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e il cambiamento socio-culturale della valle
Effettivamente, alla fine della guerra, circa 70 famiglie slovene tornarono e rioccuparono le loro legittime proprietà lasciando letteralmente i valcanalesi sulla strada poiché era a loro impossibile ricomprare i vecchi lotti o le case in valle cedute all’ENTV poiché non solo i contratti con il terzo Reich non avevano alcun valore ma anche perché, nelle discussioni di Parigi relative al trattato di pace fra l’Italia e le potenze vincitrici, venne deciso che in Valcanale non ci si poteva appellare al sovracitato Patto De Gasperi-Gruber principalmente perché le statistiche effettuate alla fine della guerra mostravano come la gran parte della popolazione tedesca emigrata avesse deciso di non tornare e moltissime proprietà erano già state vendute.124
3.2 l’acquisizione dei beni dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie da parte dei friulani delle valli limitrofe e il cambiamento socioculturale della valle.
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Mentre gli emigranti espletavano le loro pratiche e si trasferivano definitivamente in Carinzia, l’Ente Nazionale per le Tre Venezie agiva indisturbato accumulando un’enorme ricchezza in terreni e « beni immobili rustici »125 .
Per capire quanto l’ENTV avesse ampliato la sua influenza, valga un documento archiviato all’Ufficio Tavolare di Pontebba e datato 30 gennaio 1939 in cui si concede all’Ente per la Rinascita Agraria Tre Venezie, ancora non trasformato nell’Ente che amministrerà i possedimenti nel periodo delle opzioni grazie al Regio Decreto del 30 novembre 1939: « Il trasferimento in sua proprietà della Malga presso il Passo di Pramollo, in comune di Pontebba, appartenente all’Alpe di Nassfeld e Winkler, oppure Alpe di Tressdorf, estesa ettari 442.39.12 ».126 Di seguito vi si legge: « L’Ente depositerà alla cassa depositi e prestiti la somma di £. 150.000, da esso offerta come indennità e non accettata dagli aventi diritto, in attesa della definitiva liquidazione […] ».
127 È evidente come, ancor prima di essere trasformato nell’istituzione che conosciamo, l’Ente già esprimesse un enorme potere ablatorio – la capacità, cioè, di sacrificare l’interesse privato a quello pubblico – avverso il quale non valse nemmeno la protesta dei consorzi vicinali dei paesi oggetto degli espropri, una delle istituzioni più importanti e prestigiose dell’economia
124 Una statistica del 1949 stilata da Don Fontana, parroco di Tarvisio durante la Second Guerra Mondiale, stima circa 832 tedeschi e 1.098 sloveni su quasi 10.000 abitanti della valle. Archivio Parrocchiale Tarvisio. 125Uffico Tavolare di Pontebba (UTP), Ente Nazionale Tre Venezie (ENTV), Documenti tavolari 1940-1943. Verbali di consegna a favore dell’ENTV, nr. 50/1941, Libro Fondiario. 126 Ufficio Tavolare di Pontebba, (UTP), Documenti tavolari anno 1939, nr. 238/1939, Libro Fondiario. 127 UTP, Documenti tavolari anno 1939, nr. 238/1939, Libro Fondiario.
valliva. Conseguentemente, negli anni dei trasferimenti, la maggior parte delle proprietà degli allogeni vennero acquisite e l’Ente aumentò di molto il suo raggio d’azione e la sua importanza nell’amministrazione della valle128 . Già dai tempi delle prime partenze, visto che i risultati dell’opzione erano irreversibili e, in linea teorica, si sarebbe dovuto trasferire tutti i beni e le persone entro la fine del 1942, l’organo aveva incominciato a rivendere a prezzi stracciati gli immobili ceduti. In quel medesimo anno, quando ormai i cambiamenti di residenza erano in avanzato stadio di compimento, i “rimasti” si accorsero con una certa preoccupazione che il destino della valle sarebbe stato molto incerto non solo perché non c’erano piani strutturati per il ripopolamento dei paesi ma anche perché, nel pieno ormai della Seconda Guerra Mondiale, era difficile fare previsioni in una vallata depauperata di gran parte della popolazione dedita alle attività produttive. Un interessante attestato di tale apprensione si ritrova negli scritti del parroco di Valbruna, Don Simiz il quale, preoccupato del danno possibile all’importante vocazione turistica della località, tentò qualche previsione sul futuro della parrocchia:
l’avvenire della Parrocchia dipenderà molto dal modo e dall’uso a cui verrà adibito il Grand Hotel Saisera. Se, come si vocifera, tale ambiente verrà adibito a sanatorio militare o scuola militare, il resto del paese verrà come assorbito dal militarismo. Se invece va a cadere in possesso di privati, per turismo, il resto del paese si dovrà adattare alle esigenze del caso.129
Il fatto che più preoccupava le amministrazioni della valle, nelle attività di compravendita dell’Ente, era proprio la mancanza di un piano economico organico, che ingenerava il timore di possibili soprusi, da parte di soggetti non autorizzati, soprattutto sui diritti silvestri, asse portante dell’economia valliva sin da tempi remotissimi. In tal senso il nuovo podestà di Malborghetto, Patrizio Agnola, difendendo i diritti degli italiani che si avviavano ad acquistare le proprietà, così scrisse all’alto commissariato per l’esecuzione degli accordi italo-tedeschi quanto segue:
Per quanto riguarda il ripopolamento della zona, faccio presente che in questo comune, […] si verificherà, all’atto dell’esodo completo, una situazione insostenibile sotto tutti gli aspetti sia agricoli-silvestri che economici. Già ora si comincia a risentire di tale situazione: mancanza di artigiani, scarsità di mano d’opera ecc…
128 I verbali di consegna degli optanti mostrano come, fra il 1940 e il 1943, all’ENTV pervennero la maggior parte dei beni immobili e arativi. In questo modo l’Ente divenne un punto di riferimento obbligato negli acquisti successivi. UTP, documenti tavolari anni 1940-1943, Libro Fondiario. 129 Lt. 18 febbraio 1942, Archivio Parrocchiale Valbruna (APV), citato in: GARIUP M, op, cit, p. 200
Solo un tempestivo piano di riorganizzazione può evitare il perpetuarsi di tale situazione: afflusso controllato di elementi italiani tratti preferibilmente dalla Carnia o dal Bellunese; immutabilità dell’attuale stato economico che collega strettamente la proprietà agricola con quella silvestre. Infine si segnala la necessità che l’Ente Nazionale delle Tre Venezie dia precise e chiare disposizioni sulla procedura e sulle condizioni di subingresso delle proprietà allogene.130
Quindi il podestà rimarcò la preoccupazione per le compravendite che avvenivano al di fuori delle garanzie riconosciute dell’Ente:
[…]si sta verificando in questi ultimi giorni una forte contrattazione di cessione di beni appartenenti ad allogeni optanti per la cittadinanza germanica a favore di privati provenienti da diverse parti del regno. Esistono poi, in sito, alcuni mediatori che cercano di speculare sul valore dei beni cedendo al rialzo ai privati italiani i beni che hanno contrattato per un prezzo inferiore […]. Tali cessioni avvengono al di fuori di ogni organo o Ente preposto, com’è noto, alla regolazione dei beni degli allogeni[…]. Praticamente tale abuso potrebbe essere frenato impedendo ogni cessione di beni se non a mezzo dell’Ente Nazionale delle Tre Venezie che dovrebbe in caso di nulla osta, preservare soprattutto la colonizzazione delle proprietà, richiedendo adeguata garanzia da parte del subentrante.131
Erano le pertinenze boschive i luoghi nei quali e sui quali potevano avvenire le peggiori ingiustizie. Vi era, infatti, il rischio concreto di raggiri soprattutto sulle proprietà alpestri complementari agli immobili poiché, non rispettando le garanzie offerte dall’Ente, certi edifici avrebbero potuto essere venduti separatamente dai loro boschi contermini, economicamente coessenziali. Agnola, rimarcando l’inscindibilità della proprietà terriera da quella alpestre, scrisse infatti che: « Credere che una famiglia colona italiana possa vivere con i soli prodotti della terra è pura utopia »132 . Per risolvere questo tale problema, l’Ente Tre Venezie si convinse a stipulare contratti di compravendita per la costituzione di « piccole proprietà contadine »133 ovvero proprietà che, oltre alla casa, comprendessero anche appezzamenti arativi o boschivi, in modo che gli acquirenti, nella stragrande maggioranza anch’essi pastori o contadini, potessero usufruire della servitù di legname per il riscaldamento invernale e dello sfalcio del fieno per nutrire bestie, in modo da rilanciare l’economia silvo-pastorale della valle.
130 Lt. 8 gennaio 1942, Archivio Mario Gariup (AMG), citato in: GARIUP M, op, cit, pp. 202-203. 131 Ibid, pp. 204-205. 132 Ibid, pp. 205. 133 UTP, ENTV, contratto di compravendita per la costituzione di piccola proprietà contadina n. 47/52. Documenti tavolari 1949-1952, Libro Fondiario.
L’analisi dei contratti conservati all’ufficio del libro fondiario, confrontati con i verbali di consegna degli optanti di pochi anni precedenti, permette di avvalorare quanto detto, poiché sia nei verbali di consegna sia all’interno dei contratti del dopoguerra veniva descritta anche la proprietà in procinto di essere venduta. Un esempio:
[…]La piccola azienda agraria cui si riferisce la domanda in esame è ubicata in provincia di Udine, Comune di Malborghetto, frazione di Ugovizza, misura la superficie di 4.44.90 Ha, ha un reddito di imponibile censuario di £.616.29 annue […]. I terreni dell’azienda risultano suddivisi in cinque appezzamenti dei quali quattro a fondovalle, mentre il quinto è a monte, quota 1300, località Malga di Uqua, raggiungibile direttamente per una strada militare con un’ora e tre quarti di cammino […]. I terreni di fondovalle sono prevalentemente pianeggianti con esposizione nord – ovest. L’arativo è di ottima fertilità […]. Il terreno a monte invece è leggermente in pendio è coltivato a prato ed ha pure una consistenza legnosa […]. La parte edificale dell’azienda è rappresentata da una casa colonica […]. Al fondo sono connessi importanti diritti di legnatico, sulla foresta demaniale di Tarvisio […]. La proprietà di cui trattasi costituisce una organica azienda agricola […] essa consente un reddito sufficiente per il mantenimento di una adeguata famiglia rurale montanara.134
Dunque, in una valle che si stava lentamente ma inesorabilmente svuotando, iniziarono ad arrivare i nuovi compaesani friulani dalle più povere valli vicine: la Val Dogna, la Val Raccolana, la zona della Carnia e la Val Resia. Costoro poterono acquistare a prezzi modici le proprietà lasciate in custodia all’Ente e approfittarono di questa congiuntura favorevole per un miglioramento delle loro condizioni di vita. Una significativa testimonianza è quella riportata da Maria Piussi di Piani di là, frazione di Chiusaforte, figlia di un bracciante agricolo della val Raccolana che, consapevole dell’estrema povertà dei terreni di quella vallata, non esitò a cogliere l’opportunità che contratti come quello già citato potevano offrire:
Int.) Parlando di un tema un po’più personale: posso chiederle perché vi siete trasferiti? MP) Perché non c’era lavoro, e mio padre, nel 1942, ha avuto l’opportunità di prendere una casa in affitto. Anzi, due, una per lui e una per lo zio. Eh… non c’era lavoro in Val Raccolana, e mio padre aveva già fatto l’emigrante. Aveva emigrato già da giovane in Romania e poi si era spostato in Francia… però la famiglia era rimasta tutta là, [a Piani n.d.A.] la nonna, il nonno e noi che eravamo piccoli. E quindi, visto che aveva capito che grosse opportunità c’erano qui [a Valbruna n.d.A] ha deciso di far trasferire tutti: la nonna, il nonno ecc… Eh, andava benone qui! Non serviva il treno né grandi sacrifici, rispetto a dove eravamo prima…
134 UTP, ENTV, contratto di compravendita per la costituzione di piccola proprietà contadina, nr. 52/1951, Documenti tavolari anno 1951, Libro Fondiario.
Int.) Certo, in molti mi hanno ripetuto che era meglio fare il fieno nella piana di Camporosso che sui “prati” di Samedons!135 MP) Si esatto! Mia madre col “Géi” [fr: gerla], povera! Si spaccava la schiena ogni giorno su quelle scarpate improduttive, quel cambiamento, per noi si è rivelato un vero paradiso.136
L’approccio con un ambiente completamente diverso sia culturalmente che linguisticamente, però, fu, in particolare per le primissime famiglie che vennero a stabilirsi nella Valcanale, piuttosto traumatico. Una delle prime fonti che riportano l’arrivo dei “nuovi immigrati” è una lettera, dell’autunno 1942 in cui il parroco di Valbruna, don Guion, scrive:
[…] fino al febbraio 1942 a rimpiazzare i partenti di Valbruna non era ancora arrivato nessun immigrato. Finalmente da Resia e Chiusaforte arrivarono le nuove famiglie a rimpiazzare ed occupare le case abbandonate dai valbrunesi che hanno optato per il 3° Reich. Le proprietà, per il momento, vengono consegnate in affitto ai nuovi arrivati da un ente governativo chiamato Ente Nazionale per le Tre Venezie. I nuovi arrivati, spaesati in un ambiente completamente nuovo per loro, con tradizioni e lingua completamente diverse, non riescono a inserirsi nel tessuto sociale del paese e della parrocchia […] sono costernato […]. Tutto ciò porta alla disperazione. Domine dona nobis pacem!137
Naturalmente non dobbiamo pensare che la situazione pressoché catastrofica descritta dal curato fosse generalizzata né che lo spaesamento fosse poi stato una costante. Bisogna poi contestualizzare questo documento nel clima estremamente pesante dovuto all’incerto andamento della guerra. In realtà i nuovi arrivati, il più delle volte, seppero adattarsi felicemente alla nuova situazione abitativa e spesso fu proprio il buon inserimento dell’elemento latino nell’universo culturale delle comunità a richiamare, nell’immediato dopoguerra, parenti e familiari dal Friuli, attirati dalle possibilità lavorative della valle e sicuri di poter appoggiarsi a persone fidate già integrate. Un’appassionata testimonianza è quella di Oreste Pezzano, abitante del “Canale di Raccolana” e trasferitosi a Fusine nel 1946:
Int) è stato un motivo di lavoro, quello che vi ha spinto a trasferirvi qui? OP) Sì, ma non solo, è stato anche perché c’erano già parenti che abitavano lassù, sulla collina, [la collina di Speinkolm vicino a Fusine n.d.A.] erano zii, c’era la sorella di mio padre. Ci hanno detto “venite su e state in affitto, poi se vi
135 Località della Val Raccolana. 136 Intervista in friulano raccolta e tradotta da Alessandro Ambrosino a MARIA PIUSSI, classe 1937 di Piani, 10 ottobre 2014. 137 APV, citato in: GARIUP M, op, cit, pp. 205-206
trovate bene comprate la proprietà” ma a noi sembrava un po’ scomoda e fuori mano. Un po’ più in basso, sulla strada, però, c’erano anche altri due parenti, erano venuti su nel ’42, quando ero militare. Loro avevano due case, anche loro in affitto, ma molto più comode, una meraviglia! Così ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di spostarci e prenderne una delle loro, prima io e mio fratello, il 26 marzo del 1946, e ad ottobre è venuto su mio padre. Abbiamo detto “Adesso prendiamo in affitto lassù, a Speinkolm, e ci mettiamo in comune. Se ci troviamo bene, nel ’50 cambiamo la residenza”. Nel ’50 abbiamo portato su la residenza e nel 1952 abbiamo firmato il contratto con l’Ente. Int) e come è stato l’impatto con le nuove case? OP) è stato meraviglioso, non me lo dimenticherò mai! Eravamo con i Piussi, che poi si sarebbero trasferiti due anni dopo a Fusine, abbiamo visto queste proprietà, con i prati, i boschi, le stalle, tutto pulito, e si facevano più di 450 quintali di fieno…meraviglioso! Ci siamo inginocchiati di fronte alle case – pensi che eravamo appena usciti dalla guerra – e abbiamo pianto pensando: “questo è un vero paradiso, rispetto a dove eravamo prima, un miracolo del cielo!138
Inoltre non va dimenticato che i paesi erano quasi completamente svuotati e l’arrivo di nuovi abitanti comportò un importante cambiamento sociale in quanto i friulani si ritrovarono di colpo ad essere in numero superiore ai tedeschi “autoctoni”. Alla fine della guerra, secondo un anonimo valcanalese, la stima della popolazione della valle è la seguente: « dopo l’emigrazione, nel 1942 cominciarono ad occupare le abitazioni vuote gli italiani, ciò che fino al 1945 portò il numero di italiani a 6.250 unità ».139 In una situazione di normalità, però, il nuovo arrivato che prende la residenza in una comunità si adegua all’esistente. Ciò avvenne, per esempio, negli anni trenta in Alto Adige, quando i contadini si insediarono a macchia di leopardo nei territori espropriati dall’ENTV e finirono con l’uniformarsi alla componente sudtirolese. Nel nostro caso, però, furono i friulani, ritrovatisi in un tempo assai breve ad essere in maggioranza numerica rispetto agli allogeni – salvo che nei paesi a maggioranza slovena come Ugovizza – riuscirono ad imporre il loro modo di operare e di vivere. Vero è che alcune famiglie allogene rimaste si arroccarono in un mondo “pre-opzioni” che non c’era più e per anni soprattutto nei paesi minori come Ugovizza o Bagni di Lusnizza, evitarono i contatti con l’elemento friulano ed italiano.
Tuttavia, anche in uno spirito di collaborazione comune, alla maggior parte degli “exallogeni” convenne adattarsi alla nuova situazione etnica della valle e abituarsi ai “nuovi vicini”. La testimonianza di Bruno Deotto, figlio dell’unico italiano trasferitosi a Valbruna alla fine della Prima Guerra Mondiale e quindi osservatore privilegiato della vicenda in
138 Intervista raccolta da Alessandro Ambrosino a ORESTE PEZZANO di Samedons, frazione di Chiusaforte, classe 1922, 07 ottobre 2014. 139 GARIUP M, op, cit, p. 207.
quanto né optante, né di famiglia immigrata negli anni del dopoguerra, è particolarmente significativa: Int.) Ma i valbrunesi, o meglio, i valcanalesi rimasti, come hanno visto questi friulani “immigrati”? BD) Bisogna dire la verità. Quei pochi che sono rimasti, oriundi del paese, forse in un primo momento non li avranno visti tanto di buon occhio, qualche famiglia non si è espressa tanto. Ma poi si sono subito associati, hanno subito collaborato fra di loro, d’altra parte la terra è sempre terra. Erano tutti contadini e per superare le difficoltà è stato più utile mettere da parte le divergenze “di razza”, come si diceva. Poi, col tempo, gli oriundi sono stati sempre meno… Int) Be’ bisogna dire che la componente tedesca è andata perdendosi… BD) Esatto. Si sono resi conto che bisognava collaborare, dovevano collaborare, nell’interesse di tutti. Inoltre al tempo della guerra erano andati via più della metà, e quei pochi che non sono andati, che sono rimasti proprietari delle loro case e non hanno venduto all’Ente, hanno capito che era meglio relazionare con i nuovi abitanti… tranne qualcuno che aveva qualche “ruggine” hitleriana. Ma poi la cosa è andata come doveva andare…140
In altri paesi, come Tarvisio o Malborghetto, dove i rimescolamenti culturali ed etnici sono una costante nella storia, il ripopolamento comportò, effettivamente, la progressiva perdita dell’identità tedesca in favore di una nuova cultura dominante “italo-friulana”.
Questo tipo di cambiamento nelle tradizioni e nel tessuto sociale della valle è evidente soprattutto nel modo in cui i friulani modificarono gli aspetti urbani e alimentari della valle. Il già citato Oreste Pezzano, riporta una divertente descrizione riguardante le abitudini urbanistiche e culinarie dei tedeschi e delle modifiche apportate dagli italiani, facendo emergere un malcelato orgoglio per quelle che, a suo dire sono state le migliorie dei nuovi “inquilini”:
Int) […] sono venuti in tanti ad abitare in Valcanale? OP) Sono venuti da ogni parte, anche dal Bellunese e dalla Carnia. Int) Be’ la valle era quasi vuota… OP) Già, e poi… bisogna dire che a Tarvisio, quella volta non è che ci fosse chissà cosa! Int) Sicuramente, bisogna ricordare che eravamo in tempo di guerra… OP) Sì, certo, ma io parlo proprio a livello di case… erano catapecchie, tutte vecchie. Questa qui era una signora casa, in quei tempi, ma le loro… erano come le case che ci sono in campagna: di legno, col tetto in travi e due metri di muro, neanche in sasso […] Int.) Ma i tedeschi? Vi hanno accettato? Cosa facevano in valle se erano rimasti così pochi? OP) Ma quelli! Cosa vuoi? Mangiavano patate tre volte al giorno, mattino, pranzo e a cena! Non sapevano neanche… neanche lavorare il maiale! Non sapevano fare il salame o il musét [fr: cotechino n.d.a]. Sai cosa facevano al
140 Intervista raccolta da Alessandro Ambrosino a BRUNO DEOTTO, classe 1934, di Valbruna, 09 ottobre 2014.
maiale? Lo spellavano, che rimaneva mezzo pelo su, come veniva veniva, tagliavano la testa, finivano di spellarlo un po’, lo aprivano fuori, pulivano tutto il resto e poi, su un tavolo, avevano un çoc [fr: rozzo pestello di legno] di legno e lo pestavano tutto, a pezzi… ma pezzi grossi così! E sulle coste veniva così di lardo. Poi mettevano tutto sotto sale… dopo siamo arrivati noi! Non so quanti maiali ho ammazzato! Int) per spiegare ai tedeschi come si faceva? OP) Eh Sì! Gli italiani si arrangiavano! E gli ho fatto vedere anche come si facevano le luanis [fr: salsicce], il salame e il musét…mi andavano giornate intere per spiegare!141
Anche a prescindere delle testimonianze dei singoli, è evidente che gli effetti demografici delle opzioni produssero nella valle il più importante mutamento etnico-sociale dei tempi moderni e che lo stravolgimento linguistico e culturale che ne seguì ebbe conseguenze ancora oggi rintracciabili nelle comunità locali. Ciò accadde prima che sopravvenisse nel tessuto sociale ed economico della valle, con l’istituzione dei nuovi uffici doganali e soprattutto con l'incremento del commercio verso i paesi del nord e dell’est Europa, l'immigrazione dal Meridione, che fu etichettata come “diversa” e fu effettivamente protagonista di episodi di intolleranza, ma solo perché appartenente ad un altro tipo di tradizioni e ambienti, mentre i friulani e i veneti che si trasferirono in valle nell’immediato dopoguerra erano avvezzi alla vita contadina delle Alpi tanto quanto i vecchi abitanti. In quel periodo, sostanzialmente dagli anni ’60 in poi, si verificò un repentino sviluppo turistico e, conseguentemente, a Tarvisio venne istituito il mercato.
Le comunità della valle seppero adattarsi alla nuova situazione e, com’è noto, continuarono a identificarsi, nel bene e nel male, con quella caratteristica di “gente di confine” che li contraddistingue. Negli ultimi decenni la Valcanale, inserita in progetti di sviluppo economico e turistico insieme al Canal del Ferro, sta riscoprendo, soprattutto grazie alle associazioni culturali e al cambiamento generale della mentalità, il suo antico patrimonio carinziano, friulano e sloveno, riutilizzandolo in progetti turistici transfrontalieri che sembrano dare i primi frutti.
141 Intervista raccolta da me a ORESTE PEZZANO, classe 1922 di Samedons, 07.10.2014.