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Il leader che ascolta

Il leader che ascolta

Mi occupo di sondaggi di clima organizzativo dal 1997 e in questi anni ho avuto modo di analizzare ricerche in decine di Paesi e di parlare con manager di tantissime organizzazioni. Ho imparato che la motivazione e la soddisfazione professionale derivano dallo scarto esistente fra le aspettative delle persone e la realtà che vivono ogni giorno e ho compreso che le aspettative sono, a loro volta, influenzate da vari fattori, come il clima socio-politico respirato dai lavoratori.

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Per questo motivo nei primi anni ’90 la Romania post-Ceausescu era ai vertici delle classifiche europee dei lavoratori più felici (dopo anni di dittatura l’effetto della libertà fu dirompente), per poi tornare su livelli normali una volta assestate le aspettative dei cittadini.

Oggi, i dipendenti delle aziende greche ottengono risultati mediamente molto più alti di tanti altri Paesi (secondo dati Great Place to Work ® la Grecia ha gli stessi livelli di soddisfazione professionale dell’Olanda e in Europa è battuta solo dai Paesi Scandinavi). Il motivo è ovviamente il medesimo per cui la Romania negli anni ’90 si posizionava al primo posto: in un Paese in depressione economica, chi ha un lavoro è un privilegiato e i giudizi espressi sono quindi influenzati dall’effetto “sollievo”. Un po’ come un naufrago che trova comoda la propria zattera di fortuna, insomma.

Oltre a questi elementi esogeni, la motivazione professionale è però influenzata da altri elementi molto importanti e trasversali alle culture locali, come le relazioni fra collaboratori, la meritocrazia e – soprattutto – la leadership.

In altre parole, se il contesto socio-culturale determina le aspettative e pone l’asticella ad una determinata altezza, la leadership definisce la realtà percepita dalle persone e le aiuta a raggiungere l’asticella.

Fra i vari elementi che rientrano nel concetto di leadership, vorrei soffermarmi su un aspetto che ha un particolare impatto sulle persone e che appare regolarmente nella lista dei keydriver della soddisfazione: la comunicazione, sia top-down (informazione), sia bottom-up (coinvolgimento).

Consideriamo le seguenti 5 domande del modello di Great Place to Work ® :

1. I Responsabili mi tengono informato/a sulle questioni e sui cambiamenti di rilievo?

2. PossoporreaiResponsabiliqualsiasidomanda ragionevole ed ottenere una risposta franca?

3. I Responsabili sono disponibili ed è facile parlare con loro?

4. I Responsabili ricercano con reale interesse suggerimenti e idee e li prendono in considerazione?

5. I Responsabili coinvolgono i dipendenti nelle decisioni che influiscono sul loro lavoro o sull’ambiente lavorativo?

La prima domanda è sulla comunicazione topdown, le altre misurano invece le opportunità di comunicazione bottom-up e il livello di coinvolgimento delle persone. Insieme, ci spiegano la comunicazione fra capi e collaboratori, dandoci una misura della distanza fra il management e il resto della popolazione aziendale.

Nel grafico che segue mostriamo 3 dati italiani:

1. Le aziende “Best”, quelle che Great Place to Work ® ha premiato come eccellenti nel 2019.

2. Le aziende “Rest”, quelle che aspiravano ad entrare in classifica Great Place to Work ® .

3. La “Norma”, una ricerca demoscopica commissionata da Great Place to Work ® a un istituto di ricerca indipendente, su un campione rappresentativo di lavoratori italiani.

Figura 1: La comunicazione interna. Confronto fra aziende della classifica Great Place to Work ® 2019, clienti Great Place to Work non in classifica e media aziende italiane (non clienti Great Place to Work ® ). Dati espressi in % di risposte favorevoli.

Gli istogrammi mostrano una situazione molto chiara: le aziende Best ottengono risultati positivi nettamente superiori alla media italiana (Norma), su tutte le domande considerate. È interessante notare anche la progressione: le aziende Rest non sono sulla lista di aziende premiate da Great Place to Work ® , ma sono quelle che hanno comunque sperato di farcela ed effettivamente i loro dati si collocano sempre a metà fra le migliori e il resto d’Italia. Certo, il dato che fa più riflettere è quello della Norma: è sempre sotto il 50% di risposte positive e, nel caso dell’ultima domanda, meno di un terzo dei rispondenti ha dichiarato di sentirsi coinvolto nelle decisioni.

Abbiamo visto la differenza fra le aziende italiane normali e quelle eccellenti: ma come si comporta l’Italia nei confronti degli altri Paesi?

Consideriamo il seguente grafico, nel quale confrontiamo il dato “Best workplaces” italiano con le medie “Best workplaces” in Europa, Asia, America Latina (Latam) e Stati Uniti:

Figura 2: La comunicazione interna. Confronto fra aziende della classifica Great Place to Work® 2019 in Italia, Europa, Asia, America Latina (Latam) e Stati Uniti. Dati espressi in % di risposte favorevoli

Questa volta il dato delle aziende Best italiane passa dal primo posto della Figura 1 all’ultimo, con scarti anche importanti: nel caso della comunicazione top-down, ad esempio, le migliori aziende d’Italia si posizionano oltre 10 punti percentuali sotto alle medie delle altre zone del mondo considerate. Sul tema del coinvolgimento l’Italia è addirittura 14 punti sotto la media europea (trainata dai Paesi scandinavi e... dalla Grecia – v. paragrafo introduttivo).

Questi dati non sono però sorprendenti: l’Italia ha da sempre catene gerarchiche lunghe e fortemente piramidali. Lo scarto fra chi sta in alto e il resto dei dipendenti è molto forte e mentre altri Paesi stanno sperimentando strutture piatte o addirittura rivoluzionarie (ne cito due: l’Olocrazia inventata da Brian Robertson e le organizzazioni Teal di Frederic Laloux), o comunque adottano modelli di leadership più aperti ed inclusivi, i nostri manager sembrano (mediamente, sia ben chiaro) ancorati a modelli del passato, basati più sul controllo che sul coinvolgimento e la delega.

Stiamo vivendo una fase storica molto importante, caratterizzata da opportunità di comunicazione e di informazione mai viste prima. L’asimmetria informativa non è mai stata così ridotta, al lavoro come nella vita privata, e le aspettative delle persone si sono quindi adattate al contesto in cui vivono: tutti – e non solo i famosi millennial, come a volte si legge – desiderano il massimo coinvolgimento e la possibilità di fornire un contributo attivo alle decisioni aziendali.

In Italia sembra però che il mondo aziendale fatichi ad adattarsi al nuovo paradigma: troppi capi esercitano la loro leadership in modo eccessivamente direttivo e secondo uno schema che rischia di penalizzare i collaboratori, la loro motivazione e, come diretta conseguenza, le performance aziendali.

Il leader del futuro sarà quello capace di comunicare, di ascoltare e di gestire le informazioni all’interno del proprio team - o della propria azienda - in modo da creare un gruppo coeso e motivato.

Andrea Montuschi

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