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1. TRA I LETTORI E NOI - ALACRITÀ ED AUTONOMIA DEL PENSIERO AERONAUTICO ITALIANO ("Rivista Aeronautica"~ n. 2, febbraio 1949; pseudonimo MARCELLO ARTIERI) 2. IL MUSEO AERONAUTICO E IL SUO NUCLEO VIVENTE ("Rivista Aeronautica", n. 4, febbraio 1949; a firma "Direzione dell'Associazione Culturale Aeronautica")

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I.:argomento che M. affronta nel primo di questi scritti - che, per ovvie ragioni, lo interessa direttamente - è ricorrente da oltre un secolo, e di piena attualità anche oggi: perché sono pochi gli ufficiali che collaborano alla "Rivista Aeronautica" (si potrebbe dire, generalizzando: alla stampa militare)?

Neppure le risposte da lui date all'interrogativo sono del tutto nuove. !.;ultima, secondo La quale il pensiero aeronautico italiano sarebbe come paralizzato, anchilosato dalla schiacciante - e diremmo inevitabile e naturale - prevalenza americana anche nel campo teorico e dottrinale, è senza dubbio degna di essere presa in considerazione e può essere estesa a tutto i[ pensiero militare nazionale. Ma il fatto stesso che il problema si sia presentato fin dal secolo scorso, cioè da quando esiste un'Italia unita, induce a non attribuire alla debole posizione internazionale dell'Italia del dopoguerra e al naturale predominio della Nazione più forte un fJeso eccessivo.

Come dimostrano le stesse considerazioni di M., si tratta prima di tutto di un fenomeno di costume, di mentalità, che dipende solo in misura ridotta da regole più o meno larghe e da incentivi o esortazioni, e dunque è difficile da combattere e vincere. Fenomeno che almeno in parte spiega anche il modesto successo - e la caduta nel dimenticatoio - della pur lodevole iniziativa cieli' "Archivio Redazionale Aeronautico" in aggiunta al "Museo Aeronautico Nazionale", della quale si parla nel secondo scritto qui presentato.

(F. B.)

TRA I LETTORI E NOI ALACRlT À ED AUTONOMIA DEL PENSIERO AERONAUTICO ITALIANO

Signor Direttore, Ella certo si ricorda di me che sono lettore della gloriosa Rivista Aeronautica dalla sua fondazione nel 1925 e di tratto in tratto ho avuto l'onore di vedervi pubblicato qualche mio scritterello.

Consideri privata o pubblica a suo piacimento questa mia lettera, ma mi usi la cortesia di rispondermi, epistolarmente o pubblicamente come Ella vorrà.

Mi sbaglio, o la collaborazione alla Rivista Aeronautica con articoli originali si va facendo più rada, e per di più è dovuta sempre alle medesime penne e spesso ha per soggetto le solite polemiche interne della FF.AA.?

Io ricordo i compiti che furono assegnati alla Rivista, quando nel 1945 riprese le pubblicazioni; ecco i principali: - informare i lettori italiani di quanto si fa e si scrive all'estero; aggiornarne le conoscenze specifiche dopo un periodo oscuro quale il bellico prebellico e postbellico; debbo riconoscere che la Rivista assolve egregiamente tale compito, nei limiti dello spazio che ha disponibile e che (vedo con piacere dal fascicolo di gennaio 1949) ha notevolmente accresciuto;

A. MECOZZI - Scritti scelti - Voi. Il (1945-1970)

- offrire agli scrittori aeronautici italiani una ospitalità che serva di incoraggiamento a tutti gli studiosi, affinché pensino e scrivano; - dimostrare all'estero che il pensiero aeronautico italiano è più vivo che mai, dopo il cataclisma.

Ebbene, o io sono un po' pessimista, oppure l'ospitalità non è sufficientemente apprezzata e la dimostrazione suddetta risulta poco persuasiva.

Quali le cause? Ella che ha più esperienza di me potrebbe farmele conoscere? frattanto provo ad analizzare io tutte quelle concepibili.

1. Forse gli studiosi aviatori italiani scrivono in altri periodici? Non mi pare, eccetto per la parte scientifica.

2. Forse che essi pensano e scrivono, ma rinchiudono i loro parti nei cassetti della propria scrivania? Nessuno può affermarlo o negarlo; tuttavia, sebbene tale comportamento sia contrario al più elementare istinto dello spirito umano, che anela «estrinsecare» quanto concepisce e «comunicare» le proprie produzioni, potremmo analizzare i possibili perché.

3. Forse che essi non pensano e perciò non scrivono?

La cosa sarebbe più grave, dunque è più urgente fare la diagnosi di tale stato, e proporre i rimedi.

Ma mi accorgo di dovere anzitutto distinguere gli aviatori in categorie, nei riguardi e.lei problema in esame.

È ovvio distinguerli come studiosi a seconda della specie degli studi: tecnici di varia tecnica, giuridici, economici, militari, ecc.

Ma è essenziale distinguerli come professionisti a seconda della loro posizione di fronte alla professione: in servizio aeronautico militare, in servizio aeronautico civile, e la terza categoria, infinitamente più numerosa, di quelli che ormai si sono dedicati a tutt'altra professione, tutt'altra attività, dopo il temporale che ha sconquassato, sloggiato, sfollato, congedato cd affamato gli aviatori.

Eh, bisogna riconoscere che sono pochi, proprio pochi, coloro la cui sacra fiamma è rimasta accesa dopo l'acquazzone; ma come dar torto agli altri? Pensieri diversi, preoccupazioni nuove, assilli d'altra specie, tengono loro il viso volto a terra anche quando in alto passa il bagliore e il rombo d'un aeroplano. Capisco l'animo di quei pochissimi vecchi ufficiali a riposo che, pur di restare in ambiente av.iatorio, si adattano a compiti ingrati senza compenso e con minimo profitto.

Come volete scriva d'Aviazione quel colonnello apprezzato specialista di motori volanti, se si deve ora occupare di motori e telai di automobili? O ne scriva quel generale già brillante polemista pro o contro talune dottrine di guerra aerea, se si è dovuto dedicare al commercio di vernici ed affini? O ne scriva quel pilota civile «milionario», se non vola più ed ha una rappresentanza di stoffe? Vorrebbero ma non possono, non sono aggiornati, oltre a tutto.

Allora restringiamo l'esame a coloro che dell'aviazione fanno ancora una professione, militare o civile\ ne traggono il proprio pane, perciò devono darle il proprio contributo.

Ai fini del nostro studio, tanto che costoro non scrivano, quanto che essi scrivano ma chiudano i propri prodotti nel secreto cassetto, è proprio la stessa cosa; se mai la differenza consiste in questo:

Nel primo caso basterebbe rimuovere gli impedimenti che inducono a non «comunicare».

Nel secondo caso occorre una cura ricostituente energica, giacché l'inattività atrofizza l'organo e v'è pericolo che da cervelli atrofizzati non si riesca a cavare mai più nulla, neppure con una dose energica di simpamina.

Escludiamo dunque per ora la possibilità di quesro secondo caso e limitiamoci a simulare l'ipotesi che esistano motivi i quali inducono gli aviatori italiani che fanno professione di Aviazione (piloti, recnici, giuristi, economisti, militari, ecc.) a non estrinsecare quanto dal loro pensiero viene concepito, o almeno a non comunicare le proprie estrinsecazioni.

A) Trovano scarsi i compensi che i periodici d'aviazione (nel caso specifico la Rivista Aeronautica) possono loro corrispondere? Io non credo a raie venalità, anzi credo che chi ha un pensiero vuole esprimerlo, possibilmente con lauto premio, altrimenti gratis, e se necessario pagando del proprio!

B) Trovano più comodo non compromettersi, col manifestare autonomia ed alacrità di pensiero? lo non credo che sia diffuso tale conformismo pecorile; e d'altronde, di quelli che pensano, non tutti dissentono dalle «autorità superiori», anzi nel caso di uno spontaneo consentimento intellettivo, gli spiriti ossequienti desiderano esprimere tale loro adesione e trarne vantaggio.

C) S'è diffusa la convinzione che le «autorità superiori» militari o civili, apprezzano la coltura, rna non apprezzano l'attività intellettuale?

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