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Merito, motore della società
Sembra che negli ultimi tempi – complice l’attualità - non si faccia altro che parlare di Merito. Spesso, a vanvera, mentre potrebbe essere l’occasione per una riflessione intellettualmente onesta su quanto sia importante nelle nostre vite il riconoscimento del merito sin da quando siamo bambini, perché risponde a un senso di giustizia preistituzionale che ci appartiene. Da adulti, poi, perché come sosteneva Aristotele, una società giusta non può esimersi dal riconoscere i meriti dei suoi cittadini.
A riaccendere un feroce dibattito sul merito - dopo anni di silenzio seguiti al fallimento della “terza via”, il programma politico progressista di Tony Blair - è stato il sociologo Michael Sandel, professore ad Harvard, con il suo libro The tiranny of merit (Hardcover, settembre 2020). Sandel ha additato l’ideologia meritocratica come la causa della creazione di una società ingiusta e discriminatoria negli Usa, divisa tra coloro che ricoprono posizioni vantaggiose, convinti di averle meritate nella loro sconsiderata arroganza, e coloro che si ritrovano in posizioni svantaggiate, anch’essi convinti di meritarlo e quindi annichiliti da umiliazione e risentimento. Ma l’interpretazione di Sandel tradisce una visione distorta di meritocrazia.
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Come ha sagacemente obiettato Marco Santambrogio, filosofo del linguaggio e saggista, nel libro dal titolo Il complotto contro il Merito (Editore Laterza, ottobre 2021), una società meritocratica non è necessariamente una società competitiva che incoraggia l’egoismo e che soprattutto ragiona in termini di un’unica gara globale, tutti contro tutti, per conquistare quote di ricchezza e di potere. Semmai, il confronto e la valutazione dei meriti ha senso in piccole competizioni locali, per assegnare posti e posizioni sociali che vanno attribuiti secondo equità nell’interesse dell’individuo e della collettività’. In sostanza, riconoscere la pluralità dei meriti non confrontabili tra loro è fondamentale, per non cadere nel rischio di parlare di diversità e inclusione senza renderci conto di immaginare un solo tipo di società e di progresso, in cui alcune tipologie di talento vengono di fatto escluse.
Si tratta di una visione estremamente attuale, se consideriamo le peculiarità dell’era della conoscenza inaugurata dal XXI secolo. A coglierne bene il senso è stato Adrian Wooldridge, nel suo saggio del 2021 The Aristocracy of Talent: how meritocracy made modern world (Allen Lane), in cui mette in evidenza quanto la meritocrazia sia necessaria per valorizzare il talento unico e affinare le competenze di ciascuno e di tutti, in modo da fare del capitale umano il più potente motore di progresso del secolo.
E sta proprio qui il punto. Come ampiamente argomentato durante l’edizione 2022 del Festival internazionale dell’Economia, traslocata da Trento a Torino, merito ed uguaglianza devono essere tenute in equilibrio, altrimenti a soffrirne sono le strutture democratiche. Proprio quello che è successo negli ultimi decenni: in tutte le economie avanzate, l’ingiustizia sociale è aumentata, a causa di una crescente polarizzazione di ricchezza innescata dall’accelerazione di globalizzazione e rivoluzione digitale non adeguatamente governate. La pandemia ha fatto il resto, acuendo vecchie disuguaglianze e creandone di nuove, che si riflettono sotto i nostri occhi in tensioni sociali e spinte populiste.
La sfida, dunque, è quella di utilizzare la leva meritocratica per smuovere l’ascensore sociale e restituire dinamicità al nostro sistema sociale. Solo un ecosistema meritocratico, infatti, può permettere di scardinare il peso decisivo delle condizioni di partenza delle famiglie di origine nel determinare l’accesso alle opportunità di educazione, innanzitutto, e poi di lavoro, ma anche di salute e benessere in generale, inteso come qualità di vita.
Naturalmente servirebbe un ingente investimento nel sistema educativo, nonché una radicale riforma dei sistemi fiscali e di redistribuzione del reddito, in un Paese dove dal 1995 in poi si è verificata una progressiva concentrazione di ricchezza soprattutto nelle fasce di età superiori ai 50 anni, sempre più derivanti da lasciti ereditari e donazioni. Di fatto, se vogliamo riequilibrare la situazione e creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile, dobbiamo agire velocemente – sia a livello macro sia a livello macroeconomico – per permettere una piena inclusione delle nuove generazioni e delle donne, così come peraltro richiesto dagli obiettivi dell’Agenda Onu 2030.
Bando, allora, a chi strumentalizza o interpreta attraverso la lente ideologica il merito e, piuttosto, concentriamoci sui numeri.
Il Meritometro, indicatore scientifico ideato dal Forum della Meritocrazia assieme ad Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica dell’università Cattolica di Milano, ci restituisce una fotografia composita dello stato di salute del Paese, in termini di competitività e di benessere (inteso come accesso al libero dispiego del potenziale e al riconoscimento del merito individuale). Ovvero della capacità di garantire un ecosistema favorevole allo sviluppo delle idee, delle competenze e dei talenti di tutti, a partire dai giovani, perché è di questo che stiamo parlando.
Ebbene, la situazione aggiornata al 2022 è la seguente. Sui 12 Paesi misurati dal 2015 ad oggi, sulla base di 7 pilastri riconosciuti a livello internazionali come indicatori di buona governance – qualità del sistema educativo, attrattività dei talenti, pari opportunità (per donne e giovani), libertà, regole, trasparenza e mobilità sociale - l’Italia, con un punteggio di 25,48, si conferma in ultima posizione nel ranking europeo. Conta più di 9 punti di distacco dalla penultima in classica (la Polonia) e ben 43 dalla prima (la Finlandia).
I maggiori gap rispetto alle medie della UE si riscontrano con riferimento ai pilastri della qualità del sistema educativo e della trasparenza seguiti dalla libertà, dalle regole, dall’attrattiva per i talenti e dalla mobilità.
In ogni caso, siamo ultimi sia come risultato complessivo che sui singoli pilastri.
In particolare emerge che l’incapacità strutturale di attivare il talento dei nostri giovani è addirittura peggiorata rispetto a dieci fa. Infatti, come attestano anche altri osservatori, tra cui il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, siamo tra i Paesi avanzati che meno valorizzano il capitale umano, soprattutto di giovani e donne.
Quindi, di che merito stiamo parlando?
Vogliamo davvero arrenderci e continuare a pagare il costo di un sistema che disconosce i meriti, cha ha paura dell’eccellenza, privando le nuove generazioni di fiducia nel futuro, di prospettiva di vita e quindi di motivazione, con un impatto drammatico sulla nostra società ed economia?
Forse quello che manca è un metodo.
Misurare (che significa trasparenza) per guardare la realtà senza pregiudizi e barriere ideologiche, e avere poi il coraggio di agire di conseguenza. A chi spetta se non a tutti noi, cittadini di Paesi democratici, difendere il valore del merito, che è espressione di libertà? Noi del Forum della Meritocrazia dal 2011 promuoviamo la Cultura del Merito in modo sistemico nella società italiana, attraverso progetti concreti e pluriennali rivolti a giovani, aziende e istituzioni, con una visione di lungo periodo e in un’ottica multistakeholder, per portare avanti una rivoluzione culturale che è responsabilità di tutti. E, non v’è dubbio, che si tratti di una rivoluzione positiva.
Maria Cristina Origlia