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6. Coprifuoco

IV. 1944: LA LINEA DELL’ARNO 89

minabile esame di coscienza»: «Anche noi, gli anziani soprattutto, siamo infatti responsabili di tante ferite al torso dell’ arte italiana, almeno per non aver lavorato più duramente e per non aver detto e propalato in tempo quanti e quali valori si cercava di proteggere. […] O basta dire che l’ arte suprema si difende da sola e che il centro di Firenze è stato salvato da Giotto, da Arnolfo e da Brunelleschi? Io non lo credo. L’ arte, di per sé muta e indifesa, non può proteggersi che con la fama, e la fama è la critica sempre desta»34 .

6. Coprifuoco

Nella notte del 27 luglio fu nuovamente colpito l’Arcivescovado e subirono danni le cliniche dell’ ospedale; alcune strade erano quasi completamente coperte di detriti. Gattai redasse una protesta per l’incendio del Camposanto in inglese e in tedesco e la fece recapitare a entrambi i Comandi. Come risposta, il Comando tedesco, installato in una palazzina del viale di Porta a Lucca, fece pervenire al commissario cinque cartelli da affiggere sugli edifici per non farvi accedere i militari. Uno fu affisso al Duomo, uno alla Torre, per evitare che venisse utilizzata come osservatorio, altri alle chiese i cui campanili avrebbero potuto essere impiegati allo stesso scopo. Fu proprio uno di questi cartelli a scongiurare che il campanile di S. Caterina divenisse un osservatorio tedesco.

Continuavano i saccheggi. Il 1° agosto, la Primaziale dovette provvedere alla chiusura provvisoria delle porte esterne del Camposanto per ostacolare l’ingresso agli “ sciacalli” che cercavano di asportare il piombo e tutto quello che riuscivano ad afferrare. Gli operai furono così costretti a trasportare entro le mura il piombo colato all’ esterno. Furono rubate anche le croci di legno apposte sulle tombe improvvisate presso la Porta del Leone. L’impossibilità di raggiungere il cimitero suburbano, infatti, aveva costretto ad utilizzare questa zona della piazza per seppellirvi le vittime della guerra. Alcune erano state deposte frettolosamente anche nel giardino e nelle tombe terragne del Camposanto, come ricordava Gustavo Cenni: «Abbiamo purtroppo veduto, una per una, in che maniera incosciente era stato spaccato a mezzo di piccone, varie lastre tombali del trecento e del seicento, per introdurvi in esse i morti di questi ultimi giorni all’ ospedale […]. Sono state pure aperte varie altre tombe, ed alcune poi essendole risultato inservibili perché o piccole o molto profonde sono state lasciate poi così aperte. Mentre di alcune delle più grandi se ne sono liberamente serviti, ed in complesso vi sono 11 cadaveri messi lì alla rin-

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ARTE IN ASSETTO DI GUERRA

fusa, senza cassa, e ricoperti appena con tutti i detriti, mattoni, piombo terra del giardino tutto materiale che si trovava a portata di mano»35 .

Nella zona non cessava il cannoneggiamento e furono nuovamente colpiti Duomo e Arcivescovado. Le protezioni della porta di San Ranieri la difesero dalle schegge di una cannonata scoppiata nelle immediate vicinanze.

La Torre fu mitragliata. Come riportava un diario di guerra della 208a Squadriglia sudafricana della Desert Air Force: «Il pilota volò molto basso e vide distintamente tre persone sulla cima della Torre. Di conseguenza questa fu mitragliata»36 . Possibile osservatorio tedesco, corse il pericolo di essere cannoneggiata in appoggio all’ attacco della fanteria. Secondo il racconto avventuroso e romanzesco dell’ americano Leon Weckstein in Through my Eyes, l’ autore, all’ epoca sergente, risparmiò la Torre dalla distruzione a causa della sua incertezza nell’ eseguire gli ordini, ipnotizzato dalla grazia e dall’ eleganza dell’ architettura, dando così tempo e modo ai generali di rivedere la loro decisione. Compito del militare era quello di scorgere tracce del nemico e indirizzare l’ artiglieria statunitense. Ma la foschia di agosto non permetteva una chiara visuale e, dopo qualche ora, fu richiamato dai superiori che lo sottrassero al fuoco incalzante.

La situazione per la popolazione si stava aggravando: «La popolazione vive ormai da due mesi in condizioni inimmaginabili. Il Duomo è un ammasso di persone e cose, maleodorante e lugubre»37 . Il coprifuoco ordinato dal Comando tedesco consentiva di uscire dalle abitazioni solo per due ore al giorno, dalle 10 alle 12 (in seguito dalle 9 alle 12), mentre un successivo bando tedesco imponeva agli uomini dai 16 ai 50 anni di radunarsi in Piazza Duomo, pena la morte, per essere condotti al lavoro in località Massarosa. Qualsiasi nascondiglio era buono per evitare la deportazione. Così, in occasione della messa a S. Giuseppe, Marco Picotti si meravigliava della grande quantità di uomini che spuntava da ogni dove: «Ce ne sono nascosti sul campanile, tra il tetto ed il soffitto della chiesa, uno perfino sotto l’ urna della Beata Chiara Gambacorti, che è stata trasportata qui, dopo la distruzione di S. Bernardino»38 .

Agli inizi di agosto l’ispettore Emilio Lavagnino si recò con Giorgio Castelfranco in Toscana per controllare i depositi delle opere d’ arte, fra cui quello di Montagnana con opere degli Uffizi e di Pitti, quasi completamente svuotato dai tedeschi. Risultava saccheggiato anche il deposito dell’Ugolino, ma Sanpaolesi poté constatare che nessuna opera era stata asportata o danneggiata, nonostante l’ingresso dei tedeschi. Non aveva subito danni nemmeno la Sant’Agnese di Andrea del Sarto in uno