanità, Chiesa compresa? Se no, la vicenda espressa dalla quinta stazione non entrerà mai nel mio cuore e nella mia personale esperienza. C’è di più: il beato Paolo VI scrive che «il Cireneo condivide l’umiliazione e la pena» di Gesù, e per questo «è diventato il rappresentante degli amici di Cristo». Come sono strani gli amici di Gesù! Eppure è vero: gli si è amici nella misura in cui si condivide la Sua Via Crucis. Quanti Cirenei ci sono anche oggi! Sono coloro che sanno vedere Gesù sotto il peso della croce nei fratelli che soffrono per i più svariati motivi: per la cattiveria di altri fratelli, per le ingiustizie, per le violenze di ogni genere. E che non si accontentano di una preghiera per loro, sia pure fervorosa, o di un semplice sentimento di condivisione (o di compatimento); ma si compromettono con loro e… «si sporcano le mani!». Papa Francesco raccomanda di vivere le opere di misericordia, sia quelle corporali, sia quelle spirituali. Dice che non è sufficiente conoscerle e ripeterle a memoria! Dobbiamo condividere! Un’altra osservazione: oso vedere in Simone di Cirene un rappresentante del sacerdote chiamato a condividere un tratto del cammino di crescita spirituale di un fratello o di una sorella. Il sa21


cerdote è a fianco del fratello fino a quando costui chiede di essere aiutato nel suo cammino; poi si allontana e sparisce nel silenzio: il suo compito è compiuto. A questo proposito penso a un esempio eccellente: Barnaba e Paolo. Quale fu la missione di Barnaba nei confronti di Paolo? Scrive il card. Martini: «Egli (Barnaba) è stato per Paolo colui che l’ha cercato… l’ha capito, l’ha sostenuto. È stato l’amico, il padre spirituale, il maestro di apostolato; quello che l’ha introdotto nell’esperienza apostolica». Poi si è addirittura allontanato da Paolo. È proprio simile al compito del sacerdote accompagnatore spirituale. Faccio mia la conclusione della preghiera che Mons. G.B. Montini elevava a Gesù Sommo Sacerdote per i nuovi sacerdoti del 1957: «E poi, o Signore, (a questi tuoi Ministri) dona un cuore forte, pronto e disposto a sostenere ogni difficoltà, ogni tentazione, ogni debolezza, ogni noia, ogni stanchezza, e che sappia con costanza, con assiduità, con eroismo servire il Ministero che Tu affidi a questi tuoi figli fatti identici a Te. Un cuore, insomma, o Signore, capace veramente di amare, cioè di comprendere, di accogliere, di servire, di sacrificarsi, di essere beato nel palpitare dei tuoi sentimenti e dei tuoi pensieri». Il sacerdote accompagnatore spirituale è il novello Cireneo per chi soffre, per chi ha bisogno di un sostegno. LA CROCE DI GESÙ + Si chiamava Simone, ma il nome non ha nessuna importanza: la tradizione cristiana lo tralascia spesso. Interessa invece ciò che ha fatto, il suo ruolo specifico nella Via Crucis di Gesù. + Il Cireneo condivide il peso di Gesù; addirittura, per un tratto di strada sosituisce Gesù e prende sulle sue spalle il peso di quella croce. Ma la croce è di Gesù, è per Gesù! + Il Cireneo passava di lì per caso. Fu coinvolto nel mistero della passione di Gesù solo perché… c’era bisogno di lui in quel momento. + Aiuta Gesù a portare la croce, ne prova quasi gioia e forse la sente perfino leggera. Poi se ne va sparendo nel silenzio. Non chiede nulla a Gesù. Ma, senza il Cireneo, Gesù in quel momento non ce l’avrebbe fatta. 22


PER ME VIVERE È CRISTO + Sulla nostra strada personale della santità abbiamo bisogno in certi momenti di un aiuto “sensibile”, di uno che si sostituisca a noi nel portare i nostri pesi, le nostre sofferenze, anche i nostri difetti, a portarci di peso per un tratto di strada: come è difficile scegliere in certi momenti e sopportare la vita! Sembra impossibile sopportare certe situazioni, affrontare certe difficoltà, dolori, prove, delusioni, tradimenti! E talvolta non vediamo nemmeno gli ostacoli. Ci vuole proprio un parere libero, un consiglio, una guida. In una parola: ci vuole un direttore spirituale. + Questi “cirenei” erano uomini comuni, come gli altri, confusi tra la folla; andavano per la loro strada, per i loro affari. Ma si sono incontrati, magari per caso, con Gesù bisognoso di aiuto nella persona di qualche fratello. Qualche incertezza, ma poi hanno detto “Sì”, generosamnete. E ora vivono per Lui e per i fratelli. Quanti “cirenei” ci vorrebbero oggi! DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Il cireneo è diventato il rappresentante degli amici di Cristo. Forse contro voglia, è lui che ha l’alto onore di porgere una mano pietosa al divino paziente, è lui che primo viene in soccorso di Cristo e ne condivide l’umiliazione e la pena: è lui che verifica per primo la legge della collaborazione al sacrificio che aggioga i sofferenti al grave ma salutare peso della croce. È lui che sente per primo trasformarsi il sinistro carico in tesoro gratissimo, è lui che Cristo ha chiamato compagno nel cruciale pellegrinaggio per indicare che chiamava me.

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VI STAZIONE CONTROCORRENTE

Il gesto compiuto dalla Veronica è posto quasi alla metà del cammino della Croce di Gesù. È come una boccata d’aria fresca: la chiamerei “la storia dell’amore manifestato”, perché l’amore esige qualche gesto sperimentabile, altrimenti sarebbe solo un bel sentimento nascosto nel cuore a proprio vantaggio. La Mamma di Gesù, quando Lo incontra, non compie gesti che manifestino il dolore e l’amore: Maria SS. si strugge di dolore e si chiude in sé. L’amore, anche quello umano, vuol essere sensibilmente sperimentato; è proprio quello che compie la Veronica. Per questo, mi permetto di chiamare questa stazione la stazione dell’amore concreto, veramente espresso con un bel gesto. A questo punto mi piace riallacciarmi al Vangelo di Giovanni. Scrive l’Evangelista che Gesù, sei giorni prima della Pasqua, è a cena in casa di Lazzaro. Il fatto in sé è semplice, normalissimo, ma l’arte di Giovanni trasforma un tale episodio di vita in un vero… canto dell’amore. Mi spiego: Giovanni con la sua arte “zooma” Maria, la sorella di Lazzaro, per presentarla come l’amore personificato verso il Maestro. Inizia presentando la folla dei giudei curiosi; restringe il discorso ai “capi dei sacerdoti e ai farisei”; poi si limita a parlare dei tre fratelli, Lazzaro, Maria e Marta. Ma a Giovanni interessa solo Maria, il gesto concreto che ella compie, per amore, verso Gesù: «Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli…». Tutta la prima parte della pagina evangelica tende ad esaltare Maria, colei che ama Gesù con questi gesti tangibili. La seconda parte del brano presenta il rovescio del quadro: Giuda il traditore, i capi dei sacerdoti, poi una grande folla di giudei e i capi che «decisero di uccidere anche Lazzaro» (Gv 11,55 – 12,11). La Veronica asciuga… il volto di Gesù! Vuole quasi… “restaurare” il volto del Maestro e farlo nuovamente risplendere di tutta la sua bellezza divina. Il bel volto di Gesù, forse sfigurato, insultato e tante volte sputacchiato, doveva essere… “rifatto”! È il 24


volto umano che fa trasparire il cuore e i sentimenti più profondi, belli o di dolore, dell’uomo. Ed è dal volto che normalmente ha inizio il fascino dell’amore. Anche la gloria del Paradiso – afferma l’Apocalisse – consisterà nella contemplazione del volto di Dio (Ap 22,4). Era necessario che, prima della morte in croce, il volto di Gesù fosse riportato nel suo naturale (ossia: divino) splendore. LA CROCE DI GESÙ + Quelli della folla vanno tutti nella stessa direzione, trascinando Gesù senza alcun riguardo; Gli sono tutti contro, Lo deridono, Lo insultano; nessuno Gli dà una mano o Gli rivolge una parola di amicizia. Forse qualcuno ha osato ancora sputargli in faccia! + La Veronica, invece, ha il coraggio di andare controcorrente sfidando le derisioni e le ingiurie di tutti, forse il loro disprezzo: esce dalla folla accecata e va spontaneamente “verso” Gesù: compie un semplice gesto di umanità e di simpatia per dare un po’ di sollievo a Gesù sofferente e per esprimergli il suo affetto, una certa condivisione del suo dolore. Vorrebbe dirgli: «Gesù, non sei solo: io ti sono vicina». + Il gesto della Veronica è il più umano che potesse compiere: “rifare” il volto di Gesù, pulirlo dalla sozzura degli sputi, vorrebbero renderlo ancora bello, quasi splendente come quando in vita affascinava le folle. Fermati anche tu per qualche minuto ad ammirare e contemplare il bel volto di Gesù… pulito dalla Veronica! + Gesù la ripaga con un dono non-utile (penso che la Veronica non abbia più usato quella tela), un dono non “da consumare”, ma che arreca una gioia profonda a chi lo riceve. PER ME VIVERE È CRISTO + Lo provi anche tu: quanto più ti doni a un fratello e gli togli una sofferenza, tanto più profonda è la gioia che provi. + Tante volte occorre sfidare l’opinione pubblica e prendere le distanze dalla mentalità comune del mondo, senza paura di essere considerato un bigotto, 25


un “clericale”. È necessario anche oggi andare controcorrente per essere “uno dei Suoi”! + I doni di Gesù non sono “consumistici”: vanno al cuore, nel profondo dell’uomo e fanno crescere umanamente e cristianamente. E ti fanno gridare: sono contento di vivere! + Anche a noi è richiesto di “rifare”, di far risplendere, non i piedi o il corpo del fratello (come Maria sorella di Lazzaro), ma il cuore, cioè la sua interiorità, la bellezza della sua persona, qualunque sia il suo aspetto o il colore della sua pelle. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Gesù si presenta come già aveva descritto la celebre profezia del Servo di Jahvé. Come pensare che Cristo sarebbe apparso così? Senza bellezza, senza potenza, l’ultimo degli uomini, l’uomo dei dolori che conosce la sofferenza e quasi cerca di nascondersi il volto, così abbietto che non ne abbiamo fatto alcun conto. Che cosa ci fa vedere di Sé? Sofferenza, umiliazione, colpevolezza… di Sé o di noi? Egli ha raffigurato in Sé l’umanità nella sua tragica, immonda, conclusiva realtà: dolore e peccato, l’umanità lebbrosa di tutti i suoi mali, specchio del più spaventoso realismo: ognuno vi si ritrova. Perché? Per accusarci, per svelare a noi la nostra miseria, per strapparci dal viso la maschera della nostra finta e fatua perfezione…? No, ma per far trovare noi stessi in Lui, per assumere in Sé ogni nostra sofferenza, ogni nostra miseria, per immensa, silenziosa, discreta ed effettiva simpatia.

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VII STAZIONE VORREI, MA…

Ho già detto a proposito della terza stazione che nelle cadute di Gesù mi piace vedere le varie tentazioni che lo stesso Gesù, come uomo, ha dovuto affrontare e vincere. Nella prima Sua caduta vedo significate le tentazioni di Gesù e nostre che vengono dall’esterno, che non hanno origine dal cuore, o comunque dal nostro “io” interiore. Nella seconda caduta invece vedo indicate le tentazioni che hanno come oggetto la volontà! Queste prove riguardano proprio l’uomo nel suo profondo. Noi sappiamo che l’uomo è costituito, caratterizzato fondamentalmente dalla ragione, la conoscenza, e dalla volontà. Sono questi due elementi che rendono l’uomo simile a Dio («Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza» – Gen 1,26). Quanto più un uomo (natura permettendo) esercita la volontà, tanto più è, anzi… “si rende” simile a Dio. È proprio l’esercizio responsabile della volontà, nel bene e nel male, che mi rende un uomo “vivo”. L’evangelista Giovanni, nella preghiera sacerdotale (Gv 17), afferma che Gesù pregò con decisione il Padre: «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io…» (Gv 17,24). Qui – spiega un valido biblista – Gesù esprime con forza la sua personalità, la sua identità di natura divina col Padre; per questo non si limita a “chiedere” qualcosa a Dio Padre, ma… vuole, perché le due volontà, quella del Padre e la Sua, in quel momento corrispondono perfettamente. Ancora nel Vangelo leggiamo che Gesù… “a muso duro” (ossia: volendo con fermezza, anche se con paura) volle salire a Gerusalemme, perché voleva “vivere la sua ora”, la sua Passione e Morte. Sì, con sofferenza e fatica, senza ascoltare la sua sensibilità e paura, Gesù voleva solo la volontà del Padre! Nei Vangeli non si legge mai un “Vorrei, ma…” da parte di Gesù; sempre e solo: “Voglio!”. Chissà quante volte anche a me, a te…, è sfuggito, magari inconsapevolmente: “Vorrei, ma…”. In questi casi è certo che la nostra volontà era in crisi, non trovavamo dentro di noi la forza di compiere un atto chiaro di volontà. Anzi, di solito vuol dire che 27


non farò quello che dico o che desidero. C’è grande differenza tra la volontà e la voglia: la prima è una facoltà costitutiva dell’uomo, che ci rende ancor più somiglianti a Dio, quindi è un valore spirituale; la seconda invece dipende dalla “carne” dell’uomo, dalle viscere dell’uomo. I latini rifiutavano una tale indecisione: infatti non avevano il modo “condizionale” nella coniugazione dei verbi; avevano solo l’indicativo e il congiuntivo. Aggiungo che l’esercizio della volontà non è, e non deve essere, soggetta alla sensibilità dell’uomo. A questo proposito rimando alla riflessione del beato papa Paolo VI. LA CROCE DI GESÙ + Senza equivoci Gesù ha detto: «Mio cibo è fare ciò che piace al Padre» (Gv 8,29) e l’ha sempre fatto! In altre occasioni ha chiesto ai discepoli totalità e immediatezza nel seguirLo; talvolta è stato perfino duro nel discorso e forse troppo esigente: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,68) disposto a vedersi abbandonato perfino da tutti i discepoli. + Eppure, anche Gesù ha subito la tentazione della volontà: ha sudato sangue nell’orto degli ulivi. «Padre, se è possibile, passi via da me questo calice» (Lc 22,42). La natura umana di Gesù non regge, forse per un istante teme di non farcela (Lo dico con rispetto e simpatia!) Nel deserto ci è presentato provato dalla lotta: pare che stia cedendo! Che mistero! Signore Gesù, ti ringrazio di queste tue debolezze. PER ME VIVERE È CRISTO + Mi capita (forse capita anche a te) di conoscere con chiarezza la verità e di esporla con convinzione. Talvolta presento agli altri con sicurezza i principi della vita cristiana. Chiedo programmi di vita spirituale e invito a fare propositi, e li faccio anche per me… + …ma poi, nella quotidianità della mia vita constato incoerenze, debolezze, condizionamenti di ambiente, di opinione pubblica («fanno tutti così…!»), indecisione e paura di fare troppo sul serio… Quante volte mi 28


è sfuggito: «Non ce la faccio», «Non esageriamo: il troppo storpia!». Sì, credo! So quel che devo fare e mi piacerebbe riuscirci, ma non riesco… ma… ma…! + È la stazione di troppi propositi non mantenuti. E cado nonostante gli aiuti: la fiducia in Maria (IV stazione); una guida spirituale (V stazione); delle buone amicizie (VI stazione); anche sostegni morali (VIII stazione). + È certo che, quando uso il verbo “volere” al condizionale (“Vorrei…”), vuol dire che concretamente… non voglio, non me la sento! ecc. È la volontà che vacilla! DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI La sofferenza è misurata dalla sensibilità. La sensibilità più grave è quella dello spirito. Lo spirito era in Gesù sensibile anche se forte e sostenuto dalla volontà eroica di fare propria la volontà del Padre, nei cui misteriosi disegni la Passione era decretata. Gesù ha avuto ciò che nessuno ha, la prescienza dei suoi dolori, non solo una ipotetica previsione, ma una conoscenza esatta, descrittiva perfino. Nell’anima di Cristo la beatitudine ineffabile della sua divina coscienza e la tristezza sconfinata della sua incombente Passione fu simultanea: un velo di gravità profetica è disteso sul suo volto umano, sul quale il riso non apparve mai.

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VIII STAZIONE CON-PATIRE

La presenza del gruppo di donne nell’ottava stazione mi richiama la folla che nella domenica che precede la Pasqua (la domenica delle palme) gridava gioiosamente a Gesù: «Osanna…» e Lo accompagnava con grande tripudio ad entrare con solennità a Gerusalemme, quasi… per aiutarLo a prendere possesso della Città Santa. Come è possibile che pochi giorni dopo abbiano a gridare da forsennati: «A morte, crocifiggilo!». Forse perché gli ebrei, quasi tutti, si aspettavano un Messia fatto a loro misura: un potente, un militare che si mettesse alla guida del popolo per condurlo alla vittoria e sottomettere gli altri popoli. La folla era totalmente chiusa nel proprio pensiero e nei desideri di tutti. Era inconcepibile per loro un Messia umile, sottomesso e perdente. Un tale Messia – scrive san Paolo – era uno scandalo, era inammissibile. Quindi – pensavano – ci ha ingannati, pertanto va eliminato e per di più deve essere eliminato umiliandolo e disprezzandolo perché non degno del popolo eletto. Le “pie donne” contrariamente accettano un Messia così com’è, un Messia sofferente, fuori dalla Legge; sì, un Salvatore “scandaloso” per i giudei “puri”, quelli osservanti, quelli “schiavi” della Legge. Che coraggio! Osano perfino andare contro la folla inviperita nei confronti di Gesù; anche a costo di essere ingiuriate e malmenate. Desiderano “con-patire” con Gesù! Queste donne, con il loro intuito femminile, percepivano che lì, in Gesù condannato alla crocifissione, si stava realizzando qualcosa di nuovo, stava nascendo un futuro “nuovo”. Scrive la badessa del monastero di Viboldone, Madre Ignazia Angelini: «È un fatto massimamente significativo a livello simbolico che nell’ora ultima di Gesù, nel cammino, sotto la croce, ci fossero delle donne. C’erano anche degli uomini, per la verità: pochi ma c’erano. Però il gruppo più caratterizzato e compreso era quello delle donne, perché loro, anche nella loro ottusità di donne che non capivano e stavano a distanza, confusamente avvertivano che lì, in quello sfascio, in quella umiliazione suprema dell’uomo, 30


stava nascendo il futuro. Lo percepivano confusamente, ma rimanevano lì, e potevano starci perché non erano così pericolose come una presenza di discepoli al maschile. Però sono loro, con la capacità di sfondare le soglie e attendere nella notte l’aurora, ad anticipare, patendolo visceralmente, il germe del nuovo. È tutto il dramma che si gioca tra il venerdì, il sabato e l’alba della risurrezione». (Ignazia Angelini, Mentre vi guardo, Einaudi, p. 62) La storia si ripete: anche oggi, come sempre, è facile che noi uomini vogliamo, “pretendiamo” che Gesù (quindi la Chiesa ecc.) dica quello che noi desideriamo e ci aspettiamo da Lui; allora siamo pronti ad osannarLo e a pretendere che anche gli altri gli battano le mani; in caso contrario gli voltiamo le spalle e ci chiudiamo in un mortificante egocentrismo, e talvolta arriviamo fino al punto di inventarci noi una Verità e una morale a nostro uso e consumo. Le pie donne allora ci insegnano che Gesù è… quello che è! Tocca a noi accettarlo e seguirlo, … sempre, anche sulla sua Via Crucis. Se necessario, siamo invitati anche a soffrire la sua Passione. Questo è richiesto dal fatto che siamo il Corpo Mistico di Cristo. Qui si realizza il punto più alto delle beatitudini: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11). LA CROCE DI GESÙ + Non tutti sono ostili a Gesù: alcune donne Lo “conpatiscono”, soffrono con Lui e per Lui. Questo dà un certo sollievo a Gesù e la forza per continuare a salire il Calvario. Nessuno è solo: ciascuno vive… in comunità. Anche Gesù. + Però partecipano… a distanza: non si buttano nella mischia (come invece ha fatto la Veronica), non si compromettono personalmente, non si lasciano coinvolgere. Non condividono la situazione. Gesù rimane solo: nessuno può sostituirsi a lui e morire al suo posto: la croce è solo… per Lui! + Gesù le guarda per ringraziarle; ma non si ferma con loro: non ha nulla da dare a loro perché si sono fermate… a distanza. Diversamente si comportò con la Veronica, perché lei si era mossa ed era andata a Lui lasciandosi coinvolgere e compiendo un gesto di tenerezza. 31


PER ME VIVERE È CRISTO + “Con-patiamoci”! Portiamo davvero gli uni i pesi degli altri; aiutiamoci nelle sofferenze, apriamoci a chi soffre, dedichiamo tempo a chi è nel dolore, almeno ascoltiamoli. Però non stiamo “a distanza” di chi soffre. Condivisione, ci vuole, come ha fatto il buon samaritano. + Quando soffriamo, non isoliamoci nel nostro “io”; non consideriamo tutti gli altri egoisti e indifferenti: tanti saprebbero capirci e aiutarci. + Certo, nel dolore non pretendiamo nulla dagli altri; però ringraziamo sempre e tutti. Ma rimane vero che il dolore è mio, è tuo…, non degli altri o di tutti! Nessun interessamento ci esonera dal soffrire nella nostra carne. + Quanto tempo dedico a guardare, a… contemplare Gesù mentre percorre la sua Via Crucis? Qualche volta riesco a imitare le pie donne spingendomi fino a “con-patire” con Gesù per il male di oggi? DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI La grandezza d’animo di Cristo anche in un momento di così profonda umiliazione e di così acerba sofferenza, conserva una maestà di contegno e un’altezza di linguaggio che svelano in lui una Persona immensamente più grande di quella di un uomo. Ma, nella tenerezza pietosa e commovente della scena non manca la severa e misteriosa austerità delle parole del Signore. Gesù vuol dire che c’è una condizione più grave della sua ed è di coloro che di tale condizione sono responsabili, c’è qualcosa di più deprecabile del dolore, ed è il peccato, di più irreparabile della morte ed è la maledizione di Dio, di più pauroso del presente ed è l’avvenire, di più spietato della giustizia degli uomini ed è quella del giudice eterno, di più urgente del pianto ed è la penitenza. L’appassionata attenzione rivolta al divino Paziente si rovescia: non sul protagonista del dramma è sospesa la tragedia ma sullo spettatore per una fatalità che mettendola a nudo colpisce la sua responsabilità verso la vittima.

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IX STAZIONE BUIO!

La nona stazione presenta Gesù che cade per la terza volta sotto il peso della croce e non ha più un briciolo di forza per rialzarsi: di peso lo devono rimettere in piedi gli aguzzini. Anche loro sono nel buio totale, accecati, più che dal dovere di compiere un loro compito, dalla “rabbia” contro questo condannato troppo diverso dai tanti che altre volte gli stessi soldati hanno condotto alla crocefissione. Chissà se almeno si sono chiesti chi è questo strano condannato e come mai quasi tutta la popolazione è… visceralmente contro di lui. Anche i soldati sono influenzati dall’“imbestialimento” della folla e dal… “veleno” dei capi. Quando la testa non funziona più e non tende più alla verità, la istintività peggiore la fa da padrona! Alcuni mistici, incominciando da santa Teresina, affermano che, quando i dubbi e le tentazioni di fede riguardano Dio Padre, Gesù Dio e Salvatore, “il Vivente”, o i più grandi temi della vita, la sofferenza è davvero lancinante e si può arrivare alla tentazione di rifiutare la vita, perché a questo punto più nulla ha valore e niente è in grado di far gridare: È bello vivere! Senza speranza è proprio impossibile vivere! La Speranza è figlia primogenita della Fede: quanto più la Fede è sicura, tanto più la Speranza è viva, perché non può esistere una Speranza “a sé”, come se fosse lei stessa a generarsi. Chiediamoci: perché tanti suicidi? Perché tante depressioni o evasioni nella droga, nella violenza gratuita? Perché tanti si rifugiano nel gioco, nell’alcool, nel piacere materiale, ecc.? Credo che la causa sia sempre la stessa: una opprimente chiusura in se stessi, privi di ogni speranza e di una rigenerante apertura al trascendente, cioè a Dio. Una precisazione: la fede non è solo un atto della mente, non consiste solamente nell’accettare una verità; è anche un affidarsi, un “consegnarsi” a Gesù, perché Lui è… “la Verità”, anzi, è la Verità divina fatta uomo per mettersi al nostro passo, per essere… a misura d’uomo, affinché ciascuno possa ascoltarlo, vederlo 33


e toccarlo (così afferma san Giovanni nella sua prima lettera). È la verità conosciuta e vissuta che realizza la vita; un esempio davvero significativo di ciò è S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein): dopo aver letto in una sola notte la Vita di S. Teresa di Gesù, esclamò gioiosamente: «Ho trovato finalmente la Verità!». Subito si convertì al cattolicesimo, si fece carmelitana e morì in un campo di concentramento il 9 agosto 1942. LA CROCE DI GESÙ + Anche Gesù come uomo ha dovuto affrontare più volte la tentazione della fede: nel deserto Satana gli suggerisce: «Se ti prostrerai ad adorarmi…»; nell’orto degli ulivi: «Padre, se possibile, passi via da me questo calice…», eppure sa ed è sicuro che per questo si è incarnato! Sulla croce: «Padre, perché mi hai abbandonato?»; «Questo non ti accadrà mai!», grida Pietro; ma Gesù lo rimprovera: «Allontanati da me, Satana». + Anche per Gesù la tentazione della fede è la più dura: questa volta è prostrato fino a terra e da solo non può più rialzarsi. + Per noi “umani” è quasi scandaloso il sapere che Gesù-uomo ha dovuto affrontare ripetutamente la tentazione della fede: eppure è proprio questa constatazione che ce lo fa sentire connaturale a noi. PER ME VIVERE È CRISTO + Quanti dubbi, incertezze, perplessità nella mia fede! Che buio, certi giorni! Come è difficile accettare certi dogmi! + Quanti “perché” inutili e senza risposta circa l’agire di Dio nella mia vita! Qualche volta oso “pretendere” che il Signore mi suggerisca la via giusta da seguire nella vita concreta. Eppure, Lui tace! + Talvolta sono tentato di distinguere tra il Vangelo (indiscutibile, ma interpretato da me!) e l’insegnamento della Chiesa attuale (certe volte così diverso dalla mentalità comune e dal “buon senso”! Chi ha ragione?). + Vedo in me e in altri la pratica religiosa fatta spesso per abitudine o per convenienza. E i principi dove sono? E le convinzioni…? A che serve 34


una tale pratica religiosa? Non ne vedo l’…utilità; quindi…! + Su certi problemi scottanti e attualissimi come mi è difficile accettare la Parola di Dio! E specialmente le indicazioni morali e pastorali della Chiesa. Eppure questa è la via per essere davvero un cristiano praticante. Talvolta anche qualche indicazione pastorale della Chiesa mi fa mettere in cuore una certa difficoltà e mi spinge a dire: «Ci penso io…», «Decido io…»! + Da qui la tentazione di andare a cercare un po’ di luce altrove, di “misurare” le cose di Dio con la mia mente. Fino alla tentazione ultima del “Per me…” come l’unico criterio di verità e di moralità. Così il buio è completo e invincibile: il mio intelletto è braccato e da solo non ce la fa più. + Quanti santi e sante hanno incontrato le tentazioni del buio della fede: la più nota e recente è la Madre Teresa di Calcutta, o la santa Teresina di Gesù Bambino. + Preghiamo così: Signore, ripetimi spesso: «Io sono la Verità». Donami lo Spirito Santo, che mi illumini e mi renda capace di aderire sempre e pienamente a Te, il Dio-Verità fatto uomo anche per me, per la mia realizzazione e santificazione. + Rimedio: una aperta, sincera, umile Confessione. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Nella Passione di Gesù siamo rappresentati noi stessi spettatori e causatori di essa. Ciascuno di noi può rispecchiare nei dolori di Gesù i propri peccati, la triste storia della propria iniquità. In Cristo si scorge consumato nella pena ciò che in noi è consumato nel delitto: in lui si vede l’espiazione necessaria a colpe che si credevano dimenticate e impunite. Un mistero di amore e di pietà si apre all’occhio dell’anima: questa trasposizione di sofferenza su Gesù innocente, su Gesù che previene gratuitamente un nostro bisogno di espiazione, accende una profonda simpatia, sveglia una generosa resipiscenza, suscita una commossa valutazione nuova della vita morale. Ritengo opportuno concludere la riflessione sulla nona stazione riportando qualche brano di una lunga e profonda riflessione di C. M. Martini sulla crisi di fede di S. Pietro. Martini scruta l’animo di Pietro nell’orto degli ulivi al momento dell’arresto di Gesù. Scrive: «Gesù è pieno di angoscia, suda con gocce di sangue e non rie-

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sce ad avere la compagnia di nessuno dei discepoli, neppure di Pietro. Pietro non riesce a sopportare la vista di Gesù debole e in lui incomincia a crollare il mito del Maestro: lo conosceva come il Signore potente, vittorioso, quello che sempre riesce, che sa trovare le parole adatte ad ogni situazione, quello che sconfigge con il ragionamento pronto gli avversari capziosi. Qui, per la prima volta, Pietro vede Gesù sopraffatto dalla debolezza e gli nasce nel cuore un’immensa inquietudine: come è possibile che Dio sia con quest’uomo, se quest’uomo ha paura, se quest’uomo mostra tanta fragilità? Pietro era stato educato dall’Antico Testamento a vedere il Dio grande, il Dio potente: Iavhé che vince le guerre, che sconfigge i nemici. Già stava trasferendo in Gesù tutta la potenza di Javhé, ma adesso che vede questa debolezza, cosa può fare se non chiudere gli occhi e non pensarci? È il gesto di chi dice: non voglio sapere, non voglio vedere, non riesco a capire. La debolezza di Gesù che si sta manifestando, fa interiormente crollare Pietro, perché è del tutto contraria alla sua idea del Regno di Dio, alla sua mentalità di un Regno sempre vittorioso che gli aveva fatto dire, al momento della prima predizione della Passione: Signore, no, questo non ti deve capitare, non avverrà mai, in te è la potenza di Javhé. Ora dubita che Dio sia con quest’uomo, pensa che Dio lo stia abbandonando e ne è sconvolto… La sua idea di Dio si frantuma. Dio non è più potenza, non è più bontà, non è più giustizia. Chi è, allora, questo Maestro in cui abbiamo creduto?… Pietro segue il Maestro ma da lontano. Lo segue perché lo ama; da lontano perché non riesce più a pronunciarsi apertamente per lui, perché non lo capisce: insomma che cosa vuole? Se vuole un atto di coraggio siamo pronti, se vuole qualche altra cosa ce lo dica, si faccia, almeno, capire!». (C. M. Martini, L’evangelizzatore in S. Luca, Ed. Ancora, pp. 105-108) Che… “buio” nel cuore di S. Pietro! Questa è la nona stazione; speriamo che non capiti anche a noi!

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X STAZIONE L’ UMANITÀ S-VELATA

Gesù è spogliato: è pronto per essere appeso alla croce. Spesso questo momento viene letto solo fisicamente, e si è portati a riflettere sul tema del pudore. Questo modo di leggere la decima stazione a me pare assai riduttivo. Ritengo più giusto leggere il fatto in profondità. Mi spiego: ognuno di noi ha consapevolezza di se stesso, della propria dignità, che esige anche intimità e riservatezza: ognuno si sente se stesso con le sue caratteristiche personali, i suoi valori e anche i suoi limiti e le inevitabili debolezze. In fondo vuole “possedersi”, desidera conservare per sé quello che nel profondo costituisce la sua dignità e si impegna perché gli altri la accettino e la rispettino Questo è lui, è solo lui come individuo unico e inconfondibile! Gli altri lo devono rispettare e non devono “scandagliare” la sua personalità senza un motivo serio. Ognuno è giustamente geloso di se stesso, proprio del come è ed esige che solo lui si veda come è. Se qualcuno tenta di “curiosare” nella sua persona, si sente defraudato, denudato. E soffre, perché si sente quasi spersonalizzato. La dignità di ogni persona è sacra e inviolabile, perché ogni uomo è una reale “immagine e somiglianza di Dio”! Gesù ha una perfetta conoscenza di sé, è e si sente Figlio di Dio, e anche uomo, con tutti i limiti umani, le facoltà e i sentimenti di ogni uomo. Sa perfettamente che la sua missione è quella di far sapere che Egli è Dio e il Messia atteso. L’essere spogliato delle vesti lo mette in balia di tutti, i curiosi e i cattivi che lo vogliono eliminare. In questa condizione tutti lo possono “vedere”, possono “misurarlo” nella sua umanità, fragile e limitata, anzi, nella sua… fisicità e anche in tutta la sua debolezza umana propria di ogni uomo: «Pur essendo nella condizione di Dio – afferma S. Paolo –, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6 s). Così tutti erano portati a vederlo solo come “uomo” e diventava più difficile vedere e accettare che Gesù era Dio! 37


Anche noi, come Gesù, soffriamo quando veniamo “denudati” nella nostra personalità, quando altri vedono le nostre debolezze, i limiti, le reazioni non razionali, quei pensieri negativi che vorremmo tenere nascosti nel profondo del cuore, perché nessuno li possa scoprire. Tutto questo “scandalizza” qualche fratello nei nostri confronti. È la decima stazione nella nostra personale Via Crucis! LA CROCE DI GESÙ Non credo che il motivo più profondo della umiliazione e della confusione di Gesù nell’essere spogliato sia dovuto alla nudità. Penso invece che il vero significato di questa stazione stia nel fatto che la Sua umanità venga violentemente manifestata a tutti, senza difese; perciò ogni uomo, amico o nemico, possa guardare, giudicare, criticare Gesù come uomo e vederlo solo come uomo, come semplice uomo in tutto identico a noi, nella sua debolezza della natura umana. Nulla ormai lo può difendere, nessun abito lo può velare e distinguere: è uomo, solo uomo e nient’altro. Ora è lì come tutti gli altri, per cui nulla di esterno, di umano, di tangibile, lo può distinguere dagli altri: più nulla può aiutarli a vedere Lui “diverso” da se stessi. Perciò il Dio-fatto-uomo-e-crocifisso presentato in questa stazione esige una fede pura, totale. Qui la fede esige un grosso salto di qualità. PER ME VIVERE È CRISTO La decima è forse una delle stazioni più profonde e più nostre: è la stazione della… “umanità”, del distacco da noi stessi, dal nostro orgoglio e amor proprio. È vero: ognuno di noi desidera essere giudicato bene dagli altri, apparire migliore di quello che è. Un certo pudore (leggi: amor proprio) ci spinge a “velare” la nostra umanità, con i nostri difetti, le nostre cattiverie, i limiti, anche i nostri peccati… con un certo modo di fare, col presentarci con certe “difese”, con un comportamento “guidato”; direi: vestendo un abito scelto con cura da noi stessi. Ma c’è qualche momento della vita (per fortuna!) in cui qualcuno ci scopre per quello che siamo e senza mezzi termini ci butta sotto il 38


naso (o magari lo grida ai quattro venti) un nostro difetto vero, il nostro peccato, la nostra realtà autentica. Allora ci offendiamo, soffriamo, quasi odiamo noi stessi e chi ci ha… scoperti. Ecco la decima stazione nostra, personale. Eppure l’imitazione di Cristo afferma: «Desidera, brama di essere stimato un nulla» (libro I, cap. II). Che pazzia! Ricorda che anche il Verbo, pur essendo Dio e rimanendo Dio, accettò, per amore, di essere “umiliato” fino a scendere al nostro livello di uomo. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI È un epilogo disonorante. Gesù godeva di grande fama, di grande simpatia popolare, era ormai accolto come maestro (tutti lo chiamavano tale, anche gli avversari), come operatore di prodigi, come profeta, anche come figlio di Dio. L’entrata in Gerusalemme fra l’agitazione dei rami degli alberi e il titolo di Re d’Israele riconosciutogli finalmente, sarà poi il titolo che apparirà nello scritto della sua condanna. L’offesa all’onore è per l’uomo colto e sensibile spesso più grave che quella fisica. Gesù è stato infamato quanto era possibile: la croce era un supplizio non solo crudele ma infamante. Gesù non è stato soltanto ucciso: è stato annientato. Anche questo è uno degli aspetti più gravi della Passione di Cristo, l’umiliazione totale, tanto più grave e incommensurabile, quanto maggiore era la sua statura morale e infinita la coscienza dell’Essere suo.

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XI STAZIONE L’ALTRA LIBERTÀ

Finalmente è… in croce, ben inchiodato alla croce! L’abbiamo eliminato – pensano con soddisfazione i Capi -. Ora non è più un pericolo per nessuno. La gazzarra attorno a lui finirà presto, inevitabilmente, e tutta la città riprenderà la sua vita normale, nella tranquillità quotidiana. La nostra fatica – pensano gli aguzzini con altrettanta soddisfazione – è terminata; il seguito a noi non interessa. L’unico nostro compito ormai è quello di tener lontana la gente, i curiosi, gli irriducibili e ignari nemici di Lui, anche i suoi simpatizzanti, tutta la folla che si è assiepata attorno alla croce; sì, perché questo crocifisso è speciale: non è un condannato “comune”, come gli altri, e indipendentemente dalle motivazioni della sua condanna alla crocifissione (chissà quali delitti orrendi ha commesso per essere condannato a una tale pena!) è seguito e acclamato da una grande folla di gente, talvolta anche a costo di sfidare l’ira dei Capi che l’hanno condannato. Quanto tempo durerà la sua agonia; quanto soffrirà; quante imprecazioni urlerà contro qualcuno…, a noi non interessa – concludono gli esecutori della condanna. Ormai questo “tizio” non appartiene più all’umanità, non ha più nemmeno il più piccolo diritto. Noi – aggiungono con soddisfazione – abbiamo liberata la città e il popolo da un ladro o assassino pericoloso! Ironia della sorte: proprio in questo istante la morte viene sconfitta, anzi uccisa, annientata! Perché Colui che gli uomini hanno reso immobile sulla croce in attesa della morte, è finalmente libero da ogni limite umano e potrà gridare a tutti che Egli è davvero Figlio di Dio e il Messia atteso. In ogni epoca la storia si ripete: in nome della ragione, del senso comune della maggior parte degli uomini, anche in nome della scienza, del progresso, delle “necessità” inventate da noi uomini, ecc., l’umanità di oggi pensa di aver ormai accantonato, “liquidato” Dio, Gesù Cristo e soprattutto la Chiesa. «Dio è morto», gridava il secolo scorso; invece è vivo più che mai, nonostante i peccati di noi… “amici di Gesù”. E vanno sorgendo tanti veri nuovi 40


testimoni e santi in tutte le situazioni storiche di vita, anche le più… strampalate. Viene spontaneo, quasi inevitabile, gridare: «Evviva il Crocifisso!». LA CROCE DI GESÙ Gesù, Figlio di Dio, liberamente si è fatto uomo. Gesù, liberamente ha accettata la volontà del Padre: amore e croce per liberare i fratelli dal peccato. Gesù liberamente percorre le tappe della settimana di Passione; ma nell’orto degli ulivi la sua natura umana reagisce: «Padre, se possibile, passi via da me questo calice». Gesù liberamente percorre la sua Via Crucis. Gesù liberamente si lascia inchiodare da coloro che ama e che vuole liberare dal peccato. È vero: liberamente perde la sua libertà di vivere, per conquistare la libertà e la possibilità di vivere per sempre a chi lo uccide. Mi piace riportare una riflessione di A. M. Cànopi su Gesù in croce tra due malfattori: «Accanto a lui, uno a destra e uno a sinistra, posti quasi come due guardie del corpo regale di Cristo, stanno crocifissi anche due ladroni. Circostanza fortuita? Certo no…. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Quando Gesù è innalzato sulla croce, nell’assoluta impotenza, torna il tentatore. Glielo aveva detto. Dopo la sconfitta subita nel deserto, non l’aveva certo lasciato come uno che si arrendeva. Ritorna ora con le stesse armi, con le stesse insidie: Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce; tu che hai la potenza di Dio, salvati! Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso! È il re d’Israele: scenda ora dalla croce e gli crederemo. Nel deserto gli aveva detto: Fa’ così e tutti ti verranno dietro, avrai un grande successo. Qui la stessa tentazione: scendi dalla croce! Nel deserto: trasforma le pietre in pane, gettati dal pinnacolo del tempio e verranno gli angeli a sostenerti. Guarda, ti darò tutto il mondo, se tu, prostrato, mi adorerai! Adesso ribadisce: Usa della tua potenza, fa’ vedere quello che sei; scendi dalla croce e ti crederemo! La più grande tentazione è forse questa. Ma in chi crederebbero, se Gesù scendesse dalla croce? In un Messia inventato da loro, non nel vero Salvatore, poiché se Gesù scendesse dalla croce volendo salvare se stesso, non compirebbe la propria missione di rivelare l’amore del Padre e di salvare noi con un amore che arriva al sacrificio totale di sé. Non è vedendo la forza di un Gesù capace di staccarsi 41


dalla croce e di sottrarsi dalla presa della morte che noi possiamo credere! Non sarebbe il nostro Gesù se facesse questo! È invece proprio vedendo la sua debolezza – forza di amore che lo tiene attaccato alla croce e abbandonato nelle mani del Padre – che noi crediamo in lui e lo proclamiamo Figlio di Dio e nostro Salvatore». (A. M. Cànopi, Patì per noi, Piemme, pp. 42 s) PER ME VIVERE È CRISTO + Oggi l’uomo impazzisce all’idea di perdere la propria libertà: vuole inebriarsi della sua libertà senza limiti, vuole piuttosto abusare della sua potenza di libertà senza renderne conto a nessuno. Che strano: anche l’uomo di oggi liberamente va perdendo la sua libertà, ma per finire nel peccato ed essere schiavo del sistema e delle cose, gli “idoli”. Da qui deriva il totalitarismo, la droga, il piacere mai rinnegato e sempre più esigente; da qui lo sfruttamento, lo strapotere, i delitti, gli imbrogli, le violenze di ogni genere, ecc. Da qui nasce anche la incapacità della sana critica personale e positiva. + Talvolta l’uomo dei nostri giorni vede anche Dio come un peso, uno che si impone sulla nostra libertà e che quasi ci ruba la gioia di vivere e di godere. Tanti, tantissimi anche oggi vedono Dio come un “padrone”, un despota, e considerano il seguirLo un rinunciare alla propria dignità. Per questo tanti Lo rifiutano. + È augurabile che alcuni, testimoni coraggiosi di Cristo crocifisso, liberamente sappiano perdere la libertà dell’“io carnale, per recuperare l’altra libertà, quella dell’uomo spirituale per sé e per i fratelli, proprio come ha fatto Gesù. + Signore, donaci tanti cristiani… liberi da se stessi, dal proprio egoismo e dal proprio soffocante egocentrismo. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Sul Calvario, Gesù è vittima in quanto uomo, altare in quanto Dio, sacerdote in quanto uomo-Dio. Noi siamo i crocifissori e i redenti. Lo spasimo del divino Paziente non è raccolto dalla indifferenza dei carnefici. La vista del sangue suscita istintiva pietà e ribrezzo: è il male, il dolore, la morte, nel loro aspetto visibile. Quando appare il Crocifisso eretto e vacillante, gli occhi di tutti si fissano su di lui: ancora è co-

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sì guardato. Il palo del mondo morale e religioso è piantato: l’orizzonte, il cielo è segnato dal fatidico legno, e non è più possibile contemplarlo e raggiungerlo altrimenti. Il frutto di Adamo si riattacca all’albero, l’albero della vita. Chiudo anche questa riflessione con un pensiero apparentemente poco spirituale, ma che ha un suo fascino, che chiamerei “laico”; è dello scrittore Luigi Santucci: «Il ladrone che pende al suo fianco è l’unico che ancora crede di morire vicino a un re. Per lui, anche se non sa leggere, quel cartello beffardo che hanno inchiodato in cima alla croce – “Gesù nazareno re dei giudei” – è una vera insegna regale. Egli pensa che il regno del suo compagno sia un grande giardino con torri, fontane e profumati vini. Un paradiso di scrigni aperti, dove tutto si può rubare a cuore puro, guardando giocondamente negli occhi i passanti, perché là non esistono guardie. E le strade, dove lui come sempre dormirebbe, dorate di tiepido sole e senza inverno la notte. Quando sarà arrivato lassù, forse in una biga d’avorio fra inchini di ministri, il re vorrà ricordarsi di lui? Perché deve ricordarlo? Che significa per lui essere ricordato? Non è un sentimentale, questo furfante da crocicchi. Vuole per caso che sulla fossa dove lo butteranno gli piovano grazie o preghiere? Che significa grazia, preghiera? E in che figura poi l’amico dovrà ricordarsi di lui? Come del sanguigno malfattore, col coltello alla gola delle sue vittime e le mani nelle loro borse? O così come gli pende vicino adesso, col ceffo rigato di sangue e il grosso ventre peloso? Non sa, questo non ha importanza. Lui vuole solo un cantuccio nella memoria di Cristo – “ricordati di me” -; se avesse un ritrattino, come fanno i semplici in cui esplodono calde amicizie di viaggio, glielo darebbe. L’altro ladrone bestemmia come quelli sotto. È un bestemmiare furioso (“Se tu sei il Cristo, salva te stesso e noi”), ma con una coda di astuzia. Forse – chi può sapere? – a brutalizzare questo galantuomo che ha fatto miracoli, un miracolo ci scapperà. Ma bisogna brutalizzarlo. E allora il buon ladrone ritrova la sua violenza (che bella coltellata gli affibbierebbe se le mani fossero libere!), dedica al vecchio complice la sua ultima aggressione: “Neppure tu temi Dio, tu che ti trovi a subire lo stesso supplizio. Per noi è cosa giusta, che paghiamo la pena dei nostri misfatti; ma lui non ha fatto nulla di male”.

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Sì, quel crocifisso in mezzo a loro è il Cristo. Ma egli non gli chiede il miracolo, per sé non vede nessun diritto a essere salvato. È dentro un cristallo di disinteresse totale, lui che è vissuto di cupidigia e di rapina. “Oggi” risponde Gesù, “Oggi sarai con me in paradiso”. Il vecchio malfattore è avvezzo ai tempi lunghi dell’attesa: cinque anni al remo, dieci di lavoro nelle miniere. Invece, basta coi tempi lunghi. Gesù non si contenta di cancellare con la sua spugna tutte le macchie di quest’uomo. Gli preme confidargli che subito entrerà in quel giardino senza sbirri, dove si dorme su tiepide strade. Ha chiesto: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Costui invece si può assolverlo più facilmente: sa quello che fa». (L. Santucci, Volete andarvene anche voi?, BUC, pp. 247-248)

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XII STAZIONE TUTTO È COMPIUTO

«Giustizia è fatta!» – esclamano con soddisfazione gli aguzzini –. Sì, giustizia è fatta! E dalla croce quel giustiziato non scenderà più. Che ironia: la condanna di Gesù alla crocifissione è il trionfo (momentaneo!) della falsità, della bugia, del tradimento, della brutalità e della ostinata chiusura nei propri giudizi; eppure viene proclamata come “giustizia”! Qui vediamo davvero il trionfo di Satana, il padre della menzogna. Gesù vive tre lunghe ore in croce prima di morire. Penso che Gli sia sembrata una eternità quel tempo. Che cosa avrà pensato e provato dentro di Sé in quel lungo spazio di tempo? Conosciamo il grido di Gesù: «Padre, perché mi hai abbandonato?». Dopo questo grido, quali sentimenti, quali dolori morali e quali sofferenze avrà subito? Gesù in croce, in quelle tre ore di disumana agonia è solo, assolutamente solo! Nella presentazione di queste riflessioni notavo che Gesù ha dovuto percorrere la sua Via Crucis “da solo”, spiritualmente e moralmente parlando. Ora, ormai appeso alla croce in attesa della morte, si consuma la sua totale solitudine. Forse… anche dal Padre!? Così prega Gesù in croce. Scrive il card. Martini: «Quella che Gesù sta vivendo non è soltanto una situazione drammatica: è la situazione limite della morte. È una morte in totale, perfetta, amarissima solitudine. Il Vangelo ha cura di farci notare che nessuno intorno l’ha capito e il racconto che introduce a questa ultima parola di Gesù sottolinea fortemente che viene abbandonato da tutti. Le persone che avrebbero potuto capirlo, che avevano motivi per essergli almeno vicino, non lo sono. Il popolo sta a vedere, i capi lo scherniscono, i soldati lo beffeggiano, perfino uno dei malfattori appesi alla croce lo insulta. È drammatico vedere come queste persone (i capi, i soldati, i malfattori) rappresentano categorie che la pensano in maniera diversissima gli uni dagli altri, categorie nemiche tra loro, eppure nessuna di esse è con Gesù. Tutto sembra dirgli che è una morte assurda, che non serve a niente; è un gesto sbagliato e per questo nessuno lo sostiene. La solitudine che sperimenta non è soltanto quella di non essere capito, ma è la solitudine di essere deriso, schernito in ciò che gli sta più a cuore: la salvezza». 45


Mettiamoci ora in un angolo e… “guardiamo”, scrutiamo il cuore di alcuni personaggi che passano sotto la croce di Gesù: è un autentico caleidoscopio di sentimenti e di reazioni! I SOMMI SACERDOTI Tento di leggere qualche loro pensiero: «Dio non è con lui – pensano -; non è dalla sua parte perché lo ha abbandonato, forse ignorato. Noi lo abbiamo preso e ucciso, … in croce! Avevamo ragione noi: operava prodigi per opera del diavolo! Noi siamo i… “VERI”, i giusti, con il nostro modo di pensare, le nostre leggi, la nostra azione… Noi abbiamo vinto, perché siamo più forti di lui…». È vero: è difficile accettare qualcuno che mette in discussione le nostre sicurezze, le nostre certezze, il nostro modo di pensare e le nostre tranquillità di persone “perbene”, apparentemente in pace con se stesse, per metterci di fronte alla realtà delle cose e delle situazioni, a volte dure e pesanti da gestire. Il nostro potere, il nostro “ego” è scosso; allora è molto più semplice rimuovere, eliminare la fonte di tale “disturbo” ed andare avanti nell’apparente tranquillità del nostro egoismo. Prova a pensare a qualcuno che ti ha “scomodato”: come hai reagito? Come lo hai trattato? Qual è adesso il tuo rapporto con lui? IL POPOLO, LA GENTE COMUNE Oltre alla critica superficiale penso che abbia regnato nel loro cuore una totale diffidenza: «Guarda che fine ha fatto; e i miracoli strepitosi a che cosa sono serviti? E i bei discorsi che catturavano la gente erano imbrogli…? Anche lui è stato uno dei soliti “messia”, ciarlatani e imbroglioni. E poi: Lui, il Messia, abbandonato da Dio stesso…!». C’era anche la folla armata, quella senza opinioni e senza personalità, addirittura senz’anima né cuore: è molto più semplice seguire il vento: ieri “Osanna”, oggi: “A morte!”, perché tutti gridano così. È inevitabile (e facile) seguire chi grida di più, perché, se grida, vuol dire che ha ragione! C’erano anche i falsi testimoni, gli agitatori della folla: Gesù dice: «La Verità vi farà liberi», e: «Io sono la Verità». Occorreva necessariamente la falsità, un inganno per uccidere il Figlio di Dio, cioè la Verità. Oso pensare che la sofferenza più profonda di Gesù sia stata la… menzogna, la vera causa della sua morte. 46


S. PIETRO E GLI AMICI DI GESÙ Penso che anche Pietro con i discepoli sia passato sotto la croce di Gesù. Povero Pietro: anche lui vedeva il Messia come tutti gli altri del popolo, almeno all’inizio della sequela di Gesù. Stando ai Vangeli, Pietro era sicuro del Maestro e lo seguiva con fiducia ed entusiasmo, pronto a legare la sua vita con quella di Gesù, ad ogni costo; era quasi spavaldo: «Morirò con te, Maestro!», aveva osato giurare in un momento di vero fervore (o di santa incoscienza|). Ammirava nel Maestro una sicurezza, un punto di sicuro riferimento: era personalmente presente a tanti miracoli di Gesù, e… che miracoli! Vide Gesù camminare sulle acque (Incredibile, ma vero!). Era al fianco di Gesù quando parlava ed entusiasmava le folle. Ma vide Gesù anche nei momenti di difficoltà: un esempio su tutti, nell’orto degli ulivi fu sorpreso e sconvolto da Gesù “debole”, impaurito, un Gesù che suda sangue…! Era quasi inevitabile che nel cortile del sommo sacerdote, di fronte alla domanda di una donna, si scusasse gridando: «Non lo conosco!». Era proprio vero che nemmeno Pietro conosceva nel profondo Gesù. Per fortuna, alla fine pianse amaramente! Non riesco affatto ad immaginare quale ridda di pensieri, di sentimenti e forse di risentimenti si agitasse nel cuore di Pietro sotto la croce. Preferisco non tentare di scrutare il cuore di Pietro in quel frangente: lo lascio attonito nel suo stupore e lo rispetto. LA CROCE DI GESÙ + Mistero: per amore Gesù è «ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8). Ma è innocente! Non si ferma di fronte alla brutalità dei soldati; responsabilmente va fino in fondo nella sua ubbidienza misteriosa: «Consummatum est» (Gv 19,30). + La morte in croce di Gesù non è una parabola o un semplice “segno”; è realtà: Gesù-uomo soffre fisicamente, spiritualmente e moralmente. Il fatto di quella Parasceve era cronaca; da allora è storia vera! Non desacralizziamo la croce: Gesù è morto per i nostri peccati, non per altri motivi! + Incredibile: perfino sulla croce Gesù nutre solo sentimenti di 47


perdono e di bontà; dice al “buon” ladrone: «Oggi sarai con me in paradiso». Sì, proprio in paradiso! Qui saltano tutti i criteri della giustizia… secondo il nostro concetto di giustizia! + Afferma il vescovo Tonino Bello: «Il legno della Croce, quel legno del fallimento… è la prova che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, che con le mani stese sui malati». PER ME VIVERE È CRISTO + Quanti innocenti in ogni secolo (Oggi più che mai!) prolungano il sacrificio di Cristo crocifisso: soffrono e muoiono a causa del peccato e delle conseguenze dei peccati. Perché proprio loro? Rimane un tremendo e scandaloso mistero: un mistero assolutamente insondabile. + Ho paura, umanamente parlando, ma è proprio così: «Per me vivere è Cristo e morire un guadagno» (Fil 1,21).Oggi lo ripeto tremando! Dio è fedele, quindi non toglie mai l’aiuto necessario: mi porterà fino in fondo, fino al sacrificio del mio “io” (Non so come!) ; ma per risorgere e per sostenere i fratelli. «Non abbiate paura: io sarò sempre con voi» – ci ha assicurato Gesù. Qui non esistono né sconti né scorciatoie! + Intanto devo morire al mio “io carnale”, ossia al mio orgoglio, al mio egoismo, alle mie chiusure, al mio puntiglio. La via da percorrere è sicura: basta non dire mai: “Io…!”; “E a me quale vantaggio ne viene…?” Al resto ci pensa Lui: Dio è amore; Dio ama sempre, Dio mi ama sempre..! + Anche a me, come a Pietro, Gesù non chiede di morire per Lui, ma come Lui, ossia per i fratelli. DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Tre croci sul Calvario. Gesù è collega dei malfattori nel supplizio, nella pena, non nella colpa; nella compassione, non nella complicità. La scena macabra si svolge all’aperto, davanti alla folla, al cospetto della città santa. Su la terra arida, i tre alberi funesti ostentano i loro frutti di morte: carni ignude, livide, sanguinanti, spasimanti. Non è un attimo, sono ore. Questi trofei della giustizia e della crudeltà sono ancora vivi: essi parlano. Un dialogo fra loro si inizia:

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i morituri fanno l’uno all’altro il proprio testamento. Una testimonianza sale, come un fiume che divenga fiamma, anche dalle croci ravvicinate quasi a colloquio sul male, sulla vita e sulla morte. Gesù, dando magnifica testimonianza della propria invitta coscienza messianica, risponde con la grande profezia del regno oltre la morte. «Oggi sarai con me in paradiso». Queste mormoranti parole riecheggiano ancora nei secoli e le raccoglie ogni pentito morente. La morte di Gesù stabilisce un’immediata continuità tra questa e la misteriosa, paurosa vita futura. La sua sicurezza stupenda rinfranca e sostiene chi all’estremo passo si affida a Lui. Per Lui il paradiso esiste, per Lui il paradiso è nostro.

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XIII STAZIONE LA MADRE E IL CORPO DEL FIGLIO

Alcuni amici di Gesù stanno staccando dalla croce il corpo di Gesù, con delicatezza, quasi col timore di causargli altre sofferenze. La Mamma assiste in silenzio, chiusa nel suo ineffabile dolore, con il cuore sanguinante, in attesa di accogliere il corpo del suo Figlio Gesù. È suo! È giusto che venga riconsegnato a lei; e la Mamma lo vuole proteggere perfino dagli sguardi dei curiosi indiscreti (Erano tanti anche in quel momento così intimo!). Lo vuole custodire, perché nelle sue braccia materne Gesù è sempre al sicuro; vuole difenderlo da chi, forse, vorrebbe ancora fargli del male. Sono tante le raffigurazioni della Madonna Addolorata: tutte invitano al silenzio contemplativo, senza ragionamenti né commenti, per rispettare il dolore della Mamma. Personalmente non oso tentare di scrutare il cuore di Maria in quel momento davvero unico di tutta la storia. Per questo motivo mi limito a riportare un pensiero… femminile. Poi lascerò la penna al grande card. Martini. Ecco il pensiero e la preghiera di una donna che sa cogliere ed esprimere con una preghiera un tale sentimento ineffabile: «“O vos omnes qui transitis per viam: attendite et videte, si est dolor similis sicut dolor meus” (Lam 1,12). Cristo inchiodato alla croce affida alla Madre la sofferenza del Mondo, cosciente che solo lei ora è in grado di portarne il peso e di farsi da tramite. Maria accoglie la richiesta del Figlio nel momento in cui lo riceve per l’ultima volta tra le braccia e nel momento dell’abbandono nel sepolcro. È in questo momento che il suo “Sì” dell’Annunciazione si realizza pienamente. Il silenzio di Maria diventa scrigno in cui raccogliere gli affanni, i dolori, i segreti di una umanità che ha bisogno di uno sguardo materno, disposto a tutto, per affrontare la quotidianità senza perdersi». Faccio mia la preghiera conclusiva: «Ancora ti chiamo col nome di figlio,/ mio Signore e mio Dio./ Senza parole da dirti,/ con il mio silenzio,/ combattuto/ tra il dolore di madre/ e la certezza della tua presenza/ per sempre,/ nel mio cuore di figlia». C. M. Martini si domanda che cosa c’è nel cuore di Maria sotto la croce e soprattutto quando contempla il corpo morto di Gesù tra le sue braccia. Vi trova, per noi, un invito alla fede, che non è 50


vinta nemmeno dalla morte e che genera una forte e dinamica perseveranza, anche se faticosa. Ascoltiamolo. «Che cosa ci dici, o Madre del Signore, dall’abisso della tua sofferenza? Che cosa suggerisci ai discepoli smarriti? Mi pare che tu ci sussurri una parola, simile a quella detta un giorno da tuo Figlio: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa…” (Mt 17, 20). Che cosa ci dici ancora, o Maria, dal silenzio che ti avvolge? Ti sento ripetere, come un sospiro, la parola del tuo Figlio: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19). La parola ‘perseveranza’ può essere tradotta anche con ‘pazienza’. La pazienza e la perseveranza sono le virtù di chi attende, di chi ancora non vede eppure continua a sperare: le virtù che ci sostengono di fronte agli schernitori beffardi,, i quali gridano: “Dov’ è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione” (2Pt 3,3-4). E aggiunge una preghiera intima: «Tu, o Maria, hai imparato ad attendere e a sperare. Hai atteso con fiducia la nascita del tuo Figlio proclamata dall’ angelo, hai perseverato nel credere alla parola di Gabriele anche nei tempi lunghi in cui non capitava niente, hai sperato contro ogni speranza sotto la croce e fino al sepolcro, hai vissuto il sabato santo infondendo speranza ai discepoli smarriti e delusi. Tu ottieni per loro e per noi la consolazione della speranza». LA CROCE DI GESÙ + Gesù, uomo, ha completato il suo compito: non ha più azioni da compiere; né miracoli da operare; né insegnamenti da dare. Ora non gli serve più nulla per sé e non si appartiene più. Quel che doveva fare l’ha fatto: per gli altri! Come ultimo segno di questa destinazione restituisce il suo corpo alla Madre. Toccherà a lei consegnarlo ai fratelli come prova che “tutto è compiuto”. Certamente la morte è vinta, perché l’Uomo-Dio, che si è fatto lui stesso morte, ridiventerà vita, tra poco, nella notte di Pasqua. + La giustizia divina è risarcita e l’amore del Figlio si è pienamente realizzato. Il “tutto è compiuto” diventa in realtà l’amore che ha vinto la morte. La gloria del Padre è, finalmente, realizzata; e l’Amore da ora in poi non subirà più né limitazioni né offese. E la Mamma, con il corpo morto del Figlio tra le braccia, ne è ancora una volta la testimone indefettibile. 51


PER ME VIVERE È CRISTO + È vero: quanto più moriamo a noi stessi, quanto più ci liberiamo dall’egocentrismo, dall’orgoglio, dalla sensualità, ecc. tanto più ci sentiamo liberi da qualcosa che ci legava e ci sentiamo della Chiesa viva. Siamo vivi davvero! Allora la Chiesa… “ci usa” come annunciatori e testimoni della Redenzione sempre in atto, perché si è ripetuta ancora in noi, grazie alla libertà recuperata. Però è indispensabile vivere il “vacare Deo!” (= svuotarci del nostro egoismo a vantaggio di Dio!) + «Se consepolti con Cristo, conresusciteremo con Lui» (Rom 6). È l’attuazione della Speranza: non quella puramente umana, del mondo; ma quella “cristiana”, frutto della morte in croce di Cristo. + La Mamma ci invita a consegnare a lei, fiduciosi, le nostre debolezze e fatiche: si incarica lei stessa a “costringere” suo Figlio a trasformarle in atti di generosità e fortezza. Proprio come a Cana: anche per noi l’acqua diventerà vino! DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI La drammaticità fondamentale della Passione di Gesù scaturisce dall’urto tra due elementi: Dio e la morte. Morte è dissoluzione, passaggio al nulla, cessazione di essere. Quanto più viva e perfetta è l’esistenza che così si dissolve, tanto maggiore è lo stupore, il panico, la ripugnanza, il mistero che circonda questa inesorabile condanna. Quando muore un uomo, muore un essere che ha in sé qualcosa di eterno, qualcosa che non dovrebbe morire mai. E quando muore Dio? Quando muore il Principio, la Causa, la Vita stessa? Quando muore il Padre della creazione, la Fonte dell’essere, l’immobile, l’infinito, l’indefettibile Iddio? La sua impossibilità a morire è così radicale che la morte non ha senso in Lui in quanto Dio: ma che sarà un attentato alla sua vita santissima? Che sarà la morte dell’uomo che vive in Dio? Il sole si oscura e la terra trema: l’orrore passa dagli animi alle cose, il brivido di spavento invade ogni essere: Dio e la morte sono in Cristo Gesù.

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XIV STAZIONE IL SILENZIO REGNA

Gesù, spirato sulla croce, sembra aver consumato fino in fondo la sua Passione. Tutto ha compiuto della volontà del Padre; tutto ha consegnato di Sé: agli uomini gli insegnamenti, i gesti, il corpo, il sangue, … la Madre; al Padre ha consegnato il suo Spirito. Eppure, la sua Via Crucis non è ancora terminata: conosce infatti un’ultima stazione, la XIV! Ma come poteva esserci ancora sofferenza per Lui, dopo la morte? Se mani pietose cospargono di unguento il suo corpo e lo depongono in un sepolcro, sappiamo dal Vangelo di Matteo che c’è ancora una volontà di persecuzione nei suoi confronti: si desidera sigillare la sua tomba con una pietra e assicurarsi con delle guardie che il Crocifisso resti morto davvero, escluso per sempre dalla storia degli uomini, perfino dagli sguardi di qualche curioso malfidente. Oramai è… annullato! Nessuno veglia il suo sepolcro, tra le persone che lo hanno amato; chi veglia è l’odio dei nemici. Gesù lascia all’uomo il diritto di fare anche questo, ennesima manifestazione del rifiuto di tanti uomini nei suoi confronti. Gesù si lascia respingere, ancora, anche da morto. È incredibile, quasi inammissibile, eppure anche di fronte all’evidenza, l’uomo si ostina a non credere, nonostante i sepolcri si aprano, molti morti risuscitino, il Centurione esclami: «Davvero costui era Figlio di Dio!». Ecco, allora Dio tace. Il silenzio del sabato santo è la risposta di Dio a quanti non ne vogliono proprio sapere di Lui. E, rinchiudendolo in un sepolcro, vogliono che il loro rifiuto sia per sempre e sia di tutti! Quante volte capita all’uomo di non comprendere il silenzio di Dio! E se ne lamenta, giudicandolo un’assenza, soprattutto di fronte a tante situazioni drammatiche, di ingiustizia, di sofferenza, di violenza perfino disumana. Non riflettiamo sul fatto che il silenzio sia un altro modo di parlare da parte di Dio, quando tutte le sue parole pronunciate e proclamate sono respinte dall’uomo. Non si tratta di un silenzio cattivo, di chi si disinteressa, ma di chi… “lascia fare” per il rispetto della libertà dell’uomo, e accetta di subire il rinnegamento at53


traverso anche l’ennesimo rifiuto. È il silenzio della pazienza di Dio! È anche questa una manifestazione della pedagogia amorosa di Dio. Egli tace, non solo perché ha già parlato, ma per testimoniare fino in fondo la Sua Verità di fronte al peccato dell’uomo. Con la XIV stazione si entra in un’altra dimensione: quella contemplativa, che non lascia materia alla nostra “ragione”, né ai nostri sensi, né all’emotività (il dolore è stato consumato in tutta la sua drammaticità; l’odio si è sfogato nella sua brutalità). Resta solo lo sguardo di fede. Il silenzio del sabato santo è tutto da “ascoltare”, contemplare, possedere e vivere. Questo silenzio parla, a ciascuno con un timbro personale. Ci invita a fermarci, nella verità di ciò che siamo, e a “stare” di fronte alla Verità che Dio è! Gesù, il sabato santo, si è fatto silenzio: a noi l’invito ad ascoltarlo, senza pretendere di capire, ma con il desiderio di “credere”, amando! APPROFONDIMENTI IL SILENZIO DI DIO È… COMPIUTEZZA Il Padre tace perché ora contempla la piena realizzazione della missione del Figlio, che è l’attuazione dell’Amore e dell’Ubbidienza. Gesù Uomo tace, perché adesso tutto, proprio tutto, è davvero compiuto: il corpo dell’Uomo Gesù è “restituito” alla Mamma; Gesù Figlio di Dio rientra nella gloria della Trinità. Sono tanti i silenzi che Gesù ha vissuto durante la sua vita terrena, in diverse occasioni e per differenti motivi: «I silenzi di Gesù (…), nel corso dei racconti evangelici, sono degni di nota per la loro diversità e convergenza. I silenzi della vita nascosta, nei quali sono coinvolti Maria e Giuseppe, e prima di tutto quello della sua quieta attesa nel seno di sua madre…; i silenzi di Betlemme e in seguito quelli di Nazaret nell’umile vita familiare… Poi il silenzio del deserto, accompagnato dal digiuno e ricco di preghiera, percorso dalla tentazione nella quale Gesù non lascia scalfire la sua retta fedeltà a ciò che il Padre vuole da lui. Infine, i silenzi che punteggiano la vita pubblica, le serate e le notti in disparte sulle colline, in conversazione con il Padre… E tanti altri silenzi calcolati…, o in presenza del male, il rifiuto di spiegarsi o di discolparsi, sino a quei silenzi che ritmano come un ritornello il racconto delle sue ultime ore prima delle sette parole pronunciate sulla croce». (M. Baldini, Le parole del silenzio, Ed. Paoline, p. 236) 54


Riporto in questo contesto una riflessione scritta nel mio libretto Pasqua, a p. 25 s.: «Nel sepolcro di Gesù c’è silenzio come in ogni altro sepolcro. Ma qui non è incapacità e mancanza di parola, quindi povertà dell’essere e di vita. Non è certo una negatività. Gesù, il Verbo incarnato, la Parola fatta uomo, si è pronunciata tutta. Quindi il silenzio del sepolcro di Gesù è completamento, è annuncio e manifestazione diventato pienamente realizzato del pensiero-volontà del Padre. Il “Tutto è compiuto”, pronunciato da Gesù sulla croce, esprime una verità divina: “Tutto quello che ho udito dal Padre mio ve l’ho fatto conoscere, ve l’ho annunciato. Ora tocca a voi approfondire la mia parola, viverla e annunciarla. Così potrete davvero diventare miei amici.” Il silenzio del sepolcro di Gesù è lo spazio contemplativo per eccellenza! Non può essere, pertanto, la fine, la conclusione del rapporto uomo – Gesù: tanto è ormai tutto finito! No! Anzi è il momento della fecondità, o meglio, della gestazione in noi della Parola di Verità, che è l’Amore. Come nel grembo di una mamma, dopo la fecondazione incomincia il tempo del silenzio e dell’apparente inattività, così il silenzio della tomba di Gesù ci dice: “Fratello, ora tocca a te… gestire, formare la mia parola nel tuo cuore. Allora finalmente diventerà vita vera!” Se non ci fosse stato lo spazio dei tre giorni di silenzio nel sepolcro di Gesù, avremmo corso il pericolo di scappare via impauriti e delusi perché oramai si vedeva la fine di tutto: tutto sarebbe stato concluso. Invece no: lì incominciava il lavorio nostro interiore, quello della fecondità e della vita. Nel sepolcro, la Parola di Dio, Gesù Cristo, era stata completata: era stata scritta anche l’ultima lettera, cioè la morte della morte! Quindi era… inevitabile che poi scoppiasse la VITA, mediante la Risurrezione. Ma adesso era… VITA “NUOVA”, che significa: non più soggetta al limite della natura umana.¸ ossia: vita eterna!». IL SILENZIO DEI DISCEPOLI È… DELUSIONE E SCANDALO Riporto direttamente il pensiero del card. Martini: «Perché sono tanto smarriti? Perché il loro Signore e Maestro è stato ucciso, il suo appello alla conversione non è stato ascoltato, le autorità lo hanno condannato e non si vede via di scampo o senso positivo da dare a tale evento. C’è stato, a partire dalla cena pasquale, un succedersi di fatti imprevedibili che li ha sorpresi e resi muti… Le anticipazioni che avevano avuto (le previsioni della passione 55


fatte più volte da Gesù) i gesti rassicuranti (i miracoli del Maestro, il suo amore mostrato nell’ultima cena) sono svaniti dalla memoria. Si ha l’impressione che Dio sia divenuto muto, che non parli, che non suggerisca più linee interpretative della storia… A ciò si aggiunge la vergogna per essere fuggiti e aver rinnegato il Signore: si sentono traditori. Non si vede come uscire da una situazione di catastrofe e di crollo delle illusioni…». IL SILENZIO DI MARIA SS. È INVECE…SPERANZA! Maria SS. “sta” in silenzio di fronte alla tomba del Figlio, così come “sta” col corpo morto del Suo Figlio tra le braccia. Proprio perché “sta” in questi due momenti ineffabili, è testimone silenziosa, ma evidente e significativa, dell’avvenuto mistero della Redenzione. Pertanto è fonte di viva speranza, che ci dà la forza di affrontare la vita, in qualsiasi situazione! «Il mistero si annuncia, non si spiega – scrisse primo Mazzolari. Ma chi compie la scelta dell’annuncio si impegna in prima istanza ad essere un testimone, un testimone fedele. E il silenzio valorizza la testimonianza. Il silenzio testimonia, non argomenta, non prova, non dimostra. Eppure, nonostante questo, ma forse proprio per questo, possiede una forza insolita. “Perché gridi così forte?”, dice Dio a Mosè. Eppure Mosè taceva. “Tanto può – commenta Kierkegaard – il silenzioso gridare al cielo”. Il silenzio – ha scritto Madeleine Delbrel – non è una evasione, ma il raccogliersi di noi stessi nel cavo di Dio. Il silenzio non è un serpe che il più piccolo rumore fa fuggire, è un’aquila dalle ali forti che vola alta sullo strepito della terra, degli uomini e del vento». (M. Baldini, Le parole del silenzio, pp. 37-38) Ora facciamo nostra la preghiera del card. Martini: «Tu, o Maria, hai imparato ad attendere e a sperare. Hai atteso con fiducia la nascita del tuo Figlio proclamata dall’angelo, hai perseverato nel credere alla parola di Gabriele anche nei tempi lunghi in cui non capitava niente, hai sperato contro ogni speranza sotto la croce e fino al sepolcro, hai vissuto il sabato santo infondendo speranza ai discepoli smarriti e delusi. Tu ottieni per loro e per noi la consolazione della speranza, quella che si potrebbe chiamare “consolazione del cuore…”. Il sabato santo è vissuto dai discepoli nella paura e nel timore del peggio, perché il futuro sembra riservare loro sconfitte e umiliazioni crescenti. Maria però vive un’attesa fiduciosa e paziente; ella sa che le promesse di Dio si avvereranno. Anche nel sabato del tempo in cui ci troviamo è necessario riscoprire l’importanza dell’attesa; l’assenza di speranza è forse la malattia mortale delle coscienze nell’epoca segnata dalla fine dei sogni ideologici e delle aspirazioni ad 56


essi connesse. All’indifferenza e alla frustrazione, alla concentrazione sul puro godimento dell’attimo presente, senza attesa di futuro, può opporsi come antidoto soltanto la speranza. Non quella fondata su calcoli, previsioni e statistiche, ma la speranza che ha il suo unico fondamento nella promessa di Dio». (C. M. Martini, Incontro al Signore risorto, BUC, pp. 280 e 287) LA CROCE DI GESÙ + La Parola del Padre si è fatta uomo, per poter essere accolta e capita dagli uomini. Sulla croce si è “pronunciata” tutta, fino in fondo, anche se non ancora capita, o se rifiutata. Terminata la sua missione, Gesù, la Parola del Padre, tace. E regna il silenzio, segno di compiutezza del disegno di Dio e prova che il Padre ha confermato la missione compiuta dal Figlio. Ora la giustizia divina è “soddisfatta”, è oggettivamente ricomposta. + Il silenzio del sepolcro è il momento necessario per il passaggio dalla morte alla risurrezione, dal Venerdì santo alla Pasqua: «Se il chicco di grano non muore – ha detto Gesù –, non dà frutto». Sulla croce questa verità si è pienamente realizzata e il silenzio “tombale” ne è la prova inconfutabile. PER ME VIVERE È CRISTO + Tra il ricevere una parola, un invito o una illuminazione dello Spirito santo e il pronunciarla ai fratelli c’è sempre uno spazio riservato a Dio: questo è il silenzio contemplativo e fecondo. + La Vita, quella vera, nasce sempre da un silenzio prolungato: Gesù, prima di iniziare la sua missione, si è ritirato nel deserto per quaranta giorni; Giovanni Battista, prima di iniziare la missione di battezzatore, si è ritirato nel deserto; Paolo, dopo aver incontrato personalmente il Cristo, si è ritirato nel deserto. + È nel silenzio religioso che maturano le grandi decisioni della vita ed è lì che si trova la forza calma ed efficace di dire il proprio Sì a Dio. + Scrive l’abbadessa Cànopi: «Dopo gli avvenimenti della giornata, tutti tornano a casa e scende il grande silenzio della sera. “Nelle tue mani affido il mio spirito”: Gesù era spirato riconsegnandosi alle mani del Padre, a 57


cui aveva sempre obbedito. Per questo la sua ora di agonia sfocerà nell’alba della risurrezione. Noi che siamo entrati con Gesù in quest’ora, crediamo davvero che le tenebre hanno solo apparentemente prevalso, poiché in esse già si fa strada la luce? Noi che pure conosciamo la morsa dell’angoscia, crediamo che nel grido di Gesù morente si fa strada la speranza della vita? Noi che pure facciamo l’esperienza del turbamento per tanti sconvolgimenti che avvengono nel mondo, ne sappiamo trarre motivo di pentimento per convertirci a una più grande fede?». (A. M. Cànopi, Patì per noi, Piemme, p. 53) DALLA RIFLESSIONE DI PAOLO VI Il silenzio di Gesù. Quale profondità in se stesso! Quale personalità! Anche le poche parole che Gesù proferisce nel suo processo e poi nella sua crocifissione, quale aseità, quale pienezza interiore, quale presenza solitaria in sé esse dimostrano! Gesù si priva delle due persone uniche e amorose che lo seguono fino alla croce: la Madre e il discepolo del cuore, e lascia ad eterno e misterioso ricordo della sua sconsolante e lacerante solitudine le parole: «Lema sabacthani», dopo aver due volte gridato come fosse in un vuoto solo da Lui sperimentabile, cosmico, assurdo, incomprensibile. Nessuno di noi in questa vita, mentre sempre ci assiste la misericordia di Dio, potrà provare l’angoscia infinita di tale solitudine!

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IL VIVENTE! Alleluia! Gesù è risorto, è davvero risorto! Non significa che è stato fatto risorgere da qualcuno; Lui stesso, perché è Dio, oltre che uomo vero, è risorto in forza della Sua divinità. Pertanto non muore più, vivrà per sempre; in una parola, è il VIVENTE! Questo non è un semplice aggettivo qualificativo, “vivo”; è un participio presente, quindi esprime un’azione, anzi, un’azione che continua nel tempo; allora “il Vivente” significa Colui che vive, che ha in sé il principio della vita e trasmette la vita ad altri, dona la vita a chi si unisce a Lui. È davvero una verità “ineffabile” – voglio usare un termine caro al beato Paolo VI –; è una verità che non si può esprimere con semplici parole umane: il Cristo, perché risorto, è “il Vivente”! Inoltre Gesù risorto, perché è “il Vivente”, è sempre vivo e attivo nella storia di ogni epoca: lo è come Emmanuele, cioè Dio con noi; lo è come Redentore, cioè morto in croce a vantaggio nostro, affinché anche noi, in Lui, diventiamo “viventi”. Ma è risorto! In queste meditazioni ho cercato di riflettere sulle singole stazioni della Via Crucis, oltre che nella Passione di Gesù, anche nella vita personale di ciascun uomo. Per tale motivo, la seconda parte di ogni stazione l’ho introdotta con il «Per me vivere è Cristo». Volente o nolente, ogni uomo deve (sì, deve!) vivere la propria via crucis come Gesù vuole: nessuno può sottrarsi a questo impegno. In caso contrario non sarà possibile seguire responsabilmente Gesù: «Chi vuol venire dietro a me, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (Mt 10,38). Il “per me vivere è Cristo” arriva fino a diventare “consepolti” con Cristo, con la certezza che solo dopo saremo “conresuscitati” con Lui – lo afferma S. Paolo in Ef 2,6 –. Gesù è risorto, quindi è “il Vivente”! Lo è anche oggi, lo è per me, per ciascuno di noi. Innanzi tutto è necessario che questa verità diventi una certezza della mente e una profonda convinzione del cuore. Ma c’è di più: occorre che diventi in me vita quotidiana; e lo 59


sarà nella misura in cui diventerà il movente delle mie decisioni… feriali, piccole, semplici; solo se mi interpellerà nel profondo e mi porrà delle vere domande di senso. Rivedo la scena delle donne che si recano al sepolcro di Gesù il mattino di Pasqua e sento dentro di me, rivolta proprio a me, la domanda dell’angelo: «Chi cercate?» «Non è qui, è risorto». Mi sento interpellato personalmente e mi domando: Io cerco Gesù, il Maestro… vivo, colui che dà significato e valore alla mia vita? Oppure cerco, come le donne al sepolcro, il “corpo” di Gesù? In fondo: mi interessa Gesù, che è e perché è “il Vivente”, oppure mi interessa soltanto una “cosa”, sia pure il… corpo morto di Gesù? La risposta positiva sembra ovvia, eppure non è sempre scontata! Per esplodere nell’Alleluia pasquale ogni giorno, è indispensabile percorrere e assaporare la via crucis personale, tutta la mia via crucis, stazione per stazione; e non solo quella di Gesù, ma la… “mia”! Lasciamoci “stupire” da questa verità: Gesù, perché è risorto, è “il Vivente”. E quanta luce diffonde una tale constatazione sulle beatitudini, in particolare sulla sofferenza. Scrive don Pozzoli: «“Beati quelli che piangono”: sembra una contraddizione, un paradosso, una follia. Eppure il Crocifisso e risorto è lì a ricordare che la gioia può e deve coesistere con la sofferenza… È la gioia di sentirsi cercati con misteriosa, trepida attesa; la gioia di essere amati, di essere liberi, di essere chiamati verso un “oltre” di vita intensa e quindi di beatitudine sovrabbondante». (L. Pozzoli, La beatitudine del naufrago, Ancora, p.90) Mi chiedo di nuovo: Che Gesù cerco? Quello morto, ormai sepolto da giorni, quindi ormai appartenente alla storia, oppure Gesù “il vivente” oggi, qui, della mia “cronaca”? Maria di Magdala ha sbagliato: ha cercato Gesù nel sepolcro. Scrive C. M. Martini: «Il Vangelo ci mostra come la ricerca di Maria di Magdala sia sbagliata, perché non dà spazio alla novità radicale di Dio, che è vittoria sulla morte. Ella ricerca Gesù nella tomba, cioè nell’ambito delle cose mondane, dell’esperienza quotidiana cui è abituata; non permette che Dio le venga incontro dal di fuori di tale esperienza, al di là e al di sopra di essa, inserendovisi dentro, con piena naturalezza, ma con una forza che supera tutte le esperienze quotidiane». (C. M. Martini, Incontro al Signore risorto, BUC, p. 314) 60


Quanto è difficile credere “carnalmente” che Gesù è proprio risorto! Sì, noi pensiamo, affermiamo quasi con… sicumera che Gesù è risorto, quindi è il Vivente. Ma facciamo un passo in avanti: se Gesù è davvero risorto, «nulla è impossibile a Dio!». Io, personalmente, oggi, nella mia situazione esistenziale con le difficoltà e i dubbi, credo davvero che «nulla è impossibile a Dio»? Risento in me una riflessione della Madre Cànopi: «Che cosa si squarcia in noi? Se viviamo davvero il mistero della croce, si squarcia il nostro vecchio mondo, il nostro vecchio uomo, il velo della nostra ignoranza; si spacca la roccia del nostro cuore. Allora con il centurione e con i soldati gridiamo, presi da santo timore: “Costui è veramente il Figlio di Dio!”. Allora con le pie donne sostiamo presso la croce e presso il sepolcro, sicure che Gesù, caduto nel silenzio della morte, non è perduto per noi, perché l’Amore è il più forte». (A. M. Cànopi, Patì per noi, Piemme, p. 54) Credo che sia opportuno estendere la domanda di Gesù alla Maddalena («Chi cerchi?») anche agli uomini del nostro tempo, e chiedere se Gesù, perché risorto, è realmente “il Vivente” per la società di oggi, per gli uomini egocentrici di oggi. Anche in questo caso ascoltiamo il card. Martini: «Nella ricerca di questa donna cogliamo la nostra ricerca, le nostre fatiche, e pure le nostre gioie improvvise, i nostri entusiasmi, allorché sentiamo che la voce di Gesù possiamo riascoltarla dentro e che essa concorda con quanto ci dicono le voci della Chiesa, della fede, della storia. In questi momenti di luce, di gioia, di illuminazione interiore, noi comprendiamo che la risurrezione di Cristo ci rivela il senso della storia umana, di tutti gli eventi quotidiani; ci rivela la direzione di tutta la realtà, tesa verso la vita, verso la pienezza di espressione della nostra libertà. Comprendiamo che in Gesù risorto viene glorificato un frammento di corporeità, di storia, di cosmo e che questo è l’inizio di una umanità nuova, è il destino dell’umanità». (idem, p. 315) Anche le donne che vanno al sepolcro sono umanamente incapaci di pensare a un Gesù diverso da quello che conoscevano, che mangiava con loro, che camminava per le strade dei loro paesi, che in fondo viveva come loro, quindi un Gesù “tangibile”, che si poteva ascoltare con le proprie orecchie e toccare con le mani: un Gesù afferrabile e che quasi si poteva… possedere. Potevano al massimo pensare un Gesù “vivo”; era impossibile osare, sperare, pretendere di trovare Gesù “il Vivente”! Ossia Gesù come colui, non solo che vive, ma che è la fonte stessa della vita! Allora, 61


l’affermazione forte dell’arcangelo Gabriele a Maria: «Nulla è impossibile a Dio!» non è un modo di dire: è la verità! E mi chiedo: quando anch’io oso dirlo agli altri, lo dico solo per consolarli nel dolore? E io me lo ripeto con convinzione e in verità quando quasi tutto mi va di traverso? Ancora un’osservazione: Sì, anch’io ho la mia via crucis da percorrere affinché si realizzi il “per me vivere è Cristo”. Però non per un fine egoistico, non in modo narcisistico, cioè unicamente per un mio vantaggio personale, o quasi per una mia soddisfazione. Nell’ultima Cena Gesù ha detto agli apostoli: «Fate questo in memoria di me». Certamente con il pronome “questo” intendeva la celebrazione dell’Eucaristia, ma anche: Comportatevi come me, per gli stessi fini che mi hanno portato a donarmi fino alla croce per i fratelli. Allora, il “per me vivere è Cristo” (che comporta anche il vivere la mia via crucis) comprende necessariamente anche il fine ecclesiale, anzi… universale; in altre parole, sono chiamato da Gesù a percorrere la mia via crucis per un fine… missionario. S. Paolo afferma di vivere tutte le sue sofferenze, non per se stesso, ma per la Chiesa: Io soffro ma per gli altri, per tutta la Chiesa – dice il grande apostolo –: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Concludo le riflessioni sulla Via Crucis di Gesù e di ciascuno di noi con una preghiera dell’intramontabile card. Martini e una di sensibilità tipicamente femminile: è di una Religiosa. Così prega Martini: «O Gesù, tu sei qui adesso, in mezzo a noi, sei risorto per costruire un mondo nuovo, la società dell’amore, malgrado le resistenze e le opposizioni del male e della violenza. Donaci di essere sempre più uomini e donne della risurrezione; come le donne del Vangelo che trasaliscono di gioia, di camminare non verso il sepolcro, ma verso la vita e di proclamare a tutti i nostri fratelli: il Crocifisso è risorto, e noi siamo per sempre liberati dai peccati, dall’angoscia, dalla paura, dall’egoismo; facci capire che sei tu la vera gioia!». (C. M. Martini, Incontro al Signore risorto, BUC, p. 298) 62


Con un animo tenero e sensibile, proprio femminile, la Suora così si rivolge a Gesù Risorto: La risurrezione di Gesù nel terzo giorno Che cos’è accaduto, Signore? Com’è accaduto? È inutile chiedertelo. Mi basta la gioia immensa di poterlo credere e di sapere che un giorno, non so come, accadrà anche a me. Sapessi quanto ci conto, Signore; Niente mi soddisfa veramente, ora. Anche nei momenti di gioia mi aggiro tra inquietudini, oscurità e incertezza. Ma questa è la certezza. So di essere nato, per la Grazia, in un altro Paese. Lascia che mi abbandoni a sogni senza fine, Gesù. Fa bene al mio dolore. Meglio di qualunque medicina. E tu, Maria, mamma fedelissima, che hai contribuito a ottenermi questa verità più bella di ogni sogno, aiutami a conservare nel cuore tutte queste cose e a ricordarmele quando si fa sera. Alleluja !

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COLLANA GOCCE EUCARISTIA – Memoriale e segno (2012)

QUARESIMA AMBROSIANA – Vangeli delle domeniche (2012)

SEGUIMI – Spunti di vita cristiana (2013)

PASQUA – Memoriale della Redenzione (2014)

COME – Lo stile del cristiano (2014)

CHI SEI? – L’uomo nella Bibbia (2015)

FELICI SE… (2016)

La Sua e la mia VIA CRUCIS (2017)

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Pro manuscripto

Finito di stampare nel febbraio 2017



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