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CAPITOLO I

SQUARCIO TEMPORALE: CARICA A POZZUOLO

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Il 29 ottobre 1917, cinque giorni dopo l'attacco austro-germanico su Plezzo-Caporetto, il Regio Esercito italiano, ancora sotto lo shock degli avvenimenti, stava lentamente ritirandosi verso i grandi fiumi Tagliamento e Piave. Gli Austro-Germanièi, anch'essi sorpresi dalle dimensioni prese dal loro attacco, andavano dilagando nella pianura friulana. Le avanguardie della 14a Armata austro-tedesca, potentemente· armate con le nuove rrùtragUatrici 1 portatili, percorrevano ]a direttrice principale di accesso alla pianura veneta. Soldati isolati e reparti sbandati venivano raggiunti e catturati in un'avanzata che sembrava inarrestabile. Colonne e colonne di uomini, donne, soldati, civili, con carri e animali, percorrevano mestamente la stessa direttrice, cercando di fuggire dall'invasore. In mezzo a quell'enorme tragedia la cavalleria italiana, sola, percorreva quella stessa strada in senso inverso. Era l'estrema difesa contro le truppe nemiche. Nel vederla tutti, civili e soldati rimanevano colpiti dalla sensazione di coraggio, onore, riscatto che infondeva. Alla II Brigata di Cavalleria del generale Erno Capodilista, composta dai reggimenti Genova e Novara ,2 era stato affidato il compito di presidiare un piccolo paese, Pozzuolo del Friuli, con lo scopo di irradiare ricognizioni in direzione di Udine e ritardare dove possibile l'avanzata nemica.

La sera del 29 ottobre la Brigata di Cavalleria aveva raggiunto l'obiettivo. Pioveva, ed era una pioggia fredda quella che bagnava uomini e animali. Arrivati al paese, i cavalieri avevano accudito ai loro cavalli. Alle prime luci dell'alba pochi tra loro erano riusciti a riposarsi e, mentre eseguivano i loro compiti, la 7a Divisione rinforzata del generale Ravelli ricevette l'qrdine di contrattaccare per contenere l'avanzata avversaria sul Tagliamento. I fanti della 7a dovevano disporsi su più colonne e impegnare battaglia. La parte orientale dello schieramento della Divisione era costituita dalla Brigata Bergamo, comandata dal colonnello brigadiere Balbi, coi reggimenti 25° e 26°, che, da Santa Maria la Longa per Santo Stefano, Tissano, Lavariano, Pozzuolo e Carpeneto, dovevano tendere a Campoformido. Verso le 11 la Brigata si era attestata lungo la strada Carpeneto-Sclaunicco e alle 11.30 giungeva a Pozzuolo. I fanti presero immediatamente contatto coi cavalieri che dalla sera prima si trovavano là. Il colonnello brigadiere Balbi dispose che i battaglioni II/25° e III/26° costituissero riserva col comando di brigata e che gli altri quattro, guidati dal colonnello Pela gatti, comandante del 26° , proseguissero per Carpeneto, località di attestamento dell'ulteriore avanzata.

Le truppe avevano appena iniziato la loro marcia quando vennero investite da un intenso fuoco. Mentre le mitragliatrici falciavano i] terreno, le bombe scoppiavano tra gli uomini già provati. Gli Austro-Tedeschi erano già padroni di Carpeneto e stavano iniziando un combattimento che sarebbe entrato nella storia. Mentre sulla strada di Carpeneto si moriva, le truppe dell'avanguardia nemica, avanzanti da Terrenzano, attaccavano violentemente Pozzuolo. Lì, bruscamente riportati alla realtà della guerra, si trovavano gli squadroni appiedati ed alcune mitragliatrici. della II Brigata di Cavalleria.3

1 E. ROMMEL, Fanterie all'attacco. Esperienze vissute, Milano, Longanesi, 1972; K KRAfff voN D ELLMENSINGEN, 1917 lo sfondamento dell'Isonzo, a cura di Gianni Piero pan, Milano, M ursia, 1981. 2 La seconda brigata di cavalleria, la sera del 28 ottobre si era raccolta in Trivignano Udinese, verso le ore 10 del giorno 29 ricevette l'ordine di portarsi a Pozzuolo del Friuli. La brigata era composta dal Reggimento Genova (colonnello Bellotti) in testa, seguita dal Reggimento Lancieri di Novara (colonnello Campari) giunta verso le ore 16.30 nei pressi di Sammardencbia venne informata che pattuglie austriache erano state segnalate nei pressi del paese. 1 Nicolò GIACCHI, Il combattimento di Pozzuolo del Friuli nell'ottobre del 1917, su "Nuova antologia", Roma, Bestetti e Tuminelli, 1927.

Ottobre 1917: cavalleggeri e mitraglieri osservano un cavallo colpito a morte.

Al mattino del 30 ottobre il V Squadrone di Genova, al comando del capitano Lampugnani, era stato messo a disposizione del comandante deJla 78 Divisione a Santa Maria di Sclaunicco. Al resto della Brigata era stato ordinato di tenere Pozzuolo e d'informare sulla consistenza delle truppe nemiche nella zona Canale di Ledra-Udine-fiume Torre. Per questo al1e 5.30 erano state inviate alcune pattuglie del Reggimento Genova Cavalleria al comando dei tenenti Bassi ed I vancich e del Reggimento Lancieri di Novara al comando del tenente D'Afflitto, dei sottotenenti Morosini e Martinozzi e degli aspiranti Benin e Chigi. I tenenti Bassi e Ivancich furono i primi a trovare il nemico e segnalarono la presenza di nuclei armati di mitragliatrici nei pressi di Terrenzano. Ricevuta la notizia, i comandanti dei reggimenti rinforzarono la difesa de] paese con tutti gli appiedati disponibili e misero al sicuro i cavalli nei cortili.

Poco prima di mezzogiorno, le truppe d'avanguardia austro-tedesche provenienti da Terrenzano diedero inizio all'attacco. Mitragliatrici in testa, divisi per squadre, i nemici puntarono decisamente ad accerchiare i cavalieri che, intanto, sistemati a difesa, rispondevano al fuoco e li fermavano. Mentre i cavalieri combattevano, venne ulteriormente ordinato di resistere in attesa di rinforzi. Anche il comandante della 7a Divisione ribadì che la resistenza in Pozzuolo doveva essere ad oltranza e che faceva affidamento sul valore e sul sacrificio della II Brigata di Cavalleria. A mezzogiorno, riavutisi dalla sorpresa dell'inattesa resistenza, gli Austro-Tedeschi accentuarono la pressione dalla parte di Terrenzano. Riorganizzatisi, i reparti partirono all'attacco con numerose mitragliatrici in testa. Furono respinti ancora, dopo un violento corpo a corpo nel quale la baionetta era tornata ad essere regina delJa lotta. Disorientati, i nemici si ritirarono e riordinarono, dilagando poi in direzione estsud per scavalcare la resistenza accerchiando Pozzuolo. Fu quello il momento della leggenda. Il generale Giorgio Emo Capodilista ordinò aJ comandante di Novara di far uscire uno squadrone a cavallo per caricare. Il capitano Sezanne, del IV squadrone, fece montare in sella i suoi lancieri e caricò. In un misto di sorpresa, ammirazione e panico, gli Austro-Tedeschi videro una scena ormai ritenuta d'altri tempi: cavalli, lance, fucili, sciabole puntavano dritti su di loro, che, sorpresi e sgomenti ripiegarono su Terrenzano, raggiunti e falciati dalle mitragliatrici del Genova. Alcuni, impietriti dallo spettacolo, rimasero fermi e furono fatti prigionieri.

Da loro si venne a sapere che una brigata di fanteria nemica era già arrivata a Terrenzano, avanguardia d'un grosso contingente composto da più divisioni.

Alle 14, rinforzate le colonne d'attacco e riavutisi dalla sorpresa della carica, gli AustroTedeschi sferrarono un nuovo attacco. Mitragliatrici in testa, alle 16.30 il combattimento si riaccese e in breve raggiunse l'acme. Colpiti dall'onda d'attacco, sottoposti a fuoco continuo, i cavalieri indietreggiarono, lasciando sul terreno decine di uomini. Sfondato infine lo sbarramento italiano, dalla paite di Terrenzano, i nemici cominciarono a penetrare nel paese. Tra spari, urla e gemiti, fra le vampate delle mitragliatrici e gli zampilli del sangue, 1e perdite si fecero sempre più gravi.

I cavalieri retrocedettero. Venne ferito il tenente Castelnuovo delle Lanze di Genova Cavalleria, comandante di una sezione mitragliatrici che era appostata allo sbarramento principale. Sebbene disorientati dalla perdita dell'ufficiale, i. mitraglieri ritirarono le armi, piazzandole sulla strada dietro una seconda barricata immediatamente costruita a difesa. A comandarla andò lo stesso capitano Ticchioni, comandante dello squadrone mitragliatrici: era l'ultimo baluardo.

Il combattimento intanto si estendeva ed impegnava tutti gli uomini, nessuno escluso. Al IV squadrone di Novara venne nuovamente affidato il compito di caricare il nemico, infiltratosi in una delle strade del paese. Per la seconda volta nella giornata, stretto il soggolo dell'elmetto, impugnata la sciabola, la lancia e il moschetto il IV Novara caricò; e per la seconda volta impressionò l'avversario, che si fermò incerto. Questa sosta permise allo squadrone mitragliatrici di Genova di disimpegnare le proprie anni. Contemporaneamente all'attacco dalla parte di Terrenzano, però, gli AustroTedeschi erano riusciti a sfondare gli sbarramenti verso Carpeneto, difeso dal I squadrone e dallo

squadrone mitragliatrici dei Lancieri di Novara . Alle 17.30, dopo un'ora di sangue, la situazione si fece insostenibile: il paese era accerchiato; si combatteva con onore e valore sulla piazza e nelle strade, senza risparmio, ma alcuni assaltatori austro-tedeschi erano già entrati nelle case del paese e, raggiunte le finestre che guardavano sulle strade, avevano piazzato le mitragliatrici e cominciato asparare violentissime raffiche.

Presi tra due fuochi e colpiti anche dati 'alto, caddero il maggiore Ghittoni ed i tenenti Bianchini, Vernarecci e Botta di Genova Cavalleria. A questo punto, ritenuta vana ogni ulteriore resistenza, Erno Capodilista diede ai suoi reggimenti l'ordine di montare a cavallo e di ripiegare su Santa Maria di Sclaunicco, aprendosi un varco in qualunque modo ed a qualunque costo. Gli uomini si disimpegnarono con difficoltà ed il ripiegamento avvenne in circostanze estremamente difficili. Molti cavalieri restarono bloccati, nell'impossibilità di uscire coi cavalli dai cortili, mentre intorno crepitavano le mitragliatrici.

Alcuni reparti di Nol'ara riuscirono comunque a raggiungere uno sbocco fuori del paese; vennero fatti segno dal fuoco di mitragliatrici e di fucileria ed allora, di nuovo, come in una scena irreale e d'un tempo passato, i cavalieri ricevettero ancora l'ordine di caricare. Le lance infilzarono i nemici, mentre i cavalli nitrivano e le grida degli uomini si perdevano e smorzavano nell'aria, piena del fragore degli zoccoli al galoppo che si aprivano la strada; poi i cavalieri puntarono verso Mortegliano. Alla loro testa, Erno Capodilista li incitava e li spronava, combatteva e si apriva un varco; poi, dopo una breve cavalcata, ordinò ai resti deUa sua brigata di riordinarsi per reparti.

Ali 'appello mancavano in tanti: una parte del gruppo di Novara che da Mortegliano non era riuscito a raggiungere il punto di riunione, l'intero Stato Maggiore del reggimento con il colonnello Campari ed i due ufficiali superiori, maggiore Sebellin e maggiore Sparita; e tanti altri. Era finita; ma era finita bene: la Cavalleria aveva caricato, assolto il suo compito e adempiuto agli obblighi imposti dall'onore dell'Arma. Il resto, il prezzo pagato, non importava: Soit à pied, soit à cheval, mon honneur est sans égal.~

Nelle due giornate di combattimento il contegno degli ufficiali e della truppa di entrambi reggimenti era stato improntato al valore e alla tradizione. La guerra di posizione che durava da due anni e che sembrava aver lasciato l'Arma impotente di fronte ai cambiamenti tecnologici era tornata di movimento. La cavaUeria aveva duramente pagato questo ulteriore cambiamento. Aveva combattuto come un tempo, ma lasciando sul campo 34 ufficiali, 467 uomini di truppa e 528 cavalli. Era il duro prezzo necessario per tornare alla ribalta della storia.'

Questo glorioso e sanguinoso episodio della storia della Cavalleria italiana rimise nella giusta prospettiva il ruolo dell'Arma in un momento critico della sua esistenza. La guerra di posizione e soprattutto i ripensamenti sul suo impiego, determinati dal1e esperienze degli ultimi cinquant'anni di guerra nel mondo, così lontani dalle esaltanti esperienze delle cariche napoleoniche, stavano per relegarla ai servizi secondari, facendole la~ciare per sempre il campo di battaglia.

• Motto di Genova Cavalleria. i Effettivi della LI Brigata di Cavalleria: Comando della Brigata: ufficiali 3, truppa 4. cavalli 4; Genova Cavalleria: ufficiali 32. truppa 549, cavalli 549; Lancieri di Novara: ufficiali 30, truppa 350. cavalli 355; totale il manino del 30 ottobre I 9 I 7: ufficiali 60. truppa 903, cavalli 908. Alla sera dello stesso giorno 30, fra morti, feriti e mancanli la situazione di forza era la seguente: Comando della Brigata: ufficiali -. truppa 3. cavalli 3; Genova Cavalleria: ufficiali I 8. truppa 300, cavalli 340; Lancieri di Novara: ufficiali I 6, truppa I 64, cavalli 185; totale: ufficiali 34, truppa 467, cavalli 528, fonte: Giorgio EMO CAPODILISTA, La seconda brigata di cavalleria "Genova e Novara·· a Pozzuolo del Friuli 29 e 30 ottobre 1917 (Carso 1916 - Uven:a 1918). Padova. Tipografia del Messaggero, 1931.

CAPITOLO II

TATTICA EVOLUZIONE E CAMBIAMENTI: 1861-1911

L'Esercito Italiano nacque nel 1861, con l'avvenuta Unità politica ed amministrativa del Paese. Le forze armate apparvero da subito, oltre l'organjsmo preposto alla difesa della Nazione, anche lo strumento primo per la creazione dell'unica identità nazionale, fino allora latente nelle coscienze delle mille municipalità che formavano l'Italia.

Forse più di tutte le Armi che componevano l'Esercito, la Cavalleria aveva il culto del senso dell'onore e del valore individuale, oltre ad un innato spirito aggressivo. Del resto il suo principio ispiratore era rimasto, dal tempo della sua formazione nel Medioevo, "il culto del punto d'onore". Erano principi condivisi dalle cavallerie di tutti gli eserciti europei e ne facevano un'Arma risolutiva sul campo di battaglia.

La Cavalleria italiana del 1861 era il risultato d'un conglomerato di elementi disparati e di differente valore, tratti dalle forze armate dei singoli Stati diventati, con l'Unità, province del nuovo Regno e amalgamatisi nel nuovo Esercito. Il nucleo principale di tale esercito continuava ad essere costituito dalle forze armate sabaude, a cui si erano aggiunti man mano contingenti lombardi, truppe de11a Toscana e dell'Emilia, gran parte dell'esercito borbonico e numerosi elementi di quel1o garibaldino, ufficiai mente definito "Esercito Meridionale".

Nel 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, l'Esercito Italiano - questa la denominazione ufficiale di allora - contava 17 reggimenti di Cavalleria.

L'Unità del Paese aveva ampliato il vecchio organico piemontese, affiancando ai reggimenti sabaudi quelli delle nuove province. Erano stati chiamati, secondo le tradizioni della Cavalleria sarda, con nomi di città: Lancieri di Milano, La.ncieri di Firenze, Cavalleggeri di Lodi, Cavalleggeri di Lucca, Ussari di Piacenza. Un reggimento, i Lancieri di Montebello, aveva preso il nome da]Ja località dove, il 20 maggio 1859, la Cavalleria sabauda aveva riportato una importante decisiva vittoria sugli Austriaci; un altro, i Lancieri Vittorio Emanuele Il, venne intitolato al Re artefice dell'Unità; un terzo, il Reggimento Guide, invece derivò dalla fusione dello squadrone Guide dell'Emilia coi vari pJotoni di Guide a Cavallo divisionali.6 Come i reggimenti delle altre Armi dell'Esercito, anche quelli della cavalleria erano confluiti in un organismo unico, provenendo da tradizioni diverse7 • Più delle altre Armi però, ]a Cavalleria era amalgamata dalla tradizionale unità di ideali e dalla condivisione di valori e forme, così da presentarsi da subito come un efficace strumen-

6 BRIGNOLI, Marziano, L'arma di cavalleria 1861-1991, Milano. R.A.R.A., 1991. 1 I numeri reggimentali, per cui Guide diventò 19°, furono stabilitj dalla Riforma Ricotti Magnani, per cui, nonostante l'ordine d'anzianità fosse: 1683 (ma i_n realtà 1821), Genova (perché dal 1683 esistevano i Dragoni del Genevese, cioè del contado cli Ginevra, sciolti nel 1821 per la partecipazione all'insurrezione carbonara di quell'anno, poi ci fu forse un equivoco scambiando Genevese - Génévois - con Genovese, che in realtà in francese si scrive Génois e in italiano Genovesato. 1690, Nizza - 1692, Piemonte e Savoia -1774 (ma in realtà I 831) Aosta - 1828, Novara - 1848, Monferrato - 1848, Saluzzo - 1850, Alessandria - 1859, Firenze -1859. Gujde -1859. Lodi- 1859, Lucca -1859, Milano -1859, Montebello -1859. Pìacenza -1859. Vittorio Emanuele -1863, Caserta - 1863, Foggia- 1871, Roma diventò nel 1871: 1 Nizza - 2 Piemonte - 3 Savoia - 4 Genova - 5 Novara - 6 Aosta - 7 Milano - 8 Montebello - 9, Firenze - 10 Vittorio Emanuele - 11 Foggia - I 2, Saluzzo - 13, Monferrato - 14, Alessandria - I 5, Lodi - 16. Lucca - 17, Caserta - l 8, Piacenza - 19, Guide - 20, Roma. A questi il l O ottobre 1883 furono aggiunti i nuovi reggimenti: 21 Padova e 22 Catania; il 1 ° novembre I 887 i nuovi: 23 Umberto I - 24 Vicenza e il l O ottobre 1909 25 Lancieri Mantova - 26 Lancieri Vercelli - 27 Cavalleggeri cli Aquila - 28 Cavalleggeri cli Treviso e 29 Cavalleggeri cli Udine.

La caserma di Piemonte Reale Cavalleria. 1900. (Archivio Dal Molin)

to di guerra, al pari delle sue sorelle europee. Gli ufficiali erano iJ fior fiore della nobiltà di tutto il nuovo Regno, gli uominj avevano bella presenza e prestanza, erano coraggiosi, audaci e disciplinati, abili nel combattimento con la sciabola e con la lancia. Era veramente una forza risolutiva sul campo di battaglia.

Del resto, all'indomani dell'Unità, la Cavalleria era, e non solo in Italia, concepita come "l'arma dell'urto risolutivo" e nulla faceva presagire che tale ruolo potesse cambiare. Perciò, in ottemperanza a questo principio, ne fu aumenta la consistenza portando a 19 i reggimenti, coll'istituzione dei Cavalleggeri di Foggia e dei. Cavalleggeri di Caserta.8

Oltre ad un incremento de] loro numero, i reggimenti videro pure una modifica degli organici, in base alla quale, compreso lo Stato Maggiore ed i sei squadroni di base, la loro forza venne fissata in 42 ufficiali, 892 cavalieri e 67.0 cavalli, mentre veniva soppresso lo squadrone deposito.9

Il primo impegno del giovane Esercito Italiano, ancora in fase di "amalgama", fu conu·o il Brigantaggio, determinato dalla triste situazione creatasi nel Mezzogiorno della penisola con la rivolta seguita alla guerra del 1860-61 ed alla scomparsa del Regno delle Due Sicilie. Fu un impegno certamente più pertinente a dei reparti di polizia che a delle forze armate, ma, nonostante questo, la

8 "Giornale Militare'', anno 1864, R. Decreto per la costituzione di due nuovi reggimenti di cavalleria leggera; Torino, 28 gennaio 1864. 9 "Giornale Militare", anno 1866, Istruzioni per esecuzione dei R. Decreti 30 dicembre 1865 relativi all'ordinamento sul piede di pace della fanteria, bersaglieri e cavalleria; Firenze, 17 gennaio 1866.

Il colonnello comandante il Reggimento Piemonte Reale, I 900. (Archivio Dal Molin)

cavalleria vi partecipò attivamente in qualità di truppa celere.

Non si era ancora del tutto concluso il Brigantaggio, che le anni furono di nuovo volte ad est, contro il nemico di sempre, l'Austria, per la liberazione del Veneto. Era la guerra del 1866, nella quale l'Esercito, guidato da generali non in accordo tra loro (e, pm1roppo per il valore dei soldati italiani, questa sarebbe rimasta una costante fino all'avvento del generale Luigi Cadoma), nonostante il valore dei propri uomini, subì un'apparente sconfitta - Custoza - i cui effetti, ingigantiti dai pregiudizi, si sarebbero fatti sentire sul piano morale per diversi anni.

Proprio in quel ciclo operativo la cava11eria avrebbe potuto essere brillantemente impiegata tatticamente, sia nell'esplorazione, sia nell'intervento in massa nel combattimento. Ma l'esplorazione mancò totalmente. Non si diedero ordini perché venisse eseguita, anche se, a dire il vero, non risulta neppure che i comandi dell'Arma li sollecitassero; nulla di strano - per modo di dire - dunque se non venne eseguita. Del resto questo era pure il risultato di una radicata convinzione. Infatti, il valore dimostrato dalla Cavalleria in genere nelle precedenti guerre e maggiormente in quelle napoleoniche, aveva confermato il generale convincimento che essa fosse essenzialmente arma da battaglia e aveva orientato i comandanti delle Grandi Unità di fanteria, agli ordini dei quali agivano i reggimenti dell'Arma, ad impiegarla nei combattimenti ogniqualvolta si presentasse la necessità di risolvere una situazione difficile.

L'Arma diede invece valente prova di sé nella seconda fase della campagna, quando, durante l'avanzata verso l'Isonzo e Trieste, i reggimenti di Cavalleria dimostrarono il loro coraggio e valore compiendo di propria iniziativa numerose esplorazioni e scorrerie.

Finita la Terza Guerra d'Indipendenza, le autorità militari italiane sentirono la necessità di disporre di quadri professionalmente preparati all'esercizio del comando. Del resto quello della catena di comando sarebbe stato uno dei grandi problemi che i vertici militari si sarebbero trovati ad affrontare nei decenni seguenti, e che meriterebbe ancor oggi uno studio più articolato e accurato.

Comunque, sul momento si pensò di risolvere alcuni problemi in un modo tanto semplice quanto preconcetto. Essendo stata la guerra condotta in "unità" con l'esercito Prussiano ed avendo dato quest'ultimo grande prova sul campo, si decise di prenderlo come modello per migliorare lo stato e l'efficienza di quello Italiano.

L'esempio prussiano stava a dimostrare che la guerra andava fatta con metodo scientifico, non essendo più sufficienti il solo coraggio e l'esperienza per vincerla. Dunque bisognava riorganizzare l'armata e per questo era fondamentale apprendere con metodo. Venne così riorganizzato lo Stato Maggiore e creato anche in Italia un Istituto di cultura militare, che fu chiamato Scuola di Guerra.10

Il riordino dell'organizzazione militare non riguardò però la Cavalleria. Nonostante la campagna del 1866 avesse dimostrato la grande utilità dell'esplorazione e d'un addestramento ippico che più rispondesse alle esigenze di quel servizio, l'istruzione equestre non divenne tale da rispondere a quell'importante esigenza. Ci si limitò infatti ad un mutamento organico, creando, nel 1869, cinque Comandi territoriali di cavalleria quali ispettorati permanenti delle truppe di cavalleria. 11

D riordino dell'Esercito non passava però solo dalla volontà dei militari di rinnovarsi. Attuata la quasi totale unità politica della Penisola, il Governo, in piena crisi economica, vincolò le sue forze armate ad un programma generale di strettissima economia. Il bilancio ordinario della Guerra fu pertanto ridotto nel 1867 a poco più di 144 milioni di lire, con un contingente annuo di 40.000 uomini, ulteriormente diminuito nel 1869 a 138 milioni di lire con un contingente di 30.000 uomini. Tale riduzione in armi e uomini non poteva non influire negativamente sulla validità di un'organizzazione ancora non pienamente efficiente.

Infatti, dopo iJ 1870, il governo, che con la spedizione di Roma aveva per la seconda volta riconosciuto le manchevolezze dell'apparato militare, corse ai ripari e si avviò sulla strada del1e necessarie riforme. Per farlo prese ancora a modello gli ordinamenti prussiani, che avevano dato indiscussa prova d'efficienza in ben due conflitti, l'ultimo dei quali appena terminato in Fraocja in maniera trionfale. Ma le riforme italiane procedettero lente e restarono frammentarie a causa delle condizioni finanziarie del Regno. Ad ogni modo lo sviluppo dell'esercito fu marcato da leggi quadrn, che presero il nome dei ministri che le concepirono. Nell'ordine furono gli ordinamenti: Ricotti-Magnani, del 1870-1875; Mezzacapo, del 1876-1877; Ferrero, del 1882-1883; Bertolè-Vìale, del 1887-1888; Pelloux, del 1896 e, l'ultimo, Casana-Spingardi, del 1908-1913.12

Questi Ordinamenti stabilirono l'obbligo generale di tutti i cittadini al servizio militare, prima per 12 e poi per 19 anni, predisposero la costituzione di un esercito di seconda linea coll'istituzione di unità di Milizia Mobile e Territ_oriale ed infine ridussero progressivamente la ferma annuale, da cinque a quattro e poi a tre anni per tutte le Armi, eccettuata la Cavalleria, che la mantenne di cinque.

10 "Giornale Militare", anno 1867, Riordinamento del Corpo di Staio Maggiore; Firenze, Il marzo 1867. 11 "Giornale Militare", anno 1869, Istruzione circa alla attribuzione dei comandi territoriali di cavalleria ed alle loro relazioni colle altre autorità militari; Firenze, I O settembre 1869.

12

MlNISTERO DELLA G UERRA, COMANDO DEL CORPO Dl STATO MAGGIORE - UFFIOO STORICO, L'Esercito Italiano nella grande guerra (1915 - 1918), - voi. I, /eforze belligeranti. Roma, 1927.

Dragone di Piemonte Reale di guardia allo stendardo al Quirinale, in attesa del passaggio del Re, nelJ'ultirno inverno prima della Grande Guerra. (Archivio Dal Molin)

L'aspetto più importante dell'Ordinamento Ricotti13 fu la legge sul reclutamento, che sanciva il principio dell'obbligo generale e personale di tutti i cittadini maschi al servizio militare, non escludendo nemmeno gli esonerati. La legge estese gli obblighi di leva al 39° anno di età e previde tre classi di leva: la I categoria, i cui appartenenti erano chiamati alle armj; la II, comprendente i soggetti alla chiamata per un periodo non superiore a cinque mesi e, infine, la m, alla quale erano iscritti tutti i cittadini maschi fisicamente idonei. ma non iscritti nella I e II categoria per motivi di carattere sociale o familiare. Conseguentemente l'Esercito fu diviso in tre linee: prima linea, Esercito attivo o esercito di campagna, costituito dalle classi alle armj e da quelle congedate da meno tempo; seconda linea, o Milizia Mobile, formata da riservisti di media età e destinata ad operare a ridosso e rincalzo delle truppe di prima linea; terza linea o Milizia Territoriale, costituita dalle classi più anziane della riserva, destinata a compiti di sicurezza interna ed a sostituire l'esercito di prima linea nei compiti di presidio.'4

Anche la Cavalleria fu rapidamente riorganizzata. Col Regio Decreto 4 dicembre 1870 venne ordinata su sei brigate con la costituzione di altrettanti Comandi di Brigata di Cavalleria. In ordine all'organico dei reggimenti, furono seguiti due criteri, comuni ai principali eserciti europei: squadrone forte e reggimento su quattro squadroni, oppure squadrone leggero e reggimento su sei squadroni. I 19 reggimenti italiani erano su sei squadroni di 110 cavalli ciascuno, organico troppo leggero, anche perché la forza effettiva in tempo di pace (forza bilanciata) era inferiore all'organico e, in caso di mobilitazione, non si era in condizioni di provvedere tempestivamente al fabbisogno di cavalli. In pratica quindi i reggimenti restavano su quattro-cinque squadroni leggeri invece che su sei.

Un altro problema riguardava l'addestramento ippico. Le ultime vicende belliche avevano chiaramente dimostrato l'inidoneità della corrente equitazione militare alle esigenze della guerra. Occorreva trovare un addestramento che consentisse ai reparti a cavallo di correre la campagna, per svolgere proficuamente quell'attività esplorativa che si avviava a diventare il compito principale della Cavalleria. Qualcosa era già stato fatto in questo senso da quando, nel J 865, aveva assunto il comando della Scuola di Cavalleria di Pinerolo (denominazione poi assunta nel 1887) il colonnello Luigi Lanzavecchia di Buri, che aveva dato notevole impulso all'equitazione da campagna.'5

La guerra Franco-Prussiana del 1870-71 diede un'accelerazione alla necessità di adeguare l'istruzione delle truppe. Le grandi vittorie riportate sui Francesi avevano richiamato l'attenzione sulla condotta operativa dell'esercito tedesco. I principali Stati europei organizzarono allora le loro forze militari e modellarono i loro regolamenti suJl'esercito germanico, accettando quasi senza discussione gli insegnamenti tattici proclamati frutto dell'esperienza bellica del'70.

Nel L870-7 l i Tedeschi erano stati animati da un grande spirito offensivo, i fatti avevano dato loro ragione e, di conseguenza, tutti i regolamenti si plasmarono sul concetto dell'offensiva ad ogni costo, generando il preconcetto che si dovessero soltanto combattere battaglie d'incontro.

I Tedeschi avevano messo in batteria fin dal principio delle azioni tutta l'artiglieria disponibile, cercando di ridurre al silenzio quella francese, perché la loro fanteria potesse avanzare. E, come l'offensiva ad ogni costo aveva dato buoni frutti, perché i Francesi nell'intento di sfruttare i loro fucili a tiro rapido si erano attestati su una forma di difensiva quasi passiva, così il sistema d'impiegare fin

'' Si deve tra l'altro proprio alle riforme del ministro Ricotti il Regio Decreto 13 dicembre 1871, che ordinava all'E ercito ed ali' Armata (come venjva chiamata la Marina allora) di portare, come segno caratteristico della divisa militare. le stellette a cjnque punte sul bavero della rispettiva divisa militare; a firma di S.M. Vittorio Emanuele II, del generale Ce are Ricotti Magnani, mini tro della Guerra e dell'ammiraglio Augusto Riboty, ministro della Marina. •• Oreste Bov10. Storia dell'Esercito Italiano (1861 - 1990), Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito, 1996, pag.93. 15 Cfr. ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO STORICO DELLA CAVALLERIA. i/ museo storico della cm•alleria. Collegno. Roberto Chiaramonte editore. 2000.

dal principio molte artiglierie aveva dato ottimi risultati, in quanto quella francese era quasi sempre stata ridotta al silenzio dalla migliore artiglieria prussiana. Così però era nato il secondo preconcetto, che avrebbe influito pesantemente sulle guerre a venire, ossia che le battaglie si dovessero iniziare con grandi duelli d'artiglieria. l Tedeschi, dopo le prime offensive, avevano lanciato le loro divisioni di cavalleria sulle tracce dei Corpi d' Atmata francesi in ritirata ed esse, mai ostacolate seriamente dalle retroguardie o dalla cavalleria francese, avevano potuto assumere informazioni, tenere il contatto e riuscire, in qualche caso, ad operare anche delle sorprese. Era nato così il principio dell'avanscoperta fatta dalle divisioni di caval1eria16 e, visto che la cavalleria tedesca aveva esplicato un'intensa attività esplorativa a largo raggio e l'esercito tedesco era uscito vincitore dal conflitto, anche la cavalleria italiana, come il resto delle Forze Armate, prese a modello quella tedesca. Furono quindi emanate nuove indicazioni sulle attività di esplorazione, scorta e sicurezza. I regolamenti di esercizio vennero adeguati alle esigenze della guerra e, fatto importante, le evoluzioni si ridussero soltanto a quelle da eseguirsi davanti al nemico. Per il resto la cavalleria doveva possedere i requisiti di mobilità e velocità. Nacque così un Corso complementare di Equitazione di Campagna17 fuori Roma, a Tor di Quinto, località ritenuta particolarmente idonea a quel tipo di addestramento, perché dotata di un ampio terreno pianeggiante, compreso fra la sponda destra del Tevere e bassi rilievi collinari, che offriva quindi una notevole varietà morfologica in uno spazio relativamente ristretto. Furono intensificate le lezioni teoriche e le esercitazioni; nulla fu trascurato per addestrare la Cavalleria nei servizi di esplorazione e sicurezza ed in quelle operazioni che allora si chiamavano di "piccola guerra", ossia attacchi di sorpresa, incursioni, imboscate e così via.18

Dal punto di vista tattico il decennio successivo alla guerra del 1870 fu improntato al ripensamento del ruolo della cavalleria in una futura guerra, di cui le armi a tiro rapido e le artiglierie stavano cambiando l'impostazione.

Malgrado tutte le raffinatezze dell'addestramento e malgrado lo studio minuzioso di come erano state condotte nel passato, nelle campagne di guerra il fattore sorpresa rimaneva sempre il fattore dominante. Dato poi che una situazione non è mai rigorosamente identica alle precedenti, né nelle condizioni storiche, né per gli scherni teorici, l'impiego della Cavalleria nell'esplorazione strategica fu recepito come innovativo. I regolamenti di tutti gli eserciti recepirono immediatamente delle norme attuative in tal senso. Quello però che sorprese gli ufficiali di Cavalleria, che studiavano l'importante e recentissima campagna franco-prussiana, fu il non comprendere come mai la Cavalleria francese non si fosse opposta a quella tedesca per impedirne o almeno ostacolarne l'esplorazione.

In realtà i fatti che erano stati alla base del totale ripensamento sulle funzioni dell'Arma consistevano in quanto era avvenuto a Sedan nel 1870: cinque reggimenti di cavalleria e due di lancieri, con alla testa il generale Margueritte, si stavano preparavano alla carica, carica che forse avrebbe rimesso in discussione molti concetti. Era il sacrificio che si chiedeva alla cavalleria francese, rimasta quasi inoperosa in quel lontano settembre 1870, alla quale veniva quindi chiesto d'arrestare l'avanzata deJ V e dell'Xl Corpo tedesco. Prima che il movimento iniziasse però, un proiettile aveva colpito mortalmente Margueritte, che, davanti al fronte dei suoi reggimenti, guardava verso Fleigneux e stava impartendo le ultime disposizioni. Alcuni ufficiali dello Stato Maggiore ne avevano sollevato il corpo e lo avevano portano davanti alla linea del 1 ° Chasseurs d'Afrique, i cui solda-

1 • Cap. C. PERLO, Le ultime guerre e l 'evoluzione della tattica , Lucca, stabilimento Lipo-lito Bocchi, 1910.

17 A SSOCIAZIONE A MICI DEL M USEO STORICO DELLA CAVALLERIA, Tf museo storico della cavalleria, cit. " MlNJSTERO DELLA GUERRA, Istruzioni per l'ammaestramento tattico della cavalleria. Roma, Voghera Carlo tipografo di S.M., 1872.

ti, ritti sugli arcioni, alla vista del loro comandante sanguinante, avevano perso ]a testa dalla rabbia. Il generale Gallifet aveva assunto il comando della massa di cava11eria francese, che, folle per il desiderio di vendetta, aveva caricato in modo disordinato. Gli squadroni avevano agito ognuno per proprio conto, erano caduti su una brigata di fanteria. ne avevano rotto la prima linea e si erano abbattuti su otto pezzi di artiglieria. Chasseurs, ussari, lancieri, corazzieri, avevano formato una massa confusa che era apparsa e scomparsa qua e là, prima di svanire per sempre19 nel turbine del fuoco della fanteria tedesca, lasciando il campo coperto di cavalli e cavalieri feriti o morti. Di quelli che erano partiti alla carica, solo poco più della metà erano riusciti a raggiungere il bosco de11a Garonne.

La carica non aveva dato alcun risultato utile. Quella cavalcata alla morte, perché quello era stata in realtà, aveva fatto sfuggire un grido di ammirazione al vecchio Re di Prussia ed al maresciallo Moltke, lasciandoli attoniti di fronte ad un simile spettacolo, ma non aveva cambiato la realtà della cose: non era servita a nulla se non all'onore; che, comunque, va specificato, per un cavaLiere non era poco.

Quello però non era stato il solo episodio che aveva indotto i vertici dell'Arma italiana ad iniziare a riflettere sul suo futuro e ad essere meno tentennanti e riluttanti nei confronti d'un cambiamento. Quattro anni prima, nel 1866, a Custoza, durante la Terza Guerra d'Indipendenza, era accaduto ben altro: sei plotoni comandati da un capitano austriaco20 avevano sorpreso e caricato una brigata di fanteria italiana, scompaginandola a tal punto da impedirle di prendere parte al combattimento durante l'intera giornata. Ma non era finita qui; quell'azione aveva avuto un effetto indiretto determinante per le sorti della battaglia. Infatti, quando la Divisione del Generale Govone avrebbe potuto salvare la giornata, semplicemente ricevendo rinforzi, il principe ereditario Umberto e Nino Bixio avevano supplicato invano l'irremovibile Della Rocca - comandante del Corpo d'Armata - di permettere loro di accorrere con le rispettive divisioni 16a e 73; non c'era stato verso: Della Rocca, spaventato proprio dalla carica di cavalleria subita al mattino, aveva preferito tener ferme tre divisioni, attenersi alla lettera degli ordini d'operazione ricevuti ed inviare a Govone non l'atteso rinforzo, ma l'ordine di ritirata, determinando l'insuccesso finale.

Ora, in questi due esempi, i militari italiani dell'epoca trovavano un singolare contrasto sia nei mezzi e nei metodi usati nella carica, sia nei risultati ottenuti: da una parte c'era stata una massa imponente di cavalleria, che si era mossa aU 'atto decjsivo con ]a classica e dovuta ardimentosa audacia, alla quale era mancato però l'effetto della sorpresa, per cui i risultati erano stati disastrosi; dall'altra un piccolo nucleo di cavalieri che, brillantemente condotti, avevano colto "l'attimo fuggente" per sorprendere l'avversario e annichilirlo; ed il risultato era stato concreto. Rimaneva quindi il dubbio: che fare della Cavalleria?

Nuove esigenze erano richieste dal carattere della guen-a; ma, man mano che gli anni passavano, diventavano sostanzialmente antiquate. Come decidersi?

Un concetto era chiaro quanto all'impiego della cavalleria: mantenerla come Arma celere. L'aggettivo celere coincideva con una presµnta pluralità di mansionj, quindi l'Arma sarebbe stata impiegata ovunque, affidandole spesso missioni disperate, sebbene logiche perché in linea con le caratteristiche intrinseche di un'Arma operante nello spazio e nel tempo con maggior rapidità delle altre.

Bisogna però avere il coraggio di affermare che l'esperienza, nelle riflessioni dell'arte militare italiana del tempo, aveva un valore mediocre, se si deve giudicare dal frutto che da essa se ne sareb-

19 Francesco VARIO. Per la cavalleria, leggendo il libro del generale Kessler, estratto dalla "Rivista Militare [taliana". Dispensa X, 1905, Roma, Enrico Voghera tipografo. J 905. 20 Era il capitano Bechtolsbeim; subito dopo la campagna fu sottoposto ad un consiglio di guerra sotto l'accusa di aver condotto al macello il proprio squadrone: ma dal processo, invece della condanna, risultò la sua apoteosi e fu insignito della massima onorificenza austriaca.

Piemonte Reale Cavalleria: esercitazione nel salto con gli ostacoli. (Archivio Dal Molin)

be tratto, specie fino alla Prima Guerra Mondiale. Del resto le guerre sono preparate sulle esperienze passate e se queste sono state vittoriose - è accaduto a tutti gli eserciti del mondo - si tende a credere che anche le prossime potranno essere combattute e vinte senza problemi, applicando in blocco le lezioni del passato. Solo i geni militari cambiano tattica e vincono. Così il successo talvolta, specie se degli altri, incatena il giudizio ed induce a percorrere vie djverse da quelle no1mali, perché si è convinti che siano migliori. La guerra franco-prussiana ne è un esempio, perché di fatto servì so]o ad aumentare la confusione di idee: la cavalleria tedesca era stata indicata come il modello perfetto, al quale tutte le cavallerie avrebbero dovuto conformarsi; e tali idee si erano imposte al punto che nulla sarebbe poi apparso buono se non d'origine tedesca. La relazione della guerra scritta dallo Stato Maggiore tedesco divenne una sorta di Vangelo - e tale sarebbe rimasta fino allo scoppio della Grande Guerra - sul quale, come spesso accade, non era permesso nemmeno un semplice accenno di discussione. Neanche la comparsa della relazione documentata della guerra da parte francese riuscì ad ingenerare più di qualche leggero dubbio.

La Guerra Franco-Prussiana rimase dunque il termine di paragone per le guerre future. Tutti gli Stati Maggiori europei furono concordi quanto ai compiti strategici della cavalleria: doveva coprire e vedere. Era la via di mezzo e, chissà, forse la giusta; ma quel "coprire" non persuadeva molti all 'intemo dello Stato Maggiore del Regio Esercito, sicché lo si tolse di mezzo e restò solo il "vedere". A consolidare tale idea sarebbero poi venuti i risultati delle grandi manovre di cavalleria tenute nel 1904 in Piemonte.

D'altra parte il concetto, nato dalla campagna del 1870-71, dell'impiego delle masse di cavalleria in avanscoperta ed il preconcetto che la cavalleria, di fronte alle nuove armi, dovesse rinunziare quasi interamente alla sua azione nel campo tattico era stato generalmente accettato. Su di esso si erano già plasmati subito le istruzioni ed i regolamenti dell'Arma .nei diversi eserciti. Ma non bastava, non era tutto. Sette anni dopo, nella guerra Russo-Turca del 1877-78, le cavallerie di entrambi gli eserciti in lotta avevano dimostrato una marcata inclinazione a combattere appiedate, quindi essenzialmente con l'arma da fuoco anziché con quella bianca. Sia per la natura del teneno, sia per i caratteri di quel conflitto, cristallizzatosi contro Plevna e ridottosi in breve quasi solo ad una guerra d'assedio, la cavalleria non aveva svolto alcuna rilevante operazione. Questo fatto, unito all'aver combattuto appiedata, era stato un ulteriore colpo alla giustificazione della sua esistenza.

Cosa dunque si doveva fare della Cavalleria, ci si domandava in Italia. Altri problemi, di ordine politico erano poi apparsi all'orizzonte.

Al Congresso di Berlino, seguito alla guerra Russo-Turca, l'Italia, un po' anche per la sua debolezza militare, era rimasta isolata e la sua posizione fra le Grandi Potenze non accennò a migliorare nemmeno dopo la conclusione della Triplice Alleanza coll'Austria-Ungheria e la Germania nel 1881.

Era indispensabile un aumento dell'entità dell'Esercito ed esso venne attuato dal mfoistro Ferrero, che creò due nuovi corpi d'armata, portandone il numero a 12 ed elevando le di visioni da 20 a 24, con in più la 2S3 che coincideva col Comando militare della Sardegna. La fanteria fu articolata in 48 comandi di B1igata e 96 reggimenti, ciascuno su tre battaglionj di quattro compagnie. L'artiglieria e la cavalleria vennero potenziate, si diede un notevole sviluppo alle truppe da montagna e, infine, furono richiamati per la prima volta i miJjtari della m categoria. Venne fissata stabilmente la forza delle Mjlizie Mobile e Territoriale, articolando quest'ultima in 320 battaglioni di fanteria e 30 di alpini, 100 compagnie di artiglietia di fortezza e 30 compagnie del genio. Poi, nel 1882 fu istituita fin dal tempo di pace la carica di Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito.

Per quanto riguardava la Cavalleria, non solo il pensiero dominante ma pure quasi tutti i più illustri cultoti ed esperti di cose militari tendevano in quel periodo ad escluderne categ01icamente I' intervento in battaglia. Il suo intervento era previsto solo quando si fossero presentate occasioni particolarmente favorevoli. Così i mutamenti furono quelli determinati dalle contingenze, del resto in

linea con quelli analoghi, comuni a tutte le Cavallerie dell'epoca e dovuti alle innovazioni tecnologiche. Ecco dunque nel I 882 la modifica dell'armamento: i cavalieri vennero dotati di moschetto e il suo uso venne esteso anche ai primi dieci reggimenti, ancora armati di lancia e di sciabola.

Organicamente, nel 1883 l'Arma venne ordinata su un Ispettorato generale, sette comandi di brigata e 22 reggimenti, composti ciascuno da uno Stato Maggiore, sei squadroni e un deposito. Nello stesso anno furono costituiti due nuovi reggimenti: i Cavalleggeri di Padova ed i Cavalleggeri di Catania. Nel 1887 si sarebbe avuto un ulteriore cambiamento, con l'aumento a nove dei comandi di brigata, mentre rimaneva invariata la forza del reggimento.

Di per sé l'Ordinamento Ferrere aveva reso rEsercito nel complesso numericamente più forte, ma con una proporzione relativamente scarsa di cavalleria e, visti gli inevitabili sviluppi della tecnologia, soprattutto di artiglieria. Esso prevedeva infatti una media di 80 pezzi per Corpo d'Armata contro i 96 degli altri eserciti.

Il potenziamento di queste due Armi fu attuato dal ministro Bertolè-Viale, che nel 1887 aumentò i reggimenti da 22 a 24, creando i due nuovi Cavalleggeri Umberto I e Cavalleggeri di Vicenza, e riordinò l'artiglieria da campagna, raddoppiandone i reggimenti, che passarono da 12 a 24, ciascuno su due brigate21 di quattro batterie da sei pezzi. Ciascun Corpo d'Armata ebbe così due reggimenti da campagna (per un totale in tutto l'Esercito di 192 batterie con 1.152 pezzi), mentre venivano creati due speciali reggimenti, riunendo le batterie da montagna e quelle a cavallo (su tre brigate rispettivamente di sei e nove batterie). In tal modo, col nuovo ordinamento, ciascun Corpo d'Armata ebbe 96 pezzi. La stessa legge provvide anche ad una nuova sistemazione delle unità alpine su sette reggimenti, con 22 battaglioni e 75 compagnie, e di quelle del Genio, su quattro reggimenti con un totale di 15 brigate e 52 compagnie. Il riordinamento toccò anche le circoscrizioni territoriali e ripartì il territorio nazionale in 12 Corpi d'Armata, 25 divisioni e 87 distretti militari, riuniti in 12 comandi superiori, 6 comandi territoriali e 14 direzioni di artiglieria, 6 comandi territoriali e 19 direzioni del genio. 12 direzioni di commissariato e 19 tribunali militari. Furono infine creati i Comitati d'Arma - che però, salvo che per i Carabinieri Reali, ebbero vita breve - e vennero istituiti gli ispettorati. 22

L'aumento degli effettivi era in parte una conseguenza degli accordi militari scaturiti dalla Triplice Alleanza. Infatti, nel 1888, sarebbe stata sottoscritta una convenzione militare che avrebbe previsto, in caso di guerra tra l'Impero tedesco e la Francia, l'invio in Germania di sei Corpi d'Armata e di tre divisioni di Cavalleria italiani, mentre accordi di cooperazione sarebbero stati presi anche in campo navale.

Intanto, grazie all'istituzione delle varie scuole ed alla consapevolezza che il ruolo della cavalleria andava cambiando, stava cominciando ad apparire una nuova generazione di ufficiali, dei quali sarebbe interessante analizzare i percorsi di carriera e l'influenza sul pensiero militare italiano coevo e su quanto di esso trasudava all'estero. Comunque, per limitarsi all'Arma, come acutamente osserva Brignoli. in quel periodo:

"un nuovo tipo di ufficiale di Cavalleria andava i_ntanto delineandosi. La figura, tramandata soprattutto dalla tradizione napoleonica, di un cavaliere cuor di leone ma non necessariamente dotato intellettualmente, andava scomparendo; non pochi auspicavano che scomparisse del tutto per fare luogo ad un nuovo tipo di ufficiale di Cavalleria nel quale, accanto al coraggio, era indispensabile si trovassero lucidità di mente nonché prontezza di vedute e di decisione. Né chi possedesse soltanto valore personale né chi brillasse per la sola intelligenza poteva essere un buon

~ 1 Si noti che. all'epoca. la definizione "b1igata" in Artiglieria corrispondeva all'insieme definito in seguito "gruppo'', mentre nel Genio lo si sarebbe chiamato "battaglione''. 22 Bovro, op. cit.. pag. 135.

ufficiale di Cavalleria. Si diffondeva la convin1ione essere la Cavalleria un· arma speciale ed essere pertanto indispensabile per l'ufficiale dell'arma un particolare corredo di diverse qualità: ma ciò che doveva costituire il shze qua non del suo valore dove, a essere: una speciale attitudine a comprendere il meccanismo di una azione di Cavalleria; una grande prontezza di mente. atta a cogliere con rapidità una situazione: spiccate qualità di comando. Fra i compiti dell'Arma. la ricognizione veniva non a torto ritenuto il più importante e soprattutto al buon espletamento di questo servizio era indiriuato raddestramento di ufficiali e soldati. Infatti. se, per esempio, il collocamento intelligente ed opportuno degli avamposti era compito dell'ufficiale, il funzionamento dipendeva dagli uomini di truppa. Pertanto ristruzione mirava: ad avvenare l'ufficiale al sicuro e facile uso delle carte topografiche stando a cavallo; ad abituarlo ad avvalersi delle risorse del terreno; a sapere, trovato il nemico, mantenersi in contatto con esso e sapersi fare un concetto delle sue intenzioni .''1'

Le variazioni introdotte dal ministro Bertolè-Viale nella struttura militare di terra non rimasero circoscritte al solo Esercito Permanente, ma toccarono anche le unità di Milizia Mobile e Territoriale, nonché il sistema di reclutamento. Fissate da tassative disposizioni di legge, le condizioni per cui spettava all'iscritto di leva il diritto all'assegnazione alla terza categoria, vennero stabilite cinque specie di fenna, corrispondenti a diverse durate dell'obbligo di servizio alle armi: le ferme normali di tre e due anni (in base al numero di estra.lione ed in relazione alJa forza bilanciata), quelle speciali di un anno (volontari di un anno), di quattro (per la Cavalleria) e di cinque (per i sottufficiali e la truppa dei Carabinieri Reali. gli allievi sergenti, i maniscalchi ed i musicisti).

Circa dieci anni dopo, nel 1896, il generale Pelloux presentò un nuovo progetto di potenziamento dell'Esercito. che poggiava sui seguenti punti: mantenimento dei 12 Corpi d'Armata e delle 25 divisioni; trasformazione dei distretti di reclutamento in distretti militari. cioè in organi incaricati in tempo di pace del reclutamento ed in tempo di guerra della requisizione quadrupedi e della formazione delle unità di Milizia TeITitoriale; conseguente passaggio delle opera?ioni di mobilitazione di tutte le unità di Milizia Mobile (comprese quelle di fanteria e bersaglieri) ai depositi, già incaricati di tali operazioni per le unità dell'Esercito Permanente; organici di 100 uomini per compagnia per i primi sette mesi dell'addestramento, subito ridotti a 60 per compagnia nei successivi cinque: aumento della consistenza della Territoriale costituendo parte dei suoi quadri con ufficiali provenienti dall'Esercito Permanente e, infine, reclutamento regionale come per le unità alpine. Questo ultimo progetto fu però respinto dal Parlamento e Pelloux lasciò la questione dell"Esercito ben lontana dal1 'essere risolta, a causa dell'esiguo aumento accordato al bilancio della Guerra, causa pòncipale, antica e perenne, dei mali dell'Esercito e dcl1e Forze Armate.

Intanto la fine delr 800 vedeva la tecnologia progredire a passi da gigante nella costruzione di anni ed armamenti, che erano in piena e rapida trasforma.Lione in tutte le Grandi Potenze. L'Italia, uscita dalla corsa coloniale (anche se Adua non era certo una sconfitta di proporzioni tali da gridare, come fu fatto. alla disfatta) e sempre con gravissimi problemi finanziari, non avendo soldi per nuove sperimentazioni, scelse di attendere che terminassero gli studi esteri, già avviati, per avvalersene ed adottare quindi i nuovi materiali.

L'attività degli otto ministri succedutisi dal dicembre 1897 al dicembre 1907 si concentrò pertanto sul personale, per creare nell'Esercito una situazione di forza (quadri degli ufficiali, truppa, bilancio). che, a tempo debito, potesse servire da base sicura per il rinnovamento dell'organizzazione.

Per quanto riguarda la Cavalleria, le guerre seguite a quella Russo-Turca continuarono a influire sulle teorie d'impiego e, quindi. a modificarne i fini operativi, portando spesso a confondere J'impie-

8R1G:-:ou. op. cit.. pag. 33.

go con le sue modalità. Certo la Cavalleria, come del resto tutta l'arte della guerra, doveva seguire il movimento evolutivo imposto dai tempi e dalle nuove armi. Questa evoluzione toccava però solo le modalità de11'impiego, il quale in realtà era immutabile perché le caratteristiche de]l' Anna non erano affatto cambiate. La Cavalleria nel campo strategico avrebbe dovuto "vedere", ma doveva anche ·'coprire", direttamente o indirettamente, e ciò dipendeva dall'intervento di elementi che nessun regolamento poteva prevedere. Le regole e le formule si addicono aJle scienze, ma, per quanto la riguarda, l'arte della guen-a per essere innovativa e vincente abbisogna di genialità, di attenzione nell'impiego dei mezzi ed elasticità di mente da parte dello stratega, soprattutto e forse nu11'altro che elasticità. Nelle guerre napoleoniche ed in quella di Secessione americana, i cui insegnamenti sfortunatamente non sembravano essere pervenuti ai vertici militari italiani ed europei, la cavalleria era stata impiegata con ampia varietà di compiti e sempre opp01tunamente, a seconda del bisogno, delle condizioni create dalla situazione, senza regole costanti ed aridi formalismi. Era stata davanti alle colonne marcianti quando era servito che così fosse, spesso era stata tenuta dietro la fanteria ed altre volte ad un'ala di tutto l'esercito, svolgendo sempre dei compiti definiti, degli scopi determinati da ordini chiari che non avevano consentito false interpretazioni. Aveva potuto così assolverli facilmente, rispecchiando del resto la chiara visione che il comandante aveva di quel che avrebbe potuto e dovuto pretendere dall'Arma. Invece, specie in Italia, si prese alla lettera lo studio del generale Kessler:

"la cavalleria è la preziosa ausiliaria della fantetia in tutte le circostanze che impone la guen-a nel combattimento, nelle marce, né gli. accantonamenti, ecc., s} che nessuna missione affidata ad un grosso corpo di fantetia può essere compiuta, in crisi generale, senza che vi si aggreghi un reparto di cavalleria. La quale vuole le missioni diverse da compiere, ma quella che le è propria e che tutte le comprende consiste nell'allontanare dalla fanteria l'eventualità di un attacco imprevisto, circondandola di una zona protetta per cui le sorprese non siano possibili. La sua forza è nella grande mobilità di cui è dotata; arma di urto a carattere essenzialmente offensivo: le sue qualità difensive sono nulle. Allorché debba difendere una posizione piegata, ed allora opera e manovra come pura fanteria senza raggiungere negli effetti del proprio fuoco l'efficacia propria di quest'arma per ragioni assai ovvie. I servizi che presta si riassumono: a) avanscoperta b) esplorazione vicina c) protezione immediata delle colonna di fanteria."24

In grazia di queste teorie, che non tenevano conto di brillanti e Iiusciti episodi di contrasto dinamico su larga scala, come quello della btigata di Custer contro i Confederati nel 1862, si pensava al possibile impiego della cavalleria. L'arma venne ridotta, riorganizzata ed in sostanza tenuta così com'era quando altre due crisi internazionali, sfociate in guerra aperta, alimentarono ulteriormente la visione negati va sul futuro del suo ruolo: la guerra del Sud Africa e quella Russo-Giapponese.

Nella Guerra Anglo-Boera si assisté ad una sola vera carica di cavalleria, a Diamond-Hill, purtroppo oscurata dai gravi scacchi subiti prima e dopo di essa dalla cavalletia inglese, caratteristica dei quali furono le numerose capitolazioni di reparti di cavalleria in piena campagna. La più grave di esse avvenne nella giornata di Talana-Hill, fuori e lontano dal campo di battaglia, quando tre squadroni al completo furono circondati e fatti prigionieri. Nel Sud Africa la cavalleria inglese non aveva alcun sistema di sicurezza ed era continuamente nella più completa ignoranza di ciò che le succedeva intorno. Al combattimento di Sannaspost, una grossa colonna di cavalleria fu spinta dagli eventi sui fianchi e alle spalle dei Boeri; una qualunque azione che avesse fatto alle loro spalle avrebbe migHorato e forse salvata

"4 VARTO. op. cit., pag.

la situazjone degli Ingle i, ma nulla invece venne neppure tentato. L·insufficienza della preparazione del tempo di pace si manifestò chiaramente. Le caratteristiche stesse dei Boeri - assai mobili perché tutti erano montati, privi di uruformi appariscenti, o meglio, senza nessuna uniforme che li distinguesse dai non combattenti, eccezionalmente capaci nella scelta e netroccupazione delle posizioni e tutti abilissimi tiratori - resero pressoché impossibile il servizio di esplorazione e la cavalleria non seppe quasi mai dare informazioni sul nemico. In un solo caso la cavalleria inglese reagì energicamente: inseguendo i Boeri che si ritiravano in disordine dopo i combattimenti di Elandslaagte e prendendo numerosi prigionieri. Ma negli ultimi combattimenti in campo aperto, che terminarono più o meno tutti con la rotta e la fuga disordinata dei Boeri, la cavalleria non fu impiegata nell'inseguimento, anche se la sola sua presenza fra le colonne in fuga le avrebbe costrette certamente alla resa a discrezione.:?..~

Ciò che permise ai Boeri di infliggere perdite consistenti agli inglesi e li indusse a preferire posizioni difensive, fu l'adozione dei fucili senza fumo.

Dal fatto poi che i Boeri così facendo obbligassero il nemico ad attaccare allo coperto, facendogli subire delle elevate perdite in fase d'avvicinamento, presero forma i concetti di "offensiva strategica" e '·difesa tattica". Tali concetti ebbero molti fautori, specialmente quando gli scacchi ubiti dagli Inglesi in Sud Africa poterono essere citati a sostegno della validità del combattimento difensivo. In più, l'adozione della polvere senza fumo aveva ulteriormente aumentato i vantaggi della difesa, perché l'attaccante incominciava a subire delle perdite prima ancora di scorgere il nemico ed anche alle brevi distanze gli riusciva molto difficile scoprirne gli appostamenti, subendo intanto perdite sempre crescenti.

Da tutto questo nacque l'impressione che l'abilità dei comandanti dovesse mirare a condurre l'avversario ad attaccare contro posizioni convenientemente preparate. Ma tale concetto della guerra, contrario ad ogni sano principio, non poteva durare. Già nella seconda parte della Guerra AngloBoera, Lord Robcrts avrebbe opposto alla tattica difensiva avversaria una manovra avvolgente che. evitando gli attacchi frontali, avrebbe minacciato invece la linea di ritirata del nemico, costringendolo quasi sempre a evitare l'accerchiamento sgomberando in fretta le posizioni difensive preparate.26

In contrapposizione agli insuccessi della cavalleria nel Sud Africa, furono maggiormente poste in rilievo le numerose operazioni là compiute dalla fanteria montata, specialmente nelJa liberazione di Kimberley, nell'inseguimento del generale Cronje ed a Elandslaagte. Considerando i fatti nel loro insieme, si venne alla conclusione che la cavalleria avesse ormai fatto il suo tempo e per sopravvivere si dovesse trasformare tutta in fanteria montata. Il cavallo doveva essere soltanto un mezzo di trasporto ed il cavaliere combattere soltanto a piedi; doveva perciò armarsi di fucile e baionetta e, come il fuciliere, esercitarsi al tiro. Evidentemente però la fanteria montata, oltre ad essere legata ai cavalli durante il combattimento, risultava pure incapace di un 'offensiva a fondo, proprio perché era preoccupata di perdere i cavalli. Essa dimostrava quindi d'avere gli stessi svantaggi della cavalleria appiedata; in più, quando era a cavallo, non solo si esponeva senza difesa a tutte le offese del nemico, ma era incapace di un rapido, efficace e violento inseguimento. Sembrò quindi migliore soluzione quella di istruire nel tiro i cavai ieri, perché all'occorrenza potessero combattere appiedati.

2 ~ PERLO, op. cit. Questo il commento coevo. ma va notato che l'errore di base degli Inglesi fu proprio quello di aon attribuire alcun valore tattico, tanto offensivo quanto difensivo. alla cavalleria. ritenendo poco pericolo~a quella boera e quindi inutile la propria. Winston Churchill, che cominciò la sua carriera come ufficiale di cavalleria e combatlé appiedato in India, ma caricò ad Omdum1an contro i Dervisci nel 1899, fu in Sud Africa da poco dopo lo scoppio della guerra e. nelle sue memorie - pubblicate in Italia come Gli anni della mia gio,·ine~a, da Garzanti a Milano nel 1973 - riferì che tale era la convinzione dei supremi gradi britannici dell'inutilità della cavalleria che. quando Canada e Australia si offrirono di mandarne dei contingenti. ebbero in risposta che erano preferibili truppe a piedi: e soltanto dopo i di astri della ··settimana nera·· culminata a Colenso e le altissime perdite subite, la Gran Bretagna cominciò ad impiegare su larga scala truppe a cavallo, specie Canadesi. Australiane e Yeomanry inglesi. 16 PERI.o, op. cit.

Anche la Guerra Russo-Giapponese fornì nuovi elementi dì valutazione sull'impiego della cavalleria; perché alla prova dei fatti la meravigliosa cavalleria cosacca dei Russi diede un risultato assai infe1iore a quello che si poteva legittimamente aspettare da essa.

Molti osservatori attribuirono i suoi scarsi risultati da un lato al fatto che, pur avendo adottato il fuoco come mezzo normale di combattimento, non aveva addestrato sufficientemente gli uomini al tiro e, dall'altro, che le era stata assegnato un supporto d'artiglieria troppo debole per vincere la resistenza dei villaggi fortificati dai Giapponesi. Altri pensarono invece che si dovesse attiibuire l'insuccesso della cavalleria russa proprio all'aver rinunciato al tradizionale suo impiego, riducendosi a competere sparpagliata con la fanteria avversaria, perdendo quindi il suo carattere di mobilità e di arma dalle azioni rapide e di sorpresa.

Tuttavia, mentre la cavalleria giapponese, forse perché assai scarsa e molto inferiore a quella russa. fu tenuta sempre legata alla propria fanteria, que11a russa ebbe occasione di compiere delle esplorazioni e delle incursioni a lungo raggio. Così, al principio della guerra, la brigata Mistscenko si spinse fino oltre lo Yalu, verso Seul, per più di 150 chilometri e si ritirò poi lentamente, evitando il contatto con le truppe della I Armata giapponese e mandando al quartiere generale russo molte utili informazioni. Il colonnello Madritov fece un'incursione di circa 1.200 chilometri in Corea, impadronendosi di approvvigionamenti nemici, intimorendo le popolazioni ostili ai Russi, bruciando villaggi e raccogliendo importanti notizie. Infine, nel gennaio 1905, una colonna di 60 squadroni, 22 pezzi e quattro mitragliatrici, al comando del generale Mistscenk:o, effettuò un'incursione su Inkeu; i risultati furono però scarsi, perché si perse molto tempo contro i villaggi difesi del nemico, invece di aggirarli e raggiungere lo scopo della missione.

Alla cavalleria non furono affidate altre azionj di carattere strategico e quelle ricordate non rappresentarono davvero quanto era lecito aspettarsi dalla numerosa e allora famosa cavalleria russa. Ne11e esplorazioni essa non riuscì mai a rompere il velo di reparti misti con cui si coprivano le Grandi Unità giapponesi e quindi la sua attività d'avanscoperta dette dei risultati insoddisfacenti.

Nel campo tattico la cavalleria russa fu adoperata quasi sempre a coprire i fianchi. ALiao-yang, ad esempio, il generale Rennekampf riuscì a ritardare di ventiquattr'ore il passaggio del Taitzè alla I Annata giapponese, mentre sull'ala destra Samsonov e Mistscenko segnalavano e ritardavano l'avanzata dell'Armata del generale Oku, che cercava di avvolgere la destra russa, finché non furono richiamati a sostenere la sinistra, compromessa dalla disfatta della brigata Orlov. Allo Scia-ho la cavalleria russa era di nuovo sulle ali, ma, nel terreno montuoso alla sinistra, per quanto si spingesse arditamente avanti, non riuscì a compiere il movimento offensivo ideato dal generale Kuropatkin. Invece sulla destra, dove il terreno le era favorevole, non fece nulla. Alla battaglia di Sampidu concorsero tre divisioni di cavalleria russa, ma a Mukden erano divise in tre masse distinte e distanti fra loro e troppo strettamente .legate ai Corpi d'Armata a cui erano state assegnate in supporto. Nel suo insieme la cava11eria si mostrò quindi insufficiente alla protezione dei fianchi.

Anche i piccoli reparti combatterono quasi sempre a piedi, logorandosi in sporadici e diseguali combattimenti contro la fanteria giapponese. senza azioru aggressive e audaci, le sole capaci di produrre grandi risultati. Fu un peccato, perché le cariche, benché eseguite solo dai reparti minori, sortirono grandi effetti morali . 27

Mentre le guerre del primo '900 provocavano valutazioni, discussioni e ripensamenti del ruolo e del futuro della cavalleria, il Regio Esercito intraprese un riordinamento generale.

Dal .1907 i] Governo, grazie al notevole progresso economico verificatosi sotto Giolitti, aveva deciso di rinunziare definitivamente all'esiziale sistema degli espedienti, delle mezze misure e dei ripieghi. Per procurarsi dati più precisi sulla vera portata ed entità dei bisogni del! 'Esercito, aveva vicever-

27 PERLO. op. cit.

sa affidato ad un'apposita Commis ione il compito di valutare le necessità dei singoli ervizi. L'onere. che allora la Nazione sosteneva per l'organismo militare in uomini e in denaro, in base alla sua popolazione ed alla sua ricchezza, era proporzionalmente inferiore a quello di tutte le altre Grandi Potenze europee. La conclusione fu che bisognava spendere di più se si voleva un esercito più efficiente e moderno, pronto sia al confronto, che si temeva non remoto e tutt'altro che improbabile, con altre Potenze europee, sia a conquistarsi i pochi spazi lasciati ancora disponibili oltremare dalla corsa coloniale.

All'effettiva opera di riordinamento dell'esercito. iniziata dal ministro Casana e subito interrotta per il suo allontanamento dal Governo, provvide il suo successore, generale Spingardi. Questi, in pieno accordo col generale Alberto Pollio, nuovo capo di Stato Maggiore nominato nel 1908, concretò un vasto programma di riforme militari, investendo il lato tecnico (ordinamento della difesa mobile, composizione dell'esercito, organico dei quadri, forza in tempo di pace, ordinamento della difesa permanente), quello morale (limiti e metodi di avanzamento, questione disciplinare), nonché l'aspetto sociale (reclutamento) e finanziario (bilancio).28

La riforma non portò ad una soluzione radicale del problema, ma soltanto ad una soluzione soddisfacente. Continuarono a mancare direttive certe e la riforma non rispose al complessivo fabbisogno dell'organizzazione militare, ma solo a quanto era ritenuto più strettamente necessario ed urgente. Era, insomma, un programma di minima, che mirava a fronteggiare non tutti, ma molti dei bisogni reali dell'Esercito e che prevedeva il riordino dell'e ercito in base al progetto Ca ana. Venne adottata la ferma biennale per tutte le armi (a sancire l'uguaglianza del tributo di tutti i singoli cittadini alla Patria) e conseguentemente un aumento della forza bilanciata; fu deciso il completamento della sistemazione difensiva terrestre e marittima; la costituzione di adeguati reparti di mitragliatrici per fanteria e per cavalleria; venne avviata la soluzione, o almeno si tentò di farlo, del problema della trazione animale, introducendo il traino meccanico nei servizi dell 'Esercito. Venne introdotta l'organizzazione aerea nazionale: venne proposta la soluzione definitiva del problema dell'armamento d'artiglieria nelle varie specialità - da campagna, a cavallo, da montagna, pesante campale e d'assedio.

Il programma Spingardi-Pollio doveva essere attuato entro quattro anni, cioè per il luglio 1913 o, al più tardi, per il gennaio 1914; ma la sua attuazione non sarebbe stata ancora completa alJo scoppio del conflitto mondiale. Per di più agli inizi del 1915 l'ammini trazione della Guerra non sarebbe ancora stata in possesso dei fondi necessari. La conseguenza fu che, all'atto dell'entrata in guen·a, 1 'ossatura maestra dell'Esercito sarebbe stata ancora quella sancita dal primo progetto del 1909, basato su cinque leggi fondamentali, che comunque avevano modificato profondamente la no tra compagine militare.

Per la cavalleria, più che uo vero e proprio aumento venne sancito un semplice rimaneggiamento e si pensò all'idea dei Raggruppamenti come Grandi Unità di cavalleria destinate, appena indetta la mobilitazione, a coprire la frontiera dalla minaccia nemica.29

Con la legge del IO luglio 1910 e le tre del 17 Juglio dello stesso anno, furono introdotte nell'organizzazione dell'esercito le seguenti innovazioni: la creazione permanente di quattro comandi d'armata, cariche fino a quel momento ricoperte da generali di Corpo d·Arrnata, i quali erano designati ad assumere, in tempo di guerra, il comando delle armate; riconoscimento legale della Commissione Mista per la difesa dello Stato e del consiglio dell'Esercito e, per la Cavalleria, l'istituzione di tre comandi permanenti di divisione nonché la formazione di squadroni di rimonta presso i depositi alle-

28 MINISTERO DELLA G UERRA, COMANDO DEL CORPO DI STATO M AGGIORE - UFFICIO STORICO. L'Esercito Italiano nella grande guerra (1915 - 1918), - vol. 1. /e forze belligeranti, Roma. 1927.

:9 M INISTERO DELLA GUERRA, COMA.'l.'1)() DEL CORPO DI STATO MAGGIORE - UFFICIO STORICO, L'Esercito ltalia,w ... , cit.

Le scuderie di Piemonte Reale. (Archivio Dal Molin)

vamento cavalli. Poi vennero formate due nuove batterie a cavallo ottenendole però dalla contrazione delle esistenti da sei a quattro pezzi.

L'adozione della ferma biennale portò anche ad un nuovo tentativo di soluzione del problema del reclutamento dei sottufficiali, la cui deficienza si andava gradualmente accentuando di fronte ai più vari e remunerativi impieghi civili. I sottufficiali in Italia non erano mai divenuti la spina dorsale dell'esercito, come negli altri eserciti europei, né lo sarebbero stati in seguito. Anche la legge dell '8 luglio 1883, che per la prima aveva dato stabile assetto al loro stato, negli anni dal I 902 al 1908 aveva già subito numerose modifiche, che però si erano limitate a miglioramenti economici ed a ringiovanire i quadri. Adesso, con la ferma biennale, per la prima volta si ebbe la possibilità di 1idune al minimo - che comunque significava 6.500 unità - il numero dei sottufficiali di carriera necessari all'Esercito, con la creazione del sottufficiale di leva, a ferma di poco superiore a quella normale. Infine sarebbe stata approvata la legge definitiva del 17 novembre 1912, che avrebbe stabilito le norme generali di arruolamento e di carriera del corpo sottufficiali.

All'avvento del generale Spingardi al ministero della Guerra, i quadri degli ufficiali dell'Esercito erano in profonda crisi morale, materiale e numerica. I problemi accumulatisi nei cinquant'anni trascorsi dall'Unità, consistenti in trattamenti economici irrisori, carriere lente e p1ivilegi nella formazione dei quadri, rendevano necessaria una netta riorganizzazione. TI corpo ufficiali versava in una profonda crisi, che ne deprimeva lo spirito. Per molti l'Esercito era più una sistemazione finanziaria che una vera professione. Vi erano poi numerosi nobili che, in relazione diretta con la Casa regnante, si sentivano svincolati dalla disciplina, a scapito ovviamente dell'efficienza. I rimedi presi fino a quel

momento erano stati più dei palliativi che delle vere soluzioni e si erano dimostrati totalmente insufficienti. L'accelerazione della carriera non poteva essere conseguita se non con una rigorosa selezione dei meno idonei e questa, a sua volta, non poteva essere fatta se non dopo aver accordato agli ufficiali un trattamento economico adeguato al livello di vita e di posizione sociale che ci si aspettava mantenessero.10 ln conclu ione, la classe dirigente puntava ad una soluzione della complessa questione dei quadri ufficiali, basandosi principalmente sulla soluzione dei problemi materiali.11

Siccome la Cavalleria si sarebbe trovata a combattere contro quanto Ja nuova tecnologia offriva. i decise di incidere anche sull'armamento. Nonostante il delinearsi della consapevolezza che nelle prossime guerre l'Arma non avrebbe, salvo casi eccezionali, partecipato come un tempo all'azione tattica, il concetto di arma risolutiva faticava ad essere abbandonato. L'appiedamento era ancora considerato un modo eccezionale di combattere. anche perché riduceva di un quarto la forza dei reparti montati. per il distacco degli uomini necessari a custodire i cavalli durante la fase appiedata. Poiché era guidata ovunque nel Continente da persone che, a parte il colore dell'uniforme, condividevano gli stessi valori e le medesime idee, la cavalleria europea alla vigilia della conflagrazione mondiale era armata in modo abbastanza omogeneo e cioé: - Germania: carabina mod. 1888, calibro 7 ,9 mm, lunghezza 0,95 m, cartuccia a polvere infume. alzo massimo 1.200 m; - Francia: carabina mod. 1890, calibro 8 mm, lunghezza 0,94 m, cartuccia a polvere infume, alzo massimo 2.000 m; - Austria: carabina mod. 1890, calibro 8 mm, lunghezza 1 m, cartuccia a polvere infume, alzo massimo 1.800 m; - Russia: carabina per dragoni mod. 1891, calibro 7 ,6 mm e carabina per cosacchi mod. 1870, calibro 10,6 mm; - Italia: moschetto da Cavalleria mod. 1891, calibro 6,5 mm, cartuccia a polvere infume, lunghezza 0,92 m, alzo massimo 1 .500 m.

Per il resto, a parte le discussioni, la lancia rimase più o meno nell'armamento delle cavallerie europee. La Germarua la fece adottare a tutte le unità32 insieme alla sciabola; in AustriaJ~ invece la si abolì totalmente.3• Gli altri eserciti si attennero ad un sistema mjsto. Per esempio, alla fine dell'800

10 Le non numero!>c memorie di ufficiali in servizio in quel periodo concordano sul fatto che le paghe erano terribilmente basse, appena sufficienti a mantenere il decoro esteriore degno d'un ufficiale e tali da indurre chi non ce la faceva a chiedere 1 · assegnazione in colonia. dove gli assegni erano maggiori e minori le pese. Lo scrisse la Medaglia d"Oro generale DE Rossi nel suo La vita di lln ufficiale italiano fino alla guerra, pubblicato nel 1927 a Milano da Mondadori: lo confermò, riferendosi al proprio periodo da subalterno dei Bersaglieri, quindi agli anni intorno al 1890. Emilio DE BONO nel suo nostro prima della Guerra, pubblicato a Milano da Mondadori nel 1931. scrivendo: "Chi riceveva cinqllanta lire mensili dalla famiglia era ritenuto un signore. Chi ne avesse ricevute cento (ne ho conoscimo solta1110 lino) era considerato lln Creso. Dopo il 15 del mese coswi era assillato dagli amici che gli chiedevano le cinque o magari le due lire in prestito"' e, infine, avrebbe aggiunto malinconjcamcnte nella propria autobiografia un altro Maresciallo d'Italia, Rodolfo GRAZIANl, riferendosi al proprio periodo da sottotenente al I O Granatieri, a Roma. negli anni 1905-1908: "Bisognava essere eleganti.Jreqllentare, andare al Salone Margherita. alle corse dei cavalli. al ristorante ... servono dfrise per l'estate e per l'inverno, da campagna e di gala:· 11 Enrico CERNIGOI, Soldati del regno. La struttura e organizzazione de/l'esercito italiano nella Grande Guerra, Bassano del Grappa, Edizioni Jtinera progetti, 2005. 32 Enrico CERN1GOl, Sciabole e lance, su "Storia Militare··. anno X. n. 12 (120), dicembre 2004. 33 Enrico CER: IGOI, La cm•alleria aL1stro-ungarica nella prima guerra mondiale. su "Storia Militare". Anno Vill. n. 9 (88), settembre 200 I. 34 La Gran Bretagna conobbe un periodo di incertezze anche in questo e, come riferisce il generale barone Alberto di MARGUTII nel suo Francesco Giuseppe. Edoardo VIl. vista la differente scelta compiuta in Austria e Germania. chiese per lettera il parere personale dell"imperatore d'Austria. il quale gli rispose con una lunga relazione autografa in cui, dopo aver soppesato vantaggi e svantaggi dell'impiego della lancia, sostanzialmente consigliava all'esercito britannico una soluzione mista.

in Russia si diede la sciabola a tutti e lancia alla prima riga di 49 reggimenti cosacchj e di 6 reggimenti regolari e pugnale a 15 reggimenti cosacchi; mentre in Italia fu data la sciabola a tutti e la lancia ai primi lO reggimenti.

Per l'armamento della Cavalleria, come per le altre Armi, il problema principale non era però costituito dalle armi bianche, bensì da quelle da fuoco. Scontata per l'Arma la necessità di combattere anche a piedi, si intuì che il fuoco delle armi individuali della Cavalleria non sarebbe bastato a rendere pagante l'azione del cavaliere appiedato, né in attacco, né in difesa. Si cominciò allora a dotare la Cavalleria di mitragliatrici e l'arma favorita parve essere la mitragliatrice Maxim che, pesando soltanto 11 kg circa, sembrava facile da portare, appesa alla sella entro una speciale guaina.

Ed ecco un problema non secondario da risolvere per il Regio Esercito: l'accaparramento ili questo nuovo tipo d'arma automatica, la mitragliatrice. Era stata genericamente adottata nel 1906, ma ancora nel 1910, non si era deciso il modello da acquistare definitivamente.

Dopo innumerevoli discussioni, più che altro sulla scelta di fabbricare mùragliatrici direttamente in Italia per svincolarsi dalla sudditanza dall'industria straniera, si scelsero una mitragliatrice italiana, ideata e fabbricata dalla FIAT di Torino, ed un nuovo tipo ili Maxim leggera, che nell'ottobre del 1911 venne defirutivamente adottata per le truppe mobili.

L'assetto organico di queste armi fu ultimato solo nel 1914 e, per quanto concerneva la Cavalleria, se ne prevedeva l'assegnazione nella proporzione di una sezione ili due armi someggiate a tutti i 16 reggimenti di cavalleria.

Oltre alle armi, l'altro problema che si stava presentando era la comparsa del petrolio suJla scena mondiale: era un nuovo tipo di combustibile che consentiva alla tecnologia di modificare progressivamente e per sempre il trasporto terrestre, marittimo ed aereo .35

Per la Cavalleria l'accettazione di questo progresso tecnologico implicava lo snaturamento della sua principale caratteristica. Per quanto si dimostrasse sensibile alle innovazioni (come la mitragliatrice e le nuove disposizioni nel campo tattico), lasciare il cavallo, simbolo stesso del suo prestigio, per il traino meccanico era scioccante. Ma, sotto questo aspetto, alle innovazioni tecniche, si sommava un altro problema di carattere materiale: il cavallo aveva un peso economico rilevante e, purtroppo per l'Arma, ormai ritenuto sempre meno determinante. La Cavalleria si vide quindi assegnare reparti di battaglioni bersaglieri ciclisti ed inserire nel proprio parco mezzi i primi autoveicoli; questi due nuovi mezzi di locomozione, nonostante le strade non fossero ancora totalmente adatte ad essi, diedero buoni risultati soprattutto durante le grandi manovre, vere prove generali di guerra. E mentre la Cavalleria era tutta protesa a trovare una nuova giustificazione alla sua esistenza, iJ Governo italiano rompeva i rapporti diplomatici con l'Impero turco e gli dichiarava guerra.

i, C. SPINGER - E.J. H OLMYARD - AR. HALL - T.L. WILLIAMS, (a cura di), Storia della lec,wlogia, voi. 5 tomo I e II: L'età dell'acciaio, Torino, Bollati Boringhieri. 1994.

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