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2. Mille sacchi di sabbia

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ARTE IN ASSETTO DI GUERRA

international, nel 1874 con la Dichiarazione di Bruxelles, nel 1880 con il cosiddetto Manuale di Oxford relativo alla guerra terrestre, e nel 1913 con il Manuale di Oxford relativo alla guerra marittima.

Ma le norme, già insufficienti durante il primo conflitto, si dimostreranno totalmente inadeguate durante il secondo: la mancata ratifica di una di queste convenzioni da parte di un solo Stato in guerra avrebbe portato all’ annullamento della sua validità anche fra gli Stati contraenti; i monumenti non venivano differenziati da ospedali e luoghi di culto e l’inciso «autant que possible» con cui i Paesi belligeranti si impegnavano a risparmiare i monumenti, purché non utilizzati a scopi bellici, limitava molto l’ obbligo di rispettarli.

2. Mille sacchi di sabbia

Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra. Lo stesso giorno gli aerei austriaci colpirono Venezia.

Dai primi giorni di febbraio, la Soprintendenza alle Gallerie e quella ai Monumenti del Veneto si stavano preparando al probabile intervento dell’Italia. E poiché a Venezia non esistevano cantine utilizzabili come rifugio per le opere d’ arte mobili, era stato deciso il loro trasferimento oltre gli Appennini, raccomandando la massima prudenza durante le spedizioni, «poiché riunendo tanti capolavori sarebbe grandissimo il disastro se incontrassero cattiva fortuna, tutti insieme, tanto da far pensare se non fosse meglio lasciar che corrano ciascun per sé la loro varia sorte»3 . Le opere più importanti erano state quindi inviate a Firenze –che pure aveva protetto sul posto i suoi monumenti principali – e ricoverate nel Cenacolo di San Salvi, nelle Cripte medicee, al Bargello, a Palazzo Riccardi. Si era rinunciato al trasporto della grande tavola con l’Assunta di Tiziano, che già nel corso della storia era stata protetta contro le bombe austriache con balle di cotone accatastate, e la si era appoggiata alla parete più resistente della sala delle Gallerie che la ospitava4 . Il progetto prevedeva di farla scendere, attraverso un taglio nel pavimento della sala, in un locale sottostante, dove sarebbe stata disposta orizzontalmente e protetta in modo da resistere anche al crollo dell’intero edificio5 .

Ma l’ azione delle Soprintendenze doveva incontrare in molti casi la diffidenza delle autorità comunali, degli enti proprietari, del clero e degli stessi cittadini, convinti che il Governo ne avrebbe approfittato per impadronirsi delle opere e collocarle stabilmente nei propri musei. In

I. UN PASSO INDIETRO 17

aprile, il sindaco di Venezia, con una lettera riservata, informava il Ministero della Pubblica Istruzione di aver chiesto alla Soprintendenza l’ elenco delle opere asportate con l’ esplicita dichiarazione da parte del Governo che le opere stesse sarebbero state tutte ricollocate al loro posto non appena cessate le cause che ne avevano determinata la provvisoria rimozione6 .

La consegna delle opere d’ arte, inoltre, avrebbe potuto demoralizzare la popolazione, inducendola a credere in un esito sfavorevole della guerra. Il 25 aprile giungeva quindi l’ ordine tassativo di sospendere tutto e di lasciare sul posto, con semplici provvedimenti di tutela, gli oggetti già rimossi, «per non impressionare le popolazioni e non irritare gli animi prima della dichiarazione di guerra»7 .

A dichiarazione di guerra avvenuta, anche Pisa si preparò a difendere i suoi monumenti, cercando, innanzitutto, di evitarne la requisizione da parte dei militari.

Il 26 maggio 1915, Peleo Bacci, soprintendente ai Monumenti, scrisse a Carlo Fedeli, Operaio presidente della Primaziale di Pisa, assicurando «nel modo più formale» che la Soprintendenza non avrebbe mai consentito l’ occupazione, sia pure temporanea, di Camposanto, Duomo e Battistero da parte dei militari: «Se urgenze imprescindibili reclamassero l’ uso di vasti locali, prima porremo a disposizione del Comando tutta la Certosa di Calci e tutte le altre chiese di Pisa»8 . Non sarebbe stata la prima volta che i monumenti di Pisa venivano requisiti. Nel 1799 le armate napoleoniche avevano occupato i prati del Duomo con uomini, cavalli e mezzi, e trasformato il Camposanto in un ’ officina per la riparazione dei carri. L’ esercito austriaco giunto a Pisa nel 1849, invece, utilizzò la piazza come luogo di addestramento per le truppe, trasformando il cimitero ebraico in deposito di munizioni e costruendo capannoni a ridosso delle mura per i mezzi dell’ artiglieria. La polvere sollevata dai cavalli al galoppo si insinuava ovunque, anche all’interno dei monumenti, e gli spari disturbavano i ricoverati nell’ ospedale, ma a nulla valsero i tentativi e le petizioni dei cittadini per opporsi alla requisizione dei prati9 .

Il 4 giugno, l’Ufficio tecnico del Comune di Pisa, in seguito ad accordi con il soprintendente, comunicò alla Primaziale di averle messo a disposizione mille sacchi di sabbia per la protezione dei monumenti. Nello stesso periodo, l’Opera decideva di «assicurare il prezioso quadro della S. Agnese di Andrea del Sarto nel Duomo di Pisa, con una armatura di sicurezza», per impedire ogni possibilità di furto10 . La Prefettura aveva inoltre disposto di oscurare completamente Piazza dei Miraco-