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È il tempo di una leadership che si prenda cura
Viviamo anni difficili e complessi: pandemia, guerra, cambiamenti climatici, crisi economiche e sociali stanno mettendo a dura prova la nostra fiducia verso il futuro, inteso come un tempo in cui progresso e benessere rappresentano non un’aspirazione ma una concreta prospettiva, accessibile ad un numero sempre maggiore di persone.
Angoscia, preoccupazione, fragilità sono i sentimenti che sembrano caratterizzare questa epoca, alla quale possiamo guardare con rassegnazione, e quindi subirla rischiando di esserne sopraffatti, ovvero provare a viverla come un tempo difficile da attraversare e dal quale uscire diversi e, se possibile, migliori di quando ne siamo entrati. La crisi come opportunità di evoluzione e di crescita, individuale e collettiva.
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Dopo decenni di conquiste individuali, abbiamo capito, forse per la prima volta, che le nostre conquiste rischiano di non essere davvero tali se non poggiano su un modello sostenibile di sviluppo e crescita. Oggi, più che mai, siamo chiamati alla responsabilità del prenderci cura: cura per il mondo che ci circonda, cura per le persone, cura per chi verrà dopo di noi.
Sfiduciati, messi a dura prova da una pandemia che ha travolto tutto e tutti senza risparmiare nessuno, disgustati dalla violenza di una guerra che uccide innanzitutto la dignità e la sacralità dell’essere umano, abbiamo capito che è arrivato il momento di cambiare, di mettere in discussione le nostre certezze, rivelatesi fragili e precarie, di ripensare i nostri stili di vita, di consumo e, soprattutto, di prenderci cura delle persone con cui condividiamo questo tempo, all’interno delle nostre famiglie, degli ambienti lavorativi, delle nostre comunità.
Prenderci cura significa guardare l’altro con occhi attenti, significa essere capaci di dare più spazio all’ascolto che non al giudizio, significa soprattutto dare e chiedere fiducia. Fiducia è una parola straordinaria: nasce dal latino “fides”, avere fede: negli altri, nelle loro capacità, nei loro talenti, nel loro essere unici ed irripetibili. Se concediamo la nostra fiducia ad una persona la mettiamo nella condizione straordinaria di essere libera: libera innanzitutto di essere se stessa. Libera di sbagliare, sapendo che l’errore più grande sarebbe quello di non averci neppure provato, e non quello di non esserci riusciti. Libera di scegliere. Libera di dare il meglio di sé.
Fiducia di un genitore verso un figlio. Fiducia all’interno di una coppia. Fiducia in un rapporto professionale. Fiducia nei rapporti sociali.
Concedere, donare fiducia significa attivare un circolo virtuoso che ci restituirà molto di più di quanto abbiamo dato: l’esperienza ci dice che le persone ci ripagheranno cercando di dare il meglio di sé, andando oltre le nostre aspettative, e soprattutto oltre i propri limiti. Dare fiducia a qualcuno significa creare lo spazio e le condizioni in cui il talento, qualunque esso sia, possa manifestarsi e fiorire.
Solo una società inclusiva, un mondo del lavoro in grado di valorizzare le differenze più che uniformare comportamenti e attitudini, una politica (con la P maiuscola) che coniuga i verbi al futuro e non solo al presente, potranno essere la chiave per uscire più forti dai tempi turbolenti che stiamo attraversando.
Si parla molto (e giustamente) di transizione ecologica, intesa come processo di innovazione volto a favorire economie orientate non solo al profitto ma anche alla sostenibilità ambientale.
Insieme alla transizione ecologica deve andare di pari passo una transizione umanistica, intesa come insieme di relazioni incardinate sulla fiducia, sulla autenticità, sull’inclusione, in grado di cambiare la nostra società rendendola un terreno fertile di crescita personale e, allo stesso tempo, collettiva.
Quello che potrebbe sembrare un libro dei sogni, una nuova Utopia così come immaginata da Thomas More, è già una realtà che possiamo osservare e di cui constatare i benefici.
Le imprese che hanno saputo accompagnare la transizione ecologica con quella umana eccellono nei loro mercati, sono in grado di generare innovazione al servizio dei loro clienti, di costruire relazioni durature e di valore che rappresentano il loro principale asset, che viene prima dei prodotti e del profitto. Sono le Società Benefit o B Corporation, e stanno cambiando il modo di fare business, a prescindere dai settori o dai contesti geografici in cui operano. Un modello a cui fare riferimento e da espandere il più possibile, in cui il purpose viene prima del profit ed in cui le imprese evolvono a soggetti sociali che hanno responsabilità anche economiche. Una vera rivoluzione.
Altri esempi li possiamo trovare nel mondo dell’università, della ricerca, dove il talento individuale viene messo al servizio di progetti di innovazione in grado di produrre conoscenze e tecnologie al servizio dell’uomo, della qualità della sua vita, in grado di abbattere barriere e di rendere possibile ciò che fino a poco tempo prima sarebbe stato difficile immaginare.
E, ancora, possiamo guardare al mondo delle organizzazioni di volontariato, al terzo settore, in cui una visione umanistica è alla base di progetti che sono volti a dare risposte a tante domande che altrimenti rimarrebbero tali.
E potremmo andare avanti ancora a lungo. Da questi semi può nascere una società nuova, più equa, consapevole, responsabile e orientata a un futuro sostenibile. Soli con noi stessi, nei giorni della pandemia o davanti alle squallide immagini della devastazione prodotta da una guerra che sembra riportarci indietro nel tempo, ci siamo scoperti fragili, deboli e, soprattutto, bisognosi degli altri. Soli con noi stessi, abbiamo avvertito il peso di questa solitudine ed abbiamo avvertito il bisogno di tornare ad aprirci a relazioni autentiche, abbiamo compreso che solo prendendoci cura di noi stessi e degli altri potremo tornare a guadare al futuro con fiducia e speranza. Ci aspetta un tempo nuovo: è il tempo della cura, è il tempo del prendersi cura. E’ il tempo che speriamo di avere davanti a noi.
Andrea Percivalle