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Employee experience: cos’è e perché gestirla bene è un vero vantaggio competitivo
Ricordate i tempi delle analisi di clima aziendale e dei sondaggi sulla soddisfazione dei collaboratori?
Per molti di noi sono un lontano ricordo ma in realtà, fino a pochi anni fa, svariate aziende fondavano le proprie strategie di ascolto dei collaboratori su questi semplici strumenti, spesso finendo col condurre sterili esercizi caserecci e pseudo-statistici, caratterizzati da scale di risposta improbabili, questionari-monstre composti da oltre cento domande, poca o nessuna attenzione alla confidenzialità e, soprattutto, poca o nessuna condivisione dei risultati.
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Molte analisi di clima erano, ammettiamolo, delle attività dovute, una sorta di contentino dato ai collaboratori da parte delle Risorse Umane e una vera scocciatura per molti manager, che venivano invitati dai loro capi a promuovere l’iniziativa per alzare i tassi di risposta e, peggio ancora, a organizzare una riunione con il proprio team per discutere i prossimi passi.
Durante queste riunioni di follow-up, quasi sempre basate sulla mera lettura delle percentuali favorevoli, ma senza benchmark esterni che normalizzassero i dati, si arrivava invariabilmente agli stessi, fisiologici risultati:
• quasi tutti i collaboratori affermano di essere sottopagati
• ci sono forti lamentele sulla comunicazione interna
• i percorsi di carriera non sono chiari
• non si capisce “chi fa cosa”
• le donne sono più critiche
• anche i giovani sotto i 40 anni sono critici.
Alzi la mano chi, durante queste riunioni di follow-up, non si è trovato almeno una volta con piani di azione che camminano sul crinale fra il democratico e lo scaricabarile, del tipo:
Mettiamo una cassetta dei consigli in reception!
Risultato: una scatola di sneaker veniva trasformata in urna e un volonteroso ci scriveva sopra, con un bel pennarello nero rubato ai figli, “Cassetta dei consigli”.
I Consigli arrivavano davvero per le prime settimane.
Poi calavano.
Poi iniziavano i bigliettini umoristici, le parolacce, le delazioni.
Poi, il nulla: la cassetta veniva mestamente riposta in un armadio, di fianco ai floppy disk e sotto alle cartucce della stampante fuori produzione.
E che ne era dei consigli genuini, quelli dei primi giorni? Venivano letti dai responsabili delle Risorse Umane, ovviamente, che un po’ giocavano a “indovina l’autore” e un po’ cercavano di capire come mettere in atto quell’azione proposta da una persona con grafia nervosa, che scriveva, con grande sdegno e poco senso pratico “Lo so io cosa ci vuole, qui!!!! Ci vuole più RISPETTO!”.
Questo mondo di sondaggi improvvisati sta fortunatamente sparendo, per lasciare il campo al nuovo, moderno mondo della Employee Experience (EX), un fenomeno ormai mondiale e definito da Qualtrics come le percezioni e le opinioni che i collaboratori hanno delle loro interazioni collettive con i loro datori di lavoro, dalla selezione, all’onboarding, all’offboarding.
In altre parole, se volessimo rubare e parafrasare la famosa citazione di John Lennon “la vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti”, potremmo affermare che “employee experience è quello che di accade mentre sei occupato a fare il tuo lavoro”.
Studiare la EX significa innanzitutto capire quali sono i momenti importanti della vita dei nostri collaboratori e creare degli spazi di feedback, in modo da raccogliere opinioni, analizzarle e migliorare la situazione.
Queste 3 fasi - raccolta, analisi, azione - sono quelle che caratterizzano qualunque programma di “Experience Management”, che è la disciplina che racchiude la nostra EX, insieme alle sue sorelle: la Consumer Experience, la Brand Experience e la Product Experience.
Un buon programma di “Employee Experience Management” (EXM) ha tre caratteristiche fondamentali:
1. Raccolta dati e apprendimento continuo: per comprendere le preferenze, le aspettative, le percezioni e gli atteggiamenti dei collaboratori è necessario passare da rilevazioni di tipo statico, somministrate a tutti i collaboratori in un determinato momento dell’anno, a modelli dinamici, più brevi, frequenti e mirati al giusto target e al giusto tema. Attenzione: “frequente” non vuol dire “continuo”. L’apprendimento e l’accesso ai dati devono essere continui, ma non le rilevazioni: ogni organizzazione deve capire quale possa essere la frequenza ideale, che varierà comunque nel tempo, man mano che la cultura aziendale si adatta al mondo dell’Experience Management.
Un altro aspetto relativo alla raccolta dei dati è la loro tipologia. Le moderne tecnologie consentono di analizzare velocemente e con grande accuratezza anche dati di tipo qualitativo e non strutturato, come i commenti scritti, i post su internet, le chat. Ovviamente parlo di analisi aggregate e mai mirate a identificare i singoli, ma se consideriamo che secondo stime di vari analisti i dati non strutturati compongono ormai circa l’80% dei dati di un’organizzazione (Merril Lynch, 1998), possiamo capire come questo bacino di informazione, fino a pochi anni fa assolutamente ingestibile, possa oggi rappresentare un’incredibile fonte di informazioni per le aziende.
Volkswagen Australia ha coinvolto quasi cento concessionarie in un grande esercizio di ascolto di collaboratori e clienti, utilizzando survey inviate via mail, “chioschi” e tablet nei saloni. L’analisi congiunta dei dati ha consentito a VW di rivoluzionare l’esperienza dei propri consumatori, passando dal miglioramento di quella dei collaboratori. Il risultato? Un netto aumento del “Net Promoter Score” dei clienti, in molte concessionarie addirittura 20 punti superiore al passato.
2. Analisi e distribuzione: l’obiettivo dell’ EXM è aiutare i leader a comprendere i problemi e le opportunità di tutta l’organizzazione, fornendo ai manager informazioni utili sui propri collaboratori. Per fare ciò, è necessario che le informazioni raccolte, analizzate e processate siano disponibili e fruibili da parte di tutti i leader – e non solo delle Risorse Umane. È necessario passare da reportistica statica (le classiche “PowerPoint”) a dashboard dinamiche e create ad hoc per le persone che dovranno utilizzarle.
Così come è fondamentale segmentare i target delle nostre analisi, è altrettanto importante segmentare gli utilizzatori finali: un responsabile HR non ha le stesse esigenze (e competenze!) di un capo di linea o di un membro del Board. Le dashboard di un programma di EXM sono quindi create con in testa varie Personas, ognuna delle quali avrà esigenze, e quindi funzionalità, diverse.
In questo mondo di conoscenza diffusa, il ruolo di HR deve adattarsi, passando da custode di dati a coach di leader.
Lumen Technologies, azienda americana con quasi 40 mila collaboratori, ha dato accesso alle dashboard a 5 mila responsabili. L’analisi accurata dei dati ha consentito a Lumen di migliorare il sistema di riconoscimenti dei tecnici, che hanno migliorato la propria produttività e ridotto il numero di interventi presso i clienti, aumentandone così la soddisfazione media e la spesa in servizi Lumen.
3. Azioni migliorative e rapidità di adattamento: la grande differenza dell’approccio EXM, rispetto a quelli tradizionali, è il passaggio da miglioramenti periodici e spesso calendarizzati, a processi adattivi e continui. Così come la disponibilità di accesso ai dati deve essere costante, anche i processi di miglioramento e di adattamento devono esserlo: le informazioni EX devono essere incorporate nelle attività quotidiane e man mano che il flusso di informazioni fruibili si adatta al ritmo operativo del business, le organizzazioni riescono a rispondere sempre più rapidamente. Per rendere l’EXM una parte integrante dei processi aziendali, è necessario che la cultura organizzativa sia basata sull’ascolto, sul feedback, sulla volontà di migliorare continuamente e sulla consapevolezza che gli errori sono parte della vita lavorativa: solo così sarà possibile creare un ambiente in cui le persone – tutte, non solo i manager o HR – cercheranno costantemente il feedback e saranno disposte a fornirlo. In un ambiente di questo tipo, sarà considerato normale ricevere un breve questionario alla fine di ogni corso di formazione, di ogni processo di onboarding o di ogni performance review.
La più grande società di investimento al mondo, BlackRock, è riuscita a creare un ambiente di questo tipo coinvolgendo i propri leader in progetti di “feedback 360” e somministrando sondaggi lungo il Lifecycle dei collaboratori. Fra i vari risultati ottenuti c’è il netto aumento della velocità di realizzazione di azioni migliorative: 10 volte rispetto al passato.
In conclusione, EXM è una disciplina relativamente nuova ma estremamente utile per tutte le organizzazioni moderne, grandi e piccole.
Qualunque azienda può farla sua: bastano la giusta cultura dell’ascolto e del feedback, una tecnologia appropriata e manager in grado di incorporare la Employee Experience nel proprio lavoro quotidiano.
Andrea Montuschi