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La quarantena
Dopo aver sostato per circa un'ora in mezzo alla fanghiglia della strada, alle 6 il gruppo degli ufficia li fu rinchiuso in una palazzina a due piani, dalle nude pa reti, in attesa di fare il bagno. Eravamo ammutoliti e sfiniti. Era dalle due del g iorno precedente che non si assaggiava cibo, gli stimoli della fame si facevano se ntire sempre più, né per attenuare la nostra stanchezza vi era una panca dove sederci .
Finalm.ente alle 13 - dico alle 13! - ci condussero al bagno. Un ba gno invero a lquan to originale . Erano delle docce dalle qua l i a so rpre sa scendeva ora acqua b o llente ed ora fredda, che ci faceva compiere innumerevoli piroette. Il sapone av eva una consistenza farinacea e si sfaceva al primo co ntatto con l'acqua calda. Per asciugarci ci dettero una specie di lenzuolo, uno ogni ven ti persone. Alle 15 ci distribuirono il ra n cio consisten te in mezza pagnotta di pane di sapore e co lore indecifrabile, del brodo, circa 100 grammi di lesso con crauti dal sa pore orripilante, ma data l a fame a tutto facemmo buon viso, già p ensando che da questo giorno dovevamo dimentic are di avere uno sto maco a cui affidare il nostro nutrimento!
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A ciascuno di noi fu consegnata una posata e una gavetta consistente di un primo recipiente a forma di piccola casseruola con manic o e di w1 secondo, s ovrappos to, a forma di piatto, alla cui pulizia s i dovev a provvedere personalmente, senza però avere la possibilità di asciugarlo. Dopo di che ci tradussero in alcune stanze dove erano sistemati dei fetidi pagliericci, sui quali avremmo dovuto riposare.
Intanto principiavano ad affluire lunghe teorie d i prigi o nieri, ufficiali e soldati delle più disparate Briga t e e Divisioni . Solo allora intuimmo, e poi ne avemmo la conferma, che il no s tro esercito aveva s ubito una severa disfatta .
All'amarezza della notizia si aggiungeva, per n oi uffi cia l i, il vergog no so contegno dei soldati che non sentivano l'onta della prigionia e l'amore p er la patria, ed erano, anzi, di una allegria smodata, cantavano e sghignazzavano come se si trovassero nelle loro caserme.
Ad un capi tano di Stato Maggiore che, recatosi cas ualmente in linea, era stato catturato e che più degli altri s i indignava, feci comprendere come purtroppo si spiegava lo stato d'animo dei soldati.
on era un mistero, dissi, che spesso fos ero sempre le stesse divisioni e brigate a cu i venivano assegnati i compi ti più ardui, dove le altre fallivano, e con perdite spaventose riuscivano a conquistare posizioni nemiche quasi inespugnabili. Questi reparti non solo non avevano un congruo periodo di riposo , ma accadeva spesso che improvvisamente le licenze fossero sospese per in traprendere una nuov a azione. A tutto questo si dov eva aggiungere che non veniva minimamente curata l'assistenza morale alla truppa 1 , tanto che il fante si domandava "perché devo essere sempre io quello che deve andare a risc hiare la pelle?". Ricordai , pur bias imando quelle rivolte, i dolorosi fatti di S. Maria La Longa 2 e del Vallone, dove si procedette alla decimazione in massa.
U capitano di S.M. che, fresco fre sco, era uscito dalla Sc uol a di Guerra non era del mio parere, e poiché g li ufficiali che erano stati a diretto contatto con la truppa condividevano le mie idee, si accese una animata discussione, interrotta quasi s ub ito dall'avvicinarsi d i un ufficiale austriaco.
Costui si insinuò tra noi come una biscia e con voce che tradiva, più che l'emozione, la gioia, ci annunciò che Udine era stata occupata dall e truppe austro -germanich e. Così dicendo ci in vitò ad avv icin a rei alle finestre. La cittadina era tutta imbandierata con il vessillo giallo-nero dell'aquila bicipite! Non è va na retorica se scrivo che a molti di noi gli occhi si riempirono di lacrime. Un cupo s ilenzio ci avviluppò e ness uno per lungo tempo ebbe il coraggio, o la forza, di pronunciar parola.
La mattina seguente molte copie del Lnvorntore avevano inondato il nostro reclusorio. L' infame gazze tta it aliana descriv eva con ampi particolari la presa di Udine, l'indomito coraggio del vincitore e la vergognosa fuga dello sconfitto!
Era triste pensare che li Lavoratore, organo del partito socia lista, si stampava in quella Trieste per la quale avevamo sfidato, e fino ad ora vinto, il possente eserci to degli Asburgo.
1 Su questo argomento si veda U. MOR0771, "Giornali di trincea", in 1915: l'Italia entra in guerra. Ln Toscana si 1110/Jilita, atti de l convegno di s toria militare, Firenze, 4 maggio 2015, a cura di U. Mo rozzi e C. Sodini, Firenze, Phasar Edizion i, 2015, pp. 71-96.
L'autore si riferisce ad un episodio che coinvolse la brigata Catanzaro. Qul'sto reparto era stato impegnato in maniera molto intensiva fin dall'inizio della gul'rra, e si era comportato in modo valoroso cd ero ico, ottenendo anche una medaglia d'oro a l vn lor militare conferita motu proprio dnl re. Ne l 1917 fu impiegata più volte su terreni molto impegnativi e subì notevoli perdite. Dal 7 al 24 giugno fu in interrottamente in linea nel settore di Jamiano. li 25 giugno fu fatta scendere a riposo presso il paese di S. Maria La Longa, in provincia di Udine.1115 luglio il periodo di riposo fu annullato e la brigata riCl'vette l'ordine di essere impiegata nuovamente in prima li nea. Questo provvcdiml'ntosuscitò notevoli proteste, e ques te s i trasformarono presto in aperta rivolta. Alcuni d ei più facinoroc,i aprirono il fuoco contro gli ufficiali ed i compagni che non volevano seguirli. Per sedare il tumulto vennero impiegati una compagnia di Carabinieri, varie mitragliatrici e persino dei cannoni leggeri. li combattimento terminò solo con l' alba. Venne dichiarato che sarebbero s tati fucilati quei sol d ati della Catanzaro che avevano la can na del fu c il e calda, e fu ordinata la decim az ione de l rC'parto. All'alba d e l 16 luglio vennero fucilati sedici uomini.
Erano addetti alla pulizia dei locali alcuni prigionieri russi, con il loro caratteris tico berretto piatto dalla corta visiera, sudici, sporchi, affamati c h e eseguiva no gli ordini degli austriaci a colpi di scudiscio. Tale visione sarebbe stata necessaria a quei nost ri so ldati che, non ancora consci della loro sorte, inconsideratame nte andavano dicendo che la guerra era finita per loro e per tutti!
La fame di questi russi era ta lme nte spave nto sa che s pesso li si vedeva litiga re e veni re alle mani tra loro per raccogliere da terra e dalle immondizie le bucce o i torsoli di mela che noi gettavamo.
Le mele che si trovavano in abbondanza in quella località erano il cibo c h e, pi ù del rancio, ci nutriva. Con infinite astuzie e circospezione ci e ra p oss ibile ac quistarle attraverso le finestre dalle donne slave, che prima di consegnarci la me rce pretendevano il pagamento .
Ladri matricolati questi "mugich", ridotti in uno stato miserando, nei primi gio rni furono capaci di rubare delle scarpe, per cui fummo costretti, andando a dormire - in tre su due pagliericci - a n asconderle sotto il pagliericcio, oppure a coricarsi calzati.
Tale disavventura capitò anche al capitano di S.M. di cui ho già par l ato, a cu i furono rubati g l i stivali con i quali "faceva la guer ra ". Non era naturalme nte possibile acquistarli, che le calza t ure, al pari di tutti i generi di abbigliamen to e dell'alimen t azione, erano razionati e conveniva possedere una certa tesse ra per comprarli .
Inso fferenti di essere a contatto di tale gente che, pur appellandoci "bono ita liano" ci lasciava nella sporcizia e ci rubava tutto quello che poteva capitare so tto mano, un tenente colonnello che parlava perfettamente il tedesco chiese all' ufficiale austriaco addetto che ci fosse concesso di avere a disposizione qualche nostro soldato. Dopo infinite richieste ci fu dato il permesso di usufruire del proprio at t endente, se questo si trovava s u l luogo. Fui uno dei pochi for tunat i che ebbe questo privilegio e, non senza emozione, potei ave re vicino a me, per alcune ore del giorno, "l'inistimabile" Ma rzuo li. Quanti ricordi condividevo con lui della nostra prima giovinezza e della nostra cit t adina!
Se da questo lato la situazione cambiò completamente, altrettanto non potevo dire per il disagio in cui mi trovavo per non avere la possibilità di cambiarmi la biancheria, e nel ritrovarmi senza alcun oggetto per la pulizia personale. Avevo un so lo fazzo l etto, che mi serviva anche da asc iu gamano e c h e Marzuoli lavava di cont inu o .
La divisa e le scarpe erano già ridotte in stato miserando, e, per colmo di sven tura, ero senza berretto e cappotto, mentre il freddo già si faceva sentire. Di solito stavamo in un ampio cortile il cui cancello dava su u n a s trada secondaria, e da questo cancello po t ei acquistare, da uno dei tanti nostri soldati che venivano avviati al vicino centro di raccolta, un luridissimo ed ampio cappot to, e da un bersagliere iI suo fez, diventando in tal modo goffamente ridicolo con quella eclettica uni forme. Dopo alcuni giorni ci fu possibile avere un barbiere e in tal modo caddero abbondan ti zazzere e barbe di ogni foggia e co lor e. li cambio della moneta era alla loro mercè e vedendo che il mio peculio si assottigliava dovetti limitarmi n e lle spese, ma dovetti forzatamente comprare anche un a spazzola da capelli, uno spazzolino e polvere per denti, ed un asciugamano. Il sapone destò il n ostro stupore, si trovava sotto forma di u n ciottolo di fiume, che dopo aver fatto un po' di schium a andava tutto in pezzi e diventava una poltiglia melmosa.
La maggior parte di noi era assolutamente priva di oggetti di pulizia e di biancheria, qualcuno da più di un mese aveva indosso la s tessa camicia e gli stessi calzini. Numerose e reiterate furono l e domande di poter uscire per fare degli acquisti, finché un giorno ci fu dato il permesso.
In squadre di dieci alla volta, scorta ti da due territorial i co n baionetta in canna, ci recammo nei n egozi, dove i prezzi ci sembrarono addirittura fa ntastici relativamente al buon prezzo italian o . Fortuna vo.lle che avessi un po' di denari con me e in tal modo acquistai un paio di mutande di co tone (40 coro ne); w1 paio di calzini (6 corone); una maglia (70 corone); un fazzoletto (3 corone); e via dicendo.
I denari ci erano soprat tutt o necessari per acquistare, di contrabbando, il pane composto da ogni sorta di farine e di surroga ti, al p rezzo di 1O Kr. l a pagnotta, che era di circa 600 grammi La caccia alle siga rette e al tabacco era addiri t tura spie tata, e lo si trovava a prezzi iperbolici, perc h é razio n ato.
Gli austriaci non si curav ano di controllare chi di noi fosse già uscito e dunque potevamo us u fruire quasi ad libitum della concession e avu ta. Fui uno di quelli che, con altri ufficial i, si recavano più s p esso in paese . Durante queste nos t re peregrin azioni avevamo notato alcu n e "gos tilne", o trattorie. Spesso, approfitta n do della disa tt enzione della scorta, che in veri tà non si curava eccessivamente di noi, e facendo a volte qualc he acrobazia, ci si imbucava in una di q u este oster ie dove, in t ut ta fretta, si mangiava qualche piatto di patate o di fagiol i non conditi e delle cas tagne. Spesso da una trattoria p assavamo in un'altra , ma, al t rettanto s pesso, accadeva che un ge n darme ci prelevasse, riconducendoci all'ov ile, sepp ur se n za secca tura alcuna. Tro va mmo anche delle case p riva te do ve, non certo per generosi tà, ma per g u adagno, ci davano da mangiare qualcosa, senza essere i n tal modo di sturbati dalla genda rmeria. La più ospi tale di queste case fu quella d i una certa Jovanka e di a ltre sue parenti, da noi affet tuosa m ente ribattezzata "Giovenca" . Da le i ci si rifocillava senza paura a bas e di legumi e di patate prive d i qualsiasi condimento . Un giorno, grande avvenimen to, Jova nk a ci som mini strò del fega t o cucinato i n una strana maniera, ma a l q u ale facemmo buon viso per la novità.
Un gendarme stazionava sempre nei pressi della casa, e doveva essere l'ama nte o par e nte di qualcuna di quell e. Senza dubbio il gendarme, uomo di una certa età, doveva essere interessato nella faccenda, per ch é, pur sapendoci in quel la cas a, mai di s turbò i nos tri festini c ulin ari, che forse pot evano trasformarsi in ben al tri festini , se l a prosp erosa slava Giovenca ed altre due comari non avessero avuto timore del s ullodato ge ndarme.
Quando non ci era dato di poter " evadere" il nostro unico cibo con tr abbandato erano le mele che b en riempivano i nostri stomaci affamati, mentre i ler c i russi si a ccapigliavano per raccogliere le bucce.
Il mio mag g iore e tormentoso pensie ro era quello per la famiglia alla qu ale non potevo in alcun modo né scrivere né telegrafare e a c ui, forse, il mio Distre tto a v rebbe comunicato burocraticamente che fi g uravo fr a i "dispersi", ter mine amaro e pi e no di dolorose incertezze .
Non senza meraviglia il 30 ci consegnarono tre car toline per prigionieri di gue rra, ne in via i due a casa, "prigioniero incolume vi abbraccio e vi penso", e la terza ad una mia zia in modo che almeno qualcuna potesse giungere a d es tinazione, ma purtroppo sapevo ch e in qu e i giorni era stata chiusa la frontiera austr iaca e nutrivo s carse speranze.
E di mio fr a tello Riccardo cosa ne sarà sta to? Si sa rà salvato? Ad ogni arrivo di nuovi ufficiali prigionieri temevo e speravo di rintracciarlo ma non fu così, e non trovai alcuno che p o tesse fornirmi notizie di mio fratello e del suo repa rto.
Ritrovai, in vece, mol ti compagni d'arme e di università, e "non v'è maggior dolore .. . " 3 ! Tra questi ultimi incontrai un so ttotenente medico di Trieste, che si era laurea to con me e che, pur conservan do la sudditanza austriaca, si era stabilito in Ital ia, do ve v i vev ano i ge n itori e che allo sco ppi o della g uerra si era volo ntariamente arruolato nel n ostro esercito Se ne s tava taci turno e appar tato, finc hé tm giorno mi confidò il suo tormento, la possibilità di essere riconosciuto e la "forca" c he lo attendeva. G li g iur ai che con nessuno avrei fa tto parola del s uo s ta to e che in qualsiasi evenienza ero pronto a tes timon iare che il suo cogno me e ra na t ivo d i Padova e c he s i e ra laureato in qu ella c ittà . Lo persi poi di vis ta e nulla più seppi di lui. Anche tm brigadier generale si tro vava con noi ma fu au torizzato ad alloggiare in un albe rgo .
Oberlaibach, in slavo Vrhnika, è una graziosa cittadina che, pur prettamente slava, risente dell'influenza e presenza dei numerosi tedeschi di ieri e di ogg i e ciò s i nota anche nelle sue cos tr uzioni. È quasi tutta circondata da superbe foreste e vi scorre il fiume Sava, alquanto limaccioso. Un nos tro tenente di complemento, insegnante in un liceo, ci d iceva che Orbelaibach è la romana Nauportum in Pannonia, regione che venne poi chiama ta Carniola.
In paese erano numerose le profughe, specialmente di Gorizia e di Triest e che qui si eran o rifugiate. Quando uscivamo in paese queste, parlottando tra loro, ci additavano con livore e malcelato odio . Questi sen timenti giun sero a tal punto che, mentre pass avano in un crocchio, imprecarono co n tro l'Italia traditrice, esaltando il valore del loro esercito che ci aveva cacciati dalle loro terr e e cit tà. "Tantis verbis nullum par e logium!" 4 •
Venne il giorno in cui annunziarono che tra breve saremmo partiti per il " Lage r", e il 3 novembre alle 11 e 30 ci mettemmo in marcia . Eravamo circa 700 ufficiali.
Prima della partenza d istr ibuirono due pagnotte e mezzo di pane, che dovev ano servirci per i tre giorni di viaggio. Alla m eglio le ficcai nelle capaci tasche del cappotto che già fu di robusto e solido soldato.
Fummo passati in riga dall'irsuto comandan te del presidio, e qu es ti, a mezzo di interprete, cercò di imporci, in modo energico e perentorio, di staccare dalle nostre divise e di consegnargli le nostre mostrine, forse per farne omaggio a qualche is terica e nevropatica amante, avida di trofei ita liani. Quelle mostrine rappresentavano per tutti noi il no s tro sfo rtunato va lore, i nostri morti, la nostra Patria, e s ilenziosamente ci opponemmo a quell ' assurda richiesta che ci avviliva.
Ma purtroppo eravamo i vinti. Ad un cenno del vile comandante si fecero dappre sso dei gendarmi, e l'interprete in modo minaccioso ripeté l'o rdine in modo tale da non ammet tere indugi.
Così, mentre co loro che si trovavano nelle prime file dovettero subire quel!' onta, la magg ior parte degli altri u fficiali fecero in tempo a far sparire e na sco ndere le proprie mostrine. Così po tei anche io tenermi le mie innocue "pipe"5 •
4 L'a utore s i riferisce al l'ep ita ffi o pos to s ul sepolcro monumen tale di Nicol ò Machi ave ll i nella e h icsa di Santa Croce a Firenze, modificando lo in maniera intenzionale. "Nessun elog io è par i a parole s imi li". L'ep itaffio origi nal e, invece, rec it a: "tanto nomin i n111/11111 par elog i11m", ossia "a co sì gran nome nessuna lode è pari"
5 Modo in cui, in ge rgo mi li ta re, veniva n o definite le mostrine con t ma so la fiamma, che per la for m a ricordavano un.a pipa, tipi che per i corp i d'art igl ieria, ge n io e sanità.