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La finestra dell\u2019anima

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Leonardo a Milano

Leonardo a Milano

“L’occhio, che si dice finestra dell’anima, è la principale via donde il comune senso può più copiosamente e magnificamente considerare le infinite opere di natura… L’occhio, dal quale la bellezza dell’universo è specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carceri, mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le varie cose di natura” (Leonardo - Trattato della pittura).

L’occhio misura di tutte le cose e la mano strumento per fissare sulla carta ciò che l’occhio vede: così le migliaia di disegni di Leonardo ci mostrano il lungo percorso che il maestro fiorentino ha condotto nella sua vita, tutta intenta a voler comprendere il visibile - ciò che non si vede, sembra non esistere per lui. La mancanza di un’educazione formale, determinata dalla sua nascita illegittima, lo ha condotto a fare dell’osservazione il primo strumento della sua conoscenza: lunghe ore a fissare il turbinio dell’acqua nei ruscelli, a seguire i movimenti degli uccelli nell’aria, a contemplare la luna alta nel cielo nel desiderio di comprendere le leggi della Natura tracciando linee perfette sulla carta, producendo disegni di straordinaria bellezza, nei quali ogni dettaglio dice la ricerca del vero, in una grafica che sembra quasi volersi sostituire alla scrittura. Disegni di nitida perfezione, tanto precisi da consentire di costruire quanto rappresentato, con accorgimenti che molto avvicinano la grafica del maestro fiorentino al contemporaneo disegno tecnico. Una ricerca che affascina e impegna Leonardo tutta la vita e nella quale, come lui stesso scrisse non fu “impedito né da avarizia, né da negligenza, ma solo dal tempo”. Egli osserva, nel desiderio di capire come funziona la macchina del mondo e la ‘macchina umana’, al di là di ogni costrutto filosofico o aprioristico concetto. Purtroppo, però, anche il genio da Vinci fu vincolato dal suo tempo: molte giuste intuizioni non potevano godere del sostegno di una tecnologia avanzata e, così, rimasero infruttuose; altre, invece, come la circolazione del sangue nelle vene, generavano domande e perplessità, a motivo della mancanza di cognizioni fisiologiche.

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Anche la sua pittura è, in primo luogo, una continua ricerca, quasi che dipingere fosse per lui come scrivere un trattato. Questo ci fa comprendere come mai Leonardo ci impiegasse così lungo tempo per la realizzazione delle sue opere, veri trattati sulla natura, sull’anatomia e persino sulla psicologia, poiché attraverso la fisiognomica, vuole riuscire a rendere visibile quanto è in realtà più segreto, il pensiero di chi viene raffigurato. Il ritratto di musico custodito in Pinacoteca Ambrosiana non rivela solo gli studi di anatomia e di ottica, bensì anche i raffinati pensieri di questo giovane che si accinge o ha appena concluso di cantare. Tuttavia, l’intreccio dei sentimenti si fa ancora più intenso nel cenacolo, dal quale emerge l’appassionata volontà di rendere il senso dell’ultima sera del Cristo. Ancora una volta, il disegno assume il ruolo di un resoconto scritto, colori e linee come parole, cercando di andare a fondo anche nel minimo dettaglio. Secondo alcuni, il Cristo e Giuda non sarebbero conclusi: la cosa non ci stupisce, poiché se la definizione pittorica è la piena descrizione del reale, come poter raffigurare, persino per Leonardo, nel minimo dettaglio il sommo bene e il sommo male?

Osservare e sperimentare per comprendere al fine di occupare coscientemente il proprio posto nel mondo, così come l’Uomo vitruviano, sublime rappresentazione della perfetta corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo: questa la lezione che a noi giunge a cinquecento anni dalla morte di un genio italiano, uno dei molti. Coscienza di sé, in relazione al cosmo, per sapere dove si voglia andare: intuizione quanto mai attuale per gli italiani di oggi.

Alberto Rocca

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