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5. Il Trionfo della Morte

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ARTE IN ASSETTO DI GUERRA

La polvere aveva avvolto la città come una nebbia, le pietre proiettate dall’ esplosione del Ponte di Mezzo erano arrivate fino a piazza S. Caterina.

Alle 22.30 una nube di polvere avvolse anche San Miniato, quando i tedeschi, prima della ritirata, fecero saltare la Rocca, che crollò con fragore: «si udì un grande scoppio, seguito da un boato e da un grande bagliore, quindi una nube nera avvolse la collina. Quando essa fu dileguata, la rocca non c ’ era più»27 . Gli Alleati entrarono in città.

Il giorno seguente, a Pisa, cannoneggiamento nella zona del Duomo. Proiettili colpirono il Camposanto, la Torre, il Duomo, l’ ospedale, il campanile della chiesa dei Cavalieri, raggiunto da un proiettile razzo tedesco proveniente dal cortile dell’ ex casa dei Guf. La popolazione si era riversata in Duomo e nell’Arcivescovado, dove aveva sede anche il Comitato di alimentazione. I piccoli fuochi utilizzati per cucinare lasciavano le tracce sotto i portici.

Nella notte del 26 il combattimento si fece più intenso.

5. Il Trionfo della Morte

«Dopo mesi di terribile apprensione ero riuscito a portarmi […] tra le rovine dei Lungarni, di Borgo, del nostro “Di là d’Arno ” ; e all’incubo vago, tante volte sognato, di quelle bianche statue medicee rimaste sole nelle piazze ad affrontare a capo nudo l’inferno della mitraglia e delle granate incrociantisi dalle opposte rive, al disordinato tumulto della fantasia incapace di concretare in immagini le frammentarie notizie di troppe distruzioni ed intimità violate, vedevo sovrapporsi, con fulminea prontezza, la dura visione di una città irrimediabilmente degradata dalla sventura nei suoi abitatori non meno che nei suoi edifici. […] Se gli eserciti stranieri […] se ne sarebbero un giorno andati, sarebbero rimasti, a far testimonianza delle più profonde ferite inferte a Pisa, i mutati costumi, la rassegnazione ad un più basso livello di vita imposto dalle circostanze e troppo facilmente accettato […], lo scadimento della morale pubblica e privata […]. Se ben ricordi, neanche ti parlavo dei cosiddetti danni artistici, pur se lacrime cocenti m ’ avevano rigato il volto nell’ affacciarmi al Camposanto scoperchiato, nel contemplar gli affreschi spellati e torrefatti, le mutilate statue, i sarcofagi infranti in mezzo ai quali la Morte celebrava un suo secondo, più tragico e vero Trionfo…»28 .

Così avrebbe scritto Enzo Carli nel 1946.

IV. 1944: LA LINEA DELL’ARNO 87

19. Camposanto, autunno 1944 (National Archives, Washington).

20. Camposanto, autunno 1944 (National Archives, Washington).

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ARTE IN ASSETTO DI GUERRA

Come annotava, con una scrittura agitata, Bruno Farnesi nel suo registro, il 27 luglio 1944 era bruciato il Camposanto: «27 luglio. Alle ore 19.30 circa, in seguito a granate dell’Artiglieria Anglo-Americana il tetto del nostro Bel Camposanto viene incendiato sono vani i tentativi di circoscrivere il fuoco a causa dei mezzi inadeguati e del continuare del cannoneggiamento. Il celebre Camposanto alle ore 24 è semidistrutto –il tetto è completamente incendiato».

Le travi del tetto, secche per il caldo estivo, arsero velocemente; il fuoco progrediva alla velocità di circa un metro e trenta al minuto, divorando in poche ore i 355 metri del tetto. Il piombo delle coperture, incandescente, cadde «come una pioggia di gocciole roventi»29 , investendo affreschi, sarcofagi, tombe, sculture, cornici e pavimento, «distendendovisi per tutta la larghezza come un manto spugnoso dello spessore di 4-10 millimetri»30 . Nel Duomo le persone, impressionate, si stringevano, ascoltando i colpi cupi delle capriate che precipitavano, il crepitio del legno divorato dal fuoco. Dai finestroni, nel buio, entrava la luce abbagliante dell’incendio.

I coraggiosi dipendenti dell’Opera ed un militare tedesco salirono sul tetto per isolare l’incendio, tagliando le lastre con accette e picconi, ma un vento leggero alimentava le fiamme e il tiro dell’ artiglieria si stava intensificando.

Statue e sarcofagi si infransero, cotti dal calore; il sepolcro Gherardesca fu colpito dalle travi del tetto. In pezzi anche la tomba di Matteo Corte, da cui emergevano parte dello scheletro e la toga, che sventolava nel vento: «unica cosa viva in tutto quest’immenso silenzio di desolazione»31 , come scriveva Cenni nel diario. La parete settentrionale era molto danneggiata. Come dichiarava Sanpaolesi, degli affreschi di Gozzoli rimanevano, nelle parti superstiti, solo «ombre grigiastre leggermente intinte degli antichi colori. Le superfici di questi sono disintegrate in particelle, squame e polvere minutissima che aderiscono labilmente all’intonaco»32 .

Completamente perduta l’Assunta posta sulla porta del Camposanto, alcuni affreschi avevano subito delle singolari alterazioni cromatiche. Fino all’ arrivo degli Alleati quello che restava delle pitture rimase esposto al sole e alla pioggia: fra settembre e novembre caddero intere parti di affresco inzuppate dall’ acqua.

Già prima della guerra, Roberto Longhi aveva insistito presso la Direzione Generale affinché predisponesse un vasto piano di distacco dei maggiori cicli murari: se si fosse realizzato, sosteneva, gli affreschi degli Eremitani e quelli del Camposanto sarebbero stati ancora integri33 . E nel dicembre 1944 concludeva la sua Lettera a Giuliano con un «inter-