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Stati baltici
si rifaceva al romeno Maniu e tentò di alleviare gli effetti della crisi (devastanti soprattutto per le esportazioni agricole), pur senza ricorrere al radicalismo di Stambolijski. Nel maggio 1934, tuttavia, il governo venne rovesciato da un colpo di Stato ispirato da un movimento paramilitare denominato Zveno (Collegamento), guidato dai colonnelli Damjan Velˇcev e Kimon Georgiev, che istituì un sistema dittatoriale basato sul corporativismo. Fondato nel 1930, Zveno non era un movimento fascista di massa e non proponeva una propria ideologia. In politica estera si opponeva all’orientamento filoitaliano e filotedesco di parte dell’élite bulgara, soprattutto di origine macedone, e orientò il paese in senso filooccidentale. Si nutriva soprattutto, come la sanacja polacca, di un diffuso malcontento nei confronti del parlamentarismo e dei partiti politici (inclusa l’ultranazionalista VMRO macedone), dei quali ordinò lo scioglimento. Nel gennaio 1935, tuttavia, emerse il crescente ruolo politico del sovrano nella gestione delle frequenti crisi. Re Boris III estromise dal governo gli “zvenari” e instaurò un sistema di «democrazia disciplinata» 84. Il re governò il paese fino quasi alla fine della Seconda guerra mondiale, cercando di limitare l’influenza tedesca e italiana (la famiglia dello zar bulgaro era di origini italiane) e assicurando un certo pluralismo politico.
1.6 Alla periferia dell’Europa di mezzo: l’Albania e gli Stati baltici
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1.6.1. L ’ALBANIAPREMODERNADIZOGU
Per l’Albania la fine della Prima guerra mondiale non significò una svolta storica paragonabile a quella degli altri Stati della regione. Dopo aver detenuto una posizione privilegiata all’interno dell’impero ottomano, del quale gli albanesi furono fedeli e apprezzati servitori, il paese aveva visto riconosciuta dalle potenze occidentali la propria indipendenza in funzione antiserba con il trattato di Londra firmato il 30 maggio 1913, all’indomani della fine della Prima guerra balcanica. Il nuovo quadro statale non stimolò la costruzione di uno Stato nazionale omogeneo, nonostante la sua popolazione multietnica e multiconfessionale. Secondo il censimento del 1937, due terzi del milione di abitanti erano di religione musulmana, ai quali si affiancavano ortodossi (20%), cattolici (10%) e israeliti (3%) 85. L’Albania rimase, così, molto più a lungo del resto della regione balcanica una società
di tipo clanico (la frattura linguistica e culturale più rilevante era quella fra i toschi del Sud e i gheghi del Nord), dominata da una cerchia di grandi proprietari terrieri musulmani e nella quale un ruolo importante rivestivano gli amministratori e i militari. La scarsa presa del nazionalismo moderno sull’Albania interbellica è dimostrata dalla passività dei governi di Tirana nella questione del Kosovo e della Macedonia, regioni in cui il numero di albanesi superava il milione. L’occupazione serba delle due regioni, legittimata sul piano internazionale nel 1913 in seguito alla Seconda guerra balcanica, spezzò l’unità territoriale del vilayet ottomano (1881-1912), che comprendeva Kosovo, Macedonia e l’antico Sangiaccato di Novi Pazar. Fra le due guerre mondiali i governi jugoslavi condussero, soprattutto nel Kosovo, una politica fortemente discriminatoria nei confronti della popolazione albanese, sottoposta a processi di snazionalizzazione culturale, repressione politica e pressione demografica, stimolata dall’arrivo di 70.000 coloni serbi (il 10% della popolazione totale della regione) 86 .
Il personaggio politico più rilevante espresso dalla nuova classe dirigente era un notabile dell’Albania centrale, Ahmed bey Zogolli. Primo ministro con il nome di Zogu nel 1922-24, dopo essersi temporaneamente rifugiato in Jugoslavia in seguito alla presa del potere di un suo avversario sostenuto dall’Italia fascista, riprese il potere e proclamò la repubblica. Zogu orientò la politica estera albanese in senso italiano e nel 1926-27 firmò con il nostro paese un patto di amicizia e sicurezza grazie al quale crebbero notevolmente gli investimenti italiani in Albania 87. Nel 1928 si fece proclamare “re degli albanesi” con il nome di Zog I, e mantenne tale carica fino all’occupazione militare italiana dell’aprile 1939. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale l’Albania restava il paese più arretrato dell’intera regione. La capitale, Tirana, contava meno di 40.000 abitanti e il paese mancava del tutto di un’élite istruita. L’assenza di partiti politici di tipo europeo implicava anche un grave ostacolo alla ricezione delle idee comuniste. Negli anni venti e trenta l’Albania fu l’unico paese dell’Europa centro-orientale a non sviluppare un movimento politico organizzato legato al Komintern. Il comunismo poteva contare solo su qualche isolata simpatia fra l’intellighenzia urbana in grado di tenere contatti con l’Occidente. Il futuro dittatore Enver Hoxha, che nel novembre 1941 divenne segretario del minuscolo partito comunista creato su ispirazione jugoslava, era un tipico prodotto di questo gruppo sociale, potendo vantare studi al liceo francese della città di Korça e presso le università di Montpellier e Bruxelles.
1.6.2. L ’INDIPENDENZACONQUISTATA: LITUANIA, LETTONIAEDESTONIA
I paesi baltici ottennero la propria indipendenza dall’ex impero russo dopo il 1917, assieme alla Finlandia e a parte della Polonia. Nonostante vengano accomunati nel discorso storico e pubblicistico per la loro prossimità geografica, questi Stati presentano caratteristiche storiche, politiche, linguistiche e religiose assai diverse. La lingua estone appartiene al ceppo ugro-finnico, è simile al finlandese e non ha nulla in comune con le altre lingue baltiche. In Estonia e in Lettonia prevale la religione luterana, mentre la Lituania è in maggioranza cattolica. La Lituania era storicamente legata alla Polonia (con la quale il granducato di Lituania formò dal 1561 al 1795 una confederazione che copriva anche parte dell’attuale Belarus, Ucraina e Lettonia) e all’Europa centrale; la Lettonia (l’antica Livonia) dal punto di vista culturale era maggiormente vicina alla Russia; mentre l’Estonia, alla Finlandia e alla Scandinavia. In tutta la regione baltica, tuttavia, le comunità tedesche ed ebraiche ricoprirono fino alla Seconda guerra mondiale un ruolo culturale ed economico rilevante.
Quella dei paesi baltici fu un’indipendenza difficile, conquistata con le armi negli anni che seguirono il collasso dell’impero zarista provocato dalle rivoluzioni di Febbraio e di Ottobre. Durante la Prima guerra mondiale la Lituania e la Lettonia (1915) e in seguito anche l’Estonia (1917) caddero sotto l’occupazione tedesca e proprio sotto il dominio tedesco il fermento politico assunse un orientamento indipendentista. Alle elezioni convocate nel 1917 dalla Costituente russa, il partito bolscevico ebbe la maggioranza relativa in Estonia e in Lettonia, ma il clima popolare cambiò dopo la rivoluzione d’Ottobre. In Lituania il movimento nazionalista, più radicato e legato alla tradizione statale medievale, rifiutava invece non solo l’occupazione tedesca ma anche l’idea di riportare in vita la confederazione con la Polonia 88 .
Con la pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) e l’applicazione delle sue clausole in agosto, la Russia sovietica rinunciò all’Estonia e a parte della Lettonia. Quest’ultima il 12 aprile entrò a far parte del nuovo Stato baltico federale (Baltischer Staat) indipendente 89. Il 13 novembre il governo bolscevico ripudiò tuttavia il trattato di Brest-Litovsk e mosse alla conquista del Baltico, sostenuto dai movimenti comunisti locali, nel quadro del progetto di espansione a ovest della rivoluzione mondiale. Nel gennaio 1919 l’Armata rossa raggiunse il culmine dell’offensiva e arrivò a occupare l’Estonia, la Lettonia (qui venne creata
alla fine del 1918 una Repubblica sovietica di Lettonia, riconosciuta da Mosca) e parte della Lituania, dove però ai bolscevichi mancò il sostegno locale. Nel corso del 1919 la controffensiva lanciata dai Consigli nazionali baltici, sostenuta da truppe alleate, ribaltò la situazione militare e dopo fasi alterne – nelle quali le truppe baltiche si trovarono a fronteggiare ora i bolscevichi, ora gli eserciti “bianchi controrivoluzionari”, ora i Freikorps tedeschi, le parti concordarono un armistizio e quindi la pace 90. La Russia riconobbe l’indipendenza dell’Estonia (trattato di Tartu, 2 febbraio 1920), della Lituania (trattato di Mosca, 12 luglio 1920) e della Lettonia (trattato di Riga, primo agosto 1920). Le repubbliche vennero riconosciute dal Consiglio supremo alleato e, nel settembre 1922, ammesse alla Società delle nazioni 91 .
I nuovi Stati baltici avevano una superficie ridotta e un numero di abitanti compreso, negli anni trenta, fra 1,1 milioni (Estonia), 2 milioni (Lettonia) e 2,4 milioni (Lituania). Mentre l’Estonia aveva un carattere etnicamente più compatto (12% di minoranze, soprattutto tedeschi e svedesi, con una minuscola comunità ebraica di 5.000 persone), la Lituania e soprattutto la Lettonia erano Stati multinazionali con importanti comunità ebraiche (oltre 150.000 persone in Lituania, 100.000 in Lettonia), russe (oltre 200.000 in Lettonia) e polacche (quasi 100.000 in Lituania) 92 . A differenza dell’impero zarista e della Polonia rurale, negli Stati baltici e soprattutto in Estonia e Lettonia un’economia tradizionale, basata sull’agricoltura, si combinava con una fiorente attività commerciale e industriale, soprattutto nel settore tessile. La diffusa educazione popolare (il celebre canto corale), che sotto l’impero russo aveva tenuto in vita il sentimento nazionale, poneva la regione all’avanguardia in Europa: negli anni trenta l’analfabetismo era compreso fra il 5% dell’Estonia e il 15% della Lituania 93 .
Nei primi anni venti gli Stati baltici si dettero un ordinamento costituzionale moderno e divennero repubbliche parlamentari. La Costituzione estone del 1920 dava ampi poteri al Parlamento e limitava al massimo il ruolo dell’esecutivo, mentre quella lettone del 1922 prevedeva un presidenzialismo assai temperato, che si ispirava alle Costituzioni francese e tedesca di Weimar. Il sistema politico era assai simile, con un bilanciamento di forze fra partiti agrari conservatori al potere, socialdemocratici all’opposizione (con una significativa quota di consenso: fino al 30% in Lettonia) e, in posizione centrista, gruppi liberali in rappresentanza degli intellettuali. I comunisti vennero banditi in seguito al ruolo assunto dal movimento bolscevico nel conflitto
con la Russia sovietica e per i legami che li univano alla Terza Internazionale. Le formazioni sotto il cui nome si candidavano gli esponenti comunisti riuscirono, comunque, a conquistare un numero limitato di seggi. In Lettonia, già nei primi anni venti, comparve un movimento di estrema destra extraparlamentare, l’Associazione nazionale (Nacion¯al¯a apvien¯ıba), mentre in Lituania assunse presto un ruolo dominante la componente agraria cattolica 94 .
Negli anni venti tutti i governi baltici attuarono radicali riforme agrarie intese a spezzare il latifondo (proprietà quasi esclusiva del patriziato tedesco in Estonia e in Lettonia). La vita politica fu tuttavia dominata dall’instabilità (20 governi si susseguirono in Estonia fino al 1934) e influenzata negativamente dalla precaria situazione geopolitica di una regione sospesa fra le mire di tre vicini: l’Unione Sovietica, la Germania (che teneva aperto un contenzioso con la Lituania su Memel, l’attuale Klaip˙eda, città portuale a maggioranza tedesca) e la Polonia. Nel 1926, proprio la firma di un patto di non aggressione lituano-sovietico portò al colpo di Stato militare attuato dalle forze che si opponevano al riavvicinamento all’URSS. Il regime autoritario guidato da Antanas Smetona restò in piedi fino al 1940.
Nonostante questo sgradevole precedente, i governi di coalizione estone e lettone decisero di imitare la Lituania per rafforzare la sicurezza dei rispettivi Stati ed entro il 1932 strinsero patti di non aggressione con l’Unione Sovietica. Nel 1933 l’ascesa al potere di Hitler spinse i paesi baltici a rafforzare la propria cooperazione. Il 12 settembre 1934 venne costituita la cosiddetta “Intesa baltica”, un patto decennale che escludeva i contenziosi territoriali fra gli stessi paesi baltici. Secondo Ralph Tuchtenhagen, tale formazione nasceva debole proprio in quanto ognuno dei tre Stati si contrapponeva a una diversa potenza europea: l’Estonia all’URSS, la Lettonia alla Germania, la Lituania alla Polonia 95. Il rafforzamento dei conflitti etnici e la crisi economica mondiale mandarono in crisi il pluralismo politico. Nella primavera del 1934, colpi di Stato incruenti attuati in Estonia e in Lettonia portarono allo smantellamento del regime parlamentare, sostituito da governi presidenziali di carattere autoritario e dai tratti corporativi, sostenuti da milizie paramilitari e ispirati a un nazionalismo al tempo stesso intransigente e “integrativo”. Al momento dello scoppio della Seconda guerra mondiale la regione baltica era governata da regimi ormai stabili, che raccoglievano il consenso di buona parte della popolazione nonostante le diverse opinioni politiche. Fu l’evoluzione della situazione internazionale nel 1938-39 a decretare la fine della loro indipendenza.