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2. 6 - Contro le riforme del Palmieri. Il potente Partito Ducale a Bagnara nel 1788 pag

aiutato nel suo convincimento dalle riforme del Nuovo Codice Leopoldino in Toscana,162 si rendeva conto che oramai non le leggi e gli ordini di un Re «totalmente» assoluto, ma la logica del Mercato era quella che stabiliva i prezzi dei beni al consumo e l’orientamento della gente ai loro acquisti:163

…ha quindi la M.S. considerato che il prezzo vero e giusto è quello per cui comunemente si compra e vende, e che lo esame dell’abbondanza, e della scarsezza del genere, dé bisogni e delle ricerche sia inutile e superfluo, poiché il prezzo corrente è l’effetto ed il risultato di tali rapporti, bastando dar loro tempo che si sviluppino ed assicurino i fatti…

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La riforma del libero commercio di Palmieri, prendeva corpo e molta fiducia si poneva sul «Turgot napoletano» per la corretta interpretazione dei fatti secondo il principio di libertà che per Napoli era una novità.

2.6 – Contro la riforma del Palmieri. Il potente Partito Ducale a Bagnara nel 1788.

La riforma colpiva il sistema dei dazi all’esportazione, giunto a eguagliare il valore stesso della merce, aveva rovinato le manifatture di cotone, e l’industria laniera. Colpiva i monopoli fiscali e le privative come quella del ferro che aveva condotto il Regno a importare gli utensili e soprattutto cercava di erodere il potere privato sul commercio della seta, che aveva rovinato Catanzaro e provocata a Bagnara come altrove in Calabria, la sostituzione dei gelsi con altre colture. Come detto però, i feudatari si difendevano ostacolando il processo di ricostruzione post-terremoto e le iniziative innovative decise dai privati e dallo Stato. Accanto a loro, stava la struttura religiosa e in essa, soprattutto le fraterie che in Calabria gestivano il sociale e il religioso come e peggio dei Gesuiti, i più accaniti nemici dello Stato e del Mondo Moderno. Abbiamo dunque in questa fase della storia calabrese una contrapposizione fra borghesia commerciale e, per quanto si possa definire tale in Calabria, imprenditoriale da una parte, alla quale accomunare mastri d’arte, contadini proprietari, padron di barca e coloro che esercitavano attività lavorative in genere, e la feudalità dall’altra, accanto alla quale stava l’impiegato comunale, i «galantuomini» possessori di denaro finanziario e le strutture di comando che in genere si riconoscevano nelle Congreghe. Sostenuti dal potente apparato religioso, organizzato in modo capillare e attento, questo schieramento marcava i «progressisti», verso i quali invece, guardava con interesse, la Massoneria, che stava entrando, attraverso gli intellettuali, nel mondo sociale della Regione. Ecco come si collocava la composizione delle fasce sociali di Bagnara nell’89. Alla fine della prima fase del processo di ricostruzione post-terremoto e sull’abbrivo della ripresa produttiva, a Bagnara era forte il Partito Ducale. Questo Partito non era formato da aristocratici o nobili famiglie legate alla Gran Casa, ma da influenti impiegati o rappresentanti dei Ruffo all’interno delle Congregazioni, della Municipalità e del commercio, soprattutto della seta. I Ruffo avevano lasciato ormai da tempo la Città.164 Attraverso questi rappresentanti, la Gran Casa controllava tra l’altro il circuito cerealicolo (i molini dello Sfalassà) e della lavorazione del legno (la proprietà dell’immenso bosco di Solano). I Ruffo di Bagnara non erano più intimamente sottoposti alla Corona come un tempo. I rapporti coi Borbone erano ottimi ma la Gran Casa si sentiva solidale col resto della Feudalità meridionale, che reclamava maggiore visibilità e rappresentatività di fronte alle riforme che tendevano a supportare la crescita delle altre classi. La presenza di Don Fabrizio Ruffo quale Chierico di Camera e Tesoriere Generale dello Stato di Sua Santità, dava significato alla continuità della politica statale e spirituale perseguita nel tempo dalla Gran Casa di Bagnara: vicinanza agli interessi dello Stato e perfetta comunione religiosa, rinforzata dalla continuità delle presenze nelle armi dei Nobili Cavalieri della Religione a Malta. Del resto Bagnara aveva dato alla Chiesa fino ad allora ben due cardinali oltre a numerosi vescovi e un grande Ammiraglio nelle galee maltesi al servizio dello Stato e della Religione: frà Fabrizio Ruffo Priore della Bagnara e Gran Priore di Capua. Tuttavia, come evidenziato, i rapporti s’erano adesso allentati, perché la Gran Casa di Bagnara, con i Principi di Scilla, i Principi di Scaletta e la Casa di Baranello, risultava in prima fila nella rivendicazione feudale. Ma la differenza fra la Casa di Bagnara e il resto della feudalità meridionale stava nel tipo di contestazione: una contestazione «dall’interno» e non «contro», che è la linea

162 Il Codice contemplava, tra l’altro, l’abolizione della tortura e della pena di morte. 163 P.PETITTI, Repertorio amministrativo ossia collezioni di leggi, decreti, reali rescritti, ministeriali di massima, regolamenti ed istruzioni sull’amministrazione civile del Regno delle due Sicilie, vol. IV, tip. G. Gatto, Napoli 18566 164 La famiglia aveva lasciato Bagnara dopo la morte del Cardinale Don Antonio Ruffo e si era ritirata a Messina. Don Carlo Ruffo, V Duca della Bagnara e III Principe della Motta S.G., s’era sposato con Annamaria Ruffo & Santapau, figlia di Don Giuseppe Tiberio, Principe di Palazzolo, del ramo di Scilla. Dal matrimonio erano nati Francesco, Principe della Motta S.G. e VI Duca della Bagnara, Tiberio, Chierico di Camera di Sua Santità, Tommaso, Ottavio e Domenico, tutti Cavalieri di Malta. Francesco Ruffo & Santapau, VI Duca della Bagnara, sposò Donna Ippolita d’Avalos d’Aquino & Aragona dei Marchesi di Pescara & Vasto, ed ebbe due figli: Carlo e Nicola. Carlo non ebbe eredi maschi. Dal matrimonio con Donna Giuseppina Canaviglia dei Marchesi di San Marco, erano nate Ippolita, Cecilia poi Principessa di Stigliano ed Eleonora, pi Principessa di Scalea. Carlo morì prima del padre Francesco sicché la successione toccò a Don Nicola, VII Duca della Bagnara e V principe della Motta S.G..- Don Nicola aveva sposato la nipote Donna Ippolita principessa della Motta S.G. e non ebbe figli sicché nel 1794 il ramo diretto della Gran Casa di Bagnara s’estinse e i beni passarono, nel marzo 1795 e per atto del notaio Tommaso Barletta di Napoli, a Don Vincenzino Ruffo, Duca di Baranello, discendente diretto di Don Carlo Ruffo & Boncompagno. Continueranno dunque i rami cadetti: la Casa di Baranello (della quale faceva parte il Chierico di camera di Sua santità Don Fabrizio Ruffo) e quella di Sant’Antimo & della Motta.

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