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Le ragioni strategiche del Trimarium

Ferdinando Sanfelice di Monteforte

Ammiraglio di squadra della riserva, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste (Polo di Gorizia). È membro dell’Académie de Marine e della giuria del Premio di strategia Amiral Daveluy ed è consulente dell’European Defence Agency. Ha pubblicato i libri Strategy and Peace, I Savoia e il Mare, La Strategia, Guerra e mare e Due secoli di Stabilizzazione, oltre a numerosi saggi di storia e di strategia per riviste italiane, americane e francesi. I n questi giorni, l’accordo economico tra i paesi dell’Europa centro-orientale, noto come «Trimarium», ha attirato l’attenzione dei media italiani, che hanno analizzato gli aspetti geostrategici dell’area, nell’ambito della crisi tra Russia e Ucraina, avviando una discussione sulle sue implicazioni per il nostro paese.

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Poiché nessun dibattito sulle ragioni strategiche di un accordo può prescindere né dalla storia della sua genesi, né tantomeno dalla situazione geostrategica dell’area interessata, è necessario vedere il perché della sua nascita, e quali tentativi precedenti siano stati fatti, nel passato, in tal senso.

Anzitutto, se chiedete a un polacco quale sia la situazione geostrategica della Polonia, quasi sicuramente vi risponderà che il suo paese è come un topolino costretto a dormire tra due elefanti. Se la stessa domanda fosse stata posta due secoli fa, il numero degli elefanti, nella risposta, sarebbe salito a tre, visto che, all’epoca, oltre all’Impero Germanico e all’Impero Russo, anche l’Impero Ottomano sarebbe stato incluso tra i vicini potenti e pericolosi.

Anche dopo la scomparsa dell’Impero Ottomano, la situazione della Polonia non è migliorata di molto, tanto che il paese ha perso per lunghi secoli la sua indipendenza, con il suo territorio spartito tra la Germania e la Russia.

Bisogna riconoscere, però, che la situazione del topolino tra i due elefanti non è un problema esclusivamente polacco, ma anche di numerose altre nazioni, e precisamente di tutte quelle poste nella cosiddetta Europa centro-orientale, lungo una fascia che va dal Mar Baltico al Mar Nero. Esse, oltre a condividere le preoccupazioni del Governo di Varsavia, ne hanno spesso condiviso la sorte.

Si tratta, infatti, di una porzione dell’Europa che, nei secoli, è stata un teatro di guerre senza fine. Intere nazioni, per non parlare di singole province, hanno cambiato padrone, dopo essere cadute sotto i colpi dei nemici, e sono riuscite a risorgere solo dopo lunghi anni di assoggettamento. Infatti, l’Europa centro-orientale ha sofferto, fin dai tempi antichi, anzitutto per le invasioni da Est di nemici giurati, come le tribù guerriere dell’Asia, e questa situazione si è riprodotta ai

tempi nostri, a causa dell’espansione dell’Unione Sovietica. In effetti, per i conquistatori provenienti da Est, non vi erano ostacoli naturali significativi, capaci di rallentarne l’avanzata.

Non parliamo, poi, delle occupazioni e delle minacce provenienti da Ovest; le potenze europee hanno spesso privilegiato anche l’utilizzo dell’Europa centroorientale come trampolino di lancio per invadere la Russia, come, per esempio, fece Napoleone, nel 1812.

La regione, infine, si è dimostrata vulnerabile anche alle offese provenienti da Sud, lungo i Balcani: iniziarono gli eserciti ottomani, che avanzarono dal Bosforo fino ad assediare Vienna per ben due volte. E nel XX secolo, alla fine della Prima guerra mondiale, le forze franco-britannico-italiane sfondarono la linea del Vardar, nell’autunno del 1918, e avanzarono, al comando del generale francese Franchet d’Esperey, fino alle porte dell’Ungheria, senza subire alcuna battuta d’arresto.

Per inciso, questa vulnerabilità da Sud conferma che la proposta di Churchill, durante il vertice di Casablanca del gennaio 1943, di invadere il continente eu-

ropeo sbarcando in Grecia anziché in Italia, non sarebbe stata un’impresa impossibile; al contrario, forse sarebbe stata più agevole rispetto a quanto poi fu attuato dalle Nazioni unite, le cui forze dovettero risalire con fatica la penisola italiana, solo per scoprire che la sua orografia si prestava meglio alla difesa da parte del nemico tedesco.

Va ricordato, comunque, che le popolazioni dell’Europa centro-orientale hanno sempre reagito alle invasioni e alle occupazioni con vigore, cedendo solo dopo una strenua lotta, e risollevando il capo a ogni occasione favorevole. Le sofferenze rafforzano i popoli che vogliono conservare la propria identità, e questo è particolarmente vero per gli abitanti dell’Europa centro-orientale, combattenti eroici, temibili e rispettati dai nemici. Purtroppo, questa loro capacità collettiva ha anche originato, nel caso non infrequente di discordie interne, conflitti di un’intensità senza pari: chi abbia seguito nei dettagli la guerra civile nella ex Jugoslavia, ne ha avuto una tragica conferma. E sono state proprio queste discordie interne a permettere alle potenze limitrofe (gli elefanti, appunto) di ritagliarsi proprie aree di influenza, nell’Europa orientale, se non di dominarne ampie porzioni.

La situazione geopolitica dell’Europa centro-orientale è stata, nel tempo, analizzata da numerosi studiosi, a cominciare da Mackinder. Questi, già nel 1904, osservava che «la rottura dell’equilibrio di potenza a beneficio dello Stato-perno (la Russia), consentirebbe a quest’ultimo di utilizzare le immense risorse del conti-

nente, e il dominio del mondo sarebbe allora in vista. Ciò potrebbe prodursi se la Germania si alleasse con la Russia» (1). Vedremo che quest’ultimo scenario, ancor oggi, è il peggior incubo per le potenze marittime, e in particolare degli anglo-americani.

Il pericolo di un’alleanza russo-tedesca non si realizzò e, nel periodo immediatamente successivo alla

Prima guerra mondiale, Mackinder scrisse che «la condizione per una stabilità nella risistemazione territoriale dell’Europa orientale è che la suddivisione sia in tre anziché in due sistemi statuali. È una necessità vitale che ci sia un numero di Stati indipendenti tra la Germania e la Russia» (2)

Subito dopo, Mackinder esaminò in termini elogiativi la forza di carattere di «queste sette popolazioni non tedesche, ognuna delle quali pari alla popolazione di uno Stato europeo di second’ordine — i polacchi, i boemi (cechi e slovacchi), gli ungheresi (magiari), gli slavi del Sud (serbi, croati e sloveni), i rumeni, i bulgari e i greci» (3). Qualora queste nazioni fossero unite, secondo lo studioso, esse sarebbero state forti a sufficienza per creare un’entità geopolitica in grado di resistere alle pressioni delle grandi potenze limitrofe.

La conclusione dello studioso, però, era che questa unione avrebbe dovuto comprendere tutti i paesi dell’Europa centro-orientale. Infatti, secondo lui, «le nazioni polacca e boema non possono essere sicure e indipendenti, a meno che esse non siano l’apice di un

ampio cuneo di indipendenza, esteso tra l’Adriatico, il Mar Nero e il Baltico» (4).

Questa analisi di Mackinder fu fatta propria, nel 1920, dal presidente polacco Pilsudski, il quale lanciò l’ambizioso progetto detto «Intermarium», che puntava a sfruttare la momentanea debolezza delle due potenze limitrofe, appunto la Germania e la Russia, con la prima che era stata sconfitta dall’Intesa e la seconda in preda alla guerra civile, creando una confederazione di Stati sufficientemente forte da resistere alle loro pressioni future. Il progetto prevedeva, in particolare, l’inclusione, nella confederazione, di Lituania, Bielorussia, Ucraina e degli altri paesi dell’Europa centro-orientale.

Purtroppo, il metodo scelto dal Presidente polacco non fu certamente quello più idoneo a cooptare gli altri popoli della regione: i conflitti che la Polonia scatenò prima contro l’Ucraina, poi contro la Cecoslovacchia e infine contro la Lituania mostrarono che il Governo di Varsavia non si poneva come nazione cooptante, ma puntava al dominio della regione. La conseguenza fu una profonda diffidenza tra i popoli della regione, che si è attenuata solo in tempi recenti.

Ma anche in Polonia vi furono problemi per il progetto di Pilsudski, che fu fortemente osteggiato da ampi strati della popolazione, i cui rappresentanti puntavano a un consolidamento della rinata Polonia su base monoetnica, in linea con i «14 punti» del programma che il presidente americano Woodrow Wilson aveva annunciato, per l’assetto post-bellico dell’Europa. L’ambizioso

progetto, quindi, fallì, e l’Europa centro-orientale, debole e divisa com’era, rimase una preda ambita dalle grandi potenze, che non tardarono ad approfittarne.

Nel settembre 1938, infatti, iniziò il periodo più buio e drammatico per la regione: a Monaco, le potenze europee riconobbero alla Germania il diritto di annettersi i Sudeti, aprendo la porta all’occupazione, il 15 marzo

successivo, dell’intera Cecoslovacchia da parte dell’esercito tedesco. Questa nuova, sventurata nazione, dopo pochi anni di vita, ripiombò quindi nel servaggio, diventando il «Protettorato di Boemia e Moravia», mentre, negli stessi giorni, l’esercito ungherese occupava la Galizia ex austro-ungarica, oggi nota come «Ucraina carpatica».

Nell’estate 1939, il patto di non-aggressione tra Germania e Unione Sovietica, noto come «Patto Ribbentrop-Molotov», completava, mediante un protocollo segreto, la spartizione dell’Europa centro-orientale tra le due potenze. A Mosca sarebbe andata la parte orientale della Polonia, i Paesi Baltici e la Bessarabia rumena, mentre la Germania avrebbe annesso la parte occidentale della Polonia, ripristinando così, grosso modo, i confini esistenti prima del 1914.

Curiosamente, quando la Germania invase la Polonia, il 1° settembre 1939, le nazioni garanti della sua indipen-

denza, Francia e Gran Bretagna, le dichiararono guerra, ma dimenticarono di fare lo stesso, quando Mosca, pochi giorni dopo, inviò le proprie forze a occupare la metà orientale di quello sfortunato paese. Fu la paura di rendere permanente l’alleanza russo-tedesca, tanto temuta da Mackinder, oppure una semplice dimenticanza?

Nel 1941, lo scoppio della guerra tra Germania e Unione Sovietica trasformò l’intera regione in un campo di battaglia, e il crollo tedesco, quattro anni dopo, ebbe come conseguenza l’occupazione e il completo assoggettamento dell’Europa centro-orientale, che nel frattempo era diventata un cumulo di macerie, da parte dell’Unione Sovietica.

Gli alleati anglo-americani, sia pure obtorto collo, accettarono questa situazione, non volendo intervenire militarmente per costringere Mosca ad abbandonare almeno parte dei territori occupati, per cui bisognò attendere l’implosione dell’Unione Sovietica — e del Patto di Varsavia — perché queste nazioni riprendessero la loro libertà d’azione, e pensassero di nuovo a una qualsiasi forma di unione.

Il fatto, però, che questi paesi fossero stati «tenuti (dall’Unione Sovietica) in una specie di prigione di nazioni dal 1945 al 1989» (5), essendo stati in parte inglobati nell’Unione Sovietica e in parte inseriti nel Patto di Varsavia, ha creato un’animosità nei popoli della regione nei confronti del Governo di Mosca, manifestatasi sia nei provvedimenti punitivi nei confronti delle minoranze russofone rimaste in quelle nazioni, sia — più in piccolo — nell’atteggiamento dei rappresentanti governativi di quei paesi, in occasione di ogni riunione del NATO-Rus-

sia Council, tanto da paralizzarlo, a poco a poco, e costringere la Russia ad abbandonarlo.

I paesi dell’Europa centro-orientale, avendo ottenuto l’ammissione sia all’Alleanza Atlantica, sia all’Unione europea, si sono affidati, per alcuni anni, alle politiche delle due organizzazioni, anche se avevano avuto cura di creare, nel 1991, il «Gruppo di Visegrad», comprendente Ungheria, Cechia, Slovacchia e Polonia, con finalità prettamente economiche. Nel 2015, di fronte al prevalere dei progetti europei per la costruzione di infrastrutture «estovest», i presidenti di Polonia e Croazia proposero alle altre nazioni della regione di associarsi a loro, in modo di creare un blocco sufficientemente omogeneo, in grado

di acquisire maggior forza all’interno dell’UE, e di ottenere, quindi, finanziamenti adeguati per progetti «nordsud», riguardanti esclusivamente la regione.

È nato così, all’interno dell’Unione europea, sotto il nome di «Trimarium», un progetto di unione, simile al tramontato Intermarium, comprendente le nazioni che si stendono tra il Mar Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico. Hanno aderito, infatti, al progetto l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Cechia, la Slovacchia, l’Ungheria, l’Austria, la Slovenia, la Croazia, la Romania e la Bulgaria.

La finalità dichiarata è, per ora, puramente economica, e prevede progetti ambiziosi, che dovrebbero dotare l’Europa centro-orientale di infrastrutture in grado di sostenerne lo sviluppo, che fino a ora non ha avuto la stessa velocità degli altri membri dell’Unione. Nella sua veste attuale, comunque, il Trimarium, di per sé, è un notevole passo avanti, rispetto alle discordie che hanno caratteriz-

zato i paesi della regione, specie quando si pensò di costruire una diga sul Danubio, al confine tra la Slovacchia e l’Ungheria, appunto la diga di Gabčikovo, mai completata, per i profondi dissidi sul suo utilizzo.

Se i progetti nord-sud voluti dai paesi del Trimarium andranno avanti, le economie di queste nazioni saranno direttamente collegate con i tre mari che si trovano alle sue estremità, appunto il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico, a complemento della tendenza dell’UE a favorire progetti est-ovest, per legare più strettamente l’Europa centro-orientale all’Europa occidentale.

Come osservava uno studioso, inoltre (6), «l’Europa di mezzo, circondata (da potenze maggiori) è al suo punto di partenza verso una geopolitica che interessa il Mediterraneo in concorrenza con altri spazi marini».

Il Trimarium, però, viene anche visto, specie dagli Stati Uniti, come un potenziale asse geopolitico in funzione antirussa, in linea con le raccomandazioni di Mackinder, da favorire, anche mediante massicci investimenti (7). Se, infatti, i paesi della regione, uniti dal comune timore nei confronti della Russia, sviluppassero capacità difensive integrate, a complemento del loro sviluppo economico, essi si libererebbero dalle pressioni e ridurrebbero la loro dipendenza economica dalla Russia e dalla Germania.

Un Trimarium allargato al comparto Difesa, quindi, costituirebbe soprattutto un bastione tale da frenare il revanscismo russo, che costituisce, oggi, il pericolo maggiore per la stabilità dell’intera Europa. Inoltre, una tale associazione, qualora si rendesse, anche se solo in parte, indipendente dalla NATO e dalla UE, potrebbe

allargarsi fino a comprendere l’Ucraina, inserendo quest’ultima in un quadro securitario e dandole quelle garanzie di sopravvivenza che, visibilmente, oggi le mancano. Si verrebbe quindi a rovesciare la situazione che l’Unione Sovietica aveva creato nel 1945, impadronendosi dell’intera Europa centro-orientale.

Il progetto americano, quindi, si appoggia sul fatto che le nazioni parte del Trimarium ritengono l’accordo non solo pienamente in linea con le loro esigenze geostrategiche, ma anche come un modo per affermare la loro identità collettiva, da un lato nei contesti NATO e UE, nei quali esse sono minoritarie, e dall’altro diventando interlocutrici da rispettare da parte delle potenze

Il Gruppo dei Paesi di Visegrad: Il Gruppo dei Paesi di Visegrad: Polonia, Ungheria, Polonia, Ungheria,

Slovacchia e Repubblica Ceca Slovacchia e Repubblica Ceca (labeuropa.eu) (labeuropa.eu)

limitrofe, tendenzialmente portate a esercitare pressioni forti su di loro.

Che questo progetto di ampliamento danneggi o meno l’Italia è ancora da vedere: sul piano economico, lo sviluppo della zona potrebbe essere un bene per noi, che abbiamo creato nella regione notevoli attività congiunte, e addirittura rientrerebbe nella «European Neighbourhood Policy» (ENP) lanciata già nel 2003.

Avere ai propri confini orientali una zona di benessere e di stabilità favorirebbe ulteriormente gli scambi commerciali, oggi sempre più intensi, tra noi e questi paesi, anche se il Trimarium potrebbe danneggiare, in parte, i nostri porti adriatici, qualora perdessero competitività. Un simile timore, è bene ricordare, si diffuse da noi, alcuni decenni fa, per la creazione del porto di Capodistria, che per qualche tempo tolse traffico a Trieste.

Una delle bandiere dell’Europa è sempre stata lo sviluppo economico del proprio vicinato, quale assicurazione della stabilità dell’intero continente. Non a caso, già nel 2003, il documento UE sulla «Strategia di Sicurezza europea» affermava che «È nell’interesse dell’Europa che i paesi che ci circondano siano ben governati» (8).

Per questo, il Trimarium non può essere da noi boicottato, anche se molte voci si sono levate in tal senso, a causa del timore che l’economia delle nostre regioni di nord-est ne vengano danneggiate.

Va tenuto anche presente un fattore immateriale non trascurabile: abbiamo visto che, dai suoi paesi membri, l’accordo è ritenuto vitale, quale affermazione dell’identità collettiva di popoli a lungo oppressi. Ogni nostra azione in senso contrario all’accordo, verrebbe quindi ritenuta un atto ostile, e finirebbe per danneggiare la collaborazione economica tra noi e loro, che oggi ha raggiunto livelli significativi.

Sul piano securitario, infine, un Trimarium allargato al comparto Difesa sarebbe una barriera in grado di proteggere anche noi da quegli atti di «guerra ibrida» che stanno coinvolgendo i Balcani, nell’ambito della contrapposizione tra il Nord e il Sud del mondo, nel cui ambito il traffico di esseri umani non è che un aspetto.

Abbiamo trascorso quasi un decennio, versato il sangue dei nostri militari e speso enormi risorse, tra il 1992 e il 2000, per disinnescare le tensioni e i conflitti nell’Europa centro-occidentale: se questi paesi trovassero un benessere almeno simile al nostro, e una coesione tale da tenere a bada il revanscismo russo, l’Europa intera raggiungerebbe un livello maggiore di stabilità, per cui la nostra sicurezza ne beneficerebbe. Ben venga, quindi, il Trimarium! 8

NOTE

(1) H.J. Mackinder, The Geografical Pivot of History. The Geographical Journal, Vol. 23, 1904, pag. 436. (2) H.J. Mackinder, Democratic Ideals and Reality; a study in the politics of reconstruction. Ed. Constable and Co. 1919, pagg. 204-205. (3) Ibid. pag. 206. (4) Ibid. pag. 214. (5) R.D. Kaplan, The Revenge of Geography. Ed. Random House, 2012, pag. 75. (6) A. Vigarié, La Mer et la Géostratégie des Nations. Ed. Economica, 1995, pag. 184. (7) F. D’aprile, Cos’è il Trimarium e perché è conteso tra UE e Stati Uniti. Linkiesta, 24 ottobre 2020. (8) UE. Un’Europa Sicura in un mondo migliore. Strategia europea in materia di sicurezza. Bruxelles, 12 dicembre 2003, pag. 7.