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Il Trimarium: la faglia geopolitica del sistema mondo
L’Europa centrale: questione di punti di vista
Anche alla luce delle più recenti vicende geopolitiche, la partita per la stabilità del continente europeo e quindi del sistema mondo si gioca esattamente come nel 1918 in quella parte di Europa, variamente definita a secondo dell’interesse nazionale di riferimento, che si estende dalla Polonia alla Grecia toccando le sponde del Mar Nero. L’Intermarium ovvero Miedzymorze dei fasti polacco-lituani, la Zwischeneuropa di concezione teutonica propaggine del Rimlad di Nicholas Spykman (1).
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La Mitteleuropa allargata di fondazione asburgica, la Nuova Europa di Donald Rumsfeld, il Trimarium atlantista o semplicemente, per chi ci è nato, l’Europa centrale sono tutte denominazioni dello spazio storico e geografico nel quale si scontrano e incontrano gli imperi desiderosi di controllare l’ordine mondiale.
L’Europa centrale, che automaticamente sottintende l’esistenza di un’Europa orientale e quindi identifica i russi quali europei tout court, è in verità un concetto spesso pieno di contraddizioni dal punto di vista politico e sociale poiché definisce una regione complessa in cui le nazioni non corrispondono quasi mai ai confini statali ma che territorialmente può essere delimitata, nella sua estensione massima, tra il Mare del Nord, il Mar Nero ed il mare Adriatico. È la cartina di tornasole della fluidità delle relazioni internazionali e il luogo in cui la storia e la geografia, a ondate costanti, tornano protagoniste fondando o distruggendo, come negli ultimi cento anni, gli agglomerati statali.
Nella regione si contavano nel 1914 solo nove Stati. Dieci del 1945. Oggi sono diciotto.
Dopo l’euforia dei primi anni Novanta del secolo scorso, generata dal crollo dei regimi comunisti, dalla ritrovata indipendenza di alcuni Stati ovvero dalla creazione di nuovi come nel caso della Slovenia, negli ultimi anni una sensazione di sbigottimento ha iniziato ad avvolgere le capitali della regione. Politici e cittadini hanno incominciato a comprendere che essere piccoli, divisi e riottosi non porta grandi vantaggi. Le classi dirigenti più sensibili incominciano a rendersi conto che vi è una necessità impellente di incominciare a gestire le inquietudini in modo da arginarne le potenziali minacce. Passato il periodo in cui la Russia era un gigante dai piedi d’argilla e in cui la sola prospettiva di un ingresso nell’Unione europea era garanzia di stabilità, hanno incominciato a riconsiderare in maniera assi più immanente i problemi legati al fatto d’essere, da sempre, una zona d’attrito tra diverse sfere d’influenza (2).
Il ritorno negli anni della proattività moscovita, l’effettività della profondità strategica turca (3), il prevalere dell’influenza economica tedesca, la sfaldante presenza cinese e la volontà di controllo strategico
degli Stati Uniti sono tutti fattori che fanno dell’Europa centrale uno dei principali campi di competizione degli interessi globali. L’essere continuamente sottoposti alle correnti d’aria degli interessi nazionali altrui, ma soprattutto ritrovarsi costantemente in balia delle capitali più potenti all’interno di quell’Unione europea, che invece avrebbe dovuto essere l’approdo sicuro per i frammentati popoli del continente, crea tensioni geopolitiche, rinfocola perplessità culturali e palesa la debolezza delle strutture politiche locali.
Per tale ragione la potenza di riferimento del mondo nordatlantico, gli Stati Uniti, sta cercando negli ultimi anni di trovare una soluzione al problema, da essa stessa creato al termine della Prima guerra mondiale, della frammentazione spaziale e della dipendenza infrastrutturale esterna della regione compresa tra i tre mari, sostenendo l’Iniziativa dei Tre Mari, ovvero il Trimarium.
La contemporaneità della questione
Stabilizzare l’Europa centrale è un’esigenza che si è fatta pressante alla fine del primo conflitto mondiale con la disintegrazione dell’impero austro-ungarico (4). Venuto meno il cuscinetto geopolitico viennese che per secoli aveva attutito le frizioni tra le pretese russe, ottomane e, in epoca più recente, tedesche, si è creato nell’Europa centrale un vuoto strategico i cui effetti si protraggono fino ai nostri giorni. Una miriade di Stati medio-piccoli, creatisi prima sulla base dei quattordici punti di Woodrow Wilson e successivamente con il disintegrarsi dell’impero sovietico, tra il Mar Egeo e il Mar Baltico non è certamente garanzia di stabilità e governabilità per un’area geografica caratterizzata da forti tensioni storiche, politiche, culturali e religiose nella quale si intersecano gli interessi nazionali di numerose potenze mondiali e regionali (5). L’idea di una fattiva collaborazione tra i paesi dell’Europa centrale, quale barriera di contenimento dell’espansionismo tedesco e russo, è pertanto nell’aria da esattamente un secolo ed è stata descritta con nomi differenti a seconda dei proponenti.
Diversi politici hanno provato a implementarla, per ora senza successo. Stalin fu l’unico che riuscì a congelarla. Annettendo quasi tutti i paesi della regione alla sfera d’influenza sovietica dopo il 1945, egli ha congelato il problema e si è opposto con efficacia ai progetti di Winston Churchill basati su una grande federazione che alla conclusione della Seconda guerra mondiale potesse estendersi, in chiave specificatamente antisovietica, dalla Polonia alla Grecia.
Winston Churchill fu studioso consapevole del disastro geopolitico apportato dalle pretese statuali sorte dalla formula dell’autodeterminazione dei popoli so-
stenuta, seppur sulla base di differenti premesse, da Wilson e Lenin con cui si è condannata alla sparizione l’entità asburgica nel 1918 e consolidate pretese nazionaliste spesso basate su miti autoreferenziali (6). Sulla scorta delle sue analisi, nella quali si constatava sempre la necessità di ricostruire delle entità statali multinazionali funzionalmente capaci d’arginare le pretese esterne ovvero fungere da cuscinetto tra Berlino e Mosca, Churchill, per nulla sostenuto dall’alleato americano e decisamente osteggiato da quello sovietico, tentò nel periodo del secondo conflitto globale di creare connessioni che potessero al termine del conflitto sfociare in una confederazione regionale di nazioni favorendo i matrimoni tra le varie casate regnanti nei Balcani e nell’Europa centrale e soprattutto convin-
cendo i Governi in esilio a farsi promotrici delle sue visioni geopolitiche. Il primo a esternare tale idea fu il generale Wladislaw Sikorski, primo ministro del Governo polacco a Londra. Nel 1942 propose l’implementazione di una Federazione dell’Europa centrale e orientale, libera da ogni altro Stato, da crearsi gradualmente. Il primo passo sarebbe stato quello di portare all’ordine del giorno dei Governi in esilio la creazione di una federazione greco-jugoslava e di una polaccocecoslovacca (7).
Il progetto fallì per l’aperta opposizione dell’Unione Sovietica e la diffidenza del presidente americano, Franklin D. Roosevelt (8).
Tuttavia, Churchill insistette e secondo le fonti disponibili, dal 1943 al 1947 il servizio segreto britannico MI6 sostenne economicamente diverse cellule di dissidenti, anticomunisti, provenienti dai paesi sottoposti al giogo nazifascista dell’Europa centrale favorevoli
alla ricostruzione in senso federale della regione alla fine del conflitto (9). Tali cellule, rappresentate dai Club Federali Centroeuropei di Londra, Parigi e Roma, pubblicarono nel 1945 la Carta Intermarium quale proposta per l’unione di 160.000.000 di cittadini appartenenti ai popoli albanese, greco, bulgaro, serbo, ceco, croato, slovacco, sloveno, ungherese, lituano, polacco, lettone, rumeno, ruteno e ucraino (10). Il preambolo della Carta, impregnata della convinzione che la stabilità della regione fosse di fondamentale importanza per una pace duratura in Europa, definiva la necessità dei suddetti popoli di dotarsi di una cooperazione strutturata in seguito alle tragedie della Prima e della Seconda guerra mondiale e al venir meno di buona parte delle classi dirigenti a causa dello sterminio dei politici portato innanzi dall’Unione Sovietica nelle sue zone di occupazione (11).
Nel mese di agosto di quello stesso anno la maggioranza delle operazioni venne trasferita dal Club di Londra a quello, più geograficamente prossimo alla regione, di Roma al cui vertice vennero posti due sloveni. Miha Krek divenne presidente e Ciril Zebot segretario generale. La vicepresidenza venne invece affidata al principe polacco Julius Poniatowski. Il loro contributo più significativo divenne la pubblicazione, per quanto scostante, dei Bollettini Intermarium nelle cui pagine si approfondivano le vicende politiche dell’Europa contemporanea.
La validità delle analisi geopolitiche e sociali presenti nella Carta e nei Bollettini verrà provata negli anni Novanta del secolo scorso dal crollo del regime sovietico, dal collasso della Jugoslavia e dal riacutizzarsi di numerose frizioni nazionaliste che l’ordine post
Seconda guerra mondiale della regione aveva solo momentaneamente congelate.
Gli Stati Uniti d’America, appresa la lezione delle negatività scaturite dalla parcellizzazione dell’Impero austroungarico, tenteranno nell’immediatezza di contrastare lo sfaldamento degli Stati. Il 1° agosto 1991, il presidente degli Stati Uniti G. H. W. Bush ammoniva gli ucraini, e conseguentemente tutti i popoli in quei mesi impegnati a inseguire progetti indipendentisti, che gli americani «non sosterranno coloro che aspirano all’indipendenza per rimpiazzare una distante tirannia con un dispotismo locale. Non aiuteranno coloro che promuovono un nazionalismo suicida basato sull’odio etnico» (12).
Costretti dall’ineluttabilità degli eventi a gestire la fine del confronto bipolare in maniera differente, gli
Stati Uniti affronteranno la problematica della stabilizzazione dell’Europa centrale sostenendo esternamente l’allargamento dell’Unione europea, nella speranza che l’europeizzazione delle nazioni potesse prevalere sulla nazionalizzazione dell’Europa, e direttamente quello della NATO. Le capitali della regione, spesso assai più consce della storia di quelle occidentali, diffidenti da Berlino e Mosca erano destinate a divenire le alleate più vicine a Washington ma anche quelle a dedicare per prime, nel corso degli anni, il 2% del PIL nazionale al settore della Difesa, come da indicazioni della NATO.
Per convogliare e controllare l’eventuale disappunto russo, Mosca venne invitata a sedere al tavolo del G-8 e a condividere le eventuali perplessità geopolitiche dell’arretramento della sua sfera d’influenza da Berlino a Sebastopoli nella cornice del Consiglio NATO-Russia.
Lo spazio geografico compreso tra il Mar Nero, l’Adriatico e il Baltico si estende su tre micro regioni. La Polonia, nazione sufficientemente grande per avere pretese di potenza regionale, il nucleo dei paesi strictu sensu centrali rappresentato dalla Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Austria e, in parte, Slovenia la quale a sua volta funge da connettore con la realtà dei Balcani. Ed è proprio nei Balcani che negli ultimi anni, sempre più, si sono ricominciate a sentire le frizioni dei diversi mondi che ivi s’incontrano e scontrano.
L’anello debole del Trimarium: i Balcani
Dichiarando nel 2014, all’insediamento della sua Commissione, che l’allargamento dell’UE doveva intendersi congelato a data da destinarsi, Jean Claude Junker ha tarpato le ali agli approcci riformatori di stampo pro-europeo e pericolosamente rinazionalizzato le politiche dei Balcani (13). La Macedonia, la Serbia, l’Albania, il Montenegro, paesi ufficialmente candidati, unitamente alla Bosnia Erzegovina e Kosovo, paesi non candidati ma consci d’avere un limitato orizzonte di vita qualora venga meno l’opzione europea, hanno iniziato, seppur in modi tra loro differenti, a sperimentare forti tensioni politiche interne a causa della poca chiarezza dello scenario internazionale. In una regione nella quale abbondano i conflitti congelati dell’era post Guerra Fredda, il vuoto strategico di Bruxelles ha permesso l’espandersi di interessi nazionali confliggenti. La Russia, pur non osteggiando apertamente l’allargamento dell’Unione europea, vede i Balcani quale baluardo di resistenza anti-NATO e cerca di presentarsi nella veste di potenza alternativa, soprattutto come protettrice dei valori delle popolazioni slave e ortodosse di fronte alla corruzione dei valori morali occidentali. La capitale di riferimento per Mosca nella regione è da sempre Belgrado cui però le pompose cerimonie e le altisonanti dichiarazioni di eterna amicizia delle visite bilaterali garantiscono ben poco ritorno economico. Con un investimento finanziario dieci volte più piccolo di quello cinese, la Russia si assicura comunque la presenza nelle questioni regionali, soprattutto in quella kosovara. Nonostante la posizione ufficiale della Federazione russa sia di sostegno alla Serbia e quindi contraria alla secessione unilaterale dichiarata da Pristina nel 2008, il presidente russo Vladimir Putin ha da sempre silenziosamente sperato affinché l’Occidente in Kosovo facesse di testa propria in modo d’avere un precedente storico e giuridico sul quale basare le proprie mosse altrove. Senza il referendum per l’indipendenza del Kosovo, l’annessione della Crimea sarebbe stata assai più difficile, così come un eventuale scambio territoriale tra Belgrado e Pristina faciliterebbe la
chiusura definitiva di pendenze nell’arco territoriale tra Ucraina e Caucaso. Una prima ridefinizione, internazionalmente accettata, dei confini nei Balcani inoltre rinsalderebbe la presenza russa in loco in quanto l’effetto domino investirebbe automaticamente la Bosnia Erzegovina e coinvolgerebbe gli ancora numerosi confini ancora oggi non definiti tra gli ex paesi della Federazione jugoslava.
La Cina guarda ai Balcani attraverso un prisma più geoeconomico basato sulla strategia delle Nuove Vie della Seta. Geopolitica travestita da economia che nel 2012 fa lanciare a Pechino, nella medesima regione abbracciata dal Trimarium, l’Iniziativa 16+1 (14). Il flebile ritorno economico che un mercato tanto frammentato e numericamente esiguo come quello balcanico le garantisce viene compensato dall’accrescimento d’immagine internazionale del Partito comunista assicurata dalla presenza sui mercati europei e dall’amicizia di paesi, come per esempio la Serbia, che l’appoggiano nelle questioni legate alla sovranità sul Tibet e Taiwan. La sinergia di Belgrado viene ripagata con ben 10 miliardi di dollari di investimenti nell’economia.
Avendo constatato d’essere proprietaria di un porto mediteranno, il Pireo, sostanzialmente isolato e compreso quanto sia antieconomico collegarlo con Budapest attraverso investimenti nella rete stradale, Pechino cerca di garantirsi l’amicizia dei paesi adriatici in modo da trovare un porto che permetta alle proprie merci di giungere velocemente nel cuore dell’Europa, che comunque dopo decenni di stagnazione comunista sta ritornando a essere un mercato vivace e soprattutto una piattaforma logistica di primaria importanza. Motivo per cui nell’ultimo quinquennio non ha disdegnato di ammiccare ai porti di Fiume e di Trieste (15).
Nel rispetto della massima di Sun Tzu secondo cui il nemico va adescato con la prospettiva dei vantaggi e conquistato con la confusione, per Pechino i Balcani sostanzialmente non sono altro che la porta d’ingresso secondaria per l’Unione europea e il luogo nel quale poter sfaldare l’unità del mondo nordatlantico garantendosi accordi bilaterali vantaggiosi.
La Turchia, storicamente presente in zona, soprattutto in seguito al progressivo abbandono del kemalismo di Stato e il conseguente ritorno all’ottomanesimo sta cercando di proporsi in questo spazio geografico quale defensor fidei dei mussulmani sunniti ovvero dei mussulmani d’Europa ponendo sotto la propria protezione i fedeli che vivono all’interno del triangolo composto da Istanbul, Vienna, Berlino. Nonostante la sottoscrizione di numerosi accordi bilaterali, la presenza economica turca nei Balcani ha raggiunto nel 2018, anno in cui la svalutazione della moneta nazionale ha iniziato a condizionare negativamente gli investimenti all’estero, un picco massimo di soli 4 miliardi di dollari. Tuttavia, la regione continua a rappresentare per Ankara il luogo naturale su cui estendere la propria influenza imperiale.
La Germania è un altro attore ad avere un interesse geopolitico consolidato in zona. Berlino è il primo partner economico della regione. I numeri spesso la pongono in competizione con l’Italia, ma a fare la differenza è la strategia di posizionamento tedesca sostenuta da tutte le strutture statali e dai servizi d’intelligence, che sempre più cerca di penetrare nel tessuto politico e sociale balcanico. L’interesse di Berlino è di rimanere anche nei prossimi decenni il partner economico di riferimento per i paesi della regione motivo per il quale è necessario che il mercato regionale funzioni,
la situazione politica rimanga il più possibile stabile e le varie economie nazionali aumentino le proprie capacità di acquisto.
Per essere di fatto riconosciuta quale potenza di riferimento per i futuri assetti politici, la Germania ha avviato nel 2014 il Processo di Berlino per i Balcani occidentali e tenta lentamente di proporre per i paesi della zona una cooperazione infrastrutturale propedeutica alla creazione di un mercato maggiormente sinergico.
Il dialogo tra Serbia e Kosovo, uno dei punti cruciali per la futura stabilità dell’Europa, è bloccato dal 2018 per le posizioni prese dall’allora cancelliera tedesca Angela Merkel che ha minacciato di destabilizzare il presidente serbo Aleksander Vućić qualora avesse effettivamente chiuso, come all’epoca si ipotizzava, il contenzioso con il Kosovo sulla base di uno scambio di territori. Lo scambio di territori tra la Serbia e il Kosovo, tacitamente sostenuto da Washington, avrebbe probabilmente chiuso l’annosa vicenda del mancato riconoscimento dei due Stati, ma quasi certamente comportato nell’instabile regione una reazione a catena dalle pesanti conseguenze geopolitiche. L’ipotesi americana era di gestire tali conseguenze con un veloce allargamento della NATO mentre a Berlino da sempre tendono a evitare qualunque mossa che possa accrescere l’ipotetica instabilità, nonché rafforzare la presenza in loco degli Stati Uniti. Meglio un vacuo dialogo a oltranza piuttosto che una soluzione affrettata (16).
Lo stallo ha comportato che il Governo tedesco si è fatto promotore dell’idea di un vertice speciale sul futuro dei Balcani tenutosi a Berlino il 29 aprile 2019 al quale sono stati invitati solo i rappresentanti dei paesi della regione, il presidente francese Emmanuel Macron e i rappresentanti dell’Unione europea. La convocazione del vertice è stata una chiara dichiarazione di sfida a Washington per il controllo dei futuri equilibri europei e un ulteriore passo in avanti nella strategia di annessione definitiva dello spazio geografico compreso tra Lubiana e Skopje alla sfera d’influenza germanica. Il summit, ufficialmente indirizzato al riavvio del dialogo tra Belgrado e Pristina, non ha portato i risultati sperati ma ha riportato con veemenza gli Stati Uniti al centro degli eventi regionali nel momento in cui il presidente kosovaro Hasim Thaci ha dichiarato che non ci può essere alcun accordo per i Balcani senza Washington dato che l’Europa è troppo divisa e debole per portare avanti dei negoziati credibili.
L’Iniziativa dei Tre Mari
All’interno di tale complesso scenario di rivalità geopolitiche, l’Iniziativa dei Tre Mari può essere interpretata come la riedizione in miniatura degli storici scopi della NATO sintetizzati nella massima: portare gli americani dentro, tenere i russi fuori e i tedeschi sotto.
Sostenuti dall’unica partner affidabile tra il Mar Baltico e l’Egeo, la Polonia, gli Stati Uniti hanno affidato nell’ultimo decennio al think tank Atlantic Council l’idea di rivitalizzare, e soprattutto promuovere presso i Governi dell’Europa Centrale, l’antica idea di una loro connessione più stretta in modo da creare verticalmente sulla mappa del continente uno spazio infrastrutturale, economico ed energetico funzionale che disconnetta la dipendenza energetica della regione dalle connessioni con la Russia e quella economica dalla Germania. Washington desidera creare una zona cuscinetto che diluisca la ricattabilità della regione. In tale contesto i Balcani dovrebbero entrare completamente nella sfera euro-atlantica, l’influsso russo e cinese dovrebbero essere minimizzato, quello turco controllato, quello tedesco fortemente diluito in modo da poterne anche reimpostare il peso specifico nelle istituzioni dell’Unione.
Due sono le nazioni che, facendo proprie le idee dell’Atlantic Council e organizzando insieme la cerimonia di fondazione dell’Iniziativa dei Tre Mari nel 2017 a Varsavia alla presenza del presidente americano Donald Trump, hanno voluto farsi riconoscere quali partner principali in questo progetto: la Croazia e la Polonia. La prima anela a divenire lo snodo principale per tutte le infrastrutture, la porta d’entrata meridionale per il gas liquefatto americano e la testa di ponte di Washington nell’instabile area geografica della penisola balcanica. Varsavia invece, vivendo storicamente nell’incubo più volte avveratosi dell’abbraccio mortale tra Berlino e Mosca, si augura di poter realizzare in chiave di cooperazione il vecchio sogno d’integrazione dell’Intermarium del generale Pilsudski e favorire lo stanziamento in zona del maggior numero possibile di basi NATO. Una strategia che, per il Governo di Varsavia,
Incontro bilaterale del 2017 tra l’allora presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump con il presidente polacco Andrzej Duda (wikipedia.org photo by Shealah Craighead).
in seguito ai recenti eventi ucraini trova ancora maggiore giustificazione.
Per non cadere nella dipendenza economica tedesca, la Polonia diede vita negli anni Novanta del secolo precedente al gruppo di Visegrad (V4). Da anni la collaborazione del V4 marcia a passo ridotto. L’appoggio sinergico dell’interesse americano potrebbe ora portare a un nuovo modello di relazioni intra-europee.
Dal punto di vista statunitense, è ancora più di prima necessario che ad allargarsi sia prima la NATO e solo successivamente l’Unione europea la quale però dovrebbe venirsi a sovrapporre a un mercato in cui anche gli Stati Uniti possano vantare una presenza più significativa.
Al vertice dell’iniziativa dei Tre Mari di Lubiana del 2019, l’allora segretario per l’energia americano Rick Perry ha chiarito senza mezzi termini ai rappresentanti dei Governi presenti che l’Iniziativa dei Tre Mari andava considerata quale progetto prioritario con cui Washington desidera difendere l’Europa da potenziali rigurgiti egemonici intraeuropei e quale barriera alla penetrazione cinese. In quell’occasione il rappresentante di Donald Trump garantì che gli Stati Uniti erano pronti in ogni momento a sostenere i partner dell’Europa centrale nel rinnovo delle infrastrutture e nell’indipendenza energetica anche garantendo capacità industriali, produttive e logistiche che permettano la creazione di nuove centrali nucleari, rigassificatori, gasdotti, oleodotti e linee di trasmissione elettrica sulla direttrice verticale tra il Mar Baltico e i mari Adriatico e Nero (17). Le parole di Perry non facevano altro che confermare quelle del generale James L. Jones Jr, già comandante delle forze statunitensi e NATO in Europa e successivamente copresidente dell’Atlantic Council che tre anni prima in Croazia sottolineò che la strategia del divede et impera portata innanzi dalla Russia con la sua politica energetica per minare la coesione atlantica andava fermata e che il Trimarium poteva tranquillamente essere considerato la «nostra guerra ibrida» (18).
Conclusioni
Il Trimarium rispecchia l’attuale visone statunitense di riassetto di una regione che da più di cento anni rappresenta il ventre molle della sicurezza e della stabilità europea. La fine del confronto bipolare, che per alcuni decenni ha congelato il problema, ha aumentato la po-
tenziale instabilità di una zona geografica destinata dalla storia a fungere da cuscinetto tra l’Occidente e l’Oriente (19) e che negli ultimi anni registra un costante aumento della spesa militare (20). L’Europa centrale è oggi suddivisa in Stati tendenzialmente medio–piccoli ammaliando i quali la Cina comunista desidera sfaldare la consistenza del mondo nordatlantico, la Russia rimanere potenza europea, la Germania consolidarsi egemone geoeconomico, la Turchia provare la bontà della sua profondità strategica e gli Stati Uniti riuscire a gestire per a mantenere stabile il proprio impero. Arrivando nel 2017 a Varsavia al summit di fondazione dell’Iniziativa dei Tre Mari, Donald Trump esternò la sua soddisfazione per essere finalmente giunto nel cuore dell’Europa, centro geografico e anima del continente (21). Il problema della regione consiste nel fatto che molte nazioni si contendono la centralità geografica e spirituale del continente. Ogni capitale interpreta lo spazio e la storia sulla base della propria esperienza culturale e politica, spesso basata sulla presenza di un avversario geopolitico. Approccio autoreferenziale al mondo ma condizione comune in paesi neo emancipati spesso travolti dagli eventi scatenati da potenze vicine. Non deve stupire pertanto la vicinanza a Washington. Gigante sufficientemente lontano per non minacciare l’esistenza della nazione e necessariamente bisognoso di alleati sul limes dell’Impero.
Il fatto che invadendo l’Ucraina, la Russia abbia impostato una strategia di conquista orientata alla conquista della zona costiera del Mar Nero non potrà far altro che rafforzare, tra i decisori politici statunitensi, i propositi di consolidamento del Trimarium. 8
NOTE
(1) Nicholas Spykman, America’s Strategy in World Politics, Transaction Publishers, New Brunswik, 1942. (2) Laris Gaiser, La Croazia batte la Slovenia e diventa perno adriatico dell’Europa filoamericana, in Limes, n. 12/2017, pp. 129-136. (3) Ahmet Davutoglu, Stratejik Derinlik, Küre Yayınları, Istanbul, 2004. (4) Dariusz Miszewski, Franciszek Dąbrowski, Marek Deszczyński, Grzegorz Wnętrzak, Central Europe after 1918: a short outline, in Security and Defence Quarterly, 19/2, pp.13-38. (5) Erez Manela, The Wilsonian Moment: Self-Determination and the International Origins of Anticolonial Nationalism, Oxford University Press, Oxford, 2007. (6) Edgar Hosch, Storia dei Balcani, Il Mulino, Bologna, 2006. (7) Józef Garliński, The Polish Underground State 1939-1945, in Journal of Contemporary History, n. 10/2, pp. 219–259. (8) Alan Watson, Churchill’s Legacy, Bloomsbury Publishing PLC, London 2016. (9) Jonathan Levy, The Intermarium: Wilson, Madison and East European Federalism, Universal Publishers, Irvine, 2007. (10) Free Intermarium Charter, disponibile al sito: https://kpbc.umk.pl/Content/220676/ArchEmig_POPC_016_021_07_HD_011. pdf. (11) Krystyna Kersten, The establishment of Communist rule in Poland, 1943-1948, University of California Press, Oakland, 1991. (12) George H.W. Bush, Brent Scowcroft, A World Transformed, Knopf, New York, 1998. (13) Si veda: www.euractiv.com/section/enlargement/news/juncker-waves-credible-eu-prospects-at-balkans-but-no-fast-membership. (14) Jeremy Garlick, China’s Economic Diplomacy in Central and Eastern Europe: A Case of Offensive Mercantilism?, in Europe-Asia Studies, n. 71/8, pp. 1390-1414. (15) Sul punto si veda: www.porto.trieste.it/wp-content/uploads/2019/03/PRESS-RELEASE-230319.pdf. (16) Laris Gaiser, Dal Trimarium ai Balcani le nuove aree di frizione fra Stati Uniti e Germania, in Limes, n. 4/2019, pp. 169-175. (17) L’autore era presente personalmente ai colloqui. (18) Atlantic Council, Remarks by General James L. Jones at the Dubrovnik Three Seas Initiative Presidential Roundtable, agosto 2016, disponibile sul sito: www.atlanticcouncil.org/commentary/transcript/remarks-by-general-james-l-jones-jr-at-the-dubrovnik-three-seas-initiative-presidential-roundtable. (19) Marek J. Chodakiewicz, Intermarium-The Land between the Black and Baltic Seas, New Brunswik, 2016. (20) Si veda: https://sipri.org/sites/default/files/Data%20for%20all%20countries%20from%201988%E2%80%932020%20as%20a%20share%20of%20GDP %20%28pdf%29.pdf. (21) Donald Trump, Remarks by President Trump to the people of Poland, 6 luglio 2017, disponibile sul sito: https://trumpwhitehouse.archives.gov/briefingsstatements/remarks-president-trump-people-poland.