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Nota introduttiva

Nota introduttiva

Gli obiettivi di ricerca del presente lavoro propongono temi, per quanto definiti, di notevole ampiezza. La prospettiva è quella di circoscrivere la trattazione all’analisi della diffusione dei prodotti della ricerca strategica condotta in Italia e dei principali canali di divulgazione degli studi specialistici, delimitando ulteriormente i temi di ricerca alle strutture e alle attività militari italiane e alla loro proiezione all’estero. In particolare, gli sviluppi dello studio si propongono di esplicitare i campi d’interesse e i risultati riferiti ai prodotti della ricerca strategica italiana in generale, esaminare i canali della loro divulgazione e, infine, valutare il livello di apprezzamento dei prodotti della ricerca strategica a livello politico. È evidente che lo sviluppo del tema proposto impone l’utilizzo di molteplici strumenti sia a livello di raccolta che di interpretazione dei dati. Inoltre, l’analisi dei prodotti della ricerca strategica richiede l’utilizzo di approcci multidisciplinari e metodologie multidimensionali, che, in ogni caso, devono seguire traiettorie scientifiche rigorose. Fatte queste premesse e delimitato il campo d’indagine, lo sforzo analitico e interpretativo dovrebbe essere all’altezza dei risultati che si pretende di offrire. Sin d’ora, si rileva che al presente lavoro è mancato l’apporto fondamentale dei decisori politici, gli unici soggetti in grado di confermare o smentire qualsivoglia ipotesi d’utilizzo degli studi italiani in materia di ricerca strategica. In questa sede, spiace sottolineare che, nonostante i tentativi messi in atto, sia mancata l’occasione per un confronto con i fruitori delle ricerche, che per una serie di ragioni non sono stati disponibili all’incontro e all’approfondimento. Ci si augura, in ogni caso, che il prossimo futuro offra altre occasioni per dare opportuno prosieguo a questo studio.

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Roma, luglio-agosto 2017 Paolo Macrì

1. Ricerca e Studi Strategici. Una premessa metodologica

1.1 Ricerca, metodo scientifico, strategia e studi strategici

Un approccio rigoroso a livello metodologico obbliga a una serie di operazioni interpretative preliminari. Prima di affrontare la disamina dei prodotti della ricerca strategica in Italia è opportuno delimitare il campo d’indagine, fornendo, per quanto in maniera non esaustiva, una serie di definizioni relative ai concetti di ricerca e metodo scientifico, analisi, strategia e studi strategici.

Per ricerca, innanzitutto, non può che intendersi l’attività di studio indirizzata all’approfondimento sistematico delle conoscenze in un determinato campo attraverso il metodo scientifico. Una ricerca scientifica, quindi, è sia una modalità che il risultato di un processo metodologico grazie al quale uno studioso approfondisce la conoscenza di determinati fenomeni, attraverso nuove scoperte o nuove interpretazioni. In altre parole, nelle attività di osservazione di un determinato fenomeno, l’applicazione rigorosa del metodo scientifico porta alla validazione o alla dismissione di ipotesi, che sono in grado di corroborare o di indebolire la validità di determinate tipologie di informazione. La conoscenza per essere scientifica è, pertanto, sia frutto di una metodologia che il risultato di un processo analitico- scientifico. Senza entrare nella complessità dei dibattiti epistemologici, si può ragionevolmente affermare che il cosiddetto metodo scientifico non sia strumento di pertinenza esclusiva delle “scienze esatte”, cioè di quelle discipline rivolte al mondo fisico, che consentono l’uso del metodo sperimentale e la validazione dei risultati attraverso la ripetibilità degli esperimenti. Il criterio scientifico costituisce l’unica metodologia plausibile per la validazione di uno o più elementi conoscitivi, attraverso la proposta di congetture e confutazioni (così come teorizzato dal filosofo ed epistemologo Karl Popper negli anni Sessanta del Ventesimo secolo), finalizzati alla costruzione di asserzioni utili all’orientamento di specifiche attività o linee di condotta in riferimento a ogni disciplina. In altre parole i dati da qualsivoglia ambito provengano, una volta appresi, devono essere elaborati dal punto di vista critico in un ciclo analitico, che ne produce ulteriori nella cornice teorica di determinati paradigmi. Si tratta di un processo nel quale, all’inizio del ciclo, sono introdotti determinati elementi conoscitivi che organizzati, a livello congetturale e sottoposti al vaglio delle confutazioni, ne producono altri, che ci si aspetta essere più precisi e pregnanti di quelli di partenza, in quanto frutto di un’elaborazione che ne ha definito profondità,

portata e accuratezza. I risultati ottenuti si offrono a ulteriori elaborazioni critiche allo scopo di fornire conoscenze verificate e maggiormente dettagliate a beneficio di destinatari e fruitori. La formulazione di queste enunciazioni non intende essere perentoria né si vuole ridurre la complessità di secolari itinerari speculativi a una manciata di affermazioni, pronunciate con assertività. Tuttavia, appare appropriato introdurre questi concetti - estremamente problematici - per proporre un approccio critico agli steccati disciplinari e alla pregnanza dei prodotti di ricerca. Se, infatti, i dati di partenza sono frutto di una raccolta che li organizza in mere congetture, cioè ipotesi non ancora dimostrate e spesso frutto dell’intuizione prescientifica dello studioso, come si può pretendere di offrire come “vere” e quindi “utili” delle risultanze non ancora passate al vaglio della confutazione, cioè del rigoroso esercizio della critica? Come si può analizzare un determinato fenomeno senza avere una cognizione esatta dei limiti teorici di determinati approcci? Come si può pretendere di offrire conoscenze qualificate senza avere una cognizione esatta della validità dei paradigmi teorici di riferimento di determinate materie? La risposta a queste domande, meramente retoriche, è certamente negativa: reale progresso conoscitivo e maggiore consapevolezza delle realtà e dei fenomeni non sono compatibili con l’approssimazione né con la banalizzazione di alcune rappresentazioni. Inoltre, la conoscenza approssimativa delle costruzioni disciplinari non favorisce progressi in alcun campo, soprattutto se non sono ben chiari i paradigmi di riferimento, cioè quell’insieme di teorie, codici e strumenti che costituiscono una “tradizione” di ricerca, comunemente accettata dalla comunità scientifica degli studiosi della materia di riferimento. Né giova al progresso delle conoscenze in qualsiasi campo l’eccesso di semplificazione concettuale, che riduce l’apprezzamento di fenomeni, storici, geografici, culturali, antropologici e politici, a sbrigativi bozzetti privi di profondità, dai quali è impossibile valutare la complessità di taluni accadimenti e, soprattutto, le eventuali traiettorie di sviluppo. Certamente non si può pretendere che uno studioso riformuli in ogni esposizione l’apparato di teorie, codici e strumenti, sui quali si basa la disciplina d’afferenza. Un chiaro riferimento, tuttavia, all’ambito disciplinare, alla metodologia seguita e agli esiti anche sfavorevoli alle ipotesi di partenza è, a parere dello scrivente, il presupposto per fornire studi validi sia a livello di premesse che di risultati. È indiscutibile che i risultati di una ricerca sono utili soltanto se effettivamente fruibili ma questo non deve indurre lo studioso ad eccessi di semplificazione né lo autorizza

ad esporre formulazioni parziali. I risultati dell’attività di ricerca, se scientifica, non possono né devono compiacere pubblico o committenze. Il ricercatore assume gli obblighi etici della competenza, della valutazione critica di ogni elemento utile al suo studio, della comparazione, dell’approfondimento e della discussione dialettica. Lo studioso, soprattutto, deve impostare metodologie chiare, dare atto di ogni credito scientifico, allestire i risultati per una fruizione agevole sia per il neofita che per lo specialista ed esporre in maniera chiara fonti e materiali, unici parametri efficaci per verificare la validità delle sue esposizioni a livello di ipotesi, metodologie e risultati. Come si è accennato, il lavoro di ricerca, una volta impostato a livello metodologico, si articola in attività di raccolta e interpretazione dei dati, che sono sottoposti a un vaglio critico attraverso processi analitici per confermare o confutare una o più ipotesi. L’analisi, quindi, può essere definita come l’insieme di valutazioni critiche condotte su un determinato fenomeno, all’esito delle quali il ricercatore valuta e trae conclusioni, seguendo l’indirizzo di una determinata attività di ricerca. Il processo analitico scompone il fenomeno oggetto di ricerca nelle sue parti costituenti e descrive nel dettaglio tali parti e le loro relazioni rispetto al fenomeno analizzato e agli eventuali rapporti con altri fenomeni più o meno contigui. Questa esposizione semplifica il concetto di analisi e rappresenta un modello generale che, a seconda dei campi d’applicazione e pur procedendo per cicli e processi peculiari rispetto ai fenomeni analizzati, può essere riferito a qualsivoglia tipologia di attività di ricerca. In altre parole, sebbene l’analisi di un fenomeno fisico proceda con modalità e schemi propri delle scienze naturali e l’analisi di un fenomeno socio-politico o il suo inquadramento, a livello storico, utilizzi differenti asset e altre tipologie di strumenti, qualsivoglia processo analitico non può che procedere attraverso la scomposizione del fenomeno nei suoi presunti elementi costitutivi, la valutazione delle relazioni correnti tra gli elementi individuati, la ricerca di rapporti di causa-effetto tra gli elementi, assunti come fenomeni a sé, e il vaglio dei risultati rispetto all’ipotesi proposta all’inizio della ricerca. In conclusione, il procedimento per congetture e confutazioni, inteso come metodo scientifico per l’avanzamento della conoscenza, costituisce l’unico strumento per validare ipotesi, proporre questioni e formulare scenari, quindi rappresenta l’unico strumento per acquisire e sviluppare elementi conoscitivi attendibili e utili a livello predittivo. Dopo la digressione sui concetti di ricerca, metodo scientifico e analisi, è opportuno focalizzare l’attenzione sui concetti di strategia e studi strategici.

Il termine strategia è stato oggetto di un progressivo abuso semantico ed è passato a indicare una generica modalità di programmazione per il raggiungimento di obiettivi in contesti di serrata competizione, mentre il concetto di studi strategici si ritiene abbia ancora margini non del tutto delimitati e quindi necessita di un ulteriore approfondimento. Innanzitutto, per non banalizzare il concetto di strategia è opportuno ricollocarlo nell’ambito degli studi militari. Pertanto, al termine si può riassegnare il significato elaborato dagli studiosi di “organizzazione e utilizzo dello strumento militare per il raggiungimento di obiettivi politici”. In questo senso, la strategia non è altro che l’organizzazione della forza per resistere alla volontà o per imporre la propria volontà nei confronti di forze avversarie al soggetto politico a cui rispondono le forze militari. Questa formulazione, volutamente scarna e priva di tutte le implicazioni scaturite da studi interpretativi e dibattiti plurisecolari, ambisce a rappresentare un concetto plausibile e condiviso di strategia e può indirizzare la comprensione del concetto di Studi Strategici. Passando al concetto di Studi Strategici, in via preliminare è necessario stabilire una linea di demarcazione tra le riflessioni degli studiosi di area anglosassone e quelle degli studiosi europei, in particolare degli studiosi italiani. Gli Studi Strategici, secondo gli indirizzi scientifici attuali e più condivisi, hanno ricevuto dignità di disciplina accademica autonoma tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del Ventesimo, a seguito del tentativo di dare compiuta definizione alla strategia quale combinazione di arte pratica e di scienza applicata. Gli studiosi, tuttavia, non hanno contribuito a una visione condivisa della materia, che, negli ultimi cinquant’anni, ha assunto denominazioni differenti, rispetto agli ambiti nazionali e culturali di riferimento. Secondo Virgilio Ilari, uno dei massimi studiosi italiani di Studi Strategici, la definizione Strategic Studies, elaborata dagli studiosi britannici, non trova corrispondenze né presso gli studiosi statunitensi né presso gli studiosi francesi. Questi ultimi, per esempio, collocano gli Studi Strategici in uno sfumato ambito sociologico, definendoli semplicemente Polémologie oppure li riportano all’ambito della politica estera, riprendendo il concetto di strategia elaborato dallo studioso Raymond Aron, che la definisce arte di vincere utilizzando al meglio i mezzi militari disponibili e la affianca alla diplomazia, che, invece, è l’arte di convincere senza fare ricorso alla forza. Secondo Virgilio Ilari, sia negli Stati Uniti che negli ambienti accademici e di ricerca europei, gli Studi Strategici trovano collocazione nell’ambito

delle discipline afferenti alle Scienze Politiche, Economiche e internazionali, seguendo un criterio metodologico e non ontologico. Infatti, a seconda della metodologia dell’ambito disciplinare nel quale gli Studi Strategici sono collocati, questi vengono indicati come International Affairs, International Relations, Security Studies, Political Economy, oppure, nel caso di forzature ideologiche, Peace Research o Peace Studies. A complicare ulteriormente il dibattito sulla natura degli Studi Strategici interviene anche il contributo dei diplomatici, che h anno elaborato una visione affatto peculiare degli Studi Strategici, collocandoli nell’ambito delle complesse attività diplomatico-internazionali e definendoli semplicemente come “politica militare”. Dal punto di vista della difficoltà di collocazione e di definizione della disciplina degli studi strategici è sempre Ilari che offre una serie di notevoli spunti critici. Secondo l’autore, infatti, “le questioni di possibile interesse strategico non sono predeterminabili, sia perché gli studi relativi provengono da differenti matrici culturali (economia, sociologia, geografia, scienze politiche, giuridiche, storiche, militari) e rispondono alle occasioni, committenze e iniziative editoriali più casuali nonché agli scopi e alle ideologie più disparate. Si tratta di contesti culturali e scientifici autoreferenziali che tendono per forza di cose a ignorarsi reciprocamente: anche per banalissime questioni pratiche, oltre che per pregiudizio metodologico o ideologico”. La conseguenza del ragionamento di Ilari è che non esisterebbe ancora una categoria accademica riconosciuta e condivisa sufficientemente ampia da ricomprendere il patrimonio scientifico complessivo degli Studi Strategici, che risulta disperso in classificazioni ed etichette non sempre di facile e immediata comprensione. Se il frutto delle analisi critiche di Ilari costituiscono un caveat per ogni studioso che ambisca a confrontarsi con la complessità e i molteplici ripiegamenti del concetto di Studi Strategici, ai fini dello sviluppo della presente ricerca è opportuno riportare la disciplina a una sua funzione pratica, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con le attività di policy making. Per questo motivo è utile illustrare, per quanto in maniera sintetica, i contributi dei più conosciuti e autorevoli studiosi italiani del settore. Secondo Carlo Jean, gli Studi Strategici non sono altro che esercizio del pensiero strategico “relativo alla preparazione, alla minaccia, all’uso e al controllo della forza per conseguire obiettivi politici, che possono essere difensivi, volti cioè a mantenere lo status quo od offensivi se tendono a modificarlo”. Questa spiegazione ontologica degli Studi Strategici, tuttavia, si complica notevolmente non appena si fa riferimento

alla materia accademica degli Studi Strategici e se ne analizzano l’origine e l’evoluzione. La prospettiva offerta dallo studio della disciplina, infatti, rileva aspetti problematici non indifferenti, che hanno riflessi anche sulla qualificazione dei prodotti della ricerca strategica. Giampiero Giacomello, Marco Badialetti e Luciano Bozzo, concordano nell’attribuire agli Studi Strategici una compiuta autonomia disciplinare nel periodo del secondo dopoguerra e li caratterizzano come una branca (secondo Bozzo) o come una filiazione (secondo Giacomello e Badialetti) della disciplina delle Relazioni Internazionali. Sia che s’intenda attribuire una posizione di parità o una posizione di discendenza, la disciplina degli Studi Strategici è strettamente correlata a quella delle Relazioni Internazionali, entrambe manifestazioni di studi critici evolutisi in ambito anglo-americano e arricchitisi, nel tempo, di preziosi contributi di altri pensatori del continente europeo. È utile rammentare in questa sede che la disciplina delle Relazioni Internazionali è nata per comprendere le cause del Primo conflitto mondiale, caratterizzandosi come branca disciplinare che ha sottratto, da un lato, ambiti di ricerca alle discipline del Diritto Internazionale, della Storia Diplomatica e della Scienza Politica e ha avviato, dall’altro, i “grandi dibattiti” tra i cosiddetti realisti e idealisti. Raccogliendo i risultati dei dibattiti su internazionalismo, pacifismo, contrasto della diplomazia segreta, questi studiosi hanno dato vita a cinque generazioni di ricercatori, che si sono occupati e, ancora oggi, si occupano delle relazioni tra gli Stati e gli altri soggetti dell’ordine internazionale, affinando metodologie e logiche, che per conclusioni e finalità sono contigue a quelle di altre discipline, prima fra tutte quella degli Studi Strategici. Questi ultimi, d’altro canto, si caratterizzano per avere campi di ricerca, che si prestano ad essere oggetto di studi a livello diplomatico, politico e internazionale, con la sola peculiarità di voler aggiungere una connotazione di carattere “militare” agli oggetti di ricerca. Le politiche della sicurezza, la difesa militare, l’organizzazione delle Forze Armate, infatti, costituiscono quello che potrebbe definirsi come il core business della disciplina, ma non si può prescindere dall’inquadrare questi campi di ricerca, piuttosto definiti, dalle correlazioni con quelli di altre discipline, come, appunto, quello delle Relazioni Internazionali. Ricordiamo che anche gli Studi Strategici hanno conosciuto dibattiti che ne hanno ampliato o ridotto la portata, basti pensare alla contrapposizione evidenziatasi negli Stati Uniti durante la Guerra fredda tra Security Studies e Strategic Studies e la caratterizzazione europea degli

Studi Strategici come Peace Studies. Gli Studi Strategici, in ogni caso, continuano a mantenere peculiarità piuttosto specifiche e, per quanto le definizioni accademiche ne complichino la comprensione a livello di portata, sono comunque riconducibili all’ambito militare. Ad offrire un ulteriore contributo piuttosto risolutivo è ancora una volta Ilari, il quale, analizzando l’approccio didattico della manualistica prodotta da Carlo Jean, propone una chiave interpretativa per la qualificazione degli Studi Strategici, che appare piuttosto convincente. Ilari sottolinea una stretta correlazione tra gli Studi Strategici, la Scienza Politica e le Relazioni Internazionali per quanto riguarda gli ambiti correlati all’uso dello strumento militare e alla sicurezza. In questo senso, secondo Ilari, Jean sottolinea il contrasto tra l’uso del concetto di Studi Strategici in Europa e negli Stati Uniti, adducendo che sono stati “appannaggio delle tecnostrutture militari”, nel primo caso, e materia condivisa nel secondo, giacché i rapporti tra centri universitari, think tank e centri decisionali si sono caratterizzati come fortemente contigui. Ilari, tuttavia, interpreta le conclusioni di Jean come esito di una prospettiva empirica e non epistemologica. Infatti, secondo Ilari, Jean rimarcherebbe la differenza tra la strategia, intesa come “Teoria della strategia”, e gli Studi Strategici in senso stretto, che invece costituiscono una “rassegna sistematica e analitica di tutti i settori delle scienze umane rilevanti per la sicurezza e la difesa”. Sebbene l’utilizzo di questa interpretazione allargata degli Studi Strategici sia rischiosa, da un punto di vista epistemologico e soprattutto metodologico, non c’è dubbio che rappresenti la sintesi migliore per offrire un approccio alla materia in senso pratico e funzionale. Se infatti gli Studi Strategici finiscono per ricomprendere ogni elemento ed elaborazione utile alla sicurezza dello Stato e alla difesa dei suoi interessi, la multidimensionalità dei risultati non può che offrire al decisore politico una pluralità di strumenti funzionali al policy making. In questo senso, seguendo le conclusioni di Ilari, gli Studi Strategici non sarebbero una vera e propria disciplina, definita da scopi e metodologie peculiari, ma uno strumento di raccordo tra orientamenti scientifici e discipline con tradizioni accademiche, orientamenti epistemologici e scopi affatto diversi, ricondotti, però, a una sistematizzazione analitica, orientata a corroborare le politiche di sicurezza e difesa. Per quanto questa prospettiva comporti una generalizzazione e una sorta di politicizzazione degli Studi Strategici, non c’è dubbio che la materia, una volta definita a livello pratico e funzionale, assume la valenza di strumento di interfaccia tra ambiti disciplinari differenti, i quali, pur non essendo del

tutto contigui, metodologicamente utilizzano gli strumenti dell’analisi scientifica e sono in grado di offrire risultati attendibili a livello decisionale per i policy maker. Secondo Ilari, la definizione della portata pragmatica degli Studi Strategici non sarebbe comunque sufficiente a fornire una soluzione interpretativa univoca sui contenuti della disciplina. Infatti, se gli Studi Strategici così come considerati in Italia coincidono con la materia definita Strategic Studies in Gran Bretagna, in Francia assumono ancora un’altra definizione, quella di Études de Defense Nationale. In questo senso, Ilari auspica un approccio alla questione interdisciplinare che porti alla “fecondazione reciproca e della sinergia tra i vari ambiti disciplinari e scientifici, tra i molteplici metodi di approccio alle questioni della pace e della guerra”. L’obiettivo dovrebbe essere il superamento dell’accumulo di risorse e strumenti a livello nazionale per sviluppare a livello scientifico “le potenzialità euristiche e teoretiche di tutte le scienze umane”, che dovrebbero occuparsi sistematicamente di questioni rilevanti per la difesa e la sicurezza.

2. Gli enti di ricerca strategica internazionali, attività e produzione

2.1 Gli enti di ricerca internazionali

Passando all’analisi degli enti di ricerca che si occupano di ricerca strategica e che, quindi, offrono contributi al contenitore degli Studi Strategici è opportuno formul are una serie di precisazioni in ordine alla definizione più conosciuta e più generale di qualsivoglia ente non accademico che si occupa di ricerca, quello di think tank. Secondo Mattia Diletti, uno degli studiosi italiani più accreditati in materia, il th ink tank è un fenomeno statunitense, che nasce e si evolve nel periodo della Seconda guerra mondiale e della Guerra Fredda. Sarebbe stato il War Department, prima, e il Department of Defense, poi, a creare sezioni specializzate per l’analisi dell’andamento degli eventi bellici, arruolando scienziati e analisti civili e isolandoli all’interno di “serbatoi di pensiero”. Questa concentrazione di capacità scientifiche e analitiche sarebbe stata la colonna portante ideologica e programmatica delle posizioni statunitensi durante gli anni di competizione geopolitica con il sistema sovietico. In quegli anni i think tank sarebbero stati considerati l’arsenale delle idee del “mondo libero” e avrebbero reclutato numerosi studiosi e realizzato numerose strutture della Comunità transatlantica per sostenere e, in alcuni casi, per impostare le politiche degli Stati Uniti e degli alleati nella lotta contro il Comunismo internazionale e l’Unione Sovietica. Se Diletti si fosse fermato a queste considerazioni, i think tank apparirebbero come un fenomeno socio-politico prettamente statunitense, cresciuto negli anni della Guerra Fredda ed evolutosi con forme e scopi differenti in Europa e negli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino. La realtà, però, è ben diversa e per quanto lo studioso abbia condotto un’indagine ricognitiva sistematica su quelle strutture che negli Stati Uniti, prima, e in Europa e in Italia, poi, hanno sostenuto e, in alcuni casi, sostituito le strutture programmatiche e organizzative dei partiti, Diletti dà atto che, in realtà, i think tank sono sorti per rispondere a specifiche esigenze di ricerca politica, economica e sociale, orientata alla soluzione di specifici problemi affrontati dai policy maker già agli inizi del Novecento. In particolare, Diletti riprende lo schema proposto da Kent Weaver della Brookings Institution, uno dei più noti e influenti think tank statunitensi. Weaver, in un contributo del 2000, ha individuato tre modelli di think tank: il primo di academic think tank risalente agli inizi del Ventesimo secolo, il secondo di advocacy think tank a servizio delle strutture statali per la ricerca e lo sviluppo di modelli di politiche interne e internazionali e il terzo di political

party, think tank fortemente orientato al sostegno di partiti politici, quindi più incline a fornire spunti e analisi per corroborare una determinata visione dello Stato e delle politiche internazionali. A queste tre differenti tipologie di strutture potrebbero essere riportati sia i think tank statunitensi che quelli europei e del resto del mondo, sebbene le proporzioni degli enti ascrivibili alle tre tipologie risultino differenti rispetto alle aree geografiche di riferimento. Secondo l’analisi di Diletti, le tre differenti “famiglie” di think tank sarebbero emerse negli Stati Uniti in occasione di fratture storiche del sistema politico e costituirebbero, principalmente, occasioni per l’aggregazione di intelligenze a sostegno dei policy maker, passando da enti di ricerca neutrali e rigorosamente scientifici, indirizzati alla ricerca sociale, agli attuali think tank di chiaro schieramento politico, emersi dagli anni Settanta in poi, soprattutto in ambito conservatore. Negli Stati Uniti alla prima tipologia di think tank, neutrali e votati alla ricerca, apparterebbero gli istituti di ricerca più longevi come la Russel Sage Foundation del 1907, il Carnegie Endowment for International Peace del 1910 e il Brookings Institution del 1916. Alla seconda tipologia, quella di sostegno alle strutture statali delle quali sono commissionari, apparterrebbero istituti come la RAND Corporation, il Center for Strategic and International Studies e l’Hoover Institution, fondato nel 1919 per raccogliere gli archivi del filantropo Herbert Hoover (poi Presidente degli Stati Uniti), poi strutturato negli anni Sessanta per lo studio del sistema economico e politico sovietico. Alla terza tipologia apparterrebbero i think tank ideologicamente schierati come l’American Enterprise Institute, il Cato Institute e l’Heritage Foundation. Pur essendo l’analisi di Diletti e la sistematizzazione di Weaver straordinariamente efficaci dal punto di vista analitico, a parere dello scrivente la ricostruzione offerta tende verso un eccesso di categorizzazione, che non offre molto spazio a ulteriori riflessioni. Per quanto siano statunitensi i primi e più longevi enti di ricerca sociale, poi riconosciuti come think tank, altri enti politici e di ricerca sociale promuovevano la pace e l’umanitarismo internazionali. Durante l’età vittoriana, in Gran Bretagna esistevano già associazioni che sostenevano campagne pacifiste per la soluzione arbitrale delle controversie fra Stati, diffondendo libelli e pamphlet per influenzare l’opinione pubblica e gli uomini politici. Inoltre, sono stati il Primo conflitto mondiale e i successivi Trattati di pace a vedere il coinvolgimento sistematico di studiosi ed esperti nella difficile gestione politica delle emergenze belliche e dei disastri umanitari generati dal conflitto europeo e dalla disgregazione degli Imperi continentali. Due tra i più autorevoli e influenti think tank di tutti i tempi si sono

costituiti, infatti, in questo periodo. I fondatori del Royal Institute of International Affairs, più conosciuto come Chatham House, parteciparono quali esperti di politica internazionale alla Conferenza di pace di Versailles del 1919, mentre furono ventuno docenti universitari, coinvolti dal presidente statunitense Woodrow Wilson nell’American Commission to Negotiate Peace, a fondare, nel 1920, il Council on Foreign Relations, che ancora oggi pubblica il prestigioso bimestrale Foreign Affairs. In conclusione, si può ragionevolmente affermare che i think tank nascono negli Stati Uniti durante il Secondo conflitto mondiale, come veri e propri “dipartimenti di ricerca e sviluppo” del War Department e che, per estensione, il termine qualifica oggi tutte le strutture di ricerca che offrono analisi, ricerche e contributi a beneficio dei policy maker, dalle cosiddette “università senza studenti” alle strutture di sostegno alla politica sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo. Tuttavia, è opportuno precisare che le strutture di ricerca orientate al “sostegno strategico” delle politiche pubbliche si strutturano già tra il 1917 e il 1920 in ambito anglosassone, inaugurando un modello di alta consulenza che, fatte le dovute differenze e per come si vedrà più avanti, può essere rinvenuto anche in ambito italiano.

2.2 La produzione degli enti di ricerca internazionali

Diletti ha analizzato anche le modalità di diffusione e di accreditamento della produzione dei think tanks, soprattutto di quelli statunitensi, individuando una serie di strumenti divulgativi differenti ma utilizzati da tutti i think tank conosciuti, anche se il numero delle produzioni e le modalità di presentazione variano sensibilmente a seconda che l’attività di ricerca intenda raggiungere un vasto pubblico oppure cerchi di proporsi a committenti specifici. L’analisi offerta da Diletti indica una griglia di strumenti piuttosto ampia, costituita da monografie, policy paper, report, policy brief, audizioni parlamentari, blueprint, seminari e conferenze, workshop e corsi di formazione, riviste e instant expertise. Le monografie costituirebbero lo strumento principale di divulgazione delle attività di ricerca condotte dai think tank, soprattutto di quelli statunitensi. Le ragioni di questa preferenza risiedono nella possibilità offerta ai ricercatori di estrazione accademica di condurre ricerche senza le incombenze della didattica universitaria. La pubblicazione di volumi di valore accademico è stata la naturale conseguenza di questa collaborazione, alla quale, ancora oggi, gli enti maggiormente strutturati non rinunciano sia per motivi di prestigio che di accreditamento scientifico. In merito a questa tipologia di produzione, si può osservare che non tutti i think tank realizzano questo tipo di

prodotto editoriale, che, in genere, resta precluso agli enti con budget ridotti o fortemente orientati a soddisfare le esigenze contingenti della committenza. Un volume realizzato secondo criteri scientifici richiede tempi di gestazione e una forma editoriale, che, in molti casi, mal si adattano all’informazione pubblica o a quella di committenti politici. Ad assecondare queste esigenze più specifiche sono i report. Questi sono documenti piuttosto agili, in genere di poche decine di pagine, che non necessitano di particolari note introduttive o esplicative. I report descrivono determinati eventi o fenomeni con rigore analitico ma senza divagazioni, riservando ad altri strumenti l’esposizione di eventuali dettagli o approfondimenti. I policy paper seguono i medesimi criteri di rigore e concisione ma non sono realizzati con intenti divulgativi, essendo indirizzati a specialisti e trattando gli argomenti con gli strumenti lessicali e tecnici delle materie di riferimento. Ancora più sintetici sono i policy brief, documenti di qualche facciata con finalità meramente operative o divulgative. Audizioni parlamentari e blueprint sono attività non usuali per gli enti italiani, mentre sono piuttosto diffuse negli Stati Uniti. Con le prime i think tank forniscono competenze specialistiche alle commissioni del Congresso o del Parlamento; con i blueprint, invece, i think tank realizzano proposte tematiche allo scopo di sostenere il programma di un candidato politico. Le riviste cartacee, ancora oggi, costituiscono una delle principali attività divulgative dei maggiori think tank. In alcuni casi, queste pubblicazioni hanno stabilito lo standard qualitativo a livello scientifico ed editoriale di una rivista di settore, ad esempio si pensi al bimestrale Foreign Affairs, pubblicato dal Council on Foreign Relations dal 1922, che costituisce uno dei massimi riferimenti per gli studiosi di politica e di relazioni internazionali. Attività comuni a tutti i think tank del mondo sono le attività divulgative attraverso convegni e seminari, che offrono l’occasione per presentare all’opinione pubblica o a platee più selezionate gli orientamenti e la produzione dell’ente. A tal proposito, bisogna tenere presente che la divulgazione è una delle attività più importanti per tutti gli enti di ricerca. I think tank, se indipendenti e se non afferenti a strutture accademiche, hanno l’assoluta necessità di esporre i risultati delle linee di ricerca. La divulgazione dei prodotti di ricerca, infatti, consente l’accreditamento dei think tank presso eventuali committenti e l’autorevolezza acquisita attraverso il raggiungimento di un elevato standard scientifico permette agli enti più apprezzati di raggiungere a mantenere i rapporti necessari allo sviluppo di ulteriori attività e, quindi, alla continuità dell’ente medesimo. È in questo senso che vanno interpretati i cosiddetti instant expertise, cioè la divulgazione attraverso i mass-media di analisi

concise che hanno l’obiettivo di informare, per quanto sommariamente, gli spettatori di format televisivi e i lettori della stampa non specializzata. Si spiega così, soprattutto in Italia, la presenza costante di alcuni esperti nelle trasmissioni radiofoniche e televisive. L’esigenza da soddisfare è quella della ricerca di accreditamento e non di vanità autoreferenziali. Alla necessità di raggiungere ed esprimere autorevolezza è legata anche la diffusione dei prodotti di ricerca attraverso la rete internet. Quasi tutti i think tank hanno un sito di riferimento dove sono disponibili alla consultazione policy paper, report, policy brief, monografie e contenuti di workshop, seminari e convegni. All’attività di diffusione spesso si affianca la fidelizzazione di utenti e specialisti attraverso l’invio periodico di newsletter o di summary, che consentono di aggiornare in tempo reale lo stato di avanzamento della ricerca su alcuni specifici temi. Conclusa questa disamina corre l’obbligo di procedere a una puntualizzazione. A fronte della notevole produzione internazionale non esistono criteri obiettivi per la valutazione qualitativa dei prodotti di ricerca dei think tank. A dare rilevanza a una monografia, a un report o a un policy paper contribuiscono la riconosciuta autorevolezza dell’autore, il credito che gode la struttura di afferenza presso i committenti, in alcuni casi anche il gradimento del pubblico non specializzato. Tuttavia, in assenza di criteri certi per la valutazione della scientificità del metodo utilizzato, difficoltoso anche a livello accademico, malgrado i tentativi di misurazione dell’impatto delle ricerche, non è possibile giungere a conclusioni univoche sul valore da attribuire a un prodotto di ricerca. Per formulare criteri di valutazione utili alla misurabilità dell’impatto e dell’influenza di un think tank è più opportuno fare riferimento alla sua struttura, oltre che alle sue attività, utilizzando molteplici indicatori, che siano in grado, per quanto in maniera approssimativa, di dare consistenza a parametri misurabili dal punto di quantitativo. In questo ambito è utile fare riferimento a uno degli strumenti più importanti per la valutazione dei think tank: il Think Tanks & Civil Societies Program (TTCSP). Si tratta di un programma di ricerca, sviluppato nel 1989, presso il Foreign Policy Research Institute di Filadelfia, che ha ampliato progressivamente l’ambito di studio dai think tank statunitensi ai think tank di tutto il mondo. Dal 2008 è organizzato e diretto del professor James McGann presso il Lauder Institute della University of Pennsylvania, che diffonde annualmente il Global Go To Think Tank Index (GGTTI). Il GGTTI è il prodotto più articolato e rilevante per la valutazione dei think tank a livello globale. Obiettivo del programma e dell’index annuale, realizzato con la

supervisione di McGann, è quello di innalzare il profilo, le capacità e i risultati complessivi dei think tank a livello nazionale, regionale e globale, valutando il livello delle relazioni stabilite a livello di politica pubblica e di decisioni politiche. Grazie alla realizzazione di un database di circa settemila enti e alla collaborazione di quasi cinquemila esperti, il GGTTI analizza e classifica i maggiori think tank del mondo, suddividendoli per categorie di autonomia o di affiliazione, per ambiti geografici e aree di attività. Secondo il GGTTI, i think tank, sia indipendenti che affiliati a governi o a centri universitari, sono organizzazioni strutturate che si impegnano in attività di analisi e ricerca a livello di public policy. I think tank realizzano ricerche, analisi e consulenze su temi nazionali e internazionali, allo scopo di consentire ai policy-maker e all’opinione pubblica di prendere decisioni consapevoli in ambito di politiche pubbliche. Spesso, rilevano i curatori dell’index, i think tank costituiscono un vero e proprio ponte tra le comunità accademiche e i centri di potere politici e, a seconda delle società di riferimento, possono caratterizzarsi in base al grado più o meno ampio di autonomia, alla tipologia di reclutamento di esperti e ricercatori, all’adesione più o meno convinta a standard accademici di obiettività e completezza. A tutto il 2015 il Think Tanks & Civil Societies Program ha censito 1931 think tank statunitensi e 1770 europei, rilevando che il cinquanta per cento di queste strutture sono collegate a istituzioni accademiche. Dagli anni Ottanta ai primi anni del Ventunesimo secolo l’incremento del numero di strutture ed enti di ricerca, aventi le caratteristiche di un think tank, sono costantemente cresciute nell’area atlantica mentre negli ultimi anni si segnala un notevole incremento in Europa Orientale, in Asia ed Estremo Oriente. In Occidente i motivi della continua crescita del numero dei think tank è dovuto, secondo il GGTTI, alla necessità dei policy-maker di attingere a informazioni utili, comprensibili, affidabili e accessibili sulle società che devono governare e all’esigenza di poter valutare le alternative e gli eventuali costi della realizzazione delle loro politiche. Queste necessità hanno portato a una vera e propria esplosione del numero dei think tank, che hanno anche moltiplicato le aree di intervento, che il programma ha definito nei seguenti ambiti: ─ Defense and National Security ─ Domestic Economic Policy ─ Education Policy ─ Energy and Resource Policy ─ Environment Policy

─ Foreign Policy and International Affairs ─ Domestic Health Policy ─ Global Health Policy ─ International Development ─ International Economics ─ Science and Technology ─ Social Policy ─ Transparency and Good Governance La declinazione degli ambiti disciplinari individuati dal Think Tanks & Civil Societies Program con il GGTTI ha il pregio di circoscrivere le macro-aree, che costituiscono l’oggetto dell’attività di ricerca dei think tank recensiti. Il disegno di confini disciplinari, tuttavia, non è e non può essere categorico, in quanto alcuni dei soggetti esaminati spaziano in più aree e la delimitazione circoscritta, per quanto non arbitraria, lascia spazio ad alcuni dubbi interpretativi sugli indicatori utilizzati. L’attività di ricognizione delle aree d’interesse dei think tank recensiti pone, inoltre, più di un problema circa l’effettiva estensione e copertura scientifica in tema di Studi Strategici. In questo senso, è opportuno sottolineare che, per quanto sia condivisibile l’auspicio a un approccio esteso agli Studi Strategici e per quanto sia auspicabile un raccordo interdisciplinare tra tutte le scienze umane per la produzione di studi utili ai decisori politici, è necessario restringere il campo d’indagine, utilizzando una definizione di Studi Strategici e, precisamente, quella indicata da Jean, che li definisce “rassegna sistematica e analitica di tutti i settori delle scienze umane rilevanti per la sicurezza e la difesa” . Stabilita questa definizione e apprezzata l’utilità statistica del GGTTI, è possibile partire proprio dai risultati proposti dal Think Tanks & Civil Societies Program per individuare i think tank italiani che si occupano di Studi Strategici, partendo dalla definizione data da Jean e seguendo le classificazioni del team di McGann e gli ambiti specifici di collocazione. L’attenzione, a questa punto, si indirizza su due settori specifici: Defense and National Security e Foreign Policy and International Affairs. Gli ambiti di riferimento considerati saranno, quindi, la difesa, la sicurezza nazionale, la politica estera e le relazioni internazionali. Analizzando il Global Go To Think Tank Index diffuso nel 2016, l’analisi del contributo riserva più di una sorpresa. L’Italia è l’undicesimo Paese al mondo per numero di think tank, ben novantasette, e nella classifica generale dei primi centoventicinque enti dell’Europa Occidentale quelli italiani sono otto. Tra questi

sono tre quelli che si occupano di materie afferenti agli Studi Strategici. Troviamo al n. 29 della classifica l’Istituto di Scienze Politiche Internazionali (ISPI), al n. 31 l’Istituto Affari Internazionali (IAI) e al n. 51 il Centro Studi Internazionali (CeSI). Il Global Index colloca, inoltre, lo IAI e l’ISPI rispettivamente al n. 23 e al n. 29 della classifica dei centodieci think tank, che si occupano di Defense and National Security, mentre nella classifica di centotrentacinque strutture, che si occupano anche di Foreign Policy and International Affairs, lo IAI occupa il n. 21, l’ISPI il n. 31 e il CeSI il n.108. L’ISPI rientra anche in altre due classifiche, quella di International Development, occupando la posizione n. 111, e quella di International Economics, posizionandosi al n. 71. Nella classifica dei settantacinque think tank che hanno avviato collaborazioni con altri enti accanto all’ISPI compare anche lo IAI, rispettivamente al n. 3 e al n. 16. L’ISPI compare ancora al n. 5 della classifica di ottanta Best Managed Think Tanks, al n. 7 dei Best Think Tank Network e al n. 54 dei Best Transdisciplenary Research Think Tanks. Il GGTTI riconosce che sia l’ISPI che lo IAI sono tra i Best Independent Think Tanks, rispettivamente n. 18 e n. 26 su centoquarantotto enti censiti. ISPI e IAI compaiono tra i migliori Think Tanks with Annual Operating Budgets of Less Than $5 Million USD, rispettivamente al n. 15 e al n.44. In questa graduatoria si inserisce anche il CeSI al n.19. Ovviamente ISPI, IAI e CeSI non sono gli unici enti italiani a ottenere lusinghieri piazzamenti nel Global Index. Sono certamente tra quelli più conosciuti e apprezzati anche all’estero per indipendenza e qualità delle ricerche proposte, ai quali sono riconosciute anche capacità di collaborazione a livello internazionale, a fronte di budget piuttosto modesti, rispetto alle enormi risorse gestite dai grandi enti statunitensi.

3. Gli enti di ricerca strategica in Italia, attività e produzione

3.1 Gli enti di ricerca in Italia

Nella parte precedente sono state esposte considerazioni sul metodo scientifico e si è accennato ai problemi epistemologici generati dalla definizione di Studi

Strategici. Si è avuto modo di illustrare sommariamente l’evoluzione storica dei centri di ricerca, definiti secondo la categoria dei think tank, e l’attuale tipologia della loro produzione. Si è, altresì, rilevato che spesso gli studi realizzati, anche se frutto di ricerca indipendente, sono indirizzati al soddisfacimento delle esigenze di specifiche categorie di committenti e che tale circostanza non consente un condiviso apprezzamento qualitativo dell’impatto delle ricerche, bensì solo valutazioni complessive dal punto vista quantitativo. In altre parole, data la stretta correlazione tra l’indirizzo dato agli studi e le aspettative degli eventuali committenti, cercare di valutare oggettivamente l’impatto degli studi prodotti, soprattutto a livello di decisori politici, non porta a risultati oggettivamente apprezzabili. Per quest o motivo, è opportuno avvalersi di un’analisi quantitativa delle attività complessiva degli enti di ricerca, riferita a specifiche aree d’interesse. In base a queste considerazioni, ai fini del presente studio, si è fatto ricorso al GGTTI, indice internazionale dei think tank, diffuso con cadenza annuale dal Think Tanks & Civil Societies Program (TTCSP) del Lauder Institute della University of Pennsylvania.

Dall’analisi delle tabelle di ranking elaborate si è constatato che gli enti italiani operativi nelle aree afferenti agli Studi Strategici sono soltanto tre e che restano del tutto sconosciuti alle valutazioni del Think Tanks & Civil Societies Program altri enti italiani, che in passato hanno fornito apprezzabili contributi in materia. Enti fondati su ispirazione istituzionale, con un preciso indirizzo di ricerca strategica e con decenni di esperienza, hanno scarsa visibilità non solo a livello internaziona le ma anche a livello italiano. L’Istituto Studi Ricerca Difesa (ISTRID), la fondazione italiana Intelligence Culture and Strategic Analysis (ICSA) o l’Istituto Italiano Studi

Strategici “Machiavelli” (IISS) restano fuori da ogni ranking e, a un’analisi delle attività, è emerso che la loro produzione non ha divulgazione presso il pubblico non specializzato né attraverso la rete internet. In questo senso, si è potuto constatare che un sito web ben strutturato è in grado di garantire visibilità all’ente, inoltre se è garantito l’accesso ai prodotti di ricerca, la diffusione degli studi e l’accreditamento dei ricercatori sono assicurati.

A questo punto, è opportuno restringere il campo d’indagine a quella serie limitata di enti, che, per come si è visto, costituiscono i “soggetti-modello” per la verifica della produzione attinente agli studi internazionali e strategici. In questo senso, il criterio di riferimento è quello delle strutture italiane, che sia per attività di ricerca che per produzione sono presenze costanti nel panorama degli studi internazionali e, quindi, l’analisi si limiterà alla struttura e alla produzione dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e del Centro Studi Politiche Internazionali (CeSI). Questi enti conducono studi e ricerche prevalentemente in ambito di Relazioni Internazionali e diffondono analisi su temi attinenti agli Studi Strategici in ambito di difesa, di sicurezza, di dinamiche geopolitiche, attentati terroristici e politiche militari. Il più longevo di questi è l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Fondato a Milano nel 1934 come associazione di diritto privato, dove ancora oggi ha la sede presso Palazzo Clerici, nel 1972 ha ottenuto il riconoscimento di “ente morale” e svolge le funzioni attribuitegli sotto la vigilanza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). L’ISPI si occupa di ricerca e di formazione a carattere internazionale ed è strutturato in una organizzazione, che conta un Consiglio d’Amministrazione partecipato dai presidenti delle maggiori realtà industriali e finanziarie italiane e un Comitato Scientifico, dove sono presenti i rappresentanti di dodici tra i più prestigiosi think tank internazionali e un rappresentate del MAECI. Alle attività dell’ISPI collaborano più di cinquanta ricercatori, organizzati in articolati gruppi di lavoro, che operano sotto la supervisione di un responsabile di ricerca. I ricercatori dell’ISPI lavorano su “quattro direttrici primarie”: la ricerca, le pubblicazioni, la formazione e l’organizzazione di eventi. La produzione scientifica si pone l’obiettivo di monitorare le aree del globo secondo i paradigmi della geopolitica e in base a un approccio multidisciplinare. L’attività di ricerca si articola in osservatori, programmi su specifiche aree geografiche e tematiche trasversali. La vocazione fortemente pragmatica delle attività dell’ISPI trova riscontro sia nelle modalità di realizzazione dei prodotti di ricerca, basati sul monitoraggio di aree geopolitiche e sull’interpretazione dei principali fenomeni globali, sia nella condivisione degli obiettivi e dei risultati. Nelle strutture dell’ISPI hanno modo di dialogare studiosi e specialisti di differenti provenienze disciplinari e l’ente, come già si è avuto modo di accennare, ha avviato collaborazioni e partnership con centri di ricerca e think tank di tutto il mondo. Economisti, giuristi,

storici e specialisti di Scienze Politiche, studiosi di Studi Strategici, diplomatici ed esperti di Relazioni Internazionali contribuiscono per fornire elementi conoscitivi verificati e possibili interpretazioni ad operatori politici ed economici. Le strutture e le attività dell’ISPI sono aperte alle collaborazioni e coinvolgono sia studenti che rappresentanti del mondo politico, sia esponenti della cultura che amministratori della P.A., non tralasciando rappresentanti delle organizzazioni internazionali, del cosiddetto Terzo settore e della business community. Per quanto le attività di ricerca dell’ISPI coprano più ambiti disciplinari, l’impostazione metodologica, le modalità operative e alcuni modelli analitici sono quelli delle attività diplomatiche. Non è un caso, infatti, che l’ISPI sia uno dei principali centri di formazione degli aspiranti alla carriera diplomatica. Dai percorsi di formazione e dai corsi di preparazione al concorso diplomatico organizzati dall’ISPI proviene oltre venti per cento degli ammessi alla carriera diplomatica. I convegni e le tavole rotonde organizzate dall’ISPI sono generalmente aperte al pubblico e coinvolgono accademici, diplomatici, militari, politici e specialisti dei temi trattati, ai quali si aggiungono molti giovani che desiderano lavorare nelle organizzazioni internazionali. Notevole l’impegno dell’Istituto nell’ambito della formazione, che coinvolge studenti universitari e giovani laureati su percorsi di approfondimento e di specializzazione. L’ISPI stima che ogni anno siano oltre millecinquecento gli studenti coinvolti nelle attività formative e oltre ventimila gli spettatori che partecipano agli eventi. Il secondo ente di ricerca riconosciuto a livello internazionale è l’Istituto Affari Internazionali (IAI). Fondato nel 1965 su iniziativa di Altiero Spinelli, nel 1980 gli è stata riconosciuta la natura giuridica di “ente morale”. Lo IAI, dal punto di vista giuridico, è un’associazione culturale senza fini di lucro e ha sede a Roma presso Palazzo Rondinini, nel quale si svolgono le principali attività pubbliche organizzate dall’ente. La struttura è diretta da un Presidente e da un Direttore, affiancati da un Comitato Direttivo e da un Comitato Esecutivo, che approvano i programmi e le attività di ricerca istituzionali, seguendone lo sviluppo e la diffusione dei risultati. Al finanziamento dello IAI concorrono i soci, che possono essere sia persone fisiche che persone giuridiche, sia enti pubblici che soggetti privati. Lo IAI promuove la conoscenza delle questioni internazionali a livello di politica estera, di economia e di sicurezza attraverso ricerche, conferenze, pubblicazioni e attività formative, alle quali partecipano circa trenta ricercatori, che si occupano di sviluppare pubblicazioni ed eventi. Lo IAI organizza i ricercatori e i collaboratori, strutturandoli in gruppi di

ricerca e valorizzando partnership con altri think tank internazionali. Lo IAI riserva da sempre particolare attenzione all’analisi politico-strategica del contesto euroatlantico, ambito nel quale l’ente impegna una parte consistente delle sue strutture al fine di promuovere il ruolo internazionale dell’Italia. Per questo motivo, le aree geografiche interessate dalle attività dello IAI sono quelle più sensibili alle politiche del nostro Paese e quindi sono oggetto di ricerca l’area dei Balcani, quella del bacino del Mediterraneo, l’area mediorientale e il sistema geopolitico intercontinentale russo. Lo IAI, inoltre, analizza le politiche transatlantiche, valorizzando sia i temi relativi all’evoluzione delle strutture e degli obiettivi dell’Alleanza Atlantica sia quelli relativi ai sistemi economici e commerciali dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Il terzo ente di ricerca, che assume rilevanza secondo le impostazioni della presente ricerca, è il Centro Studi Internazionali (CeSI). Fondato nel 2004 su iniziativa di Andrea Margelletti ha sede a Roma, dove sono realizzate buona parte delle attività di ricerca, delle iniziative formative e delle attività di divulgazione, proposte dall’ente. Obiettivo delle attività del CeSI è quello di fornire chiari indirizzi interpretativi per le più opportune valutazioni dei committenti pubblici e privati sui temi della politica estera e della sicurezza. In questo senso, il CeSI orienta le attività di ricerca a livello metodologico per offrire analisi immediatamente fruibili, redatte con la più breve tempistica e con la massima chiarezza espositiva. Punto di forza dichiarato dell’ente è l’aggiornamento costante, tempestivo e dinamico delle ricerche effettuate sui fenomeni internazionali attenzionati, allo scopo di consentire ai fruito ri di acquisire gli elementi conoscitivi più rilevanti per comprendere le dinamiche internazionali dei fenomeni in atto. Le attività del CeSI sono rivolte, in particolare, allo studio delle dinamiche di politica interna ed internazionale dei Paesi di maggior interesse per l’Italia. L’approccio dell’ente è dichiaratamente orientato all’interazione con tutti i soggetti, pubblici e privati, riconosciuti e non riconosciuti a livello internazionale, che agiscono nell’area geografica del Medio Oriente, dei Paesi del Sud del Mediterraneo, dell'Asia e dei Balcani. Il CeSI si occupa anche di temi trasversali come la sicurezza e la difesa, il terrorismo, il controterrorismo e l’intelligence. Il Centro, rispetto agli altri think tank italiani che si occupano di politica estera, rivendica un tratto operativo peculiare: la capacità di interloquire e di mantenere canali di comunicazione con tutti gli attori coinvolti nei rapporti internazionali n elle aree geografiche di riferimento. Il CeSI, infatti, afferma di curare e di coinvolgere nella attività di studio e ricerca sia soggetti statali che non statali, coltivando relazioni

costanti anche con missioni in loco, che consentono agli studiosi e agli analisti coinvolti nelle attività dell’ente di entrare in contatto con le realtà locali e di trasferire le esperienze maturate ai committenti. Secondo il CeSI questa tipologia di approccio all’analisi sul campo favorisce una visione più chiara di contesti e movimenti in aree sensibili. Fatta questa ricognizione sui tre enti di ricerca italiani più conosciuti a livello internazionale e impegnati in analisi e ricerche in materia di Studi Strategici, è doveroso fare presente che in Italia operano anche altri enti, che, per quanto non abbiano ancora raggiunto l’autorevolezza di ISPI, IAI e CeSI, sono impegnati in attività di ricerca, formazione e divulgazione in ambiti scientifici contigui a quelli degli Studi Strategici. È il caso l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (ISAG), fondato nel 2010 e riconosciuto dal MAECI, che si occupa di sicurezza e politica internazionale secondo i paradigmi scientifici della geopolitica. L’ente si presenta come un tipico think tank, organizzando gruppi di ricercatori, coinvolgendo studenti, pubblicando monografie e una rivista e stabilendo rapporti di collaborazione con enti accademici per offrire formazione specialistica sui temi della geopolitica e della sicurezza internazionale. Un altro ente è l’Institute for Global Studies (IGS), fondato nel 2005, che si occupa di ricerca e formazione in materia di Relazioni Internazionali e di Studi Strategici. Le ricerche e le analisi proposte hanno una precisa connotazione geopolitica, rivolgendo particolare attenzione al Medio Oriente e all’Africa orientale subsahariana, aree di costanti rischi per gli equilibri della sicurezza internazionale e, quindi, anche per gli interessi nazionali italiani. L’IGS, come gli altri think tank italiani, si apre alle collaborazioni con altri enti e centri di ricerca e imposta e realizza attività di formazione e di alta consulenza per committenti pubblici e privati, interessati agli sviluppi delle dinamiche politiche, economiche e di sicurezza strategica delle aree geografiche di proprio interesse. L’IGS, inoltre, pubblica i risultati delle attività di ricerca con la propria casa editrice, che stampa anche pubblicazioni periodiche. Come si può osservare gli indirizzi istituzionali e scientifici di questi enti sono sicuramente orientati alla produzione di analisi e ricerche, prodotti editoriali e attività formative di livello. Per il fatto di essere realtà pienamente operative soltanto da pochi anni, non hanno probabilmente ancora raggiunto la mole di contributi e di interventi necessaria per accreditarsi a livello internazionale ed essere rilevati a livello di ranking da programmi di ricerca, come il citato Think Tanks & Civil Societies

Program. In alcuni casi, anche la circostanza di avere siti internet non tempestivamente aggiornati o la scarsa disponibilità di pubblicazioni liberamente consultabili contribuiscono a una non adeguata conoscenza delle strutture. Per concludere questa disamina sugli enti di ricerca italiani è altrettanto doveroso fornire una puntualizzazione. La realizzazione di un ottimo sito internet, la piena disponibilità dei contributi offerti e il pregio delle analisi non sono sufficienti a qualificare scientificamente una produzione rivolta alla divulgazione o all’approfondimento di tematiche contigue agli Studi Strategici. È il caso, per esempio, di uno dei più autorevoli, aggiornati e conosciuti magazine on-line: Analisi Difesa. Fondato e curato dallo studioso Gianandrea Gaiani, il sito raccoglie e seleziona notizie provenienti da agenzie, media e uffici stampa, qualificandosi espressamente come una testata giornalistica, regolarmente registrata. Per quanto le analisi offerte non siano oggetto di approfondimenti a livello scientifico e metodologico, non c’è dubbio che la qualità delle proposte trattate con un taglio giornalistico sia di notevole livello, riflettendo lo spessore professionale e culturale dei collaboratori. Probabilmente se la redazione intendesse cimentarsi in rielaborazioni delle informazioni divulgate con approfondimenti tematici, seguendo metodologia e criteri scientifici, sarebbe difficile non riconoscere in questa produzione le qualità che distinguono gli articoli da un report o da un policy brief.

3.2 Attività e produzione degli enti di ricerca italiani

Gli enti ricerca italiani, assimilabili ai maggiori think tank internazionali, con una produzione valutata a livello internazionale e accreditati tra i maggiori enti di ricerca al mondo sono soltanto tre, anche se, come si è avuto modo di puntualizzare non sono le uniche realtà strutturate a condurre attività di analisi e divulgazione in tema di Studi Strategici.

A distinguere queste realtà dalle altre contribuiscono sia l’esperienza pluriennale che i rapporti istituzionali. Questi elementi da soli non sono sufficienti per l’accreditamento a livello internazionale. L’Istituto Studi e Ricerche Difesa (ISTRID), ad esempio, fu fondato a Roma nel 1979 e, all’epoca, rappresentò una delle iniziative più coraggiose e trasversali in tema di politiche italiane per la difesa e la sicurezza. La fondazione dell’ISTRID fu, infatti, promossa da quattro uomini politici di maggioranza e di opposizione - il democristiano Zamberletti, il repubblicano

Bandiera, il socialista Battino Vittorelli e il comunista D’Alessio - che riportarono i temi della sicurezza nazionale e del riarmo al centro dell’azione parlamentare. Per

quanto l’ente sia stato prestigioso e abbia contribuito alla definizione delle politiche del Paese in termini di difesa e sicurezza, oggi non è recensito a livello internazionale e, per quanto sia presente sul web con un sito internet, non rende accessibili le attività che realizza. Considerazioni analoghe possono essere rivolte agli altri due enti, presenti sul web, che si occupano di materie strategiche: l’Intelligence Culture and Strategic Analysis (ICSA) e l’Istituto Italiano Studi Strategici “Machiavelli” (IISS). Questi Istituti nascono con propositi ambiziosi e con l’effettiva possibilità di accreditarsi come enti d’eccellenza in ambito di Studi Strategici. Le strutture, infatti, sono sostenute da collaborazioni e comitati scientifici di assoluto valore, tuttavia non concorrono alla formulazione di proposte interpretative condivise, non intervengono apertamente nei dibattiti sulle questioni internazionali né divulgano i risultati delle attività di ricerca. È evidente, quindi, che l’accreditamento internazionale dei think tank italiani, oggetto di questa disamina, è frutto sia di continuità nella produzione di ricerche e analisi sia di accorte e tempestive attività di divulgazione. Queste possono indirizzarsi esclusivamente a un pubblico specializzato di decisori politici ed esperti, ma i risultati dovrebbero essere accessibili anche al pubblico sia per la crescita culturale dei cittadini sia per alimentare il confronto con altre realtà accademiche, istituzionali o semplicemente concorrenti, che, a loro volta, contribuiscono alla crescita scientifica dei ricercatori e delle strutture coinvolte. È in questo senso che si possono apprezzare l’impostazione metodologica e scientifica, le attività di analisi e di ricerca, le attività formative e di divulgazione degli enti di ricerca italiani accreditati a livello internazionale. Cominciando dalle attività e dalla produzione dell’ISPI, un’osservazione preliminare riguarda l’ampiezza delle aree d’interesse. L’Istituto, infatti, si occupa di numerosi temi, tra i quali anche quelli della difesa e della sicurezza, ma si qualifica soprattutto come soggetto di riferimento per le imprese e le istituzioni pubbliche e private che intendono ampliare il proprio raggio d’azione all’estero. Per quanto sia notevole anche la partecipazione ai network internazionali - ricordiamo che l’Istituto rappresenta l’Italia al T20 summit, al quale partecipano i più importanti think tank dei Paesi del G20 -, è nella strutturazione delle attività di ricerca che si può rinvenire uno dei pilastri dell’autorevolezza e del successo internazionale dell’ISPI. Come si è già avuto modo di osservare, l’oggetto delle attività di ricerca dell’ISPI è l’analisi delle dinamiche politiche, strategiche ed economiche del sistema internazionale . I risultati delle ricerche hanno l’obiettivo di informare e di orientare scelte di policy sia

pubbliche che private e sono oggetto di divulgazione attraverso pubblicazioni ed eventi. La ricerca ISPI, focalizzata su tematiche di particolare interesse per l’Italia e le sue relazioni internazionali, persegue due principali filoni: i programmi geografici e i programmi tematici. Per quanto riguarda i cosiddetti Geographical Program, l’ISPI ha individuato alcune aree geopolitiche particolarmente sensibili per gli interessi del Paese: Africa, Asia, Europa, America Latina, Mediterraneo e Medio Oriente, Russia, Caucaso e Asia Centrale. A queste aree geografiche l’ISPI affianca i trasversali Thematic Program, attraverso i quali si approfondiscono analisi e ricerche sui temi della radicalizzazione e del terrorismo internazionale, dell’energia, della sicurezza e degli studi strategici. Secondo gli ambiti di ricerca dei Geographical e Thematic Program sono strutturati i team di ricerca dell’ISPI, che coinvolgono circa cinquanta studiosi ed esperti provenienti da ambiti accademici e non accademici, a loro volta organizzati gerarchicamente secondo il grado di esperienza maturato nel settore. Abbiamo quindi le figure di Research coordinator, Senior research, Research fellow, Research assistant, Associate research fellow e Scientific advisor, che riflettono l’organizzazione dei gruppi di ricerca delle università anglosassoni, dove alla figura del coordinatore (responsabile del team e dell’indirizzo metodologico delle attività scientifiche) si affiancano ricercatori senior con esperienza, ricercatori assistant con PhD e minore esperienza scientifica, alcuni fellow, cioè cultori della materia (sia strutturati all’interno del team che semplicemente associate) e consulenti scientifici. Dei circa cinquanta studiosi che collaborano alle attività dell’ISPI, con minime sovrapposizioni, quelli coinvolti nei team dei Geographical Program sono due per quello sull’America Latina, tre per quello sull’Asia, quattro per quelli sull’Asia e sulla Russia, sul Caucaso e sull’Asia Centrale. Otto sono i ricercatori che lavorano nel team che si occupa dell’Europa, mentre sono dodici quelli coinvolti nel gruppo di ricerca sul Mediterraneo e sul Medio Oriente. Nell’ambito dei Thematic Program sono dodici i ricercatori che si occupano del team Energy, tre quelli che lavorano sulla radicalizzazione e sul terrorismo internazionale e altri tre quelli che lavorano nel team indirizzato specificamente alla ricerca in ambito di Security and Strategic Studies. L’ISPI dedica alla cura editoriale dei prodotti di ricerca un apposito staff, composto da quattro collaboratori, ai quali si aggiunge un responsabile per il coordinamento dei report. Alla redazione del volume annuale dell’Atlante Geopolitico, edito

dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, e al sito internet tematico, ospitato sul portale dell’Enciclopedia, sono impegnati quattro ricercatori, mentre per istant events e per le international lectures sono impegnati tre ricercatori. Quanto ai prodotti di ricerca editi e diffusi dall’ISPI, le pubblicazioni seguono a grandi linee la categorizzazione dei prodotti di ricerca dei think tank internazionali e sono le seguenti: Dossier, Report, Commentary, Focus e Fact Checking, Analysis, Policy Brief, Working Paper, che, a seconda degli argomenti, costituiscono prodotti d’interesse del Parlamento italiano, dei quali si tratterà più avanti, e del MAECI. Alla strutturazione dei team di ricerca, l’ISPI affianca una solida rete di partner, che contribuiscono alla solidità scientifica e agli scambi disciplinari per la realizzazione di analisi e ricerche. Oltre alle collaborazioni istituzionali, come, per esempio con la Commissione Europea, il Parlamento europeo e numerose agenzie delle Nazioni Unite, l’ISPI partecipa a un esteso network di università e istituti di ricerca. Tra questi, a livello internazionale, sono presenti il Consejo Argentino para las Relaciones Internacionales (CARI), il Carnegie Endowment for International Peace (CEIP), il Centro EU-Russia di Bruxelles, il Royal Institute of International Affairs (CHATHAM HOUSE), il Netherlands Institute of International Relations (CLINGENDAEL), il Deutsche Gesellshaft für Auswärtige Politik, l’Eastern Institute polacco, lo European Policy Centre di Bruxelles (EPC), il Club de Monaco (IEPM), l’Institut für Europäische Politik (IEP), l’Institut Français des Relations Internationales (IFRI), il greco International Center for Black Sea Studies (ICBSS). Tra quelli italiani sono presenti l’Istituto Affari Internazionali (IAI), il Centro Studi Americani di Roma (CSA), il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), il Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI) e il Centro Studi della Camera dei Deputati. Quanto alle attività di divulgazione, l'ISPI si presenta come “il think tank internazionalistico italiano più strutturato per l'organizzazione di eventi”. L’Istituto, infatti, oltre a occuparsi di ricerca, promuove l'informazione e il dibattito sulle tematiche internazionali di maggiore attualità, coinvolgendo accademici, imprenditori, giornalisti e studenti, che hanno modo di confrontarsi con esperti, rappresentanti di governo, diplomatici e funzionari di organismi internazionali, provenienti da tutto il mondo. Ogni anno l’ISPI organizza oltre cento eventi tra conferenze, tavole rotonde, incontri, forum, instant event, international lectur e lunch talk, che coinvolgono oltre quattrocento relatori. Notevole anche l’impegno dell’Istituto a livello formativo. Da oltre sessant’anni, l’ISPI si occupa di formazione in ambito internazionale, l’attuale offerta prevede, tra gli

altri, corsi di Master, programmi intensivi con il rilascio di Professional Certificate, Winter e Summer School, giornate di orientamento sulle carriere internazionali, corsi intensivi di preparazione alle carriere nelle Istituzioni europee, percorsi formativi specifici e corsi di lingua. Alle attività formative partecipano accademici, esperti, funzionari internazionali e operatori delle ONG, che assicurano un approccio interdisciplinare e concreto a tematiche internazionali come Sviluppo e Cooperazione, Diplomazia, Affari Europei, Emergenze e Interventi Umanitari, Geopolitica. Il secondo ente italiano di ricerca, individuato per le finalità del presente studio , è l’Istituto Affari Internazionali di Roma. Lo IAI indirizza le sue attività istituzionali su tre direttrici: la ricerca, i convegni e la formazione. I settori tematici interessati sono: le istituzioni e le politiche dell'Unione Europea, l’Europa nel mondo, l’Asia, la Turchia e vicini orientali, la sicurezza, la difesa e lo spazio, i rapporti transatlantici, il Mediterraneo e il Medio Oriente, l’economia politica internazionale, l’energia e il clima, la politica estera dell'Italia. L’impostazione dello IAI è di alto profilo scientifico e la compagine dei gruppi di ricerca, così come quelle dell’ISPI, si presenta come una vera e propria struttura accademica. Dal 1965 l’Istituto dispone anche di una biblioteca - aperta anche al pubblico - specializzata sui temi di ricerca, il cui patrimonio si è arricchito nel tempo e che, oggi, comprende oltre ventisettemila volumi e raccoglie le uscite di oltre cento pubblicazioni periodiche. Per quanto riguarda la ricerca, lo IAI imposta un programma annuale che prevede la realizzazione di circa cinquanta progetti, un terzo dei quali finanziati con risorse dell’Unione Europea. All’attività di ricerca seguono le attività di divulgazione Gli esiti dei progetti di ricerca sono diffusi attraverso quasi un centinaio di convegni, sia in Italia che all’estero, che coinvolgono specialisti del settore, policy maker, studenti e cultori della materia. Le strutture dello IAI sono indirizzate anche alla formazione dei giovani internazionalisti, che partecipano alle attività dell’Istituto attraverso programmi di tirocinio e borse di studio. Per quanto riguarda le strutture di ricerca, anche lo IAI riprende l’organizzazione dei gruppi secondo impostazioni accademiche ma, a differenza dell’ISPI, indica la posizione dei partecipanti ai team in italiano: coordinatore d’area o di progetto, ricercatore, ricercatore associato, consigliere scientifico. I gruppi sono organizzati secondo i temi di ricerca e sono i seguenti: Asia; Economia politica internazionale; Energia, clima e risorse; Europa nel mondo; Mediterraneo e Medio Oriente; Politica

estera italiana; Rapporti transatlantici; Sicurezza, difesa, spazio; Turchia e Vicini orientali; UE, politica e istituzioni. Lo staff complessivo dedicato alla ricerca è composto da oltre quaranta ricercatori, includendo anche i direttori d’area o di progetto. Circa un terzo degli studiosi copre più di un’area d’interesse. In particolare, si evidenzia che l’Istituto impegna sette ricercatori nei team Asia ed Europa nel mondo, mentre sono otto quelli impegnati nei gruppi Economia politica internazionale ed Energia, clima e risorse. Sei sono gli studiosi che partecipano al team Europa nel mondo, mentre sono quattro quelli impegnati nel team Turchia e Vicini orientali. Se le risorse assegnate stabilmente ai team Politica estera italiana e Rapporti transatlantici, sono rispettivamente uno e due, di assoluto rilievo il numero dei ricercatori assegnati al team Sicurezza, difesa, spazio, che sono ben quattordici. Lo IAI diffonde gli esiti delle ricerche con diverse pubblicazioni. L’Istituto pubblica in inglese alcuni interventi sui principali temi che interessano le aree geografiche dell’Europa, del Mediterraneo e del Medio Oriente sulla prestigiosa rivista trimestrale internazionale The International Spectator, edita dalla casa editrice Routledge del gruppo Taylor & Francis Journals. Inoltre, lo IAI con la collaborazione del Torino World Affairs Institute (TWAI) cura una rivista bimestrale on-line di analisi e informazione socio-economiche sulla Cina: OrizzonteCina. Un’altra pubblicazione periodica on-line dello IAI è AffarInternazionali, che sviluppa le tematiche di politica, strategia ed economia e pubblica articoli sulle aree geografiche dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia, delle Americhe, del Mediterraneo e del Medio Oriente e sui temi delle relazioni transatlantiche, del diritto internazionale, dell’economia, dello sviluppo, dell’energia, dell’immigrazione, della politica estera italiana, della sicurezza e della difesa. Accanto a queste pubblicazioni l’Istituto diffonde brevi monografie tematiche, che trattano questioni di politica, di economia e di diritto internazionale, i Quaderni IAI e gli IAI Research Paper. Sia i Quaderni che i Research Paper sono brevi monografie realizzate per la promozione di dibattiti sui problemi e sulle tendenze emergenti nelle relazioni internazionali o su questioni di politica internazionale di particolare attualità. Per i lavori dei convegni e dei gruppi di ricerca l’Istituto licenzia alcuni documenti di lavoro, non reperibili a livello commerciale, i Documenti IAI e gli IAI Working Paper. In particolare, i Documenti di lavoro comprendono atti di convegni, rapporti e documenti di ricerca e trovano collocazione nel catalogo della biblioteca dell’Istituto, mentre i Working Paper, frutto

del lavoro svolto nell’ambito dei progetti di ricerca, presentano analisi dettagliate di temi d’attualità italiana, europea e internazionale. Le attività di ricerca dello IAI sono sviluppate in collaborazione con enti di altri Paesi, sia a livello bilaterale che a livello di reti internazionali. In particolare, l’Istituto partecipa ai network: Council of Councils, D-10 Strategy Forum, Euro MeSCo, European Policy Institutes Network (EPIN), European Security Forum, European Think-tank Network on China (ETNC), New-Med, Security Research in Italy (SERIT), T20, TEPSA. Lo IAI non ha strutturato percorsi formativi di livello accademico come quelli presentati dall’ISPI, tuttavia l’Istituto cerca il coinvolgimento degli studenti universitari sia offrendo loro possibilità di stage che la collaborazione per lo sviluppo di tesi di laurea sugli argomenti attinenti ai temi trattati dai team di ricerca dell’ente. Passando al CeSI, terzo ente italiano analizzato ai fini del presente studio, il dato più eclatante e di immediata lettura è quello del suo accreditamento a livello internazionale a pochi anni dalla sua istituzione, che risale soltanto al 2004. Ancora più sorprendente è la copertura data ai temi di ricerca, che, ricordiamo, sono incentrati a livello geografico sulle dinamiche di politica interna ed internazionale dei Paesi di maggior interesse per l’Italia, e quindi Africa e Medio Oriente, Asia e Balcani e a livello tematico sulla sicurezza e sulla difesa, sul terrorismo, sul controterrorismo e sull’intelligence, con un team di ricerca estremamente ridotto. Oltre al Presidente, infatti, l’ente conta sull’attività strutturata di soli cinque analisti, coadiuvati da cinque collaboratori, impegnati nelle attività di comunicazione e di amministrazione dell’ente. La produzione di una struttura così agile è degna di nota. Il CeSI realizza e pubblica analisi, report e articoli di tipo giornalistico e, anche se l’ente si apre a collaborazioni esterne, è indiscutibile che il numero di attività di una struttura così recente e così ridotta siano assolutamente rilevanti. Il CeSI divulga numerosi prodotti di ricerca sulle tematiche d’interesse, realizzati in tempi estremamente contenuti con un approccio analitico sintetico quanto rigoroso. A livello geografico, le attività di ricerca del CeSi coprono: l’Africa; l’America Latina; l’Asia e il Pacifico; l’Europa; il Medio Oriente e il Nord Africa; Russia e Eurasia; Stati Uniti. A livello tematico i programmi di analisi riguardano la Geoeconomia, gli Affari militari e il Terrorismo. Lo scopo, come dichiarato sul sito web dell’ente, è quello di fornire ai committenti “il punto di situazione richiesto per averne una immediata e diretta fruibilità” .

Il Centro diffonde Focus Report, Brief Review e Geopolitical Weekly Note, inoltre pubblica contributi relativi alle aree di crisi sul mensile RD Difesa e, in collaborazione con il MAECI e con il Center for Study of Terrorism dell’Università di Roma Tor Vergata, partecipa alla realizzazione dell’Osservatorio Terrorismo, al quale fornisci contribuiti, che rende disponibili in un sito web, collegato al proprio portale. Il CeSI, insieme all’ISPI e allo IAI, partecipa alle iniziate dell’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano. Elevato anche l’impegno del CeSI nella divulgazione delle attività di ricerca. Il Centro organizza eventi in collaborazione con le Istituzioni parlamentari, il MAECI e ospiti internazionali, curando anche la presentazione dei risultati delle analisi realizzate e delle pubblicazioni edite. Il CeSI è impegnato anche nella formazione, che comprende tirocini, collaborazioni e percorsi didattici strutturati come il Corso di Analisi in Geopolitica, Sicurezza e Difesa. Con i tirocini l’ente offre, a laureandi e a neo-laureati, formazione sui temi della geopolitica, prevedendo anche uno specifico percorso format ivo per trasmettere agli stagisti le basi metodologiche dell’analisi politica e della raccolta di informazioni. Il tirocinio, all’esito della formazione, prevede la partecipazione degli stagisti alla stesura di brief report e all’organizzazione di conferenze, workshop e briefing. Per quanto riguarda le collaborazioni esterne, il CeSI valuta proposte di collaborazione a titolo gratuito per la stesura di analisi in riferimento a temi specifici, riguardanti: le aree geografiche dei Balcani, i Paesi dell’ex Unione Sovietica, l’Europa, l’Africa sub-sahariana, il Desk Nord Africa e il Medio Oriente, l’Asia. L’obiettivo dell’apertura a collaboratori esterni è quello di sviluppare temi specifici, da inserire tra i brief report. Particolare attenzione è riservata alle proposte di collaborazione in ambito di Affari militari, per i quali il CeSI intende sviluppare linee di ricerca sui nuovi equilibri della NATO, sulle prospettive del processo d'integrazione militare della Difesa europea e sugli strumenti militari nei Paesi dell’Africa Sub-Sahariana. Con il corso di Analisi in Geopolitica, Sicurezza e Difesa, il CeSI intende formare i partecipanti sulla metodologia e sull’applicazione dell’analisi in ambito geopolitico, oltre che sui temi della sicurezza e della difesa, riferiti agli interessi strategici italiani. Il percorso formativo modulare e con specifiche attività di approfondimento offre gli strumenti per l’elaborazione delle informazioni politiche, economiche e sociali per indirizzare scelte strategiche, sia a livello istituzionale che privato. L’approccio

didattico prevede lezioni, esercitazioni e lecture, cioè interventi di alti rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze Armate, dell’industria della difesa, del giornalismo e del Terzo settore, dai quali i partecipanti ricevono contributi sull’applicazione pratica delle metodologie e delle dinamiche apprese nei moduli teorici.

4. Gli enti di ricerca strategica italiani, le missioni militari e l’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano

4.1 Gli enti di ricerca italiani e i riferimenti alle missioni militari all’estero

Passando a considerare i contributi di ISPI, IAI e CeSI in materia di Studi Strategici è opportuno analizzare in via preliminare la produzione scientifica complessiva di questi enti nell’ambito dell’impegno militare italiano all’estero. Come si è potuto osservare in precedenza, queste strutture si occupano di tematiche diverse e utilizzano molteplici approcci disciplinari, rispetto ai quali le materie riconducibili all’ambito militare sono decisamente minoritarie. Le strutture sono, infatti, fortemente indirizzate all’analisi delle Relazioni Internazionali e si occupano di studiare aree geografiche specifiche nel tentativo di definire i rischi per gli interessi dello Stato italiano. Gli indirizzi di ricerca sono, quindi, prevalentemente orientati agli aspetti della sicurezza nazionale e agli equilibri delle politiche internazionali, rispetto ai quali l’impiego delle Forze Armate assumerebbe un valore meramente strumentale, anche se tutti gli enti includono tra i temi di ricerca una o più aree contigue alla materia della difesa.

Cominciando dalla produzione dell’ISPI, come si è già evidenziato, l’Istituto sostiene un gruppo di ricerca sui Security and Strategic Studies composto da tre ricercatori, un Associate Senior Research Fellow e due Associate Research Fellow, ai quali si aggiunge un Assistant Research Fellow. Per risorse impegnate è uno dei più contenuti tra i gruppi di ricerca dell’ISPI, la cui vocazione è fortemente legata all’analisi delle politiche internazionali e della politica estera italiana dal punto di vista diplomatico. Il gruppo Security and Strategic Studies è impegnato in attività di analisi e ricerca articolate su tre ulteriori sotto-programmi: United Nations and

European Common Security and Defense Policy, Nato and Transatlantic Relations,

US Foreign and Defense Policy. I prodotti di questo gruppo di ricerca, riferiti agli ultimi tre anni, sono soprattutto commentary, anche se non mancano i report, qualche dossier e diverse analysis. Risalendo alla produzione degli ultimi cinque anni emergono numerosi policy brief e un’apparente interruzione nelle attività della ricerca tra il 2009 e il 2013. Oltre il 2009 non è stata effettuata un’ulteriore ricognizione del materiale, in considerazione dei mutamenti sostanziali intervenuti negli scenari internazionali.

Ciò che emerge dall’analisi della produzione disponibile sul sito è la propensione a realizzare note analitiche sulle relazioni internazionali, sulle minacce terroristiche,

sulle politiche militari di alcuni Paesi e sulle relazioni transatlantiche. Per avere a disposizione materiali specifici sulle politiche militari italiane e sulle missioni all’estero è necessario fare una ricerca più estesa, che, però, restituisce materiali piuttosto datati. Tra questi il più rilevante è un ISPI Studies, cioè una serie di interventi raccolti nel settembre 2012, dal titolo L'Italia fra nuove politiche di difesa e impegni internazionali che comprende: il commentary di Andrea Carati, dal titolo La politica di difesa italiana di fronte ai cambiamenti in ambito Nato, Ue e della leadership americana; il policy brief di Fabrizio Coticchia, dal titolo Qualcosa è cambiato? L'evoluzione della politica di difesa italiana tra esigenze di riforma e nuovi scenari strategici; l’analysis di Valter Coralluzzo, intitolata Le missioni italiane all’estero: problemi e prospettive; l’analisys in inglese di James Sperling, intitolata Taken for Granted or not Taken Seriously? American Perceptions of Italy as a Foreign Policy Actor. La materia trattata nei lavori appena citati è stata oggetto di un evento, tenutosi presso la Camera dei Deputati e sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, dal titolo Il ruolo dell’Italia nelle missioni internazionali. Ai lavori dell’incontro del 2012 hanno partecipato anche il Presidente e alcuni responsabili dei gruppi di ricerca dello IAI, che hanno contribuito all’evento, moderando le sessioni di lavoro e gli interventi dei numerosi docenti universitari e delle alte personalità politiche e militari intervenute. Per quanto riguarda lo IAI, è da sottolineare che l’Istituto ha uno specifico programma in tema di “Sicurezza, difesa, spazio”, particolarmente strutturato. A capo del team è presente un responsabile di programma, al quale si affiancano tre consiglieri scientifici, tre responsabili di ricerca, un ricercatore, un ricercatore associato e cinque assistenti alla ricerca. Il Programma sviluppato dall’Istituto si propone di analizzare le politiche adottate dalle Istituzioni nazionali ed internazionali negli ambiti della sicurezza e della difesa, settori che hanno occupato lo IAI sin dal 1967. Gli esperti del team hanno studiato, in particolare, le dinamiche di sviluppo e ricerca dell’industria bellica, le ricadute tecnologiche sugli sviluppi operativi militari e sulla sicurezza civile e le interazioni politico-strategiche nel contesto euroatlantico. L’approccio degli studiosi in materia è multidisciplinare ed è rivolto agli aspetti politici, economici, tecnici, operativi e strategici dei temi della sicurezza interna e internazionale, delle politiche di difesa dell’Italia e degli altri Paesi dell’Unione Europea, con particolare attenzione alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), alle politiche militari della NATO e alla sicurezza euro-atlantica. Il Programma, realizzato dallo IAI, si occupa anche delle politiche spaziali italiane ed

europee e dell’industria aerospaziale, temi sui quali collabora con altri enti di ricerca statunitensi e comunitari. La produzione dello IAI nell’ambito del Programma “Sicurezza, Difesa, Spazio” è ragguardevole. Negli ultimi cinque anni sono stati pubblicati diversi research paper, realizzati sui temi delle tecnologie militari, sulla sicurezza internazionale e delle aree geopolitiche a rischio. Nello stesso periodo sono stati diffusi circa dieci “Quaderni IAI”, incentrati sui temi delle tecnologie aeronautiche e spaziali, della sicurezza in Italia e nel Mediterraneo, dei pericoli del mondo cyber. Molto più numerosi i working paper, i documenti e i commentary che sviluppano analisi sui temi della difesa e della sicurezza, ma anche per lo IAI valgono le considerazioni fatte per l’ISPI: negli ultimi cinque anni non sono state svolte attività di ricerca indirizzate in tema di attività delle Forze Armate italiane all’estero. Per quanto riguarda il CeSI, come si è osservato, la produzione di analisi e documenti copre una notevole varietà di temi, tra questi gli “Affari militari” sono soltanto uno dei dieci programmi di ricerca del Centro. L’ente ha diffuso numerose analisi e ricerche dedicate sia a questioni di sicurezza e difesa che a temi di politiche militari, tra queste non sono presenti trattazioni specifiche, relative alle missioni militari all’estero.

4.2 Gli enti di ricerca italiani e i contributi all’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano

Per quanto non sia stato possibile avviare un confronto con i decisori politici in ordine all’utilizzo e all’apprezzamento dei prodotti della ricerca strategica forniti dagli enti italiani, i risultati delle analisi riportati nel Global Go To Think Tank Index rispecchiano gli indirizzi di un’iniziativa promossa nel 2008 dalla Camera dei Deputati, dal Senato della Repubblica e dal MAECI: l’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano. Il progetto dell'Osservatorio di politica internazionale raccoglie le analisi e gli interventi dei think tank italiani più conosciuti a livello internazion ale, così come indicizzati dal GGTTI. All’iniziativa, quindi, partecipano l’ISPI, lo IAI e il CeSI, ai quali si aggiunge il Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI). L’Osservatorio raccoglie le analisi e le ricerche prodotti da questi enti di ricerca per fornire consulenze sui principali eventi e sulle tendenze degli scenari internazionali, sulle tematiche di interesse per la politica estera dell’Italia. Generalmente, i prodotti proposti non realizzano sintesi tra i diversi apporti, ogni ente conferisce risultati,

secondo il proprio approccio o secondo la vocazione a un tema specifico. In altri casi, i soggetti coinvolti possono collaborare alla stesura di un documento collettivo, che è formulato per soddisfare una specifica esigenza informativa degli Organi istituzionali e al quale contribuiscono sia con apporti propri che con riflessioni congiunte. Per comprendere la natura dei contributi conferiti all’Osservatorio, avendo già trattato le attività dell’ISPI, dello IAI e del CeSI, è opportuno fornire alcune informazioni sulla struttura e sulle attività di ricerca del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI). Il CeSPI è stato fondato, nel 1978, su iniziativa del Segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, per sostenere la ricerca sui temi della sicurezza europea. Nel 1985 è diventato un’associazione senza fini di lucro, in seguito è stato riconosciuto dal Ministero degli Esteri come ente internazionalistico e ha ampliato gli ambiti di ricerca ai temi dello sviluppo. Il CeSPI, nel corso degli anni, ha esteso le attività di ricerca dalla sicurezza europea e dallo sviluppo ai fenomeni migratori e alle questioni legate all’agenda europea. Il CeSPI pubblica un Focus trimestrale sui temi delle migrazioni, elabora analisi sui temi dello sviluppo e del cambiamento climatico e realizza ricerche policy-oriented indirizzate ai decisori politici e alla società civile, contribuendo al dibattito politico e scientifico sui temi internazionali. Le aree geografiche studiate dai ricercatori del CeSPI sono quelle di maggiore interesse strategico per l’Italia e per la sua proiezione internazionale. Le tematiche principali sono quattro e riguardano gli scenari geopolitici, l’agenda europea, lo sviluppo e le migrazioni. È da notare che il CeSPI ha recentemente rimodulato le aree e le tematiche d’intervento, valorizzando gli interventi geopolitici. Ha presentato anche una nuova versione del sito web, dove è possibile accedere con facilità ai risultati dell’analisi e delle ricerche. Precedentemente, le linee di ricerca del CeSPI erano orientate verso tematiche terzomondiste, privilegiando questioni relative alla pace e alla sicurezza, alla cooperazione internazionale, finanza di sviluppo e alla cooperazione decentrata, alla cooperazione transfrontaliera e allo sviluppo territoriale, alla mobilità umana, al transnazionalismo e al co-sviluppo. Il CeSPI pubblica libri, rapporti, paper e progetti di approfondimento, elaborando analisi e previsioni geopolitiche ed economiche su cinque aree prioritarie per le relazioni internazionali: Russia, Balcani, Bacino Mediterraneo, Africa Sub-sahariana e America Latina. A livello tematico, il CeSPI è impegnato nel confronto con altri centri italiani ed europei al fine di fornire contributi

utili all’elaborazione e all’attuazione delle politiche europee a livello di integrazione, rapporti transatlantici e strategie di sicurezza. Per quanto riguarda i temi dello sviluppo e delle migrazioni analizza: le questioni inerenti ai temi dello sviluppo sostenibile e della lotta alla povertà; le strategie italiane, europee e multilaterali per la cooperazione internazionale; i fattori di spinta dei flussi migratori; le rotte dei migranti; le questioni dell’accoglienza e dell’integrazione a livello di politiche italiane ed europee; l’accompagnamento delle diaspore; il ruolo dei migranti come protagonisti dello sviluppo dei Paesi d’origine. Tornando all’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano, è opportuno sottolineare che quest’iniziativa non è un’autonoma struttura di ricerca, bensì un progetto di collaborazione, al quale sono conferiti i contributi di altri enti, che sono presentati sotto forma di focus, rapporti, approfondimenti e note. I focus sono costituiti da rassegne trimestrali di monitoraggio su aree geografiche e tematiche di interesse prioritario per la politica estera italiana. A loro volta, sono ordinati in quattro serie: Mediterraneo allargato, che, dal 2016, sostituisce la serie Mediterraneo e Medio Oriente; Relazioni transatlantiche, che, dal 2013, continua la serie dei Focus euroatlantici; Flussi migratori; Sicurezza energetica. Le quattro serie di focus raccolgono i contributi tematici del’ISPI in materia di relazioni transatlantiche, quelli dello IAI in materia di energia, quelli del CeSI e dell’ISPI sull’area mediterranea e quelli del CeSPI sui fenomeni migratori. I rapporti sono contributi realizzati con cadenza annuale e trattano temi di rilievo strategico per le relazioni internazionali. Alla redazione di un rapporto può contribuire una delle strutture coinvolte dall’Osservatorio oppure più enti, che collaborano alla redazione di un documento collettaneo. Gli approfondimenti e le note sono contributi tematici su argomenti specifici, sviluppati autonomamente da ciascun ente al quale sono commissionati. I primi sono studi monografici su temi complessi dell’attualità internazionale, le seconde sono schede informative su temi legati all’agenda internazionale. Attraverso la scelta degli enti di ricerca che collaborano all’Osservatorio e alla selezione tematica dei contributi, la struttura parlamentare realizza un’indispensabile attività di informazione e di analisi per i membri delle Camere, raccogliendo contributi scientifici provenienti da soggetti diversi e indirizzati alla fruizione di Organi politici di vertice a livello nazionale. Ai fini dell’argomento trattato si ritengono particolarmente importanti due rapporti, che l’Osservatorio ha diffuso sulle missioni militari italiane all’estero. Si tratta di due

notevoli contributi collettanei, realizzati specificamente per l’Osservatorio, che risalgono al 2010 e al 2011. Le ricerche sono piuttosto datate ma testimoniano l’interesse delle Camere e del MAECI verso questi argomenti, che, a quanto risulta, non sono stati rinnovati nei contenuti negli anni successivi. Allo stesso tempo, questi prodotti mostrano un considerevole impiego delle competenze maturate dagli enti di ricerca coinvolti in ambito di ricerca strategica. Il primo di questi rapporti è suddiviso in quattro parti: ─ Le missioni nel diritto e nella prassi internazionale, realizzata dall’ISPI; ─ La partecipazione italiana alle missioni all’estero: criteri, risorse e capacità, elaborata dallo IAI; ─ I principali contesti geopolitici di intervento, curata dal CeSI; ─ Le relazioni civili-militari nella gestione delle crisi in situazioni post-conflitto, elaborata dal CeSPI. Comune è, invece, la riflessione che precede il documento del 2010. Il secondo rapporto è diviso in due parti e contiene i contributi preparati dallo IAI e dal CeSPI, rispettivamente La Nato dopo l’Afghanistan: Come la missione ISAF ha cambiato presente e futuro dell’Alleanza e L’efficacia dell’impegno civile internazionale in Afghanistan. Questi articolati documenti testimoniano l’attenzione che il Senato, la Camera dei Deputati e il MAECI hanno avuto per il tema della proiezione all’estero delle strutture militari italiane. Considerando i contenuti del già citato ISPI Studies, diffuso nel settembre 2012, sulle nuove politiche di difesa e sugli impegni internazionali dell’Italia, apparentemente, dal 2013 al 2016, questo tema in ambito parlamentare non è più stato seguito con lo stesso approccio. In realtà, per quanto riguarda l’Osservatorio l’attenzione è stata coerente, spostandosi dalla proiezione delle forze militari in ambito di missioni internazionali ai nuovi rischi geopolitici per gli interessi internazionali dell’Italia. Dagli scenari noti del Libano, dell’Afghanistan e dell’Iraq, infatti, l’analisi dei rischi internazionali si è rivolta ad altri ambiti geografici, indirizzandosi verso la Libia e la Siria. In queste aree hanno preso consistenza rischi ad ampio spettro che toccano i temi sensibili del terrorismo islamico, della balcanizzazione del Medio Oriente, dell’indipendenza energetica e della gestione dei flussi di profughi, migranti e rifugiati, che, ad oggi, sono oggetto di costante attenzione a livello politico nazionale e internazionale. Questi problemi, pur sollecitando continuamente gli Organismi

internazionali e le alleanze militari, non sembrerebbero costituire, per il momento, una priorità per l’intervento delle Forze Armate italiane. Per quanto le emergenze umanitarie e i rischi di infiltrazione terroristica sul territorio nazionale abbiano in più occasioni alimentato il dibattito sull’impiego delle strutture militari italiane, i maggiori enti di ricerca, attualmente, sono impegnati nell’analisi dei rischi strategici e delle ripercussioni delle crisi a livello internazionale più che nella valutazione delle missioni realizzate o in corso di svolgimento.

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