In Ottobre il Re approvò per la famiglia Caracciolo della Fossa, un finanziamento di 15.000 ducati al tasso del 4% e per 28 anni. Fu finalizzato alla costruzione di una fabbrica per l’elaborazione e l’imbottigliamento dei vini all’uso di Borgogna. L’operazione avrebbe dovuto consentire di convogliare sulla riva calabra del Canale, la produzione viticola locale e qui procedere alla lavorazione del prodotto e al suo confezionamento. Il vino calabrese avrebbe poi raggiunto le piazze d’Europa. Per l’elaborazione del vino fu prevista una catena di produzione avanzatissima, un laboratorio d’analisi avrebbe controllato la qualità del prodotto e provveduto a perfezionare la tecnica di trasformazione dell’uva, fino ad ottenere un prodotto concorrenziale col migliore esistente nel mondo. Invecchiamento e stoccaggio sarebbero stati eseguiti in due gallerie sotterranee. Oltre ai possedimenti della famiglia Caracciolo, l’iniziativa avrebbe coinvolto le vigne dei contadini a ridosso della costiera rasolata di Scilla e Bagnara, ove durante la vendemmia il trasporto dell’uva già avveniva a mezzo di paranze dalle rasole a strapiombo sul mare alle spiagge di sbarco, con carovane di bagnarote che salivano e scendevano dai costoni rasolati, trasportando le coffe con l’uva che i contadini vendemmiavano febbrilmente. Le famiglie borghesi di Reggio, capaci solo di sentirsi nobili e di grandi sentimenti, e per via della loro inettitudine non in grado di competere con le menti intelligenti e gli animi predisposti a vivere nel sociale e dunque costrette ad utilizzare la forza degli scherani e dei mafiosi per difendere la loro condizione, valutarono l’iniziativa pericolosa per i loro interessi monopolistici locali oltre ad essere considerata un’onta: le famiglie distinte non potevano scendere al livello di operatività imprenditoriale. I nobilucci reggini considerarono dunque i Caracciolo dei sacrileghi traditori e furono lieti di appoggiare l’iniziativa della Gran Casa Ducale di Bagnara, furibonda per quella intromissione negli interessi e nel governo che s’attuava da sempre nel Canale. Le pressioni sulla Corte di Catanzaro furono pesanti. Da Bagnara vennero presentati esposti cavillosi, avanzati divieti all’utilizzo di strade private, invocate le prerogative e i diritti feudali, gli usi e infine le minacce aperte. Il Preside di Catanzaro s’oppose dunque alla realizzazione della fabbrica. Il Re intervenne è ordinò alla Reale Azienda d’Educazione di procedere all’erogazione del finanziamento accettando le garanzie sui beni degli stessi Caracciolo e del cognato D.Basilio Anile da Seminara. La fiducia fu confermata all’atto dell’erogazione con la delibera di ulteriori 30.000 ducati da erogarsi sui fatti, cioè ad 56 avanzamento lavori. Opposizione ai progetti di ricostruzione con relativa paralisi della ripresa economica della Calabria, agli interventi di politica economica nel Canale, alle misure di risanamento territoriale. Usurpazione dei diritti sui demani. Trasgressione a regole e leggi dello Stato e in difesa di privilegi. Malumore di contadini, marinai, comuni lavoratori e artigiani. Questo il quadro che alla fine fu tracciato. Insomma, la Nobiltà calabrese, così come quella napoletana, con al guinzaglio la Borghesia emergente, pur avendo perduti tutt’i diritti che 57 rappresentava in faccia al sovrano, avea conservato tutti quelli che una volta avea sul popolo. Le controprove confermarono: in Europa la Borghesia stava giocando un ruolo elitario e la spinta economica fu notevole; il processo delle riforme fu possibile anche in territori cronicamente sottosviluppati, come lo Stato Pontificio; le Corti europee, le migliori intelligenze, i Principi illuminati, stavano dalla parte del riformismo. Basta così! 1.5 – La «Cassa Sacra», le «Scuole Normali» e l’azione di Antonio Jerocades Il Re richiamò Pignatelli e lo inviò a Roma. Il 5 aprile Pio VI approvò l’urgente piano per la soppressione di conventi e seminari, il trasferimento di religiosi e la vendita delle terre con privilegio per i contadini. Il 19 Maggio 1784 fu emanato in Monteleone il bando su quella che verrà definita Cassa Sacra, cioè insieme di 58 beni già appartenenti alla Chiesa e confiscati dallo Stato.
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PROVVEDIMENTO DI ISTITUZIONE DELLA CASSA SACRA Monteleone 19 maggio 1784 Il Clero è obbligato a pagare i tributi, per intero, come tutti gli altri sudditi, senza più privilegi; Le rendite dei monasteri, conventi e luoghi pii, ecclesiastici e laicali, sono destinate al sollievo della Provincia martoriata; Si aboliscono i monasteri che al febbraio 1783 avevano meno di 12 religiosi; si destinano i loro beni alla Cassa Sacra per l’impiego a ristoro e vantaggio della popolazione, del prezzo della loro vendita; Le rendite di quelli con più di 12 ecclesiastici, sono introitate dalla cassa Sacra, come sopra; Si aboliscono i Luoghi Pii d’ogni tipo e s’incamerano nella Cassa Sacra i loro beni; Si dispone il trasferimento dei religiosi regolari calabresi provenienti dai soppressi Monasteri, in altri luoghi; I terziari possono continuare il loro praticantato, ma smettendo l’abito così come i superiori degli ordini e i procuratori nonché i religiosi necessari al culto; Le religiose devono tornare alle loro case familiari o in famiglie private di fiducia garantendo loro la rendita percepita nei conventi.
56 L.NOSTRO, Notizie storiche e topografiche intorno a tutti i paesi del Cenideo, dall’antichissima Colonna Reggina fino alla recente Villa San Giovanni, tip. Morello, Reggio C. 1923, da pg. 100. 57 V.CUOCO, Saggio storico sulla Rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari 1973, p. 122. Sulla situazione agricola del Canale e il rigido sistema finanziario che gravava sui bracciali in quel momento, cfr.: R.VILLARI, Mezzogiorno e contadini nell’età moderna, Laterza, Bari 1961, p. 44. 58 La migliore trattazione su questo periodo e l’attività della Cassa Sacra è in: A.PLACANICA, Alle origini............., pg. 36 pag. nr.
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