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IL COMMERCIO MARITTIMO DI SCILLA E BAGNARA NEL MEDITERRANEO E NELL’EUROPA CONTINENTALE
Appunti e osservazioni
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Verso la fine di agosto del 1734 quattro Padron di barca bagnaroti: Santino Melluso, Gioacchino Galimi, Mercurio Caia e Peppino Pavone, deposero davanti al notaio Don Carmelo Sofio circa le imposizioni che vigevano sul Canale fin dal 1719. Il motivo della deposizione era determinare per atto pubblico e quindi in modo chiaro, quali erano i diritti dell’Erario che bisognava computare nelle spese di trasferta e pesca sul Canale. Ecco la testimonianza:
… in pubblico testimonio personalmente costituti P.n Santo Melluso – P.n Gioacchino Galime – P.n Mercurio Caija – P.n Giuseppe Pavone, tutti della città di Bagnara, con loro giuramento asseriscono, testificano e dichiarano nella nostra presenza constarli certamente che il Magnifico Pietro Baldaro erario ed amministratore delle rendite di Gioja per l’eccellentissimo Principe di Gerace in quest’anno che andavano barche pescherecce in detta marina di Gioja s’essiggono carlini venti per ogni barchetta per dritto di scaro, anziché, sendo li predetti costituti andati quasi continuamente ogn’anno a pescare hanno sempre pagato il detto dritto, e portando per ciascheduno padrone due barchette, duplicamente pagavano, cioè docati tre, in quattro, e testificano ancora sapere certamente che, sendo andati ogn’anno padroni di Scilla, pagavano il medesimo dritto di carlini venti, ed ancora li padroni di Pizzo e li padroni del Faro di Messina, per ogn’anno per una volta tantum pagavano il suddetto deritto e questo dall’anno 1719 si’impose il dazio, sino alle presenti giornate … (ASR, Notaio C. Sofio – Bagnara, f. 127, n. 168, a. 1734.
Non era la prima volta che si puntualizzavano aspetti fiscali del commercio marittimo. Un’altra testimonianza di estrema importanza documentativa e datata ancora 1737 (3 gennaio), proviene da Bagnara e concerne il «cambio marittimo» per il «negozio del mare» effettuato dalle «società marittime». Questa volta a deporre sono i padron di barca bagnaroti Gio:Batta Patamia – Nino Morello, Peppino Barbaro, Mico Arena, Peppe Sciplino e Ciccio Fondacaro. Innanzitutto riproduciamo lo storico documento inedito:
…In Dei Domine … amen. Die (3/1/1737) in Civitate Balneariae regnante. In pubblico testimonio personalmente costituti (i predetti) li quali sponté … asseriscono sapere certissimo usarsi per antica consuetudine nella predetta Città di Bagnara come che è scarsa di territorio e devesi vivere per necessità col negozio del mare, darsi il danaro à cambio all’otto, al nove ed al diece per cento per ogni anno con stabilire il tempo della restituzione, della sorte principale per uno, per due, per tre e per quattro anni secondo più e meno possano aggiustarsi trà loro i Contraenti e tutto ciò per il lucro cessante e danno emergente si per ogni centinaro, venti cinque, trenta, quaranta e forse cinquanta ducati asserendo essi predetti costituti tutto ciò constarli come che sono negozianti e perché così consta su la loro coscienza e per esser questa la pura verità, hanno richiesto a noi che ne facessimo pubblico Atto, et quia … (ASR, Notaio C. Sofio – Bagnara, f. 177, p.1)
Il «negozio del mare» era dunque l’attività preminente a Bagnara, osservato con regole che si usavano per «antica consuetudine». Sarebbe facile far confluire queste asserzioni in seno alla presunta «tradizione mariana» di Bagnara; nella realtà Bagnara non fu cittadina di tradizioni preminentemente marinare. La stessa caccia al pesce-spada, della quale la cittadina anseatica fu la vera regina del Canale, non fu (e non è) che un’attività stagionale e deve la sua notorietà alla unicità, alla particolarità che la distingue dalle altre attività pescherecce. Peraltro è anche vero che con la caccia al pesce-spada, l’età di Bagnara può retrocedere in era addirittura mitologica poiché la caccia era praticata dagli abitatori dello Stretto fin dai tempi di Omero e la costa dove ora sorge Bagnara, era frequentata («frequentata», non «abitata» in modo continuativo con insediamenti simili a villaggio o, come addirittura si crede, porto con cantieri navali) dagli avvistatori, oltre che dai marinari in rotta da e per lo Stretto, che fra le vasche naturali ove si gettavano le cascate di Gazziano e Sfalassà, si fermavano per l’acquata e il legnatico. Si fermavano prima dell’attraversamento del Canale, per affrontare le correnti ben equipaggiati e dopo di esso per riposare: si fermavano fra quelle vasche naturali ove si gettavano le cascate: il luogo dei bagni, cioè la Balnearia, come la definirono i Normanni che verso il 1060 studiarono quel luogo, all’epoca di proprietà di un monaco seminaroto: Paolo Presbitero, e lo indicarono come ideale postazione militare di lancio verso la conquista della costa siciliana. Bagnara dunque come luogo anseatico, ben protetto dalle montagne, ottimo per le provviste di acqua e legno dei soprastanti boschi e con sentieri, ancorché aspri, di collegamento colla fortezza di Seminara, già usati dai saraceni durante le scorrerie sui Piani della Corona. I saraceni facevano l’acquata fra le vasche naturali del Gazziano e aggredivano i Piani della Corona salendo per Cavajancuja verso la «Terra del Leone», come veniva definita la mitica area che andava fino a
Melicuccà nel Commentario col quale la Contessa Adelasia e il figlio Ruggero Conte di Calabria, nel 1110 fissavano i confini della Terra di Bagnara.273 Di fronte alla spiaggia del Leone e a fianco della Grotta di San Leone (‘A grutta ‘i Santu Leu) (oggi ribattezzata, non si sa perché, colla ridicola definizione di «Grotta delle rondini», ma in realtà colma di pipistrelli) c’è tutt’ora l’ampio scoglio definito Pietra Galera, altro luogo mitico, come il monastero di Sant’Elia Juniore (Aulinas) e le regioni mercuriali dei beati Fantino, Stefano e San Nilo274, inoltre le «poste» per l’osservazione del pesce-spada, costituivano un’acquisizione d’esperienza determinante ai fini della sorveglianza delle manovre della flotta nemica al largo del Canale e verso Mileto e gli altri insediamenti normanni.275 Bagnara nacque dunque sul promontorio di Martorano nel 1085, e nacque sopra la Balnearia, il forte militare normanno che era attivo da oltre quindici anni, sulla marina. Infatti la Chiesa venne edificata per dare corpo al traffico della sottostante stazione marittima militare della Balnearia e dunque «per comodo dé suoi carissimi cittadini, i quali da Normandia, in abito di pellegrini, a visitare i Santi Luoghi di Palestina tragittavano per Mileto». I documenti originali che Stefano Patrizi portò dinanzi al Tribunale della Capitale, insieme al transunto di un libro dell’epoca, conservato nell’archivio del Duca di Bagnara, a supporto della causa contro i PP.Domenicani, non lasciano dubbi in proposito, tant’è che all’epoca il Re, che li lesse insieme a una relazione della Segreteria di Stato, li rimise ai Magistrati preposti al giudizio di quella famosa causa. In questi documenti era scritto che la badìa di Paolo Presbitero veniva ceduta alla nuova istituzione e più precisamente: la rendita di tre mulini a Seminara, la Chiesa della SS.Trinità di Seminara, la Chiesa di S.Nicola di Solano (l’antichissimo Passo che all’epoca si chiamava Montanicchio), la Chiesa di S.Maria di Canicchio, che era ai Piani della Corona, la Chiesa di S.Michele in Visita a Palmi, la Chiesa di S.Felice in Arena, la Chiesa di S.Angelo di Ralut (incorporata in quella di Arena), la promiscuità dei pascoli col Conte (praticamente dunque l’intera Calabria). Poiché l’insediamento militare sottostante, cioè la Balnearia, era destinato a trasformarsi, in virtù della fondazione, in insediamento civile, il nuovo Monastero ottenne il diritto alla bagliva, dogana, ottimo del vino, scannaggio degli animali e ventesima degli stessi, falangaggio, decima sui pesci, potestà di giurisdizione civile e criminale con Castello e Castellania per esercitare l’ufficio di Capitano e Castellano nel contempo, carica di altissimo rango. Venne altresì assegnato alla nuova istituzione il Monastero di S.Luca che a Solano gestiva l’attività dell’immenso bosco, oltre al jus del Passo, il legnatico senza pesi e imposte e infine il Conte le concesse «due poste di pesce spada». L’atto di nascita è dunque di tipo militare. La caratteristica peculiare di fortilizio militare fece sviluppare, e di molto, l’attività di supporto e cioè l’attività boschiva, pastorizia e agricola, proprio per
273 …Io Contessa Adelasia con mio figlio Ruggero conte di Calabria e Sicilia (…) esistendo noi nella città di Messina (…) Poi divise quelle (Terre) così: seguendo la valle del Rocchio (ora spiaggia di Rocchi, ove è il porto), che sale e va fino ai confini dell’Episcopio, dov’è la via Reale, poi nella località che è detta della Corona (ora i Piani della Corona) e di là, lungo la via (Reale), va a Sabbucca, dove c’è l’acqua, e prosegue sino al fiume, che è chiamato Vathi, e da lì il fiume Vathi discende fino al mare e va, seguendo la spiaggia, sino alla valle del Rocchio, da dove iniziammo, ed in tal modo si conclude. Dopo che il predetto signore Bono divise anche questo territorio innanzi a tutti, mostrò come non dovevano essere al di sotto di tali confini quelli dei territori di Santa Maria di Spileo, in località detta «Clazano», corrispondenti alla metà di Clazano (l’attuale torrente Gazziano), da otto (miglia?) sino al mare, come è a tutti noto. Analogamente chiarì i confini tra la terra del Leone di Melicuccà e la medesima terra di Sant’Elia, sul versante che scende al mare.(cfr.: K.A.KEHR, Die Urkunden der Normannisch-Sicilischen Konige, Innsbruck 1902, p. 413). 274 Dell’anno 951 è la cronaca di un’aggressione saracena che utilizzava i canaloni della costiera ove in seguito sorse Bagnara, per le scorrerie sull’entroterra: «…era già un anno che gli empi saraceni con le loro scorrerie devastavano tutta la Calabria e corse la notizia che si avvicinavano ad assalire le Regioni Mercuriali, né pareva che volessero usare riguardo a monasteri, né alcuna pietà verso i monaci. Tutti al primo avviso cercarono di ricoverarsi à primi castelli. Allora anche il Beato Stefano dimorando nel cenobio di San Fantino, salì con gli altri fratelli nel vicino castello (di Seminara) giacché crescendo il rumore non avea potuto tornare alla spelonca di San Michele ove soggiornava San Nilo. Questi avendo osservato dalla parte superiore della spelonca il sollevarsi della polvere e la sopravvenuta moltitudine di saraceni, fu spaventato dal loro furore … (l’ampia trattazione di questi argomenti è in T.PUNTILLO – E.BARLA’, Civiltà dello Stretto, con bibliografia di rimando, Periferia ed., Cosenza 1993, pg. 17 e sgg.). Per quanto attiene Pietra Galera, di fronte alla spiaggia mitologica di Cavajancuja (Kà va jia ‘nku jia, nell’antico linguaggio jonico) e situata nell’ansa prima di San Leone, le citazioni la indicano come ormeggio delle galee saracene che sbarcavano gli incursori e anche come luogo di temporanea prigione (su questo aspetto cfr. il De Rosi che riprende le carte geografiche seicentesche sulla Calabria Ultra, ora in V.FAGLIA, Tipologia delle Torri costiere di avvistamento e segnalazione in Calabria Citra e in Calabria Ultra dal XII secolo. Ricognizioni, Istituto Italiano dei Castelli ed., Roma 1984. La Torre di Bagnara viene datata 1613 ed è detta di Capo Rocchi, ma in realtà ha caratteristiche di torre angioina. I torrieri che si conoscono non sono molti. Eccone alcuni:
TORRIERI DELLA TORRE CAVALLARA DI BAGNARA
ANNO TORRIERE 1576 Lelio Lombardo 1588 Domenico Girales 1616 Muzio Poeta 1638 Domenico Ruggiero 1700 Onofrio de Ruggiero
1707 Domenico Ruggiero E’ a tal punto facile comprendere perché poi nel corso del tempo, la Torre abbia assunto la denominazione di «Torre di Ruggero». Nei tempi più recenti poi, la mancanza di memoria storica dei locali, portò alla decifrazione che la Torre si chiamasse in quella maniera perché voluta dal Gran Conte Ruggero! Nel 1639 la Torre subì danni seri a causa del terremoto che colpì la Costa e in particolare Bagnara, provocando tra l’altro il dissesto del promontorio di Martorano e in particolare la stabilità del campanile della Reale Abbazia Normanna che da allora fu incatenato per evitarne il crollo. (Molti particolari sulle torri costiere in: M.MAFRICI, Il sistema difensivo costiero calabrese: le torri, «Brutium», a. LVII (10/12-1978), n. 4 –RC 1922). 275 Le poste per la caccia al pesce-spada della costa bagnarese si denominavano: Area – Bajetta – Capu – Cefaredda – Marturanu – Moturussu –Ped’j’Lapa – Posticedda – Grutta ‘i Santu Leu – Santu Leu – Surrintinu – Muscalà – Petricanali.
alimentare gli approvvigionamenti ai convogli navali in spostamento lungo le vie del Canale. Ricordiamo che quest’attività si sviluppò in modo enorme durante tutto il Priorato Bagnarese a supporto soprattutto delle esigenze militari reali, dall’Imperatore Federico II ai principi Aragonesi. A Bagnara si fermò anche Riccardo Cuor di Leone con i suoi crociati prima della traversata verso la Terrasanta, e in genere Bagnara fu rotta di approvvigionamento sostanziale a tutti i convogli crociati e della Religione (la flotta dei cavalieri di Malta). Avere Bagnara dalla propria parte, significava avere un deterrente fondamentale quasi al centro del Mediterraneo e in una postazione strategica all’ingresso del Canale, a favore e protezione delle flotte e dei rifornimenti. Ecco perché il papa tentò più volte di entrarne nel possesso e contro tali piani, nel tempo s’opposero i priori della cittadina anseatica, che gestivano fiorenti attività di supporto agli interessi reali.276 Anche sotto il primo governo comitale della Gran Casa di Bagnara, la cittadina anseatica poté prima superare tutti i problemi economici dovuti ai conflitti politici che, tra l’altro, avevano decretato il declino definitivo del Priorato e della casta religiosa ad esso legato, e poi riproporsi come centro commerciale di spessore. Nel 1348 la Gran Casa aveva consentito ai Nobili Cavalieri Gerosolimitani l’approntamento di un cantiere navale alla Marina di Porto Salvo, da adibire alla riparazione del naviglio in transito da e per la Terrasanta e Malta, un cantiere che veniva alimentato dai boschi a coltura specializzata che da Bagnara salivano fino a Melicuccà.277 Bagnara dunque riprendeva l’antica funzione, dettata con l’atto di fondazione del 1085: assistenza militare e commerciale ai convogli che facevano rotta sul Canale, svolta soprattutto con rifornimenti alimentari e prodotti derivati dall’attività boschiva, soprattutto legname per la costruzione e riparazione di vascelli; oltre a ciò e per ciò, Bagnara era da solido supporto agli interessi reali. Dopo l’unione dei feudi di Sinopoli e Bagnara, lo sviluppo dell’attività agricola s’incrementò in modo esponenziale, soprattuto nella coltivazione dell’uva (in particolare per la produzione del Castiglione, oltre al Paù e la ‘Nzolia), il gelso, gli agrumi e la produzione di olio d’oliva, oltre alla lana, i prodotti caseari derivati dal latte di capra e di pecora, le conserve di tonnina (i «mutuli») e i barilotti di pesce-spada salato. Di quest’ultima specialità la Gran Casa di Bagnara faceva rifornimento direttamente alla Corte Reale di Napoli. Bagnara contadina e operaia insieme, proseguiva la propria vita di lavoro e sviluppo, centrato sulla cura maniacale del patrimonio boschivo e agricolo e legata intimamente alle sorti reali, alleanza alla quale s’affiancava quella coi Nobili Cavalieri di Malta. I Difensori della Religione amavano Bagnara, qui avevano interessi commerciali e appoggiavano senza mezzi termini il Casato dei Ruffo. Gli episodi di Don Carlo Ruffo, morto eroicamente nella difesa di Malta del 1565 e di Frà Fabrizio Ruffo, generale delle galee di Malta, confermano l’amore dei Cavalieri di Malta per Bagnara.
276 Una trattazione completa della storia di Bagnara in questo periodo è in: T.PUNTILLO-E.BARILA’, Civiltà dello Stretto …, cit., da pg. 33 277 FERRANTE DELLA MARRA DUCA DELLA GUARDIA, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere e non, comprese né Seggi di Napoli, imparentate colla Casa della Marra, Napoli 1641, pg. 343.