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Non sprecate tempo a cercare gli ostacoli. Potrebbero non essercene
I nuovi comportamenti che l’emergenza pandemica ha favorito, specie in ambito aziendale, erano in nuce e covavano sotto la cenere da quel dì. In particolare, i nuovi modelli di leadership a sostegno delle nuove forme organizzative indotte dal cosiddetto smart working, erano già ampiamente considerate e trattate da almeno vent’anni.
L’emergenza pandemica ci ha costretti a “forzare le cose” e ha fatto diventare inevitabile e vitale ciò che fino a quel momento era considerata una frontiera per soli visionari illuminati. Oggi non abbiamo bisogno di nuovi guru, la sfida che le organizzazioni si trovano di fronte, non riguarda infatti il “se” adottare modelli di leadership di stampo umanistico, bensì riguarda il “come” farlo. Senza un “come”, il “se” appare astratto, rischia di essere etichettato alla stregua di fuffa. I tempi di un nuovo approccio sono maturi, ma non basta predicare un nuovo modello di leadership, occorre oggi lavorare agli strumenti della sua effettiva applicazione. Questa è la sfida. Si tratta di una sfida impegnativa che presuppone ispirazione, ma soprattutto applicazione: per cambiare vecchie abitudini ci vogliono nuove abitudini. È venuto il momento dell’azione e, per dirla con Kafka, non bisogna sprecare tempo a cercare gli ostacoli, potrebbero non essercene.
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Per mettere mano alla definizione degli strumenti pratici, occorre dunque sgomberare il terreno da alcuni alibi che, se non smarcati, possono diventare trappole mortali.
PRIMO EQUIVOCO: Non servono strumenti di esercizio della leadership perché oggi c’è la leadership diffusa.
Vero, il tema della leadership diffusa - o distribuita - è centrale. Nel 2002 pubblicai con Sperling & Kupfer un librino dall’evocativo titolo La leadership secondo Peter Pan.
Ponevo un tema allora di frontiera: l’esercizio della leadership è riservato solo a chi ricopre un ruolo gerarchico che lo prevede per mansione o è praticabile anche come scelta più personale, di natura etica? Cercando di rispondere a questo interrogativo, elaborai il concetto di leadership ecologica - ecoleadership - un esercizio della leadership personale, derivante dalla volontà di influire sulla qualità della vita dell’eco-sistema che si abita. Gli eco-leader esercitano la loro leadership personale anche quando il ruolo che ricoprono non lo prevede. Essi non sono mossi dalla cultura del “fare”, ma dalla cultura del “farsi carico”. In talune organizzazioni l’eco-leadership è osteggiata, in altre è mal tollerata, in altre ancora è invece promossa.
All’epoca il concetto era piuttosto dirompente, tanto che quel librino, tradotto in più lingue tra cui il coreano e il giapponese, indusse un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Harvard a contattarmi per un approfondimento. Ebbi l’impressione che la teoria del Sistema Operativo Duale, più strutturata e accademica, che John Kotter, docente di leadership ad Harvard, propose negli anni successivi, prendesse in qualche modo spunto anche da quel librino.
La sostanza è che il tasso di cambiamento ed innovazione con cui dobbiamo fare i conti oggi richiede l’estensione della leadership a una porzione più ampia di popolazione aziendale: la leadership della sola gerarchia è inevitabilmente insufficiente.
Ma la leadership diffusa, ecco l’equivoco, sostituisce o integra la leadership di ruolo? L’assenza di leadership di ruolo non genera naturalmente la leadership diffusa; senza leadership di ruolo, non può generarsi leadership diffusa.
La leadership diffusa quindi non sostituisce, ma integra la leadership di ruolo. La leadership diffusa è l’effetto di un certo tipo di esercizio della leadership di ruolo: per diffondere la leadership bisogna applicare un modello di leadership di ruolo volto a favorire il potenziamento della leadership di ciascuno.
SECONDO EQUIVOCO: Ma, in fondo, gli strumenti per esercitare la leadership sono già disponibili.
Era la fine degli anni ’90 quando proprio John Kotter, all’epoca poco più che giovinetto, propose la distinzione fra la dimensione del management e la dimensione della leadership. Si dice leadership, si intende management, diceva. Con queste parole Kotter volle mettere in evidenza l’equivoco: troppo spesso si spaccia la pratica manageriale per esercizio della leadership. I due piani vanno invece distinti.
Le capacità manageriali riguardano:
• la qualità dei meccanismi operativi dell’organizzazione
• l’ottimizzazione delle risorse
• l’analisi delle evidenze oggettive
• la motivazione dei propri collaboratori.
Le capacità di leadership riguardano:
• la qualità del sistema di relazioni
• la crescita delle persone
• la visione del futuro
• il coinvolgimento del team.
Ieri si potevano distinguere ruoli diversi: pochi leader al vertice, tanti manager dedicati all’execution. Oggi ognuno è chiamato a utilizzare entrambe le cassette degli attrezzi, quella del management e quella della leadership, valutando di volta in volta il loro impiego.
Chi fino a ieri poteva sostanzialmente disinteressarsi della leadership e testimoniare il proprio valore attraverso l’efficacia della propria pratica manageriale, è oggi chiamato a un salto di qualità, all’uso di entrambi i mindset. Per evolvere in tal senso, non bastano gli strumenti contenuti nella “cassetta” del management, occorre riempire di nuovi strumenti la “cassetta” della leadership.
TERZO EQUIVOCO: Un gruppo di persone appassionate può ottenere qualunque risultato.
Troppo spesso quando le prestazioni di un team non sono soddisfacenti, si fa ricorso a iniziative volte a potenziare lo spirito di gruppo, nell’illusione che un gruppo più coeso garantisca di per sé migliori prestazioni.
Ma i fattori che fanno di un team una squadra di successo non riguardano la dimensione del gruppo, riguardano la dimensione della squadra. Essi sono tre: 1. condivisione di un progetto coinvolgente 2. chiarezza rispetto all’atteggiamento da adottare per realizzarlo 3. finalizzazione al progetto dei talenti di ciascun team member.
Questi sono i fattori su cui fare leva: quando si condivide un progetto coinvolgente, si è allineati dal punto di vista dell’atteggiamento e ognuno spende il proprio talento, il gruppo viene da sé. Un gruppo di persone appassionate non garantisce alcunchè ; la leadership non consiste in una banale esortazione all’entusiasmo.
Da queste considerazioni, emerge con chiarezza la necessità di superare un esercizio della leadership tutto motivazionale verso un esercizio più strutturato. Occorre rappresentare l’esercizio della leadership come un processo, definirne le attività e apprendere le tecniche per svolgere efficacemente ciascuna attività del processo.
Occorre prevedere attività periodiche e attività di ciclo, attività verso il team e attività one to one. Occorre apprendere le tecniche di talent identification e di definizione dei fattori di eccellenza del team.
Si tratta di una sfida impegnativa, che presuppone la scelta di andare oltre ogni alibi. La retorica della leadership non ci serve più: di guru abbiamo sempre meno bisogno, siamo nel tempo degli strumenti e delle soluzioni.
Alessandro Chelo