Seguimi

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Luigi Schiatti

Il titolo invita a pensare alla proposta per un cammino vocazionale. Invece no. Si tratta di suggerimenti per chi vuol impegnarsi più in profondità a seguire Gesù nella propria vita cristiana di ogni giorno. È una delle tantissime proposte e non ha affatto la pretesa di indicare il miglior cammino possibile. È però una proposta valida e, oso dire, efficace.

SEGUIMI

Spunti di vita cristiana



Luigi Schiatti

SEGUIMI

Spunti di vita cristiana


INDICE

SEGUIMI SPUNTI DI VITA CRISTIANA ....................................................... pag.

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LA GLORIA DI DIO .............................................................. pag.

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VACARE DEO ......................................................................... pag. 10 PER ME VIVERE È CRISTO ............................................... pag. 14 ORA VIVE IN ME CRISTO.................................................. pag. 17 «AMA NESCIRI…» ................................................................. pag. 21 MADRE MIA, FIDUCIA MIA .............................................. pag. 25 PER CRISTO, CON CRISTO, IN CRISTO ....................... pag. 31 GESÙ PERDONAMI – PURIFICAMI – CONVERTIMI ........... pag. 37 ECCOMI – USAMI .................................................................. pag. 41 E FARTI CONOSCERE......................................................... pag. 45 CHE ASSURDO! ...................................................................... pag. 51 PER FINIRE ............................................................................. pag. 58

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SEGUIMI SPUNTI DI VITA CRISTIANA MI SPIEGO Sono annotazioni che propongono un cammino, uno dei tanti cammini possibili, che aiutano a vivere la propria fede nella quotidianità. Occorre solo puntare occhi e cuore su Gesù, il Vivente, e tentare di seguirLo sempre, il più possibile, sia nei momenti belli, sia nei momenti di sofferenza. Non sono affatto appunti da leggere e nemmeno soltanto da conoscere con la mente: sono da vivere nella quotidianità, passo dopo passo, magari con fatica, ma con perseveranza. Giovanni 1,43: Gesù dice con fermezza a Filippo: «Seguimi!», senza aggiungere altro. Gesù è tremendamente chiaro e conciso nel suo parlare. Anche a Matteo dice soltanto: «Seguimi»: «Passando, vide Levi… e gli disse: Seguimi. Ed egli si alzò e lo seguì» (Mc 2,14) Al giovane ricco: «Vieni! Seguimi!» (Mc 10,21). Due verbi che racchiudono con efficacia un intero cammino verso Gesù. Leggiamo insieme l’episodio del Giovane ricco (Mc 10,17-22): «Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri; e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». Vedo Gesù attorniato dai discepoli e dai soliti “curiosi”: sta proclamando il Regno. A un certo momento si fa avanti un gio3


vane, che gli pone una domanda pertinente: «Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?» (= ossia, per essere tuo vero discepolo?). Gesù continua a volgere il suo sguardo su tutti i presenti, quasi per rispondere a tutti: «Osserva i comandamenti», perché i comandamenti sono la legge fondamentale per ogni uomo e che ciascuno trova nel suo cuore. Il giovane, con sincerità, afferma che li ha sempre osservati, fin da piccolo. Allora Gesù raccolse il suo sguardo, fissò i suoi occhi negli occhi del giovane (Ora gli interessava solo lui!) e lo scrutò fino in fondo, quindi lo amò e gli disse: «Se vuoi, va’, vendi quello che hai, distribuisci tutto ai poveri. Poi, vieni e seguimi!». Il testo latino dice: «Intuitus et dilexit eum!» Pensa: “intuitus” significa: guardare dentro con intensità, scrutare, scandagliare fino nel più profondo della persona. Immagina che cosa prova un giovane che si vede fissato dagli occhi di Gesù, quindi analizzato, scandagliato e amato nella sua persona così com’è! «Et dilexit eum». Qui, per indicare l’amicizia profonda di Gesù verso quel giovane, il Vangelo non usa il verbo “amare” (questo significa cercare il bene dell’altro anche per un vantaggio proprio), ma “diligere”, che vuol dire: “scegliere per amare”. Ecco il significato dell’intera frase: Gesù scruta il cuore di quel giovane e… lo tira fuori dal gruppo perché gli vuole un bene profondo e impegnativo! Adesso guarda solo lui, fissa i suoi occhi solo negli occhi del giovane (Gli altri pare che non gli interessino in questo momento), e solo a lui dice: «Vieni e seguimi! Se vuoi!». Due sole voci verbali (Vieni – Seguimi) racchiudono tutto il cammino che Gesù propone al giovane ricco. Anche oggi, e sempre, Gesù ripete gli stessi due comandi a chi gli si dimostra desideroso di seguirlo: Favoloso è quel: «Se vuoi!». È sempre Gesù che propone una scelta, un cammino, ma vuole in ogni caso la libera risposta dell’uomo, perché l’uomo agisce “da uomo” solo quando esercita la sua libertà e responsabilità. Difatti: del giovane ricco si dice: «Si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni» (Mc 4


10,22). Invece Pietro e Andrea «Subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono» (Mt 4,22). Che diversità di comportamento:quello del giovane ricco e quello dei due fratelli Apostoli! È in gioco la propria libertà; sì, la libertà di ogni singolo uomo! E Gesù la rispetta sempre, ad ogni costo. Pensa quanto è grande l’uomo agli occhi di Gesù, perché è libero! Ora approfondiamo i due verbi: VIENI e SEGUIMI! VIENI È utile osservare che cosa avviene in pratica quando dico a uno, a… Marco: «Vieni!» Marco innanzi tutto si stacca dalla sedia (se è seduto!) su cui si trova seduto, fermo, quasi incollato alla sedia; è immobile, inattivo. Se Marco non si stacca, io posso gridare fin che voglio, ma non accade nulla. Poi, Marco si sposta, cammina, cambia continuamente… “piastrella” su cui si trova, e non va in una direzione qualsiasi, bensì verso di me, perché sono io che ho spiccato il comando. Quindi, il suo è un camminare finalizzato, non a caso. La meta del suo camminare non è un oggetto materiale fisso, o una situazione particolare: è la persona che dà il comando. Nel nostro caso è la persona di Gesù! SEGUIMI È un verbo di movimento anche questo; non esprime una situazione statica, o un punto di arrivo. “Seguimi” indica: andare dietro a Gesù, non solo con Gesù, non a fianco di Gesù, non in sua compagnia. Proprio “dietro”, ossia mettere i piedi sulle orme lasciate da Gesù. Non è sufficiente pensare come Gesù, volere quello che lui vuole. “Seguire” esprime un continuo spostamento, e… nella vita concreta. 5


Gesù non dice: seguimi fino a una certa meta; non dice: per quanto tempo, e nemmeno il perché del seguirlo. Nemmeno anticipa come sarà il cammino dietro a lui: facile e bello, oppure un andare difficoltoso. Dice invece: fa’ quello che faccio io; va’ dove vado io! Non si tratta di seguire un’idea, una filosofia, l’opinione dominante del momento. Segui ME! – dice Gesù –, fosse anche fino al Calvario. Ma una certezza c’è: la Risurrezione! Anche nostra! UN CHIARIMENTO Qui viene proposto un cammino incentrato su Gesù Cristo. Però non vengono affatto esclusi né il Padre, né lo Spirito Santo e nemmeno la Chiesa. È certo che il “luogo”, lo spazio concreto in cui un uomo incontra Dio, per realizzarsi, è Gesù Cristo, il Dio-fatto-uomo. Proprio per questo motivo è più vicino a noi uomini. Lui possiamo “vederlo”, ascoltarlo, quasi possiamo toccarlo; con lui possiamo dialogare usando il nostro linguaggio. Perché è anche uomo, Gesù ci capisce molto bene e si pone al nostro fianco, guidandoci e incoraggiandoci. Sì, è un cammino “personale”, forse un po’ “individuale” quello indicato qui, ma è certo che chi vive “in Cristo”, vive in DioTrinità e nella Chiesa! Si può forse chiamare: cammino monacale (= percorso da solo); però è certamente efficace e autenticamente cristiano. Una precisazione di metodo. Gli argomenti trattati sono quasi sempre brevi e rapidi suggerimenti. Però ad ogni riflessione ho aggiunto qualche testimonianza di persone “di peso”, per dare valore alle mie affermazioni e per proporre materiale abbondante e diversificato per la riflessione personale.

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LA GLORIA DI DIO La gloria di Dio è il fine della vita di ogni persona, anzi, di tutta la realtà esistente. DARE GLORIA A DIO Sì, l’uomo vive per “glorificare Dio!”. I testi latini dicono: “clarificare”, che possiamo tradurre con: – rendere chiaro, luminoso; – annunciare, proclamare; – far conoscere, dire ad alta voce, gridare ai quattro venti; – togliere dal buio, dal nascondimento…, affinché si possa contemplare nella luminosità. LA GLORIA… DI DIO “Di Dio” è un genitivo oggettivo (ossia, è l’oggetto del proclamare, del far conoscere); quindi, dare gloria a Dio significa: far conoscere, annunciare Dio stesso, la sua realtà, l’essere di Dio, che è amore, misericordia… senza limiti né misura; è vita, gioia e ogni cosa bella. Sembra esagerato, invece è vero: Un uomo si realizza (quindi è felice, è… santo) solo se e quanto vive per la gloria di Dio! Il vivere cercando la gloria di Dio ti dà sempre una rinnovata gioia e perfino entusiasmo. Se hai provato, mi dai ragione: quando anche nelle piccole azioni della giornata pensi alla gloria di Dio, lavori con gioia e con maggior impegno. Semplificando al massimo, possiamo dire: Vivere è: «esistere per testimoniare la gloria del Padre e per essere felici della gloria del Padre.» (dice Ballestrero) Anche l’universo intero canta la gloria di Dio: «I cieli narrano la 7


gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» (Salmo 18,1) Il vivere per la gloria di Dio ci porta a compiere ogni azione in un gioioso “stupore” profondo e continuo. Senza dilungarmi con parole mie, riporto qualche brano di una lunga riflessione del Card. Ballestrero, che fu un maestro illuminato di vita spirituale: «Il primo significato della presenza umana di Gesù nel mondo è l’annuncio della gloria di Dio: l’uomo è la gloria di Dio…. … La gloria di Dio! Non gli viene neppure in mente sua Madre; anzi, quando questa creatura benedetta lo raggiunge angosciata, lui si meraviglia, è preso nella gloria del Padre e non arriva nemmeno a capire il dolore di sua Madre. Si tratta di uno sconsiderato adolescente che non sa che cosa sia il cuore di una Madre? No, non è così: è l’uomo di Dio…. La prima cosa che ha imparato da uomo è che la gloria di Dio è tutto per lui. E poi, quando comincerà ad essere l’uomo maturo, totalmente padrone di sé e pienamente libero di fare della sua vita ciò che vuole, eccolo dedito alla gloria di Dio. Si occupa del Padre. La gloria di Dio è la sua “fissazione”, potremmo dire;a tutta la sua vita dà questo senso. Se gli domandano cosa cerca, lui dice che cerca la gloria di Dio e se non glielo domandano, lo dice comunque. Rende glorioso Dio. Gesù è un uomo che sa glorificare Dio, è un profeta di Dio, è un annunziatore della gloria di Dio. La gloria di Dio è la cosa più radicale dell’umanità di Gesù, la sua vita non ha altro senso. Diventa famoso, ma non per sé, diventa famoso per il Padre, per il Regno del Padre…. … È bello vedere Gesù che glorifica il Padre! E quante volte lo glorifica! I suoi prodigi sono per glorificare il Padre, la sua dottrina non è la sua, ma di Colui che l’ha mandato: è il criterio del suo vivere, del suo parlare, del suo operare. La gloria del Padre: ecco la prima cosa che dobbiamo imparare. Ma, quanto a noi, la nostra vita è gloriosa per il Padre?... … Dobbiamo imparare a diventare anche noi gloriosi per Dio. È la prima più radicale disposizione, il più fondamentale atteggiamento dell’uomo davanti a lui: la capacità di vedere la gloria di Dio, la gioia di riconoscerne la gloria, la fedeltà nel confessarla. Pensiamo che l’uomo nel Paradiso sarà tutto lì, non farà altro, e nel farlo sarà eternamente beato. La gloria di Dio!... … E noi? Possiamo dire che abbiamo un’anima fatta di lode? Oh, oggi alle volte si ha l’impressione che questo nuovissimo Testamento sia il Testamento delle 8


lamentazioni! Si prega per lamentarsi sempre col Signore: “Signore, che peccato che io sia fatto così! Signore, che peccato che i miei vicini non siano come me! Signore, ma che tempi sono questi!” Invece il Signore merita la lode, e non è giusto che noi, poveretti che siamo, togliamo a Dio la lode che la sua maestà, la sua gloria, la sua bontà, la sua provvidenza, la sua sapienza, la sua pazienza, la sua misericordia meritano. Che cosa c’è in Dio che non meriti la lode? Eppure le cosiddette impegnatissime preghiere che assumono tutte le realtà terrene diventano geremiadi: ma assumiamo le realtà celesti una buona volta e lodiamo il Signore! Lodiamo e non lasciamo illanguidire questa preghiera della lode che il Signore merita, che il Signore aspetta, poiché ci ha dato una voce per lodarlo, ci ha fatti canori per lodarlo, ci ha fatti loquaci per lodarlo e bisogna che la lode diventi una dimensione dell’anima anche in questi tempi, perché tutti i tempi sono i tempi della lode di Dio». La beata Elisabetta della Trinità, negli ultimi mesi dei suoi 26 anni di vita, riassumeva tutte le sue aspirazioni in un solo desiderio: «Voglio essere una lode di gloria per il Signore». Un invito: durante la giornata sospendiamo qualche volta il lavoro e recitiamo il Gloria, centellinando parola per parola: sarà una rinnovata proclamazione che Dio-Trinità c’è, è sempre esistito e non cesserà mai di esistere! Questa certezza porta sempre gioia esplosiva e fiducia operativa nella vita.

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VACARE DEO È la via per tendere alla gloria di Dio. Il verbo latino “vacare” significa “Svuotare”, rendere vuoto Il dativo “DEO” esprime vantaggio, a favore di…Dio. L’impegno a… svuotarmi delle “cose”, delle mie ostinazioni e dei miei “capricci” è la condizione indispensabile per tendere alla “gloria di Dio”, perché nella mia “pelle” ci sta solo una persona: o Dio o io! SVUOTARE Non esprime uno stato, una situazione raggiunta e praticamente definitiva. Esprime un’azione ripetuta e che continua nel tempo. È il discorso (talvolta fastidioso!) della “ascetica”. Indica che io, con la mia volontà, continuo a… buttare fuori da me, dal mio cuore tante cose non necessarie (attaccamenti, gelosie, affetti, ostinazioni, ricerca di piaceri e soddisfazioni…), affinché Dio sia sempre più presente e operante in me. È l’impegno della “libertà interiore”; o meglio, della continua “liberazione interiore”. Quanto più mi impegno in questo lavoro, tanto più Dio prende possesso di me. Il Card. Martini parla di “scioltezza”. Dice: un atleta si libera il più possibile di tutto ciò che lo rende impacciato, pesante; si toglie perfino gli abiti per essere… “sciolto” nei movimenti e nella corsa. Mi pare un’immagine chiara, visiva. Se noi continuiamo ad essere appesantiti dall’attaccamento a qualcosa di materiale, di troppo umano, o ai nostri progetti o punti di vista, o altro…, non saremo mai liberi per vivere “concretamente” per la gloria di Dio. 10


LIBERTÀ INTERIORE Non è questione di possesso di qualcosa, ma di “attaccamento a…” – – – – –

Attaccamento consiste nel pensare troppo alle “cose”; desiderarle e cercarle troppo come fonte di felicità e di realizzazione personale; impegno esagerato per possederle; lasciarsi condizionare dal possesso delle cose o dal giudizio della gente; seguire le opinioni del mondo. Riguarda non solo le “cose”, ma soprattutto se stessi! Quindi bisogna ricordarsi che – il mondo non gira su di me! – la mia realizzazione e felicità non sta nel “sentirmi” lodato, esaltato; nemmeno nel realizzare ad ogni costo i miei desideri. – accettare sconfitte, umiliazioni, critiche… senza ripiegarmi su me stesso. Quindi: NO alle gelosie, NO ai risentimenti, NO alle critiche, NO ai preconcetti, NO ai giudizi negativi, NO alla ricerca di lodi e di riconoscimenti, NO al desiderio di essere stimato, apprezzato, NO all’ostinazione nel difendere i miei punti di vista, NO alla pretesa di aver sempre ragione, NO alla convinzione che le mie decisioni sono inappellabili, ecc. SÌ al perdono, SÌ all’attenzione al prossimo, SÌ a qualche sacrificio SÌ al dialogo, ecc, ecc. 11


La libertà interiore è via alla radicalità, che è necessaria soprattutto per una vocazione religiosa. Rifletti sui seguenti suggerimenti. S. Teresa di Gesù: «Dio non lascia mai di aiutare chi rinuncia a tutto per amor Suo» Dice anche che con la sola nostra volontà non riusciremo mai a staccarci da tutto, cose e desideri; la libertà completa dai nostri desideri è conseguenza della presenza di Dio nel nostro cuore, o meglio, della consapevolezza che Dio è sempre presente nel cuore dell’uomo, anche se l’interessato non lo sa, o addirittura lo rifiuta. Dalla Imitazione di Cristo: Libro I, cap. II, n. 2: «Ama nesciri et pro nihilo reputari» (= Sii contento se ti dimenticano e desidera essere dimenticato e ritenuto un niente, un incapace… Naturalmente, se cerchi solo la gloria di Dio!). Libro III, cap. XXXI, n. 1: «O Signore,… finché una qualsiasi cosa mi trattenga, non potrò liberamente volare a Te… Chi non è libero da ogni creatura, non potrà attendere liberamente a ciò che è divino. Proprio per questo sono ben pochi coloro che sanno giungere alla contemplazione, perché pochi riescono a separarsi appieno dalle cose create.» Libro III, cap. XXXII, n.1 e 2: «Se non avrai rinnegato totalmente te stesso, non potrai avere una perfetta libertà… Tu hai ancora molte cose da abbandonare; e se non rinunzierai a tutte le cose e del tutto, per me, non otterrai quello che chiedi. Libro III, cap. XXXVII, n.2: “Te l’ho detto tante volte ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te stesso e godrai di grande pace interiore. Da’ il tutto per il tutto; non cercare, non richiedere nulla; sta’ risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai libertà di spirito.» N.B. È vero che l’Imitazione di Cristo si rivolge al monaco; però penso che ciascuno di noi, in qualunque situazione viva la propria vocazione, possa ricavarne un insegnamento utile. Anche Gesù dice al “giovane ricco”: «Va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi!» 12


Madre Anna Maria Canopi (abbadessa del monastero benedettino “Mater Ecclesiae”) usa un’espressione sintetica e particolarmente eloquente a proposito del “Vacare Deo”. Sta trattando della verginità, quella soprattutto del cuore, quindi valida per tutti, non solo per i Religiosi; si esprime così: «Il silenzio verginale è l’assenza di ogni rumore dell’io, è spazio totalmente aperto a Dio». Vale la pena di centellinare ogni parola e di “gustarne” il significato.

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PER ME VIVERE È CRISTO (Fil 1,21) Sì, è necessario “vacare Deo” per tendere con responsabilità e con entusiasmo alla gloria di Dio. Però, il tendere a Dio, alla sua gloria, non può essere frutto di negatività (= svuotarsi). È indispensabile che il cuore sia “pieno” di vita, di positività. Ecco il «Per me vivere è Cristo»: l’uomo è fatto per il bello, il bene e la gioia! PER ME È un discorso che riguarda ciascuno di noi personalmente. E non è astratto: è un discorso concreto, molto pratico, che ognuno deve realizzare nella vita sua, di ogni giorno, non solo nelle grandi, ma anche nelle azioni piccole, quelle che costituiscono la ‘ferialità’ della vita personale. Ovviamente non può essere frutto di una imposizione dall’esterno; deve essere una convinzione personale e “cordiale”, cioè che viene dal cuore! VIVERE non esprime solo “vita”, quasi fosse una situazione statica o un punto di arrivo. Il verbo all’infinito presente esprime dinamismo, azioni, sentimenti, scelte e anche l’agire, cioè tutti gli elementi di vita attiva e quelli interni che esprimono vitalità, motivazioni, finalità; in una parola, esprime l’agire quotidiano, feriale. Il verbo vivere esprime anche futuro e speranza, impegno, motivazioni del mio agire, gioie e sofferenze, successi e insuccessi. Vuol dire anche lavoro, rapporti umani, amore ecc. Insomma esprime tutta la complessità e il fine della mia persona, collocata in un determinato tempo e luogo. È CRISTO! Questo significa che il soggetto del mio esistere e vivere è Lui , è Gesù in persona; vuol dire anche che io non cerco miei interessi, vantaggi e non agisco in base ai miei punti di vista, per non dire le mie ostinazioni. Ma: penso, voglio e faccio tutto e solo quello che vuole Gesù e per i fini intesi da Gesù! È Lui che pensa in me, esamina fatti e situazioni e ne suggerisce la soluzione 14


vera e giusta. È Gesù stesso che attraverso me, anzi in me, stima, vàluta le persone, le aiuta, le ama e compie le scelte giuste. Il fine ultimo della mia vita è che Gesù, Dio e Uomo Salvatore, sia glorificato, cioè conosciuto, proclamato, accettato, amato e seguito. E in Lui sia glorificato il Padre in ogni mia giornata. Ricorda che Gesù è una persona, non un’idea o una filosofia! Quindi, va incontrato, conosciuto e accettato; con Lui va realizzato un profondo rapporto come avviene tra amici, tra parenti e addirittura come avviene tra innamorati! Sì, non dobbiamo avere paura ad usare questo termine a proposito di Gesù. Se tra me e Lui non si stabilisce un tale rapporto, per me Gesù sarà sempre un estraneo; non inciderà mai nella mia vita profonda e nelle mie scelte. E, perché questo avvenga, è necessario dedicargli tempo, il cuore, la mente e tutto me stesso! Bisogna “stare” con Lui, passare lungo tempo insieme, guardarlo, parlargli… Inoltre ritengo indispensabile passare dal “chi è” Gesù al “Gesù c’è!” È qui: lo vedo, lo sento e ascolto, lo… tocco. Anche un tal modo di esprimermi non ti sembri esagerato. Lo dice con forza e convinzione S. Giovanni: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.» (1 Gv 1,13). In italiano abbiamo usato il verbo “toccarono” a proposito del Verbo; ma ancora una volta il termine latino è molto più forte, quasi irriverente, dice: “contrectaverunt”, che significa: manipolare, mettere le mani dentro per farlo davvero nostro possesso! Questo significa: impossessarsi, fare mio il Verbo di vita! Che splendida esagerazione! Gesù deve entrare in me, deve diventare… me stesso ! Non dobbiamo avere timore ad usare questi termini, quasi per paura di mancare di rispetto. Gesù vuole entrare in noi e fare una cosa sola con noi; non si accontenta di stare vicino a noi! Solo allora Gesù diventa una persona “che respira” dentro di noi! – diceva Claudel. Anche questa volta desidero riportare qualche pensiero di un vero 15


maestro di vita spirituale, oltre che teologo. Padre Raniero Cantalamessa scrive: «Se il cristianesimo non è primariamente una dottrina ma è un persona, Gesù Cristo, ne consegue che l’annuncio di questa persona e il rapporto con essa è la cosa più importante, l’inizio di ogni vera evangelizzazione e la condizione stessa della sua possibilità. Rovesciare questo ordine e mettere le dottrine e gli obblighi del Vangelo prima della scoperta di Gesù, sarebbe come mettere, in un treno,le carrozze avanti la locomotiva che deve trascinarle. La persona di Gesù è ciò che apre la strada del cuore all’accettazione di tutto il resto. Chi ha conosciuto una volta il Gesù vivente, non ha più bisogno di essere spinto; è lui stesso che arde dal desiderio di conoscere il suo pensiero, la sua volontà, la sua parola. Non è sull’autorità della Chiesa che si accetta Gesù, ma è sull’autorità di Gesù che si accetta e si ama la Chiesa. La prima cosa che deve fare, dunque, la Chiesa non è quella di presentare se stessa agli uomini, ma quella di presentare Gesù Cristo… Sul piano della vita vissuta, la cosa più importante oggi è scoprire e proclamare che Gesù Cristo non è un’idea, un problema storico e neppure soltanto un personaggio, ma una persona e una persona vivente! Questo infatti è ciò che è carente oggi e di cui abbiamo estremo bisogno, per non lasciare che il cristianesimo si riduca a ideologia o semplicemente a teologia.» (R. Cantalamessa, Gesù Cristo, il Santo di Dio, Ed. Paoline, pp. 94-97)

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ORA VIVE IN ME CRISTO (Gal 2,20) S. Paolo nella lettera ai Galati “esplode” con questo grido: «Sì, vivo io Paolo di Tarso, ma ora non son più io che vivo: è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Anch’io, come Paolo, devo tendere a realizzare il «per me vivere è Cristo». Ma devo andare più a fondo nella mia vita e nella mia persona; devo arrivare fino al punto di riconoscere che la mia persona scopre in sé una nuova forza vitale che la fa vivere e che dà un significato e un valore nuovo: è la presenza di Cristo, il Vivente! Gesù è per S. Paolo come la linfa è nelle fibre della pianta e dona energia soprannaturale alla sua vita naturale. Certo, come la linfa non è da confondersi con la pianta, così la vita di Gesù Cristo non è da identificarsi con la nostra vita. Però, pensa a una pianta senza linfa: a che cosa serve? A niente: non è viva, quindi non può dare frutti nonostante gli sforzi di chi la coltiva. Così è la nostra vita. «Senza di me non potete fare nulla!» – ha detto Gesù senza mezzi termini. S. Paolo distingue gli uomini in due categorie: quelli “psichici” (= coloro che vivono solo… naturalmente, secondo natura; quelli non battezzati) e quelli “pneumatici”, o spirituali (= coloro che vivono sotto l’azione dello Spirito Santo, lo Spirito di Gesù, che hanno ricevuto nel battesimo.) La mia realtà vera, profonda, esistenziale è Gesù! Non è una esagerazione o una mistificazione: è proprio Gesù che in un certo senso pensa in me e agisce attraverso e mediante la mia persona. Ovviamente questo è il risultato di un dinamismo, di un cammino: quanto più nel tempo realizzo il «per me vivere è Cristo», tanto più con certezza constaterò a un certo punto che… «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Solo a questo punto posso dirmi cristocentrico e cristifero, ossia portatore e annunciatore efficace di Cristo. Invito a fermarsi ogni tanto su tale verità e a lasciarsi prendere dallo stupore di fronte a questo dono. Sì, perché ogni bene è un dono di Dio!. 17


Desidero ripetermi. Da questo momento è Gesù che pensa con me, in me; è Lui che mi indica il bene da compiere, quale decisione prendere e come agire. È Gesù che illumina le finalità del mio agire, perfino le modalità del mio vivere. Ancora: Gesù è il motivo e la causa della mia gioia; in Lui sta la mia realizzazione come uomo, come uomo vero; quindi la mia felicità sperimentabile. S. Ambrogio afferma: «Omnia nobis est Christus» (Tutto, proprio ogni cosa per noi è Cristo!). “Omnia”: cioè tutto quello che sono; tutto quello che voglio e desidero; tutto quello che mi può dare felicità; il fine ultimo del mio agire; direi: di ogni mia azione… è Gesù! È davvero impensabile perché va al di là di ogni logica umana. Eppure è proprio così, è una verità esaltante, che ci costringe a vivere di stupore! Forse abbiamo bisogno di ricominciare a stupirci di qualche cosa di bello e di grande per diventare… piccoli, bambini, come ci vuole Gesù, per essere degni di far parte del Regno dei cieli già adesso. A ben riflettere, ci accorgiamo che questa verità-realtà è frutto dell’Eucaristia, soprattutto dopo che abbiamo ricevuto la S. Comunione. EUCARISTIA Noi sappiamo che nell’Eucaristia Gesù stesso prende possesso di noi, del nostro cuore, della nostra mente, della nostra volontà e di tutti gli elementi che compongono la nostra persona. Questo non è un modo di dire: è la realtà: è proprio Gesù storico, morto per noi, risorto e glorioso, “il vivente”, che si rende presente in noi… “da Signore”, quindi è Lui che vive, che pensa, che vuole e che agisce dentro di noi, con noi e mediante noi! È meraviglioso! Allora, ogni volta che riceviamo l’Eucaristia Gesù rende presenti e attuali in noi i suoi sentimenti di allora, i motivi e le finalità per cui è morto e risuscitato. Quali erano i sentimenti di Gesù nel momento in cui istituiva l’Eucaristia? Ne ricordo qualcuno, i principali: la gloria del Padre, perché questo è il motivo per cui si è fatto 18


uomo ed è il fine ultimo di ogni realtà esistente; la volontà di redenzione, che significa volontà di rappacificazione tra l’uomo e Dio, perché in questo sta la gloria di Dio Padre; l’accettazione della sofferenza come via alla redenzione (Gesù è il Salvatore grazie alla Croce!); il desiderio di amore e di unione profonda e perenne con i Suoi. Il cibarmi del corpo di Cristo produce in me, di fatto, la condivisione della vita, dell’esperienza, della missione di Gesù: anch’io divento “corredentore”!, perché faccio parte del Suo Corpo Mistico. È un fatto da capogiro, eppure è la realtà! E ciò avviene quando ricevo la Comunione eucaristica, perché dopo la Comunione “non son più io che vivo, ma Cristo vive in me!!!” Se è vera questa verità affermata da S. Paolo (ed è vera!), è vero anche che il Cristo continua a vivere nella Chiesa mediante me, mediante noi. Siamo veramente, con la nostra vita, i continuatori dell’opera redentrice di Gesù che è morto e risuscitato per gli uomini. Noi siamo una risurrezione continua… E magari abbiamo i musi lunghi! Dobbiamo invece essere sempre gioiosi, sorridenti, nonostante i nostri guai: non è sentimentalismo, è un elemento della vocazione cristiana. Dalla Bibbia di Navarra, ossia dal commento dei biblisti di Navarra: «Mediante il sacramento del battesimo siamo congiunti a Cristo con un’unione che supera di gran lunga il semplice vincolo affettivo: siamo stati crocifissi insieme a Lui, morendo con Lui al peccato, per risorgere a una nuova vita. Questa nuova vita esige un modo nuovo di agire, soprannaturale, che si rafforza con l’aiuto della grazia e che perfeziona il comportamento dell’uomo, non più semplicemente naturale. Perciò il cristiano deve vivere imitando la vita di Cristo, facendo propri i sentimenti di Cristo, in modo da poter esclamare con S. Paolo: “Non vivo ego, vivit in me Christus”, non sono io che vivo, è Cristo che vive in me…, a tal punto che di ogni cristiano si possa dire non solo che è “alter Christus”, un altro Cristo, ma “ipse Christus”, lo stesso Cristo. La vita in Cristo, di cui parla l’Apostolo, non è un sentimento, ma una vera realtà della grazia, poiché l’anima di Paolo stava sospesa tra Dio e il corpo: il corpo viveva e si muoveva per azione dell’anima di Paolo, ma 19


l’anima viveva per opera di Cristo. Perciò, parlando della vita della carne che egli viveva, san Paolo dice: “questa vita che vivo nella carne”; ma, in relazione a Dio, era Cristo che viveva in Paolo, e perciò dice: “vivo nella fede del Figlio di Dio”, in forza della quale Egli abita in me e mi muove. Per questa ragione l’Apostolo può aggiungere: “Mihi vivere Christus est”, per me vivere è Cristo.» (da La Bibbia di Navarra – Nuovo Testamento, vol. II, p. 532)

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«AMA NESCIRI…» Chiedo scusa per aver usato la lingua latina, ma qui è proprio necessaria, perché in latino è una formula molto più incisiva rispetto alla nostra lingua: «Ama nesciri et pro nihilo reputari» («Sii contento di essere dimenticato e di essere stimato una nullità») L’Imitazione di Cristo (libro I, cap. II) osa affermare che, affinché Gesù sia la mia stessa vita, è necessario che io cerchi di realizzare questa condizione che tento di spiegare. Può sembrare una pazzia, invece è condizione indispensabile affinché si realizzi il «Non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». AMA Il verbo “amare” in questo contesto va tradotto così: «desidera ardentemente, cerca di…, impegnati a…». Tutto questo deve essere realizzato sia interiormente, nel cuore e nella mente e nella volontà, sia esternamente nelle azioni quotidiane e nelle scelte che ogni giorno compiamo. NESCIRI Significa innanzi tutto essere dimenticato dagli altri, soprattutto dai Superiori, da chi ti sta a cuore, da chi ti “interessa”, anche dagli amici. Non solo emarginato, ma come se non esistessi più! È facile a dirsi, ma quanto è difficile viverlo! Quindi: – non offenderti se non vieni interpellato o preso in considerazione; – non sentirti “necessario” in ogni gruppo parrocchiale; 21


– non pretendere di essere l’unico a cogliere la ‘profondità’ dei vari problemi; – non esigere scuse, o ringraziamenti, o riconoscimenti, ecc. Significa ancora: impegnati a dimenticarti, a non pensare a te stesso, alle tue esigenze, ai tuoi punti di vista. Quindi: – non parlare mai di te stesso; – non esigere che gli altri ascoltino ciò che interessa a te; – non pretendere di essere ascoltato nei tuoi discorsi “profondi”(!); – non richiamare alla memoria i tuoi malanni e i torti subiti, e non parlarne con nessuno; – nella preghiera non chiedere troppo spesso aiuti… “umani” al Signore per te, nemmeno la tua santificazione: è certo che il Signore ti vuole santo, senza che tu glielo chieda. ET PRO NIHILO REPUTARI Questo è troppo! Significa: ‘essere ritenuto una nullità!’ Eppure: anche in tal caso non è mai annullamento della mia personalità né delle mie capacità. Certamente una tale condizione è ancora più difficile da accettare, perché istintivamente rifiutiamo di essere ritenuto dagli altri un nulla, un uomo insignificante, un incapace… Che pazzia, vero!? Sì, questo è proprio il culmine, il terreno più scabroso per combattere l’orgoglio, la manìa dell’“io”! Ma, se non si arriva fin qui, si è sempre a metà strada. Ricorda che l’uccellino non vola anche se ha solo una zampina legata a un filo sottile, sottile (afferma S. Giovanni della Croce). Non solo essere valutato una nullità agli occhi degli altri, ma essere personalmente convinto che io sono proprio un niente da un punto di vista essenziale ed esistenziale. Mi raccomando: non pensare così per qualche frustrazione, o per delusioni, o per depressione! Spesso fa moda! È invece frutto di una sincera e profonda esperienza personale, letta con occhi re22


ligiosi. Quindi: niente tristezza o abbattimento! Invece, vivi questa verità con pace interiore e con serenità nei rapporti umani. Questo è realmente il “vacare Deo!” Naturalmente l’essere ritenuto dagli altri un nulla e il vedersi davvero così, è una valutazione secondo i criteri del mondo, che cerca sempre il successo, l’apparire ecc.; ma non agli occhi e al cuore di Dio, il Quale ci vede sempre un figlio amato, sempre, sempre, indipendentemente dal nostro modo di essere e di vivere. Non si tratta di diventare dei masochisti o dei nichilisti. È invece un atteggiamento del cuore: è il desiderio e l’impegno pratico di liberarci sul serio e totalmente dall’orgoglio, che è la radice di ogni peccato, il tentativo di dire a Dio: «Non mi interessi, non ti voglio». Addirittura: «Io basto a me stesso, io so dove sta la mia felicità e ci penso io a realizzarla!» Anche Adamo ed Eva hanno commesso il peccato per orgoglio, perché hanno preteso di fare a meno di Dio; hanno addirittura cercato di sostituirsi a Dio nel definire in che cosa consistesse la loro felicità. È necessario liberarci progressivamente da ogni legame. Bisogna vivere in scioltezza – dice Martini –. Ovviamente, la liberazione dal mio ‘io’ può realizzarsi solo e nella misura in cui il mio cuore e la mia quotidianità sono pieni di Dio; quindi, solo se dico e vivo con sincerità: «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me». Questa è una arrampicata da sesto grado: è molto impegnativa, forse non è per i “deboli” (spiritualmente parlando), ma la vetta è esaltante! Per rendere più concreto quanto detto sopra, aggiungo qualche citazione: Il piccolo (di statura) grande confessore di Padova, morto nel 1942, S. Leopoldo Mandic, scriveva a un suo amico: «Nascondiamo tutto, anche quello che può avere apparenza di dono di Dio in noi, affinché non se ne faccia mercato. A Dio solo l’onore e la gloria! Se fosse possibile, noi dovremmo passare sulla terra come un’ombra che non lascia traccia di sé». 23


S. Faustina Kowalska: «L’umiliazione è il mio cibo quotidiano. È logico che la promessa sposa si adorni con ciò che interessa il suo promesso Sposo, perciò la veste dello scherno che ha coperto Lui, deve coprire anche me. Nei momenti in cui soffro molto, cerco di tacere poiché non mi fido della lingua, che in quei momenti è propensa a parlare di sé, ed invece deve servirmi per lodare Dio per i tanti benefici e doni che mi ha elargito.» «Una volta mi chiamò una delle Madri anziane e furono fulmini e saette a ciel sereno, senza che mi rendessi conto di che cosa si trattasse. Ma poco dopo capii che si trattava di cosa che non dipendeva affatto da me. Mi disse: “Lei, sorella, si levi bene dalla testa che Gesù tratti così familiarmente con lei, con una persona così misera e così imperfetta. Gesù ha rapporti di confidenza solo con anime sante, ricordatelo bene!”» «Gesù, Ti ringrazio per le piccole croci quotidiane, per le contrarietà che incontro nelle mie iniziative, per il peso della vita comunitaria, per l’interpretazione distorta delle mie intenzioni, per le umiliazioni che provengono dagli altri, per il comportamento aspro verso di me, per i sospetti ingiusti, per la salute cagionevole e per le forze che vengono meno, per il mancato riconoscimento in tutto, per gli impedimenti posti a tutti i miei progetti.»

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MADRE MIA, FIDUCIA MIA Il cammino indicato dall’Imitazione di Cristo è molto, troppo difficile. Occorre l’aiuto della Madonna, che saprà liberarci dolcemente dal nostro “io”, per lasciare vivere Gesù “da Signore” nel nostro cuore e nella vita quotidiana. Solo Gesù conosce fino a che punto ciascuno può liberarsi dal proprio “io” in modo positivo, affinché ciascuno possa crescere fino alla… statura di Cristo. Se fosse tutto nelle nostre mani, saremmo ancora incagliati in un sottile orgoglio, consapevoli della nostra incapacità a scioglierci dai legami. È davvero augurabile che ciascuno ripeta spesso: «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me» e: «Gesù, possiedi il mio cuore». Allora, come fare? “Ad Iesum per Mariam” dice la sapienza popolare. È vero, sempre vero: si va a Gesù solo attraverso Maria! È un’esperienza di ciascuno di noi: non c’è vera vita cristiana senza una profonda e dolce devozione a Maria e senza un vero impegno ad imitarla. La Madonna è proclamata dall’Angelo “piena di grazia”. Per due motivi: innanzi tutto perché «Il Signore è con te» – dice l’Angelo a Maria: ossia il Padre la inonda del suo amore, che è il Figlio Incarnato. È “piena di grazia”, anche perché ha vissuto splendidamente le tre virtù teologali, che sono la fonte di ogni santità. Pensa ad alcune situazioni in cui ha vissuto le singole virtù. FEDE: – quando credette all’Angelo che da lei, vergine, sarebbe nato il Salvatore del mondo; – quando vedeva Gesù crescere come gli altri bambini, ed era certa che suo figlio era Dio e che era il suo creatore; 25


– quando lo vide crocifisso, insultato da tutti e abbandonato dai Suoi, e nel sepolcro: eppure credette che sarebbe risorto. N.B. A proposito della fede di Maria SS scrive Benedetto XVI: «Come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua vita. Nell’annunciazione ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo - è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di Dio -, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere. Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr. Lc 1,29). Il termine greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, dialogizomai, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio». (Benedetto XVI, La mia eredità spirituale, San Paolo, p. 74) SPERANZA: – lo vede uomo “normale” e lo vede morire in croce; eppure è sicura che sarà Lui il Salvatore di tutti gli uomini, di ogni tempo! Sì, Salvatore di ogni uomo già vissuto, che vive ora in ogni situazione, e di tutti quelli che vivranno fino alla fine dei tempi! È una verità che mozza il fiato. – …Ma, come?! Che dramma! Non: che dubbio! – È sicura che sarà IL VIVENTE! N.B. Nell’Annunciazione «la speranza della Madonna diventa la speranza del Nuovo Testamento. Non è più soltanto il grido di una umanità esule da Dio, ma l’anelito di una umanità che, pur possedendo Dio, ha bisogno di vederlo, di averlo con sé nell’esperienza della vita. Maria, aspettando la nascita del suo Figliolo, dà alla speranza del mondo altri palpiti e divine impazienze: una speranza nutrita di fede, di adorazione, di trepidazione, una speranza che è soprattutto ansia incontenibile di vedere finalmente e di stringere a sé il Salvatore promesso. Nient’altro ormai la interessa. L’intera sua esi26


stenza è attesa di lui; le sue occupazioni, la sua gioia, la sua pena sono ancora attesa di lui. Tutto è qui; Maria è l’incarnazione della speranza, del desiderio di Dio solo». (A Ballestrero, Vita teologale, p. 235) CARITÀ: – Ha amato Dio… “solo”! Per questo ha scelto la verginità. Però pronta a compiere sempre e solo la volontà di Dio; penso all’Ecce e al Fiat. – Ha amato il prossimo facendo di tutta la sua vita un servizio umile, silenzioso, con Gesù, Giuseppe, Elisabetta, gli Apostoli… Penso a Cana; penso alla Madonna ai piedi della croce: «Donna, ecco tuo figlio», cioè… tutti noi! Per questo fu beata, quindi realizzata. N.B. «L’amore con cui Dio ama la Vergine, la invade e possiede con un continuo crescendo: predestinazione eterna, concezione immacolata, maternità divina, infine trasfigurazione nella gloria del suo spirito e della sua carne. Dal nulla all’essere, dall’essere alla santità, dalla santità alla maternità verginale e divina, dalla maternità alla gloria; è tutto un itinerario trionfale della carità. Vi è qui documentato fin dove Dio possa amare una creatura: ai confini dell’impossibile». «All’immensità del dono amoroso di Dio corrisponde l’immensità della sua risposta; nessuno ha mai ricevuto amore come lei e nessuno come lei lo ha ricambiato. La carità divina riversata con eccezionale abbondanza nel suo cuore è diventata principio del suo amore personale; il dono gratuito si è in lei trasformato in virtù personale, in fonte di merito che ha impreziosito ogni suo palpito. La grandezza, l’eroismo, il merito della vita di amore della Madonna ha un solo termine di confronto: la gratuità immensa dell’amore del Signore». «L’esistenza di Maria, invece di essere una molteplicità di atti, è la perfezione immensa di un unico atto di carità. Tale perfezione, eccelsa fin dall’inizio, è tuttavia capace di progresso: l’amore della Madonna aumenta ogni giorno, provocando l’accrescimento della virtù e della grazia». (A Ballestrero, Vita teologale, pp. 248-251) Maria ci aiuti ad imitarla vivendo le virtù teologali nelle nostre situazioni concrete. La santità consiste nel vivere le virtù teologali, 27


e le altre virtù come completamento della fede, speranza e carità. Santità non è mai questione di sentire o non sentire! Ci vorrebbe una biblioteca intera per raccogliere riflessioni e preghiere sulla devozione alla Mamma di Gesù. È proprio il caso di dire: Chi più ne ha, più ne metta. Io mi limito a riportare tre preghiere tra le innumerevoli eistenti: La prima è una preghiera attribuita a S. Bernardo, uno dei più significativi cantori di Maria: «Ricordati, o piissima vergine Maria, che non si è mai udito che qualcuno sia ricorso al tuo patrocinio, abbia implorato il tuo aiuto, chiesto la tua protezione e sia stato abbandonato. Animato da tale fiducia, a te ricorro, o Madre, o Vergine delle vergini, a te vengo e, peccatore pentito, mi prostro davanti a te. O Madre di Gesù, non disprezzare le mie preghiere, ma benevolmente ascoltami ed esaudiscimi. Amen». La seconda è di un Vescovo dei nostri giorni, morto giovane, che ha interpretato molto bene il nostro tempo, Mons. Tonino Bello: Santa Maria, vergine del meriggio, donaci l’ebbrezza della luce. Stiamo fin troppo sperimentando lo spegnersi delle nostre lanterne, e il declinare delle ideologie di potenza, e l’allungarsi delle ombre crepuscolari sugli angusti sentieri della terra, per non sentire la nostalgia del sole meridiano. Strappaci dalla desolazione dello smarrimento e ispiraci l’umiltà della ricerca. Abbevera la nostra arsura di grazia nel cavo della tua mano. Riportaci alla fede che un’altra Madre, povera e buona come te, ci ha trasmesso quando eravamo bambini, e che forse un giorno abbiamo in parte svenduto per una miserabile porzione di lenticchie. Tu, mendicante dello Spirito, riempi le nostre anfore di olio 28


destinato a bruciare dinanzi a Dio: ne abbiamo già fatto ardere troppo davanti agli idoli del deserto. Facci capaci di abbandoni sovrumani in Lui. Tempera le nostre superbie carnali. Fa’ che la luce della fede, anche quando assume accenti di denuncia profetica, non ci renda arroganti o presuntuosi, ma ci doni il gaudio della tolleranza e della comprensione. Soprattutto, però, liberaci dalla tragedia che il nostro credere in Dio rimanga estraneo alle scelte concrete di ogni momento, sia pubbliche che private, e corra il rischio di non diventare mai carne e sangue sull’altare della ferialità. (A. Bello, Parole d’amore, Ed. La Meridiana. Luce e Vita, pp. 71-72) L’ultima è di un altro Vescovo innamorato di Maria SS., il Card. Anastasio Ballestrero: Maria, siamo tuoi. O Vergine benedetta, la Chiesa è tua. Tua perché è di tuo Figlio; tua perché è di noi, tuoi figli. È tua perché è inserita in una storia di salvezza nella quale la tua presenza non è mai venuta meno; è tua perché deve glorificare il Figlio tuo e portare a compimento la storia della salvezza. Affidiamo a te le nostre persone, nella varietà delle mansioni e dei compiti, consapevoli delle innumerevoli povertà, ma fiduciosi nella tua inesauribile misericordia e supplice onnipotenza. Ti affidiamo le nostre vocazioni personali: tutti portiamo un peso, quello di rendere presente il Vangelo del Figlio tuo e il tuo nome nel mondo. 29


Ti affidiamo tutto. Ciò che ci convenga tu lo conosci; dove le nostre debolezze sono più gravi, tu lo sai; dove ci voglia più amore, tu indovini, dove ci voglia più coraggio, tu comprendi e dove ci voglia più umiltà, lo sai. Non hai bisogno dei nostri programmi, ma della nostra fedeltà. O Madre, se la nostra fedeltà si proponesse di somigliare sempre alla tua, parleremmo di meno e opereremmo di più. Accettaci così, figli di una civiltà chiacchierona. Così come siamo ci consegniamo a te. E ci pare che proprio per questo Tu ci stringa al cuore con una maternità che cresce a misura delle nostre necessità. Vogliamo dirti il nostro sì, non con voce trionfante, ma con un silenzio fatto di umiltà e di pianto. È l’unica cosa che forse sappiamo fare, senza vergogna, con tanta pace, con tanta speranza,, con la soavità del tuo abbraccio, della tua benedizione, della tua maternità. (A. Ballestrero Preghiere, Ed. Piemme, pp. 128-129)

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PER CRISTO, CON CRISTO, IN CRISTO Secondo me è una formula “magica”, che riassume un cammino completo di santità. Mi spiego. PER CRISTO Quando dico: «Vivo per Cristo», che cosa intendo affermare? Certamente voglio dire che sono io che vivo, che penso, voglio, agisco… Però il fine di tutto il mio vivere e agire è l’amore verso Gesù, quindi la gloria del Padre. Il “per” esprime la meta, lo scopo. Questo è certamente già un fatto positivo, che rende la mia vita intera “cristiana”. È senz’altro un primo passo per una vita autentica; ma è ancora troppo poco. CON CRISTO È vero quanto ho detto sopra; però mi rendo conto che da solo realizzo poco: anche il mio vivere “per Gesù” è difficile, perché sono troppo limitato nella volontà e incostante nell’impegno. Quando invece agisco “insieme con Gesù”, è senz’altro più facile che realizzi il mio desiderio di finalizzare tutto a Lui. La preposizione “con” esprime non solo agire insieme a Gesù (come fosse al mio fianco), ma soprattutto esprime amicizia forte con Lui condividendo con Lui pensieri e finalità, gioie e sofferenze. Quindi: per vivere e operare con Gesù, è necessario che approfondisca l’amicizia con Lui, il che esige di stare a lungo con Lui, davanti a Lui, condividere i suoi pensieri, desideri e finalità, scelte, stile di vita ecc. 31


IN CRISTO Alcune osservazioni: – Quando dico: «Vivo e agisco IN CRISTO», voglio affermare che a questo punto il mio “io”, la mia “carnalità” non è più autonoma, perché «Non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Quindi, se lascio pensare, decidere, agire Gesù in me, mediante la mia persona, certamente ogni mia azione, anzi, ogni istante della mia giornata ha un valore “cristiano”, quindi è santificante, ed è una gloria per il Padre! Ricordo che, quando ricevo l’ Eucaristia, realmente vivo “IN Cristo!”. E per vivere intensamente l’Eucaristia durante la giornata, ripeto spesso: «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me». Provare per credere! – Il mio vivere “in Cristo” non comporta l’annullamento della mia persona: Gesù non mi elimina; è presente e vive in me come un TU, che dialoga con me, che valorizza la mia persona con tutte le capacità (i talenti) che il Padre mi ha dato. È una… “compresenza”: Gesù e io; vivendo IN Cristo, anch’io assumo i pensieri e gli atti di Gesù. Siamo in due a compiere le stesse azioni. Mi sia permesso un esempio (non è irriverente): quando metto il pane nel latte, il pane si imbeve totalmente del latte, io mangio l’uno e l’altro senza poterli separare, ma nessuno dei due annulla l’altro. È come una realtà sola, pur rimanendo distinti ed esistendo ancora sia il pane, sia il latte. Mi pare un esempio valido. – Inoltre, Gesù è presente in me non in modo statico, o come un morto; è vivo, è operante in me perché è il Vivente, e lo è mediante il suo Spirito Santo! Quanto più io vivo in Cristo, tanto più divento anch’io… vivente, un’immagine viva e operante di Dio! Quindi: lode allo 32


Spirito Santo, il mio santificatore! – Una precisazione: quando dico che la pienezza della vita cristiana sta nel vivere totalmente in Cristo, devo e voglio includere tutto il Cristo, sempre vivo e il Vivente; quindi comprendo anche la Chiesa, suo Corpo Mistico. Nella storia, quindi anche ora e qui, Gesù… si prolunga nella Chiesa, vive e continua la sua opera redentrice proprio mediante la Chiesa. Non può esistere una vita cristiana se non nella Chiesa, conosciuta, stimata, amata e servita! – Penso qui anche al Battesimo. Mediante il Battesimo vengo “innestato” (Che verbo pregnante!) in Cristo e nella Chiesa. Pertanto il Battesimo è il fondamento, la radice e la fonte di tutta la vita cristiana e di ogni vita cristiana, a prescindere dalle diverse vocazioni. – Ancora un’osservazione. Quando vivo “In Cristo”, vivo nella Trinità, vivo in comunione con il Padre e con tutti gli uomini. È una conseguenza di quanto afferma l’evangelista S. Giovanni nella sua “Preghiera sacerdotale” nel capitolo XVII del suo Vangelo (v. 21: «…siano una cosa sola…»). N.B. Qualcuno teme che, insistendo molto sull’affermazione “In Cristo” ci sia il pericolo di un “cristocentrismo assoluto” (che vuol dire: fermarsi a Gesù Cristo dimenticando il Padre e lo Spirito). Invece non è così, perché Gesù è sempre, inscindibilmente e consapevolmente col Padre. Quindi, quanto più sono “IN Cristo”, tanto più sono anch’io in comunione col Padre (come lo è Gesù) e anche con lo Spirito Santo! È una verità sacrosanta e indiscutibile: vivere… “in Cristo” comporta necessariamente vivere con la Trinità, anzi nella Trinità santissima. Mi limito a richiamare la conclusione della famosa elevazione 33


della beata Elisabetta della Trinità alla Trinità: «O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, immensità in cui mi perdo, mi consegno a Voi come una preda. Seppellitevi in me perché mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze». Proviamo qualche volta, dopo aver ricevuta la Comunione, a ripetere questa preghiera-elevazione: attraverso Gesù Eucaristia ci troveremo immersi nella Trinità santissima! E saremo “beatificati!” Infine, suggerisco una invocazione per vivere sempre più “IN Cristo”: «Possedere Dio fino nell’intimo dell’essere, ed essere posseduti da Lui in una totalità che non si esaurisce mai» (Ballestrero) Qualche testimonianza “di peso”. Dal Diario, di S. Faustina Kowalska: «Dal momento in cui mi hai permesso, o Gesù, di immergere lo sguardo della mia anima in Te, riposo e non desidero nient’altro. Ho trovato la mia destinazione nel momento in cui la mia anima è annegata in Te, unico oggetto del mio amore. Tutto è nulla se lo si confronta con Te». «Il coraggio e l’energia, che sono dentro di me, non sono miei, ma di chi abita in me: l’Eucaristia». «In Te è immersa la mia anima. Tu solo sei oggetto delle mie aspirazioni e dei miei desideri. Uniscimi nel modo più intimo a Te, al Padre e allo Spirito Santo. Possa io vivere e morire in Te!... O mio Gesù, io in verità non saprei vivere senza di Te. Il mio spirito si è fuso col tuo. Nessuno comprende bene questo: occorre prima vivere di Te, per conoscerTi negli altri». A chi desidera approfondire questo argomento, suggerisco di leggere con profonda attenzione, con molta calma e col cuore la seguente riflessione di Padre Lafrance: «Hai mai incontrato un vero uomo di preghiera, un essere che ha preso Dio sul serio e che ha subito l’iniziazione del roveto ardente? Se sì, capirai le parole che cercherò poveramente di dirti. Non ti è possibile incontrarlo, entrare anche per poco in relazione con lui, senza subire la stessa iniziazione: “Tra le cose umane, dice Simone Weil, niente è tanto potente 34


per mantenere lo sguardo applicato sempre più intensamente su Dio, quanto l’amicizia con gli amici di Dio”. Questi uomini sono rari, perché i veri contemplativi che sappiano vivere con la testa nel cielo e i piedi sulla terra sono pochi. E poi, questo esige una purificazione, un silenzio e una preghiera così grandi, che la maggior parte degli uomini sfugge il contatto con Dio; gli uomini hanno paura di perdervi la vita e la sicurezza. Ma se Dio ti fa la grazia di incontrare uno di questi uomini, non perdere l’occasione di entrare in relazione con lui. Anche se l’incontrassi una sola volta in profondità, ne usciresti trasformato, e per il resto della tua esistenza vivresti di questo contatto e di questo ricordo. Il servizio che questi uomini rendono alla Chiesa e al mondo dipende dalla loro comunione con Dio. Essi sono presenti al mondo e agli uomini nel punto da cui questi traggono la loro origine. Il mondo non ha mai avuto così grande bisogno di questi testimoni radicati nell’eterno che dà stabilità e consistenza alla nostra vita. Lo Spirito Santo li conduce lontano da tutto, al di là di tutto, fissi nelle profondità trinitarie. Essi sono radicati in Dio, nella pienezza dell’essere. Ogni giorno si spingono più avanti nel mistero: per questo ti raggiungono con tanta efficacia, perché oltrepassano le tue parvenze di avere, di potere, di sapere e di apparire per mettere in luce il tuo essere profondo, del quale tu ignori molto spesso l’esistenza. Essi affondano nell’oceano dello Spirito per riportarne alla superficie i doni più eccellenti agli uomini afflitti. Il servizio di un santo nascosto in Dio non è un qualsiasi servizio sociale o umanitario, ma un autentico ministero spirituale. Basta incontrarli per scoprire la verità del tuo essere e soprattutto per capire quello che devi fare: non hai nemmeno bisogno di chiedere loro consiglio; basta che ti lasci guardare da loro, perché comunicano con lo sguardo di Dio e ti rivelano la tua identità. In certi giorni ti poni degli interrogativi, sei oppresso dal tuo peccato, forse anche schiacciato dalla tua miseria; va’ allora dall’uomo di Dio, ma non cominciare a raccontargli la tua storia, rimani lì, aperto davanti a lui, nel silenzio della profondità del tuo cuore…. In fondo, è lo sguardo di Dio che si riflette nello sguardo di un suo amico. Con tutta verità tu puoi dire di aver visto Dio in un uomo, ma una tale esperienza è possibile solo se sei aperto a Dio e desideroso di vederlo…. 35


Il nostro mondo ha un imperioso bisogno di questi uomini di preghiera, testimoni di Dio. Da loro non ci si aspetta che parlino molto per risolvere i nostri problemi, ma che esistano. Il loro essere è già una risposta a tutti i nostri problemi. I cristiani parlano ancora molto di Dio e fanno anche molte cose per lui, ma pochissimi accettano di non esistere se non per lui in una vita di adorazione e di lode. Se hai la fortuna di incontrare uno di questi uomini di Dio, non sarà forse un invito a divenire a tua volta un “trasmettitore” di Dio in mezzo ai fratelli?» (Jean Lafrance, Prega il Padre tuo nel segreto, Ed. O.R., pp. 135-137)

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GESÙ PERDONAMI Quanto detto fin qui è entusiasmante: rendermi conto che progressivamente, grazie anche al mio impegno, Gesù diventa sempre più vivo e attivo dentro di me e nella mia vita, senza annullare la mia persona. Sarei quasi tentato di dire: Sono a posto, sono un autentico discepolo di Gesù. Talvolta corro perfino il rischio di pensare che oramai non sono più capace… di commettere peccati! Ma l’esperienza mi dice tutt’altro. Sì, vivo “in Cristo”, eppure inevitabilmente mi vedo peccatore, non per sbaglio o per debolezza, ma perché lo voglio, o almeno perché sono condizionato da situazioni contingenti. Allora sento la tentazione di scoraggiarmi, di ammettere con amarezza: «Non ce la faccio!» In questi momenti mi vedo pieno di limiti, di imperfezioni, di “sporcizia” – direbbe Benedetto XVI –. Normalmente, però, grido a Gesù tre invocazioni: Perdonami – Purificami – Convertimi PERDONAMI Lo chiedo quotidianamente a Gesù, ma sono certo, certissimo che mi perdona sempre ogni peccato, purché io riconosca in verità e sincerità i miei peccati. Se dubitassi del Suo perdono, commetterei un altro vero peccato: il dubitare della misericordia divina è un peccato contro lo Spirito Santo. Dio perdona sempre, sempre, sempre; tutto, tutto, tutto! E non può fare diversamente. È parola di Gesù! Si tratta di credere sul serio alla Sua parola. Che pace e voglia di continuare il cammino mi dà una tale certezza! Ovviamente è necessario che io “usi” il sacramento della Confessione, per non fermarmi a un puro sentimento o a una velleità! 37


N.B. A proposito di confessione, è augurabile che non si limiti a uno scarno elenco di peccati, ma che diventi un colloquio aperto col sacerdote su alcune situazioni che si stanno vivendo. Il colloquio di formazione per un cammino di crescita terminerà con l’assoluzione sacramentale. Così suggeriva il Card. Martini. PURIFICAMI Per vincere le passioni negative, le tentazioni, occorre che Gesù “agisca” dentro di me, nel mio cuore, affinché mi tolga ogni attaccamento non buono, ogni desiderio non positivo. Gli chiedo pertanto di liberare e di fortificare la mia volontà, perché io diventi capace di tendere solo al bene. Gli chiedo di liberare anche le mie reazioni istintive, perché in ogni situazione siano come Gesù desidera. Chiedo a Gesù di liberare anche le mie tendenze positive naturali, perché siano libere da ogni interesse mio personale, da ogni desiderio narcisistico, da ogni mio compiacimento. Perfino Gli domando di liberare la mia mente, perché sia occupata solo nella ricerca della verità, quindi tenda sempre e solo al bene secondo i desideri di Gesù. Quanto lavoro deve compiere Gesù in me, nonostante il perdono che mi ha già regalato nella Confessione! Così la grazia di Dio in me potrà essere più efficace e luminosa. Il Card. Martini dice che è necessaria una purificazione continua dalle “scorie umane” per essere più “sciolti” nel seguire Gesù. Questo è un… braccio della nostra croce personale. CONVERTIMI Le tendenze “purificate” sono in un certo senso riportate sulla strada giusta; però ci sono ancora nel fondo del mio cuore e tendono a condizionare anche la mia volontà. Talvolta rendono perfino annebbiata la mia mente, per cui faccio fatica a conoscere in profondità la Parola di Dio. Chiedo allora a Gesù che mi trasformi il 38


cuore e la volontà, che mi illumini la mente e che mi cambi il DNA – si direbbe oggi. Talvolta mi metto a gridare… interiormente: «Gesù, dammi il tuo cuore!» Questo è l’inizio della “conversione”, che significa: cambiare direzione, nel modo di pensare, nella volontà e nella finalità delle singole azioni. Vuol dire abbandonare il mio “io” con tutto ciò che significa e volgermi con decisione e senza rimpianti verso Gesù, affinché sia Lui a vivere realmente in me. Pertanto ripeto spesso e con decisone un’altra volta: «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me!» UN’OSSERVAZIONE Le tre invocazioni hanno tutte come soggetto Gesù; però la seconda (purificami) chiama in causa anche la mia volontà, dipende certamente anche dal mio impegno. Per questo motivo riporto un invito pressante di un Santo assai esigente, che suggerisce una via sicura per purificarci nella volontà, nel cuore e nella vita pratica. È S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa: «Non sono le cose di questo mondo che danneggiano e trattengono l’anima…, ma il desiderio e il gusto di queste cose». Concretamente dà tre suggerimenti: 1 – Imitare Gesù Cristo «In primo luogo l’anima abbia un costante desiderio di imitare Cristo… e mediti sulla Sua vita per comportarsi in ogni sua azione come Cristo si comporterebbe» (1S 13,3) 2 – Purificare i sensi «In secondo luogo l’anima rinunzi a qualunque piacere sensibile che non sia puramente a onore e gloria di Dio, e ciò per amore di Gesù Cristo, il quale in questa vita non ebbe e non volle altro piacere che quello di fare la volontà del Padre» (1S 13,4) 39


3 – Purificare le passioni «Per mortificare le passioni… l’anima cerchi sempre di inclinarsi: non al più facile, ma al più difficile; non al più saporoso, ma al più insipido; non a quello che piace di più, ma a quello che piace di meno; non al riposo, ma alla fatica; non a ciò che consola, ma a ciò che sconforta; non al più, ma al meno; non alle cose più nobili e preziose, ma alle più vili e spregevoli; non alla ricerca di qualche cosa, ma a non desiderare niente; non alla ricerca del lato migliore delle cose create, ma del peggiore; e a desiderare nudità, privazioni e povertà di quanto vi è nel mondo, per amore di Gesù Cristo» (1S 13,5-6) (da Salita al monte Carmelo di S. Giovanni della Croce) N.B. È parola di un grande maestro di vita spirituale, quindi va presa in profonda considerazione!

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ECCOMI – USAMI Quanto più frequentemente e sinceramente uso la triplice invocazione (perdonami – purificami – convertimi) tanto più sono portato a dire: “Eccomi – Usami”. ECCOMI Vedo questa parola come la formula più vera per esprimere l’atteggiamento contemplativo di ogni uomo. Il suggerimento mi viene dall’Annunciazione dell’Angelo a Maria SS. Rileggiamo il brano di Luca: «Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei disse: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te”. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio…”. Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” E l’angelo si allontanò da lei». (Lc 1,26-38) Secondo me è affascinante “vedere” Maria SS. in quel momento unico e ineffabile della storia. Con un po’ di fantasia mi immagino così la Madonna quel mattino di primavera: è mattina, Maria è in casa e sta svolgendo i lavori normali, quotidiani di una donna; mi piace sentirla canticchiare qualche salmo (certamente un salmo laudativo); probabilmente sta programmando la sua giornata e il pranzo; il cuore ovviamente rivolto al suo Giuseppe. Appena si accorge che Dio la interpella personalmente, si rivolge proprio a lei e solo a 41


lei (l’angelo parla solo a lei! Giuseppe non c’entra affatto), la vedo fermarsi, anzi bloccarsi sui due piedi, estatica e immobile, completamente unificata in sé (mente, cuore, corpo…) a bocca aperta, con gli occhi fissi in alto a “guardare”, a fissare l’angelo e ad ascoltare quello che il Signore mediante lo spirito celeste le sta dicendo. Maria è lì, fissa, immobile, si vede… in Dio. Adesso non ha più nulla da fare e nulla le interessa, nessuna occupazione la prende; è presente esistenzialmente a Dio, davvero vive in Dio! Questa è la contemplazione! È una presenza a Dio, che diventa fonte di gioia, perché è una presenza di cuore, di… persone, non di solo pensiero o volontà. È una presenza non funzionale (= per fare qualcosa), ma… finale, è fine a se stessa perché è presenza di amore, quindi di vita! In Maria SS. è anche presenza di stupore! Mi piace vedere la Madonna in quell’attimo con la bocca aperta e gli occhi spalancati che esce con un gioioso: Oh! lungo, lungo… Prima che Maria “esplodesse” nell’«Eccomi», Dio aveva già pronunciato la Sua parola: «Maria, ti amo»; per questo, ti rendo… principio, fonte di vita! Frutto dello “stupore” è il silenzio, che non è “mancanza di parole”, ma “pienezza di cuore”. È vero: quando uno ha il cuore pieno di gioia, tace per non rompere l’incanto del cuore e per goderne la pace. Allora ci si inebria di questo silenzio. E si è nella giusta atmosfera per ascoltare. Che verbo! L’ascoltare è un verbo interiore, non solo dell’udito, impegna sempre la persona e costringe a prendere posizione pro o contro quanto si è ascoltato. La Madonna, dopo aver “ascoltato” l’angelo, ha dovuto dire: «Sì, Signore, accetto di diventare Madre di Dio!» Con Maria SS. esclamiamo anche noi con vera e profonda gioia: Voglio dirti, o Dio, la mia felicità di trovarmi nelle tue mani, malleabile, per renderti servizio, e per essere tempio della tua gloria. (Card. Anastasio Ballestrero) 42


USAMI Il testo latino dice: «Fiat», che significa: «Sia fatto come Tu, Signore, vuoi». Invece a me piace esprimere il “fiat” con “usami”. Sì, perché Maria è così… in Dio, così schiava (Non ti spaventi il termine!) di Dio, che non ha più una sua volontà e non può più averla. Di fronte alla richiesta di Dio si sente piccolissima, quasi una “cosa” da usare, (sia pure con infinito amore e rispetto)senza chiedere il suo consenso. E non soffre, né si sente umiliata, perché… si accorge di essere amata nientemeno che da Dio! Nell’“usami” non vedo il più piccolo cenno di disprezzo: lo vedo come attuazione reale e concreta dell’amore di Dio e per Dio. Credo che anche tra coniugi davvero innamorati talvolta si arrivi praticamente allo stesso totale abbandono alla volontà del coniuge, come manifestazione completa del dono di sé nell’amore. E sono felici e realizzati in questo sentirsi usati… per amore. Personalmente trovo perfino inutile il “fiat” pronunciato dalla Madonna: è già compreso nell’“Eccomi”, perché quando dice questa parola la Madonna è totalmente in Dio, è… unificata in Dio e ora vive tutta in Dio, per cui è “inevitabile”, è “necessario” che ogni desiderio o volontà di Dio sia anche di Maria! Ella non poteva avere una volontà diversa da quella di Dio stesso. Immergiamoci allora nell’“Eccomi” di Maria! Viviamo nella vita… feriale l’“Eccomi” di Maria! È certo: in questo sta la gloria di Dio. Il Card. Anastasio Ballestrero, cantore di Maria, scrive: «Fiat! Questa semplice parola rivela in modo luminoso il duplice aspetto della fede di Maria: adorazione e fedeltà. Di fronte a un mistero che le resta oscuro, la Vergine non insiste; con sublime sobrietà dà la sua adesione e quindi adora il piano di Dio prosternandosi nell’umiliazione, nell’annientamento della sua servitù: “Eccomi, sono la serva del Signore”. Non dice di più: adora in silenzio. Non cerca di penetrare il mistero più di quanto le è concesso da Dio; accetta l’ombra della sua verità, accetta l’ombra della sua potenza altissima e vi si inabissa. Prezioso insegnamento! Nel campo della fede non si può pretendere di capire tutto, di avere una spiegazione 43


esauriente su tutto; il Signore rivela e spiega fino a un certo punto, oltre il quale domanda di credere. Bisogna allora credere in silenzio come Maria, credere con una adorazione che è umiltà, servizio, annientamento, autentica schiavitù amorosa nei confronti di Dio. Il “Fiat” esprime anche la stupenda fedeltà di Maria. Ella sa che dando il suo consenso non abbandona solo la sua mente al mistero di Dio, ma tutto il suo essere: la vocazione e la verginità, l’anima e il corpo, i desideri infiniti e gli orizzonti luminosi del suo spirito. Tutto consegna a Dio, ne sia lui il padrone, ne faccia ciò che vuole. In tal modo, il suo atto di fede diventa la sostanza di tutta la sua esistenza, la coerenza di tutta la sua vita. Ella è veramente la vergine fedele. Quella verginità che Maria con la sua fede ha offerto a Dio, perché l’Onnipotente compisse il mistero annunziato, è il punto d’incontro di una doppia fedeltà: della Madonna alla parola del suo Dio, di Dio al consenso della sua creatura. Quando trova anime fedeli, il Signore non ne sciupa nessuna delicatezza e nessun dono, nessun desiderio e nessuna vocazione, ma trasfigura tutto, spesso con modi suoi a noi oscuri ma migliori dei nostri, in una misura più stupenda e commovente». (A. Ballestrero, Vita teologale, Carmelo S. Giuseppe, Roma, pp. 223-224)

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E FARTI CONOSCERE Se non vivo in profonda intimità con Gesù (IN Cristo), o meglio, se non lascio piena libertà a Gesù di agire in me, non sarò mai un autentico cristiano, un suo discepolo… vero. Però non devo chiudermi in un intimismo egoistico e arido. È necessario, anzi è inevitabile che mi apra ai fratelli: il bene tende per sua natura a diffondersi. Ecco a questo punto del cammino l’affacciarsi di un’altra invocazione: Signore, dammi di: conoscerti e farti conoscere; amarti e farti amare; desiderarti e farti desiderare. Quanto più è viva in me la presenza attiva di Gesù, tanto più sono “costretto” ad essere testimone di Lui e suo annunciatore, missionario. Riassumo in tre invocazioni questa esigenza. Tutt’e tre riguardano innanzi tutto la mia vita personale. CONOSCERE Non è solo un atto della mente, e non si tratta di una conoscenza esterna (forma, dimensioni, colori, storia, costi e tanti altri elementi). Qui intendo una conoscenza “cordiale”, interiore e profonda; una conoscenza che coinvolge tutta la persona e che costringe sempre a prendere una posizione, a favore o contro; ma non lascia mai indifferenti. Penso al modo popolare, e molto vero, di dire che un giovane si è… “interessato” (più realmente, innamorato) di una ragazza: magari sono cresciuti insieme, sono vissuti insieme per anni a scuola e all’oratorio, ma a un certo punto è scattata una scintilla nuova e speciale nel loro cuore, per cui la gente giustamente dice: Adesso si conoscono! La conoscenza di Gesù è di questo tipo: è un’esperienza interiore e forte che non lascia più scampo: si deve prendere una po45


sizione a favore o contro di Lui. Non c’è dubbio: una tale conoscenza di Gesù non è affatto una conoscenza intellettuale, di… testa, ma di cuore; è il cuore che pulsa velocemente per Lui. C’è di più: non è nemmeno frutto di un impegno volontaristico, bensì dono dello Spirito Santo, gratuito, ma sempre impegnativo e costringente. Una constatazione: quando uno fa questa esperienza, non può limitarsi a goderne in se stesso e basta, quasi con gelosia e in modo egoistico. Proprio no! È inevitabilmente, ma gioiosamente, “costretto” a farne partecipi altri, molti, il maggior numero possibile, tendenzialmente tutti! Ecco l’invocazione che scaturisce dal cuore: “… e farti conoscere!”. S. Giovanni nella I lettera dice che si deve trasmettere agli altri la conoscenza che si ha di Gesù, ma non si tratta di una trasmissione a parole, bensì di un annuncio fatto di esperienza di vita. Bisogna “masticare” Gesù – dice – per poterlo annunciare con efficacia. È un’affermazione ardita, ma è vera. AMARE Sulla seconda invocazione non spendo parole, perché siamo tutti maestri della bellezza dell’amore, quello vero, s’intende. Aggiungo solo che l’esperienza comune insegna che non esiste amore senza dolore. Gesù, che ci ha amati in un modo totale e divino, è andato a finire sulla croce, come atto finale del suo amore per noi. Ovviamente nessuno può pretendere di essere un’eccezione a una tale regola, ossia di amare realmente Gesù escludendo la croce nella propria vita. Mi chiedo: io cerco davvero e concretamente il bene di Gesù? Cerco la sua… gloria? Gli antichi romani dicevano che l’amore, o scocca tra simili, o rende simili. Quindi, se amo tanto Gesù, sono spinto a farlo amare anche da altri. La testimonianza è un effetto inevitabile dell’amore per Gesù. È l’annuncio più efficace che Gesù è davvero risorto, è ancora oggi vivo e lo sarà sempre. Anzi: Gesù è… IL VIVENTE! 46


DESIDERARE A prima vista può sembrare un atteggiamento solo interiore, inutile, che non produce frutti, quasi insignificante. Di solito “desiderio” è considerato un bisogno del cuore, chiuso e conservato nel cuore; è un frutto del sentimento o della volontà e basta. Invece a me piace vedere il significato di questo verbo simile al termine latino “desidia”, che significa: mancanza sofferta di un bene per me necessario. Penso alla sete che brucia la gola per l’arsura, o a una fame che fa attorcigliare lo stomaco per la fame insaziabile. In simili casi, o si beve qualche goccia d’acqua o si brucia; o si mangia almeno un frustolo di pane o si soccombe per la fame. Visto così, il verbo “desiderare” è molto concreto, è esistenziale. Se lo applico a Gesù, l’insegnamento è chiaro: o vivo “per Gesù, con Gesù, IN Gesù” con i fatti e con la stessa vita, o sono proprio una… nullità, sono addirittura… inesistente. È parola di Gesù: «Senza di me non potete fare nulla»; «Io sono… la vita». Non è terminato il discorso. S. Paolo “grida” con forza: «La carità di Cristo mi spinge», anzi, mi costringe!». Se il mio desiderio per la gloria di Dio è autentico e sento che mi infiamma il cuore, non mi è sufficiente viverlo e alimentarlo dentro di me. Mi sento “costretto” a fare in modo che un tale fuoco si sviluppi nel cuore di tanti fratelli. È proprio così: quanto più “desidero Gesù”, tanto più mi do da fare per “farlo desiderare”. E l’amore cresce in me e nei fratelli! Benedetto XVI, al termine del suo servizio petrino, gridava (sia pure con voce flebile): «L’amore per Gesù deve essere un fuoco nel nostro cuore che incendia tutto il mondo». Se riuscissi a far “desiderare” Gesù a tanti fratelli, la mia gioia sarebbe al colmo. E canterei con tutto il mio fiato: Loda il Signore, anima mia, loderò il Signore per tutta la mia vita, finché vivo canterò inni al mio Dio. (Salmo 145) 47


Mi piace adesso riportare la parola di un vero maestro di vita spirituale, il Padre Jean Lafrance: «Tu devi manifestare il Salvatore, perché non vi è evangelizzazione se non vi è manifestazione. Devi significare il Salvatore agli altri e non puoi accontentarti della tua sola preghiera. Un contemplativo santifica il mondo, ma non lo evangelizza; la sua azione è insostituibile, ma occorrono anche dei testimoni. Innanzi tutto devi mostrare e far vedere con la tua esistenza il Salvatore. Occorre che i tuoi fratelli vedano in te il Cristo. I cristiani fanno vedere oggi che la salvezza è arrivata “per questa casa”, che il loro pane nutre, che la loro gioia è piena, che il Vangelo è luce e santifica? Condividendo la vita di tutti gli uomini, hai un compito privilegiato perché i non cristiani possano intravedere il Cristo attraverso il tuo essere e tutte le tue attività umane: vita personale, familiare, politica e sociale. Tu evangelizzi con la tua propria vita, perché sono necessari dei segni esistenziali della salvezza. Devi trasmettere la tua contemplazione, la tua gioia, il tuo amore e la tua libertà. Occorre che la luce delle Beatitudini illumini il tuo volto e rischiari ogni uomo che ti vede vivere. In fondo: devi fare una cosa sola: condurre i tuoi fratelli a entrare in questa contemplazione del Cristo che ti ha afferrato ed ha cambiato la tua vita. Il modello dei missionari è la Samaritana: dopo avere scoperto il Cristo, essa invita i suoi compaesani ad andargli incontro: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Gv 4,29). Infine, mostra il Cristo con le tue parole. Non si tratta di trasmettere una formula, una ideologia, ma una Persona, Gesù Cristo: un essere di gioia, di pace, di luce e d’amore. Gesù è venuto a portare sulla terra il fuoco dell’amore, e non un libro. Al momento opportuno dovrai dire ai tuoi fratelli che è Gesù il Salvatore, non Marx o Mao. Soprattutto sii attento all’uomo, per annunziare il Cristo nel cuore della sua esistenza. Per far questo, non è necessario che tu sia un eroe, un sapiente o un uomo alla moda, ma un santo, ossia un appassionato di Gesù Cristo.» (Jean Lafrance, Prega il Padre tuo nel segreto, Edizioni O.R., p. 54) Il Card. Martini afferma che non è sufficiente conoscere Gesù: è necessario riconoscerLo! In una sua meditazione si rifà a Giovanni 21, 4-6: «Quando già 48


era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” Gli risposero: “No” Allora disse loro: “Gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci». Su questo testo Martini pone a noi alcune domande: «So riconoscere Gesù? Ho la pazienza di riconoscere Gesù? Questo riconoscimento è un cammino di pazienza, non è una folgore. Il testo di Giovanni dice che Gesù si presenta all’alba, cioè in una luce velata, in quel momento del mattino in cui si vede sì e no. L’angoscia della notte è passata, ma il sole non è ancora sfolgorante. A questa indicazione meteorologica-fisica si aggiunge l’altra: che i discepoli non si erano accorti. Gesù si presenta ma è un po’ enigmatico, da lontano. Non si sa chi è, si vede qualcuno, una figura confusa. Questo modo velato di presentarsi di Gesù non è un’eccezione nei racconti dopo la risurrezione. La stessa cosa è raccontata dei discepoli di Emmaus: “I loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (Lc.24,16). E anche la Maddalena piangeva ma non riconosceva chi aveva davanti. Vuol dire che riconoscere Gesù quando si presenta a noi come Risorto non è così facile come riconoscerlo quando era uomo e bastava toccarlo. Qui c’è un cammino più lungo, un itinerario da percorrere: occorre pazienza per riconoscerlo. Non è una cosa che dipende puramente dagli occhi,perché non è un’evidenza fisica: è un’evidenza morale e interiore, che richiede il cammino dell’uomo. Questo è anche il grande problema della conoscenza di Dio! Se tanti dicono che Dio non c’è e cadono nell’ateismo; se tutti noi siamo tentati, in fondo, di cadere nell’ateismo, è proprio perché la conoscenza di Dio non è come la conoscenza di un fiore o di un libro. La conoscenza di Dio è un cammino, in cui l’uomo ascende verso la sua autenticità e ascendendo verso di essa, riconosce questa presenza. È un cammino che comporta una dinamica…. Gesù è presente sulla riva ma lascia gli apostoli inquieti: “Ma perché non dice chi è?” Gesù fa fare loro certe cose, dopo le quali soltanto capiscono che è lui. Che cosa dice Gesù? Dice: “Figlioli! Non avete nulla da mangiare?” Gli risposero: “No!” Questa parola “figlioli” è una parola affettuosa, paterna, che comincia a far breccia nei loro cuori un po’ amareggiati. La domanda: “Non avete nulla da mangiare?” è un capolavoro di finezza. Gesù non li rimprovera. Avrebbe potuto umiliarli, prenderli in giro, oppure sgridarli. In49


vece pone la domanda come un bisogno: “Avrei bisogno di qualcosa per me”. Gesù, con estrema delicatezza, fa emergere la nullità del loro lavoro, mettendosi però un po’ dalla loro parte…. “Gettate e troverete.” È una parola sicura: fa capire che, se accettiamo che entri anche lui nella nostra ottica e ce la trasformi, ci andrà bene anche umanamente. La parola di incoraggiamento di Gesù è piena di significato perché ripete il tono di altre parole del Vangelo: voi ricordate il “bussate e vi sarà aperto”, “cercate e troverete”, “chiedete e otterrete”, “a chi bussa è aperto”, “chi cerca trova”. È la pazienza, la perseveranza che Gesù raccomanda!» (C. M. Martini, Incontro al Signore risorto, San Paolo, BUC, pp. 66-71).

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CHE ASSURDO! Gesù ha ripetuto anche a noi, a ciascuno di noi, “Seguimi!”. Fino a che punto? Non c’è dubbio: fino alla santità! Non è una esagerazione. È la necessità: o si tende… in alto, o si annaspa e si vola radente terra! Occorre semplicemente rinunciare al nostro modo di ragionare, alla mentalità del mondo, per accettare il pensiero e la volontà di Gesù, e vivere di conseguenza. Allora il risultato è certo, è molto positivo, a nostro vantaggio. Un esempio lampante e sconvolgente è quello di Pietro nell’episodio della pesca miracolosa. Leggiamo e approfondiamo il testo di S. Luca (5,1-11). «Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennesaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Il brano in esame è inserito tra tante guarigioni: l’indemoniato di Cafarnao (4, 31-41), un lebbroso (5, 12-26), l’uomo dalla mano inaridita (6, 6-11), il servo del centurione (7,1-10), la risurrezione del figlio della vedova di Nain (7, 11-17). Luca è medico e la salute è secondo lui un bene indispensabile 51


per la piena realizzazione dell’uomo. Forse le numerose guarigioni, che terminano con una risurrezione, suggeriscono che Gesù vince la natura, le è superiore. RILIEVI Leggi molto attentamente il brano mettendoti nella situazione reale di Pietro in quel momento: lui, furioso e stanco; Gesù, calmo e suadente, di fronte a lui. Per una proficua lettura personale è sufficiente qualche rilievo, perché il brano parla da solo. Pietro è l’esperto di pesca. Forse è esperto solo di pesca (Pietro non è mai presentato come un dotto, un genio, un conoscitore particolare delle Scritture). Nel gruppo, Pietro è colui che davvero se ne intende di pesca. E Gesù lo “tenta” proprio su questo campo, l’unico di Pietro, quello nel quale egli si sente più sicuro, dove può insegnare “con autorità”, anche a Gesù. E Pietro è vinto ... sul suo terreno – diremmo noi! La pesca ha delle regole “naturali” che vanno assolutamente osservate. Pietro le conosce bene e le rispetta con scrupolo. Eppure Gesù lo invita a non tenerne conto: ...è parola Sua! E Pietro, l’uomo esperto di queste leggi, butta a monte tutto... solo perché lo dice Gesù; gli ubbidisce... anche a costo di essere preso in giro dagli altri, di rinnegare la sua esperienza! Che coraggio! Rinnega la sua esperienza personale, ciò che lui sa e conosce per diretta e lunga esperienza, non per sentito dire! Pietro, quel mattino, è stanco, perché ha faticato tutta la notte. È nervoso e furioso, perché non ha preso nemmeno un pesciolino. Dovrebbe invitare Gesù a pazientare e a riflettere: al mattino nessun pescatore che si rispetti esce a pescare! Invece no! Nulla ha più valore per Pietro: né leggi naturali, né 52


esperienza, né stanchezza. Gesù ha parlato: non si discute, perché ciò che Gesù dice è vero, deve essere vero! Ciò che comanda è certamente il bene, il bene per Pietro e i suoi amici, in quel momento. E Pietro riparte subito a pescare! Due le conseguenze. «E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci» (5, 6). «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (5, Il). Fermati un momento, chiudi gli occhi e cerca di vedere Pietro e di leggergli nel cuore: che fuoco e che lotta! E va di nuovo, di mattina, a pescare, nonostante sia un assurdo, secondo la logica umana; un assurdo, secondo l’esperienza personale; un assurdo, secondo l’opinione pubblica...! APPROFONDIMENTI Gesù non annulla, non disprezza la natura con le sue leggi, i suoi valori..., però la supera! Non ne è schiavo né si sente limitato da essa. Ciò è vero anche per noi: chi si lascia coinvolgere dalla parola e dalla forza di Gesù, supera, magari con fatica e timore ma con tanta gioia, le forze limitanti del mondo. La “povertà” di Pietro! Gesù comanda a Pietro quando costui è “povero”, perché non possa appoggiarsi su di sé o sulle “cose”: non ha pescato nulla, è stanco e nervoso; inoltre è mattino, il momento “no” per la pesca, non potrà quindi contare sugli applausi degli altri che lo sostengono...! E lo mette alla prova sull’unico punto sicuro di Pietro, in cui egli avrebbe potuto insegnare al Maestro, proprio perché Pietro si riconosca sicuramente vinto da Gesù e ne sperimenti la Sua forza divina. È stupendo: si trova faccia a faccia con Gesù, è interpellato solo lui e lui deve decidere, da solo e subito. 53


Ora, di fronte a Gesù, deve rispondere SÌ o NO! È il momento fondante la fede di Pietro! Anche tu raccogliti, sta’ in silenzio, ripeti più volte adagio adagio nel tuo cuore quell’“AUTEM”! Rivivi in te stesso tutta la forza, la violenza, l’assurdità delle parole di Pietro: AUTEM... IN VERBO TUO! Tendi l’orecchio, per ascoltare il povero Pietro che, vinto, pronuncia... a bassa voce, forse senza esserne pienamente consapevole: «Va bene, Gesù; è una pazzia, ma nonostante tutto, sulla tua parola getterò ancora le reti!» Ricorda che “AUTEM” significa all’opposto, nonostante tutto, per assurdo ... e che “IN VERBO TUO!” vuoi dire “solo sulla tua parola, Gesù!” Pietro va contro le leggi della natura, va contro la sua esperienza, va contro il buonsenso, va contro l’opinione pubblica (gli astanti!), va contro la sua indole (Pietro è focoso, ostinato, non è un debole), va contro la situazione del momento (è stanco e nervoso e inoltre è mattina!). Solo sulla parola di Gesù, solo fidandosi di Gesù... ...getta le reti, ossia: agisce, si compromette! ANCHE NOI COME PIETRO Quante volte la Chiesa è chiamata a ripetere l’esperienza di Pietro! Contro la logica umana, contro gli interessi di molti, contro l’opinione pubblica e il buonsenso, contro il “rispetto” (si dice) di tante persone in difficoltà, contro le certezze scientifiche (si osa 54


sentenziare talvolta)... è chiamata a dire una parola di Verità e a indicare uno stile “assurdo” di condotta... in nome di Gesù Cristo e del suo Vangelo. È il caso dell’aborto, della biogenetica, dell’eutanasia, dell’indissolubilità del matrimonio, del valore della vita e di ogni vita umana, del rispetto degli emarginati, ecc. Quando Gesù parla individualmente, a un determinato giovane, vuol essere ascoltato subito, accettato senza tentennamenti e “costringe” ad agire! Gesù non la smette di parlarti finché tu, dopo aver lottato e aver perso tutte le forze, finalmente TACI, LO ASCOLTI, LO AMI! Un giovane, visibilmente commosso, mi diceva:.Dio mi ha parlato! Quindi basta: quello che penso io non conta più; di quello che dice il mondo non mi interessa più nulla! La parola di Dio trascina ... e si va! Quale lunga schiera di uomini e donne di ogni tempo sottoscriverebbero questa testimonianza: Agostino, Francesco, Merton, Padre Gemelli, Claudel, Foucauld, Frossard, Edith Stein... E l’elenco continua per chilometri! E TU? Pensa al tuo “campo”, alla tua capacità, ai tuoi carismi o talenti, alle tue “sicurezze”: dove non hai dubbi; dove puoi dire una tua parola sicura! Mettiti in una situazione di “povertà” come Pietro, di “assurdità” secondo il mondo. Oppure richiama alla memoria una tua situazione personale negativa, quando ti è sfuggito: «Non ne posso più...»; «Non è possibile...»; «Non ce la faccio più...»; «Non è giusto». Se Gesù, in una tale situazione, ti dicesse: – «Io sono la via, la verità e la vita…» – «Vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi» – «Vieni e seguimi»... fino al Calvario! – «Fidati di me!» – «Senza di me non potete far nulla!» 55


Anche in questo caso, sulla parola di Gesù, devi gettare la rete...! Devi giocarti tutta la tua vita! Devi dire SÌ a Gesù, qualunque cosa ti chieda, fosse anche di vivere completamente per il Regno di Dio. Ricorda che il brano afferma che hanno pescato molti pesci per il loro interesse, ma conclude così: «lasciate le reti, lo seguirono!» (5,11). Rifletti – Ascolta la Voce – Decidi – Agisci! Quel che vale nella vita è agire per la gloria di Dio! TESTIMONIANZE «Io conoscevo bene frère Paul. Ingegnere parigino, lavorava in una di quelle commissioni destinate a preparare la bomba atomica di Reganne, quando sentì la chiamata del Signore. Ora era lì; e nessuno sapeva che era un ingegnere: era un povero come gli altri. Ricordo sua madre quando venne in occasione dei voti al noviziato. “Mi aiuti, fratel Carlo, a capire la vocazione di mio figlio. lo l’ho fatto ingegnere, voi l’avete fatto manovale. Ma perché? O almeno vi servite di mio figlio per quel che vale! No: dev’essere un manovale. Ma dite, alla Chiesa non ne verrebbe più decoro, più efficacia a farlo agire come intellettuale?”. “Signora – rispondo io – ci sono cose che non si possono capire con l’intelligenza e il senso comune. Solo la fede ci può illuminare. Perché Gesù volle essere lui povero? Perché volle nascondere la sua divinità e la sua potenza e vivere tra noi come ultimo? Perché, signora, la sconfitta della croce, lo scandalo del Calvario, l’ignominia della morte per lui che era la vita? No, signora; la Chiesa non ha bisogno di. un ingegnere in più, ma di un chicco di grano di più da far morire nei suoi solchi. E più questo chicco è turgido di vita, e sapido di cielo e di sole, e più sarà gradito alla terra che lo deve accogliere per la futura messe”». (Carlo Carretto, Lettere dal deserto) «L’ultimo giorno che passai a casa era il 12 ottobre, il mio compleanno. Era anche una festa ebraica: la chiusura della festa dei Tabernacoli. Mia madre partecipò alla funzione nella sinagoga della scuola dei rabbini; 56


l’accompagnai perché desideravamo entrambe passare insieme tutto quel giorno. Il maestro dei rabbini, un eminente studioso, tenne una bella predica. In tram, durante l’andata, parlammo poco; per dare un piccolo conforto alla mamma, le dissi che il primo periodo (della vita religiosa) era solo una prova. Ma non ebbi alcun risultato: “Se tu fai una prova, sono certa che la superi”. Al ritorno mia madre chiese di andare a piedi: una strada di tre quarti d’ora a ottantaquattro anni! Dovetti acconsentire perché capivo che voleva ancora parlare con me senza essere disturbata. “Non era bella la predica?”. “Certo, SE NON SI È CONOSCIUTO ALTRO”. Allora replicò disperata: “E tu, perché l’hai conosciuto? Non dico nulla contro di lui. Sarà stato certamente un uomo molto buono, ma perché si è fatto Dio?”». (Edith Stein, “Instancabile ricercatrice della verità”, inserto de Il Carmelo oggi)

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PER FINIRE Se non ti sei limitato a leggere questi appunti, ma li hai “conosciuti” nel tuo cuore, sono sicuro che hai intrapreso la strada giusta per riamare Gesù e per farti prossimo dei fratelli. Desidero terminare questi “suggerimenti” con la testimonianza del Beato Carlo de Foucauld, ucciso dai “suoi” Tuareg il 1° dicembre 1916: «Dal momento che l’ho conosciuto ho capito che non avrei potuto vivere che per Lui. Che bello, mio Dio, cinque ore e non aver altro da fare che guardarti e dirti che ti amo. Io non posso concepire l’amore senza un bisogno, un bisogno imperioso di conformità a Te. Il Vangelo bisogna gridarlo con la vita: Tutta la nostra vita, per quanto muta essa sia, la vita di Nazareth, la vita del deserto, così come la vita pubblica, devono essere una predicazione del Vangelo mediante l’esempio; tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutti i nostri atti, tutta la nostra vita, devono gridare che noi apparteniamo a Gesù, devono presentare l’immagine della vita evangelica, tutto il nostro essere deve essere una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi “Gesù”, che faccia vedere Gesù, che risplenda come un’immagine di Gesù…» (Carlo de Foucauld, Opere spirituali, Ed. Paoline, 2a ed., 1960)

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Pro manuscripto


Luigi Schiatti


Luigi Schiatti

Il titolo invita a pensare alla proposta per un cammino vocazionale. Invece no. Si tratta di suggerimenti per chi vuol impegnarsi più in profondità a seguire Gesù nella propria vita cristiana di ogni giorno. È una delle tantissime proposte e non ha affatto la pretesa di indicare il miglior cammino possibile. È però una proposta valida e, oso dire, efficace.

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