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Quando Marx parlò male di Garibaldi. L’appoggio italiano all’insurrezione polacco-lituana del 1863, di Alessandra Visinoni “

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Quando Marx parlò male di Garibaldi

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L’appoggio italiano all’insurrezione polacco lituana del 1863

di Alessandra Visinoni

Per comprendere pienamente il valore della partecipazione italiana all’insurrezione polacco-lituana del 1863 è fondamentale, innanzitutto, conoscere la complessa e profonda natura dei rapporti di amicizia fra i due popoli. Fin dalla sua affermazione nel X sec. come stato slavo di religione cattolica, in cui il latino fu eletto a lingua ufficiale, la Polonia ebbe come modello culturale l’Italia, inviando nei secoli i suoi giovani più promettenti a studiare negli atenei italiani (un nome per tutti: Nicolò Copernico [1473-1543]). Le relazioni tra i due Paesi s’intensificarono al massimo nel periodo rinascimentale durante il quale numerosi intellettuali e artisti italiani prestarono la propria opera alla corte reale di Cracovia e altre corti aristocratiche. Più tardi la Polonia entrò a far parte della Confederazione polacco-lituana (1569-1795) costruendo uno degli stati più vasti d’Europa. Quando alla fine del Settecento i futuri membri della Santa Alleanza (ovvero Austria, Russia e Prussia) smembrarono la Confederazione, polacchi e italiani scoprirono un nuovo tratto di affinità: le aspirazioni nazionalistiche fomentate dalla comparsa nel panorama politico europeo della figura carismatica di Napoleone. Nel 1797 vennero create proprio in Italia le Legioni Polacche guidate dal generale Jan Henryk Dąbrowski (1735-1818) sulla base di un accordo con la Repubblica Lombarda. Nello stesso anno, a Reggio Emilia, non solo fu realizzato il primo prototipo della futura bandiera italiana, ovvero il tricolore della Repubblica cispadana (adottato a partire dal 7 gennaio), ma fu composto da Józef Wybicki (1747-1822), un ufficiale delle Legioni polacche, quello che diventerà il futuro inno nazionale polacco, in cui è espressa la fiducia incrollabile nella rinascita della Polonia grazie all’impegno dei polacchi combattenti per gli ideali repubblicani in Italia: «Avanti, in marcia, Dąbrowski! Dalla terra italiana/ alla Polonia, /sotto la tua guida/ ci uniremo alla nazione!»1. A tale proposito, è interessante osservare che come l’inno nazionale polacco contiene un riferimento all’Italia, così la versione originale dell’inno di Mameli, composto nel 1847, contiene un riferimento alla Polonia nella quinta strofa, in seguito censurata dal governo piemontese: «Il sangue d’Italia,/ Il sangue Polacco,/Bevé, col cosacco/ Ma il cor

1 Cfr. Bellocchi U., Avanti, avanti, Dąbrowski! Con te, dall’Italia torneremo in Polonia, Reggio Emilia, Comitato Primo Tricolore, 1988.

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le bruciò»2. Sfumato il sogno d’indipendenza dopo la disfatta napoleonica, numerosi ufficiali polacchi scelsero l’Italia come patria di adozione stringendo, non di rado, stretti rapporti con vari membri di società segrete, tra cui i Raggionanti milanesi e i Carbonari napoletani, partecipando attivamente ai moti italiani: è il caso di Józef Grabiński (1771-1843) che durante i moti di Romagna nel febbraio del 1831 fu a capo del Comitato Militare di Guerra distinguendosi nella difesa di Rimini, proteggendo la ritirata verso Ancona ordinata dal generale Zucchi3. Parallelamente furono diversi gli ex ufficiali napoleonici italiani che combatterono al fianco dei polacchi nell’insurrezione di Varsavia, scoppiata nel novembre 1830 e soffocata dopo quasi un anno di combattimenti.

Fermamente persuasi che il destino della propria patria fosse inscindibile dalla libertà degli altri popoli, numerosi polacchi presero parte ai moti risorgimentali insieme ai seguaci di Mazzini, di Garibaldi e tra le file dell’Esercito Sardo. Quando il 15 aprile 1834 Giuseppe Mazzini (1805-1872) fondò a Berna il Comitato Centrale della Giovine Europa, i rappresentati della Giovine Polonia furono i primi ad aderire, contemporaneamente a quelli della Giovine Germania. Il 21 febbraio 1835 Mazzini scriveva a Joachim Lelewel (1786-1861), fondatore del Comitato Nazionale Polacco: «Ormai nulla può spezzare i rapporti che si sono formati tra la Polonia e l’Italia, la prima che si solleverà tenderà le braccia all’ altra». Una promessa di solenne impegno ribadito successivamente nel discorso alla Società Democratica polacca, tenuto a Londra il 2 giugno 1853: «Adesso e sempre l’Italia e la Polonia sono sorelle, sorelle nelle sofferenze, nella meta e nella lotta che deve far giungere a questa meta»4 .

Negli anni Quaranta l’interesse per le reciproche sorti nazionali andò ulteriormente intensificandosi, complici l’abile attività diplomatica del principe Adam Czartoryski (1770-1861), guida dell’ala moderata e conservatrice dell’emigrazione polacca, il quale intrecciò contatti con diversi ambienti favorevoli alla causa polacca, in particolare con la Francia, l’Inghilterra, il Piemonte, la Santa Sede e la nuova ondata di speranza che investì l’Europa all’indomani dei moti del 18485 .

2 Per ulteriori approfondimenti sul tema si vedano Jaworska K., Per la nostra e la vostra libertà. I polacchi nel risorgimento italiano, Torino, 2012; Bersano Begey M., La Polonia in Italia. Saggio bibliografico 1799-1948, Torino 1949 3 Żaboklicki K., Da ufficiale napoleonico a protagonista del risorgimento bolognese: Józef

Grabiński, in «Rassegna Storica del Risorgimento», LXXX, 199, pp. 475-490. 4 Łukasiewicz W., Filippo Mazzei. Giuseppe Mazzini. Saggio sui rapporti italo-polacchi, Wrocław, Zakład Narodowy imienia Ossolińskich: Wydawnictwo Polskiej Akademii Nauk, 1970. 5 Si veda Di Nolfo E., Adam Czartoryski e il congresso di Parigi. Questione polacca e politica europea nel 1855-1856, Padova, Marsilio, 1964.

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Emblematica, a tale proposito, la figura di Adam Mickiewicz6 (1798-1855), il maggiore dei poeti polacchi del periodo romantico, giunto a Roma da Parigi nel marzo 1848 per organizzare una Legione polacca che andò in rinforzo ai milanesi. Mickiewicz fu inoltre autore del Simbolo polacco (1848), manifesto bilingue dei principi che animavano l’attività delle Legioni polacche da lui fondate: i valori del cristianesimo e della solidarietà tra le nazioni oppresse al fine di ottenere l’emancipazione dei popoli vessati. Il ruolo di Mickiewicz fu ampiamente riconosciuto da Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), nel Discorso al Parlamento Subalpino del 28 ottobre 1848: «Il gran moto slavo ha ispirato il primo poeta del secolo, Adam Mickiewicz, e da questo fatto noi siamo indotti a riporre nelle sorti di quel popolo una fede intera. Perché la storia ci insegna che quando la Provvidenza ispira uno di quei geni sublimi, come Omero, Dante, Shakespeare o Mickiewicz, è questa una prova che i popoli in mezzo ai quali nascono sono chiamati ad alti destini»7. Sempre nel ‘48 si mise in luce uno dei futuri capi dell’insurrezione del 1863, Ludwik Adam Mierosławski (1814-1878), membro della Giovine Polonia, a cui il governo insurrezionale siciliano affidò il comando delle proprie truppe8 .

Nel corso degli undici anni successivi, però, la politica degli Stati italiani mutò progressivamente atteggiamento nei confronti della Polonia: si pensi al mutuo sostegno tra Due Sicilie e Russia durante la guerra di Crimea (1853-1856) o alla maniera in cui il governo piemontese preferì declinare l’offerta di collaborazione degli esuli polacchi allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, per non suscitare le ire dell’autocrazia zarista e della Prussia. Gli arditi volontari furono invece accolti a braccia aperte fra le fila garibaldine: è il caso, ad esempio, del generale Isenszmidt de Milbitz (1800 - 1883) nominato dall’ “eroe dei due mondi” comandante della 16a divisione a Palermo e protagonista nella battaglia del Volturno (1860). Due anni dopo venne nominato general-maggiore dell’esercito italiano. Da parte loro, gli uomini di Garibaldi ricambiarono caldeggiando l’apertura a Genova della Scuola militare polacca (1861) trasferita l’anno successivo a Cuneo. Dei circa 200 cadetti la maggioranza avrebbe preso parte all’insurrezione polacco-lituana del 1863 insieme a diversi membri del corpo docente, tra cui Marian Langiewicz (1827-1887), uno dei principali protagonisti della rivolta,

6 Mickiewicz A., Scritti politici, a cura di M. Bersano Begey, Torino, UTET, 1965; Batowski H., Szklarska-Lohmannowa A. (a cura di), Legion Mickiewicza, Wrocław, Wybór źródeł, 2004 7 Maver G., Damiani E., Bersano Begey M., Mickiewicz e l’Italia. Rievocazioni compiute in Campidoglio in occasione del centenario della legione polacca di Adamo Mickiewicz, Napoli, 1949. 8 Morawski K., «Mierosławski e la Sicilia», in La Sicilia e l’Unità d’Italia, Milano 1962, pp. 489-495

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contatto diretto di Francesco Nullo durante la pianificazione dell’intervento garibaldino in Polonia, e Józef Wysocki (1809-1873), al comando degli insorti nei territori sud-orientali. Tuttavia la brusca chiusura della Scuola militare polacca dopo appena un anno di attività fu il segnale che i tempi erano cambiati, almeno sul piano ufficiale9 .

Nell’inverno 1862-63 il Comitato centrale della Democrazia europea si preparava a rinnovare lo spirito della “Primavera dei popoli” del 1848 con l’obiettivo di scatenare una rivoluzione generale nel Continente a partire dalla vasta area che comprendeva i territori danubiano-balcanici fino ai possedimenti dell’Impero Ottomano (Grecia, Albania e Montenegro). In sostanza, alla “Santa Alleanza dei Re” formata da Austria, Prussia e Russia consolidatasi all’indomani del Congresso di Vienna (1815), le forze risorgimentali, sostenute dall’Inghilterra, intendevano contrappore l’“Alleanza dei popoli” per riconquistare la libertà con le armi in pugno: la serie di sollevazioni, organizzate in maniera sincronica, era mirata a determinare il crollo delle potenze centrorientali e dello stesso Napoleone III in Francia dando così luogo alla formazione di tante repubbliche democratiche. Il piano d’azione prevedeva che le prime a conquistare l’indipendenza fossero nell’ordine Polonia e Ungheria, proseguendo con il completamento dell’unità d’Italia attraverso la conquista di Venezia e di Roma. È doveroso precisare, però, che le implicazioni politiche ed economiche di tale iniziativa andavano oltre l’ideale romantico della liberazione delle nazioni oppresse: dopo la disfatta subita nella già citata Guerra di Crimea, infatti, l’Impero russo contendeva ai britannici il controllo del Caucaso, dell’Asia Centrale ma soprattutto della Cina; pertanto, un esito positivo dell’insurrezione polacco-lituana sarebbe stato l’innesco di una gigantesca polveriera che avrebbe distrutto lo Stato russo lasciando agli inglesi campo libero per ampliare i propri domini coloniali nell’area del Pacifico. L’Europa orientale era dunque la scacchiera su cui giocare una partita estremamente complessa, potenzialmente destinata a mutare radicalmente gli equilibri mondiali coinvolgendo addirittura l’America, allora in piena guerra civile. Gli unionisti americani già schierati dalla parte della Russia durante la Guerra di Crimea, di lì a poco avrebbero, infatti, riconfermato lealtà alla zar offrendo riparo nei porti di New York e San Francisco alle flotte russe del Baltico e del Pacifico minacciate dalla Royal Navy10. I confederati potevano contare, invece, sull’appoggio della

9 A. Tamborra, «Russia, Prussia, la questione polacca e il riconoscimento del Regno d’Italia (1861-1862)», Rassegna storica italiana, 1959, pp. 147- 162; ID., Garibaldi e l’Europa:

Atti del XXXIX Congresso di Storia del Risorgimento, Palermo- Napoli 1960, pp. 445-520; ID., «La rivoluzione polacca del 1830-31 e l’Europa», Rassegna Storica del Risorgimento, LXXXVIII, 2, 2001, pp. 163-190. 10 Si vedano F. A. Golder, «The Russian Fleet and the Civil War», in American Historical Review, XX, (July 1915), p. 809; Earl S. Pomeroy, «The Visit of the Russian Fleet», in New

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Francia e del l’Impero britannico guidato, in quegli anni, da un Lord Palmerston11 (1784-1861), il quale se, da un lato, approfittava sapientemente delle aspirazioni della sinistra democratica europea, dall’altro, glissava con maestria sul “trascurabile” dettaglio dello schiavismo difeso dai propri protetti, una macchia che avrebbe potuto offuscare l’immagine dell’Inghilterra madrina dell’autodeterminazione dei popoli del Vecchio continente.

Il Comitato centrale della Democrazia europea fissò dunque l’inizio delle operazioni per l’aprile del 1863. Tuttavia, l’arruolamento di massa ordinato dal governatore filorusso Aleksander Wielopolski (1803-1877), finalizzato proprio a disincentivare imminenti iniziative di rivolta, spinse ad anticipare l’insurrezione a gennaio (la notte tra il 14 e il 15). Le conseguenze furono disastrose, poiché i Comitati dei singoli Paesi europei si trovarono del tutto impreparati ad accorrere in aiuto delle forze insurrezionaliste. Nondimeno, la posta in gioco era troppo alta per lasciar morire la rivoluzione polacca sul nascere: per questo, in favore del popolo insorto, specialmente in Italia, Inghilterra e Francia le mobilitazioni furono organizzate in maniera rapida, sebbene un po’ caotica, con comizi, petizioni parlamentari, sottoscrizioni per l’invio di armi e denaro.

In Italia, il dibattito sul sostegno alla Polonia vide coinvolti principalmente il Partito d’Azione di Mazzini e Giuseppe Garibaldi (1807-1882). Ambo le parti si dichiaravano favorevoli a un intervento diretto dei volontari italiani a sostegno dei ribelli polacchi, tuttavia antiche tensioni fra i due massimi protagonisti del Risorgimento italiano impedirono un accordo12. Nel frattempo, le dimissioni del

York History, XXIV, (Oct. 1943), pp. 512-517; ID., «The Myth After the Russian Fleet, 1863», in New York History, XXXI, (Apr. 1950), pp. 169-176; T. Delahaye, «The Bilateral Effect of the Visit of the Russian Fleet in 1863», Loyola University The Student Historical

Journal, 1983-1984, pp. 1-7; Per una bibliografia dettagliata sul tema si veda il volume

Russkij flot v Coedinënnych Štatach/The Russian Navy Visits the United States, Washington, Naval Historical Foundation, 1969. 11 Si veda L. Fenton, Palmerston and The Times: Foreign Policy, the Press and Public Opinion in Mid-Victorian Britain, I. B. Tauris, 2013. 12 E. Cecchinato, Camicie rosse, Bari, Laterza, 2007; G. Garibaldi, Edizione nazionale degli Scritti, Bologna, Cappelli, 1934; G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, Bologna, Galeati, 1906; F. Mazzonis, La Monarchia e il Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2003; V. Nevler, «Bibliografia russa su Giuseppe Garibaldi e il movimento garibaldino.», Studi garibaldini, 7, 1966, pp. 99-112. Si noti che questa non fu che una prima manifestazione di passività da parte di Garibaldi verso le sorti della Polonia: a breve, si sarebbe aggiunto anche il ben più grave (e, forse, determinante) mancato sostegno alla spedizione capeggiata da Nullo e Caroli. Per una bibliografia approfondita sul tema si veda R. Casari, G. Dossi, Luigi Caroli: un profilo a due voci, Bergamo, Corponove, 2015. Chiuse il cerchio la visita a Londra, nell’aprile 1864, ove l’ ‘eroe dei due mondi’ dove di fronte a mezzo milione di persone di ogni ceto sociale, invece di incitare il popolo a marciare al fianco dei polacchi, come aveva auspicato Karl Marx ( che diffidava dei governanti inglesi e francesi), aveva abbracciato

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governo di Umberto Rattazzi (1808-1873), seguite alle proteste popolari sollevate dalla crisi di Aspromonte, ed il varo di quello di Luigi Farini (1812-1866) nel dicembre 1862 produssero mutamenti radicali nella sfera politica italiana. Il nuovo presidente si mostrò da subito interessato agli avvenimenti polacchi tanto da meditare l’invio di un reparto dell’esercito in aiuto degli insorti. Quando però, nel marzo 1863, Farini arrivò a minacciare con un coltello il re Vittorio Emanuele II (1861-1878) affinché dichiarasse guerra alla Russia, venne prontamente sostituito da Marco Minghetti (1816-1886) che chiamò al Ministero degli Esteri Emilio Visconti Venosta (1829-1914). Subendo l’influenza francese, il nuovo governo respinse fermamente l’idea di un’insurrezione nel Veneto negando ogni aiuto a Garibaldi. Ad ogni modo, questo non arrestò il moltiplicarsi delle petizioni e degli appelli al Parlamento italiano per invitare il governo a intervenire in Polonia13 . In un tale quadro di profonda crisi politica dello Stato italiano e di fronte all’indecisione del governo e dei maggior esponenti del Risorgimento italiano Francesco Nullo (1826-1863), luogotenente di Garibaldi, e il compagno d’armi Luigi Caroli (1834-1865). furono promotori di una solitaria spedizione in Polonia (alla quale presero parte numerosi volontari garibaldini, italiani e francesi) intesa a rappresentare il primo passo di una sollevazione di tutta l’area danubiano-balcanica per abbattere gli imperialismi dell’Austria e della Russia.

Mentre Nullo, tramite il Comitato Rivoluzionario Polacco in Italia, prese contatti con il generale Marian Langiewicz (1827-1887) alla testa degli insorti polacchi per formare un piccolo corpo di volontari (18 dei quali bergamaschi) da portare a Cracovia, Caroli si occupò dei dettagli logistici dell’operazione14 .

Nullo fu il primo a mettersi in viaggio, il 19 aprile 1863. Una volta superata la frontiera italo-austriaca a Peschiera sul Garda, diede quindi il “via libera” agli altri legionari da Udine. Il 21 aprile fu dunque la volta di Elia Marchetti, Febo Arcangeli, Luigi Testa, Alessandro Venanzio; il 22 Paolo Mazzoleni e Fermo Calderini; il 23 Giovanni Maggi, Ambrogio Giupponi, Giuseppe Dilani; il 24 Giacomo

Palmerston. Il gesto fece letteralmente schiumare di rabbia e di sdegno Marx. Si veda V. Ilari, «L’Ordine regna a Varsavia», Limes, 2017, pp. 1-2. 13 Si vedano i numeri III e IV della rivista Bergomum, 1963, numeri III e IV, e i numeri di

Studi garibaldini del 1963, dedicati quasi integralmente alla partecipazione dei garibaldini italiani all’insurrezione polacca del 1863 con articoli di S. Kieniewicz, H. Batowski, A. Agazzi, F. Di Tondo, I. Kuberdowa, J. Kosim, R. V. Miraglia, G. Donati Petteni, A. M. Rinaldi, A. Volpi, A. Procner; F. Alborghetti, «Italia e Polonia», La Rivista di Bergamo, 17, 1923, pp. 881-885; E. Funaro, «I democratici italiani e la rivoluzione polacca del gennaio 1863», Belfagor, vol. 19, 1, 1964, pp. 32-49; ID., L’Italia e l’insurrezione polacca: la politica estera e l’opinione pubblica italiana nel 1863, Modena, Società Tipografica Editrice

Modenese Mucchi,1964; 14 L. Caroli, «I preparativi della spedizione di Polonia», Bergomum, 1938, XXXII, 2-3, pp. 81-87.

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Cristofoli, Giovan Battista Belotti, Francesco Isnenghi; il 25 Emanuele Maironi, Aiace Sacchi e un non meglio identificato Cattaneo. Per ultimo giunse a Vienna Luigi Caroli15. A Cracovia, si unirono agli italiani anche volontari francesi, tra i quali Émile Andreoli, autore di preziose memorie sulle vicende in oggetto16. Da un punto di vista formale, Nullo assunse il comando dei patrioti italo-francesi e di oltre 500 combattenti polacchi, ma, nei fatti, a guidare la legione fu il giovane quanto inesperto “generale” Josef Miniewski (1841-1926): una scelta fatale per il destino di Francesco Nullo e dei suoi compagni. Il 2 maggio il contingente lasciò Cracovia e dopo tre giorni, non senza difficoltà, raggiunse la località di Krzykawka (nei pressi di Olkusz) dove venne sorpreso dai cosacchi17. Nullo cadde in combattimento e venne sepolto a Olkusz ed è tuttora ricordato come eroe nazionale in terra polacca18, mentre il ferito Elia Marchetti morì due giorni dopo a Chrzanow. I bergamaschi Caroli, Arcangeli (ferito ad un ginocchio), Venanzio e Giupponi, insieme ai fratelli Meuli, il Clerici, il Bendi e i francesi Andreoli, L. Dié, Charles Richard furono catturati e mandati a Olkusz, dove rimasero per due settimane sotto sorveglianza russa in una casa privata. Il 20 maggio i prigionieri vennero trasferiti da Olkusz a Czestochowa.

Tre giorni dopo, il 23 giugno, ebbe luogo il processo di fronte a un tribunale militare conclusosi rapidamente con una condanna a morte per Andreoli, Caroli, Venanzio, Giupponi, Luciano e Giuseppe Meuli, Clerici mediante capestro e a dieci anni di lavori forzati per Borgia, Richard e Dié. Il 3 luglio ai prigionieri fu comunicata la commutazione della pena di morte in privazione di ogni diritto civile e la condanna a dodici anni di lavori forzati per Andreoli, Caroli, Clerici, Venanzio, i due Meuli e Giupponi e a dieci anni nelle prigioni della Siberia per Dié, Richard, Bendi, poiché appartenenti a un ceto e a un grado inferiori rispetto ai primi. Un altro bergamasco, Febo Arcangeli di Sarnico, ebbe un processo a parte,

15 Per approfondimenti sui profili dei singoli partecipanti alla spedizione si consultino gli articoli dedicati in Studi Garibaldini, IV, 1963. 16 É. Andreoli, «De Pologne en Sibérie (Journal de Captivité), 1863- 1867», Revue Moderne, 48, 1868; ID, «Dalla polonia alla Siberia. Giornale di Prigionia. 1863-1867», La provincia di Bergamo, gennaio-agosto 1869; ID., «In morte di Luigi Caroli», La Rivista di Bergamo, 17, 1923, pp. 898-900; ID,. Cfr. R. Casari., «Viaggio alle prigioni siberiane: dalle memorie del garibaldino francese Émile Andreoli», Italia, Russia e dintorni. Piccola rassegna tipologica del viaggiare, Bari stilo, 2013, pp. 69-84. 17 C. Caversazzi, «Bergamaschi caduti combattendo per la libertà dei popoli», Bergomum, 2-3, 1938, pp. 3-61; G. Donati Petteni, «La spedizione di Nullo in Polonia», in A. Agazzi (cur.), Storia del volontarismo bergamasco, Bergamo 1960, pp. 291-313 18 Per una ricognizione bibliografica aggiornata si vedano i volumi: G. Dossi (cur.), Omaggio a Francesco Nullo, Bergamo, Sestante edizioni, 2013; G. Platania, Tra diplomazia e rivoluzione. Il garibaldino Francesco Nullo e la fedeltà alla Polonia “crocifissa”, Viterbo, Sette Città, 2013.

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a Radom, in quanto trattenuto a Olkusz perché ferito a una gamba. In seguito sconterà la condanna nella cittadina di Išim presso Omsk. Nel frattempo, Bernardo Caroli, fratello di Luigi, si recò a Varsavia, nella vana speranza di agire sulle due autorità più importanti della Polonia russa grazie alla sua fitta rete di amicizie e contatti professionali (i Caroli erano, infatti, una delle famiglie di industriali del tessile più in vista a livello europeo). La stessa popolazione bergamasca fu coinvolta in una campagna di mobilitazione in favore dei garibaldini deportati: tra le varie iniziative, ricordiamo anche il saggio La spedizione degli italiani in Polonia19 del medico e patriota bergamasco Federico Alborghetti (1825-1888), scritto per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi. Il mattino del 5 luglio 1863, i condannati intrapresero il viaggio che li avrebbe condotti alle prigioni siberiane stipati su un vagone del treno Varsavia - San Pietroburgo. Il percorso, di circa 9500 km, venne completato in otto mesi (dal 3 luglio 1863 al febbraio 1864). Il viaggio si concluse nel remoto villaggio di Kadaja a soli dodici Km dal confine con la Manciuria. I lavori forzati iniziarono a Petrovskij Zavod, nelle miniere di ferro e proseguono a Kadaja nelle miniere d’argento20. Nel lungo trasferimento attraverso tutta la Siberia e nei periodi trascorsi a Petrovskij Zavod, Aleksandrovskij Zavod e Kadaja, i prigionieri entrarono in contatto con rivoluzionari russi e, soprattutto, con patrioti polacchi con i quali instaurarono profondi legami di solidarietà21. Dalle loro memorie22 emergono forti personalità, come quella del vecchio decabrista Ivan Ivanovič Gorbačevskij (1800-1869), il colonnello russo-ucraino Andrej Krasovskij (1822-1868), condannato per essersi rifiutato di soffocare alcune rivolte scoppiate nella sua terra natìa; il pensatore, scrittore e critico letterario Nikolaj Gavrilovič Černyševskij (1828-1889), autore del noto romanzo Čto delat’? (Che fare?, 1863), il poeta Michail Michajlov (1829-1865)23, il patriota polacco Szimon Tokarszewski (1823-1890)24. Verso il

19 F. Alborghetti, La spedizione degli italiani in Polonia nel 1863, Bergamo, Tipografia Pagnoncelli, 1863. 20 G. Kennan, Siberia and the Exile System, Cambridge, Cambridge U. P., 2012. 21 N.M. Jadrinceva, Russkaja obščina v tjur’me i ssylke, Sankt-Peterburg, Tipografija A. Morigerovskogo, 1872; M. Gardner, «An Italian Tragedy in Siberia», The Sewanee Review, vol. 34, 3, luglio-settembre 1926, pp. 329-338. 22 Bibliografia dettagliata in R. Casari, «N.G. Černyševskij i garibal’dijcy iz Bergamo»,

Obrazy Italii v russkoy slovesnosti, Tomsk, 2009, C. 151-161; R. Casari, G. Dossi, Luigi

Caroli: un profilo a due voci, Bergamo, Corponove, 2015. 23 B. Kubalov, «N.G. Černyševskij, M.L. Michajlov i garibal’dijcy na Kadainskoj katorge»,

Sibirskie ogni, 6, 1959, p. 140. 24 Sz. Tokarszewski, Ciernistym szlakiem: pamiętniki Szymona Tokarzewskiego z więzień, robót ciężkich i wygnania: dalszy ciąg pamiętników p. t. “Siedem lat katorgi”, Warszawa, nakł. Drukarni L.Bilińskiego i W. Maślankiewicza, Skł. Gł. w Księgarni Gebethnera i Wolffa, 1909; R. Casari, «Bergamo e il mondo artistico russo: documenti, ipotesi e storie»,

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Italian volunteers memorial - Old cemetery in Olkusz

3 giugno 1866 le già precarie condizioni di salute di Luigi Caroli subirono un improvviso peggioramento: sopravvenne una forte febbre, poi il delirio. Gli fu diagnosticata “un’infiammazione cerebrale” trascurata per l’assenza di farmaci adatti. Morì l’8 giugno. Diverso il destino degli altri garibaldini: il 16 aprile 1866 venne emanato un editto dello zar Alessandro II, grazie al quale gli stranieri (circa 400 persone) condannati per l’insurrezione polacca del 1863 furono amnistiati e successivamente rimpatriati. L’editto entrò in vigore a partire dal dicembre dello stesso anno: troppo tardi per Caroli. Tra il dicembre 1866 e il settembre 1867 i sopravvissuti rientrarono finalmente in Francia e in Italia. Il viaggio di ritorno non si rivelò meno travagliato di quello di andata, sebbene lo spirito con cui venne affrontato fu certamente diverso.

in Bergamo nella letteratura europea: atti del Convegno celebrativo del cinquantenario della nascita del Cenacolo orobico di Poesia: Bergamo, Universita degli Studi, 9-10 maggio 2005, Bergamo, Sestante, 2005, pp. 85-98.

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Francesco Nullo. Museo dell’esercito polacco

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