LO STRETTO DI MESSINA E BAGNARA DOPO IL TERREMOTO DEL 1783

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2.5 – L’azione di politica economica per generare uno sviluppo economico “bene ordinato” e il risveglio ostile dell’Aristocrazia periferica Il risveglio dei Baroni, che minacciavano la restaurazione delle esazioni fiscali, e la rivendicazione di tutti i loro diritti, se lo Stato non avesse cessato di appoggiare le cause dei locali contro le «gravezze» feudali; l’ostilità della Chiesa, mai sopita dopo l’instaurazione della Cassa Sacra e con il potere locale sull’opinione pubblica in mano dei curati; la Borghesia che manifestava il forte scontento, attraverso gli avvocati, il Foro di Napoli, per la mancanza di leggi consone alla libertà economica, preoccupavano la Regina. C’erano assonanze con i fermenti francesi che stavano conducendo a una posizione delicata Luigi e Maria Antonietta ed è per questo che i «fermenti» di Napoli cominciavano da quel momento a esser osservati con occhio attento: alla periferia del Regno il fermento popolare aumentava al pari della resistenza del sistema feudale alle riforme e, in un certo senso, il ricatto allo Stato. La «minaccia» di tornare a chiedere l’esazione di diritti che era sospesa da tempo, investiva le stanze del Palazzo Reale che peraltro, come notato, aveva risposto ai ricatti rinnovando ai Baroni la richiesta/ultimatum di presentare le carte di concessione dei diritti. Il tutto mentre le popolazioni si organizzavano e procedevano con le denunce e le cause. Né si poteva pensare di fermare questo processo che era insieme sociale ed economico e che investiva tutte le fasce sociali del Regno. In Calabria, dopo Monteleone e Scilla, l’esempio più eclatante di questo periodo fu quello di Bagnara. Le Congreghe stavano producendo il massimo sforzo economico per sostenere l’impegno nella ricostruzione del paese. Il tentativo era di restare a guida dell’attività sociale, politica ed economica, ponendosi alla testa della protesta contadina e delle altre forze produttive della Città. La ricostruzione post-terremoto procedeva infatti fra notevoli difficoltà dovute all’approvvigionamento dei materiali e alla scarsità di mano d’opera specializzata. Il tutto era aggravato dalla difficoltà nei collegamenti terrestri e dalla mancanza di supporti logistici e organizzativi da parte degli uomini del Vicario Pignatelli. La dinamica commerciale di Bagnara con l’entroterra era dunque bloccata. Già in tempi normali i collegamenti viari erano complicati e difficili, viste le asperità collinari e i continui crepacci e burroni che cingevano Bagnara prima che si giungesse ai Piani della Corona. Adesso che il sismo aveva modificato parte del territorio e distrutta la poca infrastruttura, la situazione era divenuta difficile per le carovane di bagnarole e commercianti e impossibile per i contadini e i mannesi che si trovavano di fronte alla titanica opera di riassestamento di rasole e castaniti. Nel contempo le occasioni commerciali via mare, soprattutto con Reggio, Messina, Catania e Palermo, aumentavano. Oltre alla pietra calcina, ai materiali da costruzione e le materie prime artigianali, a Bagnara arrivavano derrate, manufatti tessili e medicinali e da Bagnara salpavano uzzi e paranze cariche di legname grezzo e lavorato, olio, vino (soprattutto Castigghiuni), agrumi e bozzoli di seta. Questi scambi stavano incrementando non tanto in quantità quanto d’intensità, di frequenza. Ciò poneva dunque un problema: per procedere bisognava eliminare i cavilli burocratici e l’imposizione gabellare in mano al Duca di Bagnara: impedivano libertà di movimento, agire e fare. Nel contempo le Congreghe perdevano potere di fronte alle occasioni che i singoli borghesi riuscivano a sfruttare, collegandosi coi centri commerciali del Messinese e da qui, col resto del mondo. Il dopoterremoto aveva accelerato in particolare i rapporti commerciali esterni al paese della famiglia Sciplino e dei Padron di Barca e in particolare i Florio e i Fedele. Erano invece rimasti indietro i proprietari terrieri: i Parisio, Spina, Muscari, Nastri, De Leo, Condina, Bonaccorso, Spoleti, Pataria. Alcuni di loro, come i Pataria, avevano diversificato dandosi soprattutto all’estrazione del legname ma la loro forza all’interno delle Congreghe, non era sufficiente per contrastare il potere finanziario in mano ai Versace e quello commerciale, esercitato dagli Sciolini e dalla coalizione dei Padron di Barca. La Congrega rimaneva dunque schiacciata per la pressione della base contadina, che voleva muoversi più liberamente nel territorio, soprattutto dopo l’avvio dell’attività viticola alla Fossa, e per quella borghese, che cominciava a operare non più dall’interno della Congrega stessa, ma per proprio conto. L’occasione della protesta antifeudale fu dunque colta dalle Congregazioni e sotto di esse si ritrovarono di nuovo quasi tutti. Partì una grande denuncia che i responsabili di tutti i settori produttivi e commerciali della Città (carpentieri, muratori, falegnami, agricoltori, commercianti, pescatori) presentarono alla Suprema Giunta della Calabria contro il Duca D. Nicola Ruffo & Santapau e la sua Famiglia. Nel 1787 Don Sarino Messina-Spina, appoggiato da tutti i «magnifici» e i «galantuomini “della Città e con l’assenso di tutti i mastri, i padron di barca e i massari, ripudiava lo spirito collaborazionista con la Casa Ducale e denunciava al Re gli abusi del Feudatario. Bagnara chiedeva l’abolizione di dodici «gravami» per evidente illegittimità. Il 3 Aprile il ricorso fu inoltrato con Real Dispaccio per mezzo del Supremo Consiglio delle Reali Finanze al Maresciallo di Campo Don Francesco Pignatelli, coll’incarico di riferire alla Suprema Giunta di Corrispondenza. Ricevuta la relazione, la Suprema Giunta rimise la pratica all’avvocato fiscale Don Nicolò Venenzio. La Casa Ducale minacciò il ricorso alle esazioni complete e il ripristino delle gabelle e imposizioni fiscali che non erano in uso. Quando però s’accorse che su questo argomento s’era formata una coalizione di tutte le forze sociali della Città e che alle minacce si contrapponeva l’azione del Governo, deciso a intervenire, la Casa Ducale di Bagnara ricorse corredata da ottime fonti bibliografiche è in: G.LEFEBVRE, La Révolution Française dans l’histoire du monde, in «Etudes sur la Révolution Française», Presse Univ.de France, Parigi 1954. pag. nr.

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