
19 minute read
La Croazia nella strategia italiana di dissoluzione della Jugoslavia, di Alberto Becherelli “
Noi credevamo
La Croazia nella strategia italiana di dissoluzione della Jugoslavia
Advertisement
di Alberto Becherelli 423
Come quella italo-ungherese1, un’alleanza impossibile, potrebbe essere senz’altro definito così il rapporto che nel periodo interbellico va delineandosi tra l’Italia e i croati nel contesto della strategia italiana di dissoluzione del vicino jugoslavo costituitosi al termine della Prima guerra mondiale. Secondo la logica del comune nemico gli interessi di Italia e Croazia troveranno un punto d’incontro nelle comuni aspirazioni anti-jugoslave (ovvero anti-serbe), ma il sodalizio, ispirato da mere ragioni di convenienza, sarà fondato su fragili basi a causa di quella disputa adriatica che rappresenterà una delle più importanti e complesse questioni affrontate alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919.2
Con la finis Austriae, voluta soprattutto dall’Italia, emerse la latente contraddizione tra le nostre aspirazioni irredentiste e strategiche sulla sponda balcanica dell’Adriatico e il movimento nazionale jugoslavo, al punto da rischiare il ricorso alle armi quando le forze italiane (facendosi scudo dei due inconsapevoli battaglioni americani)3 dilagarono oltre la linea di demarcazione concordata con gli Alleati nelle clausole armistiziali di Villa Giusti occupando Fiume, esclusa dal trattato di Londra del 1915. Fu proprio l’espansionismo italiano a spingere le élite politiche slovene e croate, fino ad allora riluttanti all’egemonia serba sul movimento jugoslavo, ad aderire al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni proclamato a Belgrado il 1° dicembre 1918 dal principe reggente serbo Aleksandar Karađorđević. Croati e sloveni, che la propaganda italiana dipingeva come i più combattivi soldati dell’esercito austro-ungarico, si dimostravano ora disposti ad accettare l’unione jugoslava al fine di ricevere da Belgrado le necessarie garanzie internazionali. Ciò provocò la sconfessione dell’Italia da parte del Presidente Wilson e il rifiuto di Lloyd George e Clemenceau di aggiungere Fiume – richiesta
1 V. qui l’articolo di B. Juhász. 2 Necessità di sintesi impongono la citazione di una bibliografia e documentazione essenziale altrimenti vastissima. Sulla contesa italo-jugoslava alla Conferenza di Pace di Parigi: R. Albrecht-Carrié, Italy at the Paris Peace Conference, New York, Columbia University Press, 1938; I.J. Lederer, La Jugoslavia dalla Conferenza di Pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Milano, Il Saggiatore, 1966. 3 V. qui l’articolo di Andrea Perrone, «Adriatico a stelle e strisce».
424
Italy on the RImland
dalla delegazione italiana – ai territori promessi nel 1915. Solamente dopo due anni di estenuanti trattative si arrivò a una parziale soluzione della questione adriatica attraverso negoziati diretti tra Roma e Belgrado, che portarono prima alla firma del Trattato di Rapallo (12 novembre 1920) e poi al Trattato di Roma del 27 gennaio 1924, che assegnò Fiume (in precedenza proclamata Stato libero sotto il controllo della SdN) all’Italia.4 Il confine incluse circa 400.000 sloveni e 100.000 croati in territorio italiano: politica rinunciataria da parte jugoslava, che suscitò vibranti proteste alla Skupština di Belgrado, dove il premier Nikola Pašić (1845-1926), da oltre trent’anni protagonista indiscusso della politica serba, fu accusato di aver mutilato la Croazia.
La «maledetta questione di Fiume» – fu Momčilo Ninčić (1876-1949), radicale serbo e ministro degli Esteri jugoslavo, a definirla tale nel 19235 – avvelenò dunque le relazioni italo-jugoslave, né il Trattato di Roma del 1924 rappresentò un compromesso duraturo. A esasperare la situazione contribuì poi il progressivo consolidamento del fascismo, con le minoranze slave oggetto di azioni provocatorie e di una violenta politica di snazionalizzazione e il movimento nazionale sloveno e croato in Italia sottoposto a una sistematica opera di demolizione. La questione adriatica diventerà uno degli obiettivi principali della politica di potenza fascista e rimarrà viva fino alla caduta del regime. Ma soprattutto fu il fascismo a concretizzare col sostegno al separatismo croato e macedone negli anni Trenta il cosiddetto «piano Badoglio» approvato da Sonnino nel dicembre del 1918 e volto a indebolire dall’interno l’unità jugoslava sfruttando le endemiche contraddizioni sociali ed etniche, in primo luogo tra serbi e croati, ma pure l’irrequietezza dell’elemento musulmano o il separatismo sloveno e la causa montenegrina, onde favorire il processo di disgregazione jugoslava a vantaggio degli interessi italiani.
Già durante la Conferenza di Parigi le autorità italiane fomentarono movimenti e dimostrazioni anti-serbi della popolazione croata. Un ruolo fondamentale, al punto da far pensare che fosse lui a preparare il piano per minare dall’interno l’unità jugoslava solitamente attribuito a Badoglio, fu svolto dal colonnello Cesare Pettorelli Lalatta Finzi (1884-1969), il famoso artefice del c. d. «sogno di Carzano»6 e ora capo dell’Ufficio I.T.O. (Informazione Truppe Operanti) della Venezia Giulia. Nella primavera 1919 Finzi effettuò una ricognizione nella Jugoslavia settentrionale per controllare il lavoro cospiratorio svolto dagli agenti italiani tra i vari gruppi centrifughi jugoslavi. Così, in una relazione a Diaz del
4 Per i testi degli accordi in questione A. Giannini, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia, Roma, Istituto per l’Europa orientale, 1934. 5 Documenti Diplomatici Italiani (DDI), Settima Serie, vol. II, doc. 337. 6 Cesare Pettorelli Lalatta Finzi, Il sogno di Carzano, Cappelli, 1926; L’occasione perduta, Mursia, 1967.
Noi credevamo 425
6 aprile, Finzi elencava i compiti affidati ai suoi uomini: disgregazione dell’idea unitaria jugoslava; denigrazione dei serbi ed esagerazione degli incidenti da questi provocati o provocazione degli stessi; propaganda politica per bilanciare l’influenza francese, inglese e americana. Finzi si vanta di aver infiltrato con suoi elementi il Partito contadino croato di Stjepan Radić (1871-1928), principale forza d’opposizione interna al regime di Belgrado. «Nulla fu tralasciato per acuire, disgregare, creare malintesi, rancori, critiche. E l’azione nostra, se in qualche rarissimo momento fu sospettata, non fu mai provata»7 afferma Finzi, secondo cui la quasi totalità della popolazione croata pur di liberarsi dei serbi sarebbe favorevole a un’occupazione italiana della Croazia-Slavonia. In conclusione Roma dovrebbe sposare ufficialmente la questione croata. È probabile che la relazione qui menzionata sia in parte esagerata per dimostrare a Diaz l’efficacia del proprio lavoro, ma è certo che contatti con il Partito contadino croato, anche negli anni a venire, siano intercorsi con emissari italiani e con gli uomini di D’Annunzio nel corso dell’avventura fiumana.8
Il partito contadino croato, in virtù del suo vasto seguito in patria, è sicuramente la realtà politica croata cui si dedica più attenzione, ma in quegli anni sono diversi i personaggi – più o meno attendibili nel proporsi quale referente politico e nel propinare una Croazia pronta all’insurrezione per separarsi dalla vecchia Serbia – con cui gli incaricati italiani entrano in contatto senza ottenere particolari risultati. Soprattutto s’intrattengono relazioni con quelle figure in esilio tra cui forte è la nostalgia per la dominazione austro-ungarica, che diffusa nelle stesse provincie jugoslave ex asburgiche risulterebbe speculare ai propositi italiani – come sosterrà nel 1928 Carlo Galli (1878-1966), ministro plenipotenziario a Belgrado.9 Di tali contatti alcuni sono destinati a rimanere un nulla di fatto – come nel primo caso riportato di seguito – altri a ricoprire ben diversa importanza. Nel giugno del 1919, ad esempio, il generale Roberto Segre (18721936), capo della missione militare italiana per l’armistizio, riferisce al Comando Supremo come il capitano Cajoli venga avvicinato da un «noto rivoluzionario croato», tale Otto Szlavik, che a Graz avrebbe stabilito una vera e propria «Expositur der Revolutionären Partei» collegato ai circoli rivoluzionari della Croazia. Segre presenta Szlavik come «persona fidatissima, […] che potrebbe al bisogno rendere servizi utilissimi alla nostra causa» e che avrebbe «nelle mani i fili della rivoluzione Croata».10 Secondo Szlavik la rivoluzione sarebbe a buon punto,
7 DDI, Settima Serie, vol. III, doc. 134. 8 A tal riguardo M. Bucarelli, «“Delenda Jugoslavia”. D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ‘19-’20», Nuova Storia Contemporanea, 6, 2002, pp. 19-34. 9 DDI, Settima Serie, vol. VI, doc. 522. 10 AUSSME, E-8, Commissioni interalleate di Parigi, Jugoslavia, b. 79, fasc. 14, Comando Supremo, Missione armistizio a Ufficio Operazioni, Notizie sulla Croazia, f.to Maggiore
426
Italy on the RImland
mancherebbe solamente il sostegno dell’Italia, con cui non si esclude un’intesa per quanto riguarda Dalmazia e Fiume. Sostiene Segre: «Lo Szlavik potrebbe essere un elemento utile e fidato per porsi, al coperto, in relazione coi movimenti croati […]. Riterrei pertanto opportuno per i nostri fini politici sfruttare l’opera dello Szlavik […]».11 Alcuni anni dopo – siamo nel 1924 – l’attenzione italiana si pone invece sul barone Stjepan Sarkotić von Lovćen (1858-1939), residente a Vienna, ex governatore della Bosnia-Erzegovina durante la grande guerra e croato di chiare tendenze separatiste. Sarkotić si è dimostrato un asburgico irriducibile fin dal 1918, anno in cui – al profilarsi della sconfitta – ha perorato senza successo l’unione della Bosnia-Erzegovina alla Croazia e la loro permanenza nel contesto imperiale. Così quando il segretario generale dell’Associazione Nazionale Dalmazia, il famoso comandante Giovanni Roncagli (1857-1929)12, propone a Mussolini un finanziamento annuale per «un servizio segreto e metodico di indagini sull’attività dei vari comitati rivoluzionari balcanici e danubiani»13, anche in considerazione del viaggio di Radić a Mosca – che seppur momentaneamente avvicina in modo sospetto il leader del Partito contadino croato alla Russia bolscevica – Roncagli individua in Sarkotić la personalità più adatta a guidare il «movimento rivoluzionario croato» da Vienna. Nel luglio 1928 lo stesso Mussolini incarica il ministro plenipotenziario a Vienna Giacinto Auriti (1883-1969) di prendere contatto nel modo più riservato possibile con Sarkotić. Mussolini descrive l’ex governatore della Bosnia-Erzegovina come «il capo spirituale dei separatisti croati», che «ha avuto in passato occasione di esprimersi con visitatori italiani in senso di particolare simpatia per l’Italia»14 .
Sebbene il favore di Sarkotić tra i funzionari italiani non sia unanime e non manchino detrattori dell’effettiva influenza esercitata in Croazia da questi e dalla
Generale R. Segre, Vienna 28 giugno 1919. 11 Ibidem. 12 Ufficiale idrografo, Roncagli aveva partecipato alla spedizione di Giacomo Bove in Patagonia e Terra del Fuoco. Membro della Lega Navale e Segretario generale della Società Geografica Italiana, nel 1918 pubblicò Il problema militare dell’Adriatico spiegato a tutti, (con edizioni in francese e inglese). Fu poi Capo Ufficio Storico della Marina (Paolo Alberini e Franco Prosperini, Uomini della Marina 1861-1946, Dizionario Biografico, Roma, USMM, 2015, pp. 457-8). 13 Il servizio – spiega Roncagli – sarebbe stato finalizzato alla costituzione di «un comitato segreto balcanico-danubiano, con rappresentanti di tutti i movimenti rivoluzionari non vincolati al bolscevismo russo», per «farne il centro di un’organizzazione segreta internazionale, rivolta a controbilanciare la politica imperialista della Serbia e quella delle potenze che la sorreggono». DDI, Settima Serie, vol. III, doc. 517. Stefano Santoro, L’Italia e l’Europa orientale, diplomazia culturale e propaganda, Milano, FrancoAngeli, 2005, p. 148. 14 Ibidem, vol. VI, doc. 464.
Noi credevamo 427
sua cerchia viennese di ufficiali ex asburgici, al contrario delle altre figure croate con cui si prendono contatti, quella di Sarkotić è di particolare importanza perché è anche tramite questi che si entra nel vivo di quel programma di sostegno al separatismo croato che di lì a breve porterà l’Italia a stringere il sodalizio con gli ustascia di Ante Pavelić (1889-1959). Secondo Auriti sarebbe infatti lo stesso Sarkotić a richiedere all’addetto militare italiano a Vienna Carlo Vecchiarelli (1884-1948) – futuro comandante dell’11a Armata – un incontro tra Pavelić e un qualsiasi dirigente del PNF. Gli incontri tra gli incaricati del Ministero degli Esteri e i separatisti croati s’intensificano quindi nel corso del 1929, dopo che all’inizio dell’anno re Aleksandar ha sospeso la costituzione (6 gennaio) e inaugurato la svolta autoritaria in quella che ora è ufficialmente la Jugoslavia. Il sovrano non solo ridefinisce la suddivisione amministrativa jugoslava senza tener conto delle entità territoriali storiche jugoslave – al fine di garantire la preponderanza serba nel maggior numero di ripartizioni amministrative del regno – ma dà anche il via a una serie di arresti e processi contro i più importanti esponenti politici dell’opposizione, incluso Pavelić, spingendolo alla clandestinità. È con Pavelić che Roma stringe il proprio sodalizio, in primo luogo per la maggiore disponibilità di questi a soddisfare le aspirazioni italiane in Dalmazia, dinanzi un Partito contadino croato che in tal senso si dimostra più cauto e diffidente. Si tratta di un incontro d’interessi piuttosto casuale, in un momento in cui Pavelić cerca in Europa un alleato contro il potere di Belgrado e nonostante il regime fascista abbia fatto di slavo-fobia e avversione per i croati – soprattutto in Istria, a Fiume e a Zara – elementi essenziali della propria propaganda nazionalista.
Agli ustascia di Pavelić è così fornito supporto politico ed economico, armi e la possibilità di addestrare uomini. Dal 1933 l’ispettore generale di P. S. Ercole Conti ne è il responsabile logistico-organizzativo, fino al 1941, anno in cui avvia Pavelić alla presa del potere a Zagabria. Campi di addestramento sono organizzati fino al 1934 a Bovegno (Brescia), Borgotaro e Vischetto (Parma), Oliveto (Arezzo) e San Demetrio (L’Aquila).15 La propaganda ustascia si diffonde soprattutto negli ambienti croati dell’emigrazione europea e americana, ma in Croazia la popolazione rimane generalmente fedele al Partito contadino guidato ora da Vladko Maček (1879-1964), subentrato nella leadership alla morte di Radić. In patria gli agenti ustascia sono responsabili di una serie di attentati dinamitardi a Zagabria e Belgrado e nell’autunno del 1932 un piccolo commando organizzato da Andrija Artuković (1899-1988) – futuro ministro degli Interni dello Stato Indipendente Croato – penetra nella Lika da Zara con l’intenzione di provocare una
15 Ibidem, IX serie, vol. VI, doc. 936. Originale in ASDMAE, Gabinetto del Ministro e Segreteria Generale 1923-1943, b. 1166 (UC 50), Corrispondenza relativa alla questione croata 1938-1941.
428
Italy on the RImland
ribellione nel retroterra dalmata, sfruttando le condizioni di estrema miseria della popolazione contadina della zona. Composto da un esiguo numero di uomini, il gruppo realizza un modesto attentato alla gendarmeria del villaggio di Brušani e a ribellione repressa la pattuglia ripara precipitosamente a Zara.16
Belgrado accusa l’Italia di aver sostenuto e armato la fallimentare insurrezione ma è ancora nulla in confronto alla crisi che sorgerà due anni più tardi, quando gli ustascia, in collaborazione con un separatista macedone, il 9 ottobre 1934 a Marsiglia riescono nell’intento di assassinare re Aleksandar. La responsabilità dell’attentato ricade più o meno direttamente su Roma e Budapest (i tre attentatori croati provengono dal campo di addestramento di Janka-Puszta, al confine jugoslavo-ungherese), ne sono convinti a Belgrado come in ambito internazionale. Si è discusso a lungo dell’eventuale coinvolgimento del governo italiano: appurato che gli ustascia agirono a sua insaputa pesa comunque su Roma una responsabilità oggettiva, politica e morale, per l’ospitalità e il sostegno economico forniti a Pavelić e ai suoi.17
Ad ogni modo si cerca di superare quanto prima «l’incidente di Marsiglia» evitando complicazioni internazionali e senza indagare più di tanto l’eventuale coinvolgimento italiano. Mussolini arresta Pavelić e il suo braccio destro Eugen “Dido” Kvaternik (1910-1962) pur senza estradarli in Francia e confina a Lipari gli ustascia presenti nella penisola; il sostegno ai separatisti croati è momentaneamente sospeso. È interesse italiano attenuare le pressioni internazionali e distendere per quanto possibile le relazioni con la Jugoslavia. A preoccupare l’Europa è infatti subentrata l’affermazione del nazismo in Germania e l’interesse generale impone ora la distensione delle relazioni italo-jugoslave. A tale scopo il ministro a Belgrado Guido Viola, subentrato a Galli, viene incaricato da Roma di assicurare il governo jugoslavo che l’Italia ha interrotto i rapporti con i fuoriusciti croati, salvo l’accoglienza concessa per “un principio generico di ospitalità e un senso di umanità”.18
La corona jugoslava passa a Petar, figlio undicenne di Aleksandar, e la reggenza al principe Pavle, cugino del sovrano, che invita l’economista e politico
16 Sugli ustaša in Italia e la loro attività clandestina nel corso degli anni Trenta si veda E. Gobetti, Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall’Italia fascista, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2001. 17 Le intenzioni degli ustascia del resto erano note ai funzionari italiani già dal 1929. Si veda l’appunto ministeriale sul programma d’azione e le aspettative di Pavelić. DDI, Settima Serie, vol. IX, doc. 33n. 18 ASDMAE, Gabinetto del Ministro e Segreteria Generale 1923-1943, b. 1165 (UC 49), Corrispondenza relativa ai rapporti con la Jugoslavia, settembre 1933-aprile 1940, fasc. 1, MAE, Appunto per S.E. il Sottosegretario di Stato, Istruzioni di S.E. il Capo del Governo al Ministro Viola, 26 febbraio 1935.
Noi credevamo 429
Mussolini e Pavelić alla stazione Ostiense, 18 maggio 1941 Tempo, Anno V, n. 104, 22-29 maggio 1941
serbo Milan Stojadinović (1888-1961), il quale non nasconde le proprie simpatie per Italia e Germania, a formare un nuovo governo (1935). La distensione italojugoslava è inaugurata nel 1936 dalla ripresa delle relazioni commerciali e l’anno successivo da un trattato di amicizia firmato a Belgrado da Ciano e Stojadinović (25 marzo 1937).19 L’accordo prevede il rispetto delle frontiere comuni e la promessa di non tollerare attività dirette contro l’integrità territoriale e l’ordine esistente nell’altro Paese. L’Italia s’impegna dunque a non sostenere le attività dei fuoriusciti croati. Una dichiarazione segreta riguarda esplicitamente gli ustascia presenti sul suolo italiano: Pavelić e Kvaternik sarebbero stati posti nell’impossibilità di svolgere attività politica, i loro uomini trasferiti nelle colonie italiane in destinazioni segnalate alla polizia jugoslava (il numero più consistente rimarrà tuttavia a Lipari).
Gli entusiasmi per il Patto Ciano-Stojadinović sono comunque destinati a durare poco. Nel 1938 le aspirazioni dell’Italia nell’Europa danubiano-balcanica subiscono una dura battuta d’arresto a causa dell’Anschluss e della crisi dei Sudeti che spostano decisamente a favore del revisionismo tedesco l’equilibrio delle potenze europee nel settore. Le reazioni dell’opinione pubblica jugoslava ai due
19 In merito v. M. Bucarelli, Gli accordi Ciano-Stojadinović del 25 marzo 1937, in Clio, 36, 2000, n. 2, pp. 327-395.
430
Italy on the RImland
eventi sono contrastanti: se da una parte alimentano le ambizioni separatiste di taluni ambienti nazionalisti croati, dall’altra suscitano una crescente avversione per le rivendicazioni tedesche e il risveglio dei sentimenti panslavisti nella popolazione.20 Conservare buoni rapporti con lo Stato jugoslavo si conferma ora più che mai fondamentale per l’influenza italiana nei Balcani e in tal senso Stojadinović rappresenta una garanzia. Ancora nel gennaio del 1939 il principe Pavle rassicura Ciano del sostegno accordato a Stojadinović, il mese seguente, tuttavia, il reggente lo destituisce sorprendentemente in seguito a una crisi ministeriale e incarica Dragiša Cvetković di formare il nuovo governo.
Nel marzo successivo l’occupazione tedesca di Praga accelera la necessità per il governo jugoslavo di arrivare finalmente a un accordo con il Partito contadino croato per la creazione di una coalizione di concentrazione nazionale. A Belgrado infatti grande preoccupazione è sollevata dalle relazioni che Maček intrattiene sia con emissari tedeschi che con quelli italiani. Il leader croato sfrutta al meglio le opportunità offerte dal delicato contesto internazionale paventando la possibilità di un intervento esterno in supporto alle rivendicazioni croate che investa l’unità jugoslava con una “nuova Monaco”. Nel marzo del 1939 Maček ha un lungo colloquio a Zagabria con Corrado Sofia dell’Agenzia Stefani, al quale profila l’idea di una repubblica croata (comprendente la Bosnia-Erzegovina) che assicurerebbe all’Italia i porti del litorale e un’unione doganale. È solamente uno degli incontri che agenti italiani e croati intrattengono in quei mesi consentendo a Maček di negoziare con Belgrado da una posizione di forza. Lo Sporazum (accordo) Cvetković-Maček, che prevede la presenza nella compagine governativa di quattro ministri croati (oltre allo stesso Maček alla vicepresidenza) e un’ampia autonomia per la Banovina Hrvatska, è infine raggiunto il 26 agosto 1939, ma quella realizzata è solamente una spartizione del potere tra i due poli politici di Zagabria e Belgrado che manca l’occasione di risolvere effettivamente la questione nazionale jugoslava.
Pochi giorni dopo scoppia la guerra. La sopravvivenza dello Stato jugoslavo dipende ora dai suoi vicini italiano e tedesco (l’Anschluss ha reso Jugoslavia e Germania confinanti). Gli Stati danubiano-balcanici debbono decidere la loro posizione nel conflitto. Berlino conta sulla loro neutralità, di fatto un allineamento agli interessi politico-economici tedeschi senza assumere posizioni apertamente anti-francesi e anti-inglesi. Roma invece “rispolvera” gli ustascia progettando con Pavelić piani insurrezionali in Croazia che legittimino un intervento italiano a suo sostegno. All’inizio del 1940 Ciano riprende i contatti con gli emissari croati. L’eventuale linea d’azione prevedeva la sequenza: insurrezione croata, occupazione di Zagabria, arrivo di Pavelić, invito all’Italia a intervenire per assicurare
20 DDI, Ottava Serie, vol. X, doc. 170n.
Noi credevamo 431

Mussolini e Ciano incontrano Pavelić a Palazzo Venezia (18 maggio 1941), Tempo, Anno V, n. 104, 22-29 maggio 1941 l’ordine pubblico, costituzione del Regno di Croazia, offerta della corona al re d’Italia. Il 10 maggio Ciano incontra Pavelić per stabilire i tempi del movimento insurrezionale raccomandando di non affrettare l’azione per evidenti ragioni di carattere internazionale e di attendere in ogni caso il via da Roma.21 Lo Stato croato avrebbe avuto un’unione monetaria e doganale con l’Italia e avrebbe istituito un esercito nazionale croato. In un secondo tempo avrebbe stabilito l’unione personale con il Regno d’Italia, ritenuta più facilmente attuabile una volta che le truppe italiane si fossero stabilite in Croazia al seguito degli ustascia addestrati in Italia.
Dall’ottobre del 1940, in seguito all’invasione italiana della Grecia, la neutralità jugoslava non sarà più sufficiente alla Germania, che premerà per un pronunciamento esplicito a favore dell’Asse attraverso l’adesione al Tripartito. Ungheria e Romania vi aderiscono nel novembre del 1940, la Bulgaria seguirà qualche mese più tardi (1° marzo 1941). La Jugoslavia ormai è circondata, a Belgrado non rimane che cercare una formula di adesione apparentemente negoziata e non apertamente imposta, che salvi l’orgoglio nazionale dinanzi l’opinione pubblica. Il 25 marzo 1941 Cvetković e il ministro degli Esteri Aleksandar CincarMarković firmano l’adesione al Tripartito ponendo popolazione e militari dinanzi
21 G. Ciano, Diario, 10 maggio 1940.
432
Italy on the RImland
al fatto compiuto. La notte seguente tuttavia il governo sarà destituito insieme alla reggenza del principe Pavle. Il giovanissimo re Petar, ancora diciassettenne, pone alla guida del governo il generale Dušan Simović (1882-1962), esecutore del colpo di Stato incruento, il quale si affretta a fornire rassicurazioni a Berlino e Roma: Belgrado onorerà gli impegni presi con l’adesione al Tripartito. Nel frattempo l’Italia mobilita esercito, marina e aviazione e Mussolini ricorda all’alleato tedesco di tenere presente, nel conflitto imminente, anche il sostegno agli ustascia di Pavelić.22
A Villa Torlonia Pavelić è ricevuto da Mussolini e Filippo Anfuso, ai quali fornisce ampie assicurazioni sulla fedeltà degli ustascia all’Italia fascista. Il Poglavnik, tuttavia, non nasconde l’estrema difficoltà che avrebbe incontrato nel far accettare ai croati le pretese italiane in Dalmazia, promettendo comunque che avrebbe preparato la popolazione alle rivendicazioni italiane convincendola dei vantaggi di un’unione personale con l’Italia.23 È dato il via all’armamento degli ustascia e nel giro di dieci giorni sono mobilitati i croati al confino, mentre le assicurazioni di Belgrado alle potenze dell’Asse risultano vane: nonostante l’inutile patto di amicizia jugoslavo-sovietico (5 aprile), nella speranza di dissuadere Hitler dall’intraprendere l’intervento militare, all’alba del 6 aprile 1941 le truppe dell’Asse invadono la Jugoslavia.
Si concludeva in tal modo l’ambigua politica italiana rivolta al vicino jugoslavo, tra fugaci aperture diplomatiche e prolungate strategie disgregatrici. L’arrivo della guerra nei territori jugoslavi avrebbe dimostrato l’impossibilità dell’alleanza italo-croata: nonostante il formale riconoscimento del satellite croato quale sfera d’interesse italiano, di fatto lo Stato Indipendente Croato proclamato a Zagabria il 10 aprile del 1941 sarebbe rimasto diviso in due zone d’occupazione – a ovest italiana, a est tedesca – con l’Italia, fino alla capitolazione dell’8 settembre 1943, a esercitare una qualche forma di effettiva influenza solamente nelle aree direttamente occupate dalla 2ª Armata, quale «forza di presidio in un Paese amico». A mantenere altamente conflittuali le relazioni italo-croate avrebbero contribuito gli interventi in favore della popolazione serba vittima delle violenze ustascia effettuati dagli ufficiali e dai soldati italiani durante l’occupazione (senza parlare dei “valzer proibiti” intrattenuti coi cetnici),24 nel tentativo quasi paradossale di conservare quel difficile equilibrio tra nazionalità jugoslave esacerbato per più di vent’anni dalle sconsiderate cospirazioni di Roma.
22 Documents on German Foreign Policy, 1918-1945: Series D (1937-1945), The War Years, Vol. XII, Febraury 1-June 22 1941, docc. 224, 226. 23 F. Anfuso, Roma-Berlino-Salò (1936-1945), Milano, Garzanti, 1950, pp. 184-188. 24 Il riferimento è ovviamente a A. Mafrici, Valzer proibiti italo-četnici (Croazia 1941-43), Napoli-Roma, L.E.R., 1996.