LO STRETTO DI MESSINA E BAGNARA DOPO IL TERREMOTO DEL 1783

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dunque la causa essenziale del mancato decollo agrario della regione anseatica poiché alla Città, centro di manovra del capitale, mancarono i risparmi provenienti dalle microrealtà rurali in sviluppo, favoriti dai tempi e garantiti dalla continuativa e quindi motivata presenza contadina nei luoghi stessi di coltivazione: i piccoli villaggi in mezzo ai campi che a migliaia puntellavano le campagne venete e piemontesi, villaggi al centro di sentieri e strade e serviti da canali d’irrigazione. Queste microeconomie convogliavano risparmio nei centri urbani e ciò stava innescando in quei luoghi, sviluppo in investimenti manifatturieri e di trasformazione della produzione agricola: olio, vino, tessuti, conserve. Se si osserva lo scenario della Calabria del ‘700, si può riscontrare quanto fin qui asserito: due Città avevano da sole più di 10.000 abitanti – Catanzaro 12.000 e Reggio 16.000; inoltre proprio nel XVIII secolo il Sud fu interessato da un incremento della popolazione, circostanza che in mancanza di sviluppo economico, aggravò la situazione sociale e la dipendenza e ciò 98 malgrado la catastrofe del 1783. Questa urbanizzazione coinvolse tutti all’interno della Regione, spopolando le campagne da contadini, signorotti e borghesi. Il fenomeno s’ingloba nell’incremento demografico regionale e solo l’emigrazione successiva all’Unità ne fermerà l’ascesa. Su Bagnara dunque, la Cassa Sacra non operò massicciamente perché la proprietà risultava già frazionata, le attività produttivo-commerciali erano organizzate e non c’erano che pochi beni ecclesiastici svincolati o svincolabili. In Bagnara città, prima del terremoto e del progetto Cassa Sacra, si pagavano oltre 100 ducati a tomolo per giardini e colture altamente specializzate che divenivano maestosi boschi (“castaniti”) e poi uliveti immensi, man mano che si saliva verso Acquaro, San Procopio, Oppido, Seminara e Palmi. Dopo il terremoto e con l’attuazione della Cassa Sacra, il valore a tomolo in Bagnara città scattò a oltre 200 ducati a tomolo e i fondi disponibili risultarono invenduti e paradossalmente, nessuna famiglia benestante di Bagnara fra le quali ricordiamo: Gregorio De Leo - Giuseppe Sciplino - Vincenzo Gaezza Tommaso Sciplino - Agostino e Pietro Versace – Gaetano Savoja

si mosse, se si esclude Pietro Versace che a Reggio andò a comprare tre porzioni dominicali dei Basiliani. Per queste famiglie, uscite danneggiate economicamente dal terremoto, non vi era convenienza a investire in porzioni di terra troppo piccole, perché la loro attività era più finanziaria che commerciale-produttiva. 1.10 – La sconfitta della Cassa Sacra e il trionfo della Rendita Parassitaria A Bagnara, dopo il terremoto, venivano avanti artigiani e contadini che possedevano tomolate coltivate in modo specializzato anche se fra mille difficoltà. Fu il caso ad esempio, di Mastro Vincenzo Florio che avevamo notato aver perso tutto durante le scosse. Il matrimonio nel 1784 di Mico, primo figlio di Don Vicenzino, con Angiola, la figlia di Don Santo Barbara, fu uno dei tanti contratti per “sopravvivenza”, per cercare di ricostruire in fretta un nucleo familiare in grado di garantire una parvenza di attività esistenziale di base. Angiola aveva portato in dote una casa “diruta” dal terremoto, che tuttavia aveva conservato un valore anche solo per il fatto di essere in situ, nel Paese. Mico Florio è però costretto a venderla (e trova l’acquirente, proprio per la fame di beni vendibili, anche se disastrati, che c’era a Bagnara). Don Vicenzino Florio sposava poi, sempre nel 1784, la figlia Mattia a Paolo Barbaro, il figlio di Padron Franco, un promettente giovane che si era dedicato al commercio marittimo “in società” e che aveva già visitato moltissimi porti del Mediterraneo. Per questo matrimonio, Don Vicenzino diede in dote alla bella Mattia 50 ducati contanti e 30 ducati per costruire una baracca di legno, più una vigna a Granaro. Come si nota, le dotazioni seguitavano a Bagnara e questo spiega perché in regime di Cassa Sacra, non esistevano offerte di vendita di terreni. Poche le trattative sui terreni, molte per case e baracche. A Seminara invece, i ricchi borghesi (Franco, D’Alessandro, Mezzatesta, ecc.) comprarono diversi lotti. La ruralità del comprensorio di Seminara, secolare centro commerciale della seta e dell’olio, consentiva queste transazioni. Fu una grande operazione di “compattamento” degli uliveti, che consentì a Seminara di restare l’epicentro di immensi boschi sistemati a ulivo, da Palmi a Gioia, Cittanova, Taurianova e la stessa Oppido che, peraltro, si comportò come Bagnara. Si mossero solo i Grillo, ma a Seminara, i Cananzi ma a Polistena, i Germanò ma a Santa Cristina. Pochi acquisti da parte delle altre famiglie eminenti di Oppido in Oppido, dai Gerardis ai Malarbì, Fazzari, Romei, ecc. Come si nota, un “patto” borghese pare abbia congelato in Oppido, sede episcopale e di grossi interessi agrari, l’attività d’investimento per il potenziamento, attraverso la ridistribuzione delle terre, della produzione agricola. Un errore, e che errore! 98 Sull’urbanizzazione contadina cfr. P.VILLANI, Il Mezzogiorno fra riforme e rivoluzione, Laterza, Ba. 1974, pg. 92. Sulle statistiche cfr.: A.CARACCIOLO, La storia economica, “Storia d’Italia” Einaudi, cit., vol. III, da pg. 519. In genere gli storici concordano su un giudizio negativo del rapporto popolazione-risorse (P.VILLANI, Documenti e orientamenti per la storia demografica del Regno di Napoli nel ‘700, “Annali dell’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea”, a.XV-XVI (1968); G.LEVI, Problemi di storia demografica nel Mezzogiorno, “Rivista storica italiana”, a. 1968, pg. 911; G.GALASSO, Lo sviluppo demografico del Mezzogiorno prima e dopo l’Unità, “Mezzogiorno medievale e moderno”, To. 1964, pg. 303). Sul fenomeno immigrativo soprattutto in Catanzaro e Reggio, cfr.: A:PLACANICA, Demografia e società nei secoli XVI-XVIII: La Calabria e il caso di Catanzaro, “Economia e Storia (Sicilia e Calabria VI-XIX sec.)” a cura di S. Di Bella. Cs. 1976. La datazione del flusso migratorio è peraltro controversa: cfr. ivi pagg. 222-223 con F.CARACCIOLO, Il Regno di Napoli nei secoli XVI e XVII, “Economia e Società”, Roma 1966, pg. 63 e R:CIASCA, Storia delle bonifiche del Regno di Napoli, Ba. 1928, pg. 45. pag. nr.

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