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Lettere Slave. Mazzini e la questione d’Oriente, di Donato Tamblé “
Noi credevamo
Lettere slave
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Mazzini e la questione d’Oriente
di Donato Tamblé 187
Fin dalla Rivoluzione di luglio Mazzini concepì la sua grande visione geopolitica dell’Europa e cominciò ad occuparsi anche della Questione d’Oriente. Dopo il Congresso di Vienna e la Santa Alleanza, nell’Età della Restaurazione, dominata dall’imperialismo austriaco e con una Russia che perseguiva «senza posa […] un pensiero di ingrandimento ostile all’Europa», occorreva risvegliare lo spirito di indipendenza dei popoli, da cui dipendeva anche la conquista della libertà. Le avvisaglie di cedimento dell’Impero ottomano, specie in seguito all’indipendenza della Grecia, accendevano ulteriormente gli appetiti asburgici e zaristi.
Mazzini, avendo come priorità l’emancipazione dell’Italia dalla dominazione austriaca, si adoperò per cercare alleati e cooperazioni ed elaborò progressivamente un paradigma concettuale ed operativo che comprendeva tutte le forze in campo nello scacchiere europeo fino ai confini orientali.
Il fallimento dei moti del 1831 lo portò dapprima a considerare, nel quadro di una collaborazione fra nazioni oppresse, la possibilità di un’alleanza italo-magiara per unire le forze contro la dominazione austriaca. L’Ungheria, «regina del Danubio» – come la definì in un suo articolo del 1833, pubblicato su «La Giovine Italia»1 – gli sembrava pronta per un’azione sinergica con i popoli danubianobalcanici per avviarsi sulla via del Risorgimento, come l’Italia, e costituire una «libera federazione» di cui sarebbe stata il centro, incorporando gli slavi meridionali, che non potevano aspirare – pensava allora Mazzini – ad un proprio stato indipendente, perché «un regno d’Illiria non sarà che un nome mai». Deluso successivamente dalla mancata affiliazione dell’Ungheria alla Giovine Europa, costituitasi a Berna il 15 aprile 1834 con patto sottoscritto da italiani, polacchi e
1 Cfr. Mazzini, Dell’Ungheria, [1833], in Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini. Edizione Nazionale, Imola, 1906-1943, vol. III (Scritti politici, vol. II) pp. 116-117.
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tedeschi, Mazzini si concentrò sul ruolo che avrebbero potuto avere i popoli Slavi e Romeni nell’evoluzione in senso nazionale dell’Europa. Infatti egli riteneva che solo un’alleanza di popoli contro l’alleanza dei re potesse rigenerare l’Europa ed avrebbe dovuto comprendere anche quei popoli che non erano ancora nazioni.
Il lievito del risveglio politico e della consapevolezza dei valori di emancipazione e indipendenza risiedeva nella letteratura, anzi nelle letterature più “giovani”, nuove, che portavano all’incremento dello spirito nazionale educando alla libertà, all’uguaglianza e all’umanità. La poesia polacca, specie quella di Adam Mickiewicz, veniva additata come rinnovatrice e profetica, interprete primaria delle aspirazioni collettive e ispiratrice delle azioni da compiere. Il romanticismo polacco gli si presentava come una nuova vera letteratura europea, libera da condizionamenti culturali esteri, ma radicata nelle tradizioni autoctone da cui si sviluppava un percorso di identità nazionale e di ansia di liberazione. Dallo studio delle letterature slave Mazzini trasse anche l’entusiasmo e la fiducia per la costruzione del suo progetto politico.
L’idea di nazione e quella di democrazia dovevano trovare un terreno fertile in cui svilupparsi per contrapporsi al dispotismo e sconfiggerlo. Lo stesso Risorgimento italiano aveva bisogno di alleanze e di sinergie, di miti comuni e di condivisioni di destini.
Gli slavi, in particolare, con la loro energia di ‘popoli giovani’ gli sembravano i soggetti ideali, non solo per liberarsi dalle dominazioni straniere asburgica e ottomana, assurgendo a nazioni indipendenti, ma anche per opporsi all’imperialismo e al dispotismo zarista, favorevole a un diverso progetto di panslavismo2, sotto l’egida russa, che appariva piuttosto come un vero e proprio panmoscovitismo. Il principio di nazionalità, inoltre, avrebbe frenato pure l’espansionismo austro-germanico ad oriente. Così l’indipendenza dei popoli slavi avrebbe neutralizzato in un sol colpo la pressione egemonica degli imperi russo, austriaco e turco.
2 Prima di essere un concetto politico il «panslavismo» era stato una nozione filologica e letteraria: il termine infatti venne usato nel 1826 dallo studioso slovacco Jan Herkel in un saggio pubblicato a Budapest sulla lingua slava (Elementa universalis linguae Slavicae et vivis dialectis eruta et suis logicae principiis suffulta). Un altro scrittore slovacco, Jan Kollàr, portò avanti la tesi di una lingua comune originaria articolata in dialetti, col saggio del 1836 O literní vzájemnosti mezi rozličnými kmeny a nářečími slovanského národu (Sulla reciprocità letteraria dei diversi ceppi e dialetti della nazione slava). Kollàr, influenzato dal pensiero e dagli scritti di Herder, sottolineò anche nelle sue poesie l’importanza della comune lingua e cultura come elemento fondante di una autodeterminazione politica dei popoli slavi. Nei due cicli di sonetti Slávy Dcera (La figlia di Sláva) costruì una mitografia dello slavismo incentrata sulla figura della dea Slàva.
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Di notevole importanza per l’evoluzione del suo pensiero fu anche il contatto con gli esuli polacchi dopo la fallita rivoluzione del 1830-31, ed in particolare con la Società Democratica Polacca, fondata nel 1832. Ne risultò poco dopo, alla fine del 1833, un’altra associazione mazziniana, la Giovine Polonia.
E, proprio nel 1833, nel saggio Italia e Polonia, Mazzini già vagheggiava un’Europa dei popoli, nella quale le genti asservite avrebbero scosso le loro catene e si sarebbero ribellate ai loro dominatori: «Dovevamo forse incontrarci in un esilio comune, perché da questo convegno di proscritti escissero i germi del gran convegno de’ popoli»3. Da qui a intravedere una chiara convergenza di interessi tra i popoli delle penisole italiana e balcanica il passo fu breve: era naturale pensare ad un fronte comune nella lotta contro il dispotismo. Il pathos culturale dei popoli slavi, a partire proprio da quello polacco, con la sua forte carica mitopoietica capace di suscitare vasti consensi e di costruire una narrazione politica condivisa che doveva ben presto portare all’azione, convinsero Mazzini che questa era la strada giusta per la ricostruzione dell’Europa su nuove basi, quella di un’Europa delle Nazioni, libera dal giogo asburgico e da quello ottomano nonché dalle brame russe. In questo scenario Mazzini iniziò ad ipotizzare una Confederazione orientale e danubiana che poteva sorgere dal disfacimento dell’impero turco e di quello austriaco. Anche il movimento croato di Ljudevit Gaj per una confederazione illirica degli slavi del sud incontrava il favore di Mazzini, che invece criticava la soluzione governativa di Ilija Garašanin con il suo progetto nazionalista - Načertanije - del 1844 di una grande Serbia4 .
Ma i polacchi erano ancora al centro dei suoi interessi. In un altro scritto del 1836, Alcune parole sulla questione polacca5, Mazzini scorgeva nella afflizione dei polacchi la fiamma che sotto la cenere ne preparava l’affrancamento e la riscossa. La Polonia era per lui «centro della Chiesa militante del patriottismo slavo» e «focolare rigeneratore» del suo risveglio, come «antiguardia della razza slava» e avrebbe contribuito a ricompattare nella «civiltà europea», sia popoli già inseriti nel suo contesto, sia popoli che «tentennavano tra l’incivilimento e la primitiva barbarie».
Il saggio «On the Slavonian Movement» (Del moto nazionale slavo), che
3 Mazzini, Italia e Polonia (1833), in Scritti editi ed inediti, cit., III, [pp. 77-83] p.82. Laura Fournier Finocchiaro, «Cultura francese e cultura polacca in Giuseppe Mazzini», Kwartalnik Neofilologiczny, Polska Akademia Nauk, 2016, LXIII (2), pp. 176-186. 4 Ma in seguito all’alleanza dei croati con l’Austria contro l’Ungheria nel 1848-49, Mazzini prese le distanze dal loro movimento, arrivando a definire codardo e disertore lo stesso Gaj nelle Lettere slave. Dusan T. Batakovič, «Ilija Garašanin’s Načertanije: A Reassessment»,
Balkanica, vol. XXV, Ni. 1, 1994, pp. 157-183. 5 Mazzini, Alcune parole sulla questione polacca (1836) in Scritti, VII, pp. 221-33.
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Mazzini diede alle stampe nel 1847 sul Lowe’s Edinburgh Magazine, 6 costituisce senza dubbio il punto di arrivo di una lunga riflessione. In esso Mazzini sistematizzava le conoscenze del mondo slavo, soprattutto quello meridionale, programmando tre articoli – di cui uscirono solo i primi due sugli jugoslavi e sui cechi, mentre il terzo, sui polacchi, rimase manoscritto.
Lo studio della storia, della cultura e della letteratura dei popoli slavi, unito alla analisi politica dei vari paesi, con contatti diretti con i protagonisti delle rivendicazioni nazionaliste, avevano portato Mazzini ad una lucida consapevolezza della situazione e alla intuizione della sua possibile evoluzione. I popoli cechi, slovacchi, sloveni, serbi, croati e bulgari, avrebbero dovuto costituire nazioni libere e indipendenti che avrebbero garantito sicurezza e stabilità alle nazioni dell’Europa occidentale ed in particolare all’Italia. Una federazione di serbi, montenegrini, bulgari, croati, uniti anche dalla lingua comune7, avrebbe portato anche i greci a svincolarsi dall’Impero ottomano, che sarebbe risultato fortemente ridimensionato e concentrato ad oriente.
La visione geopolitica europea di Mazzini si concretizzò più compiutamente nello scritto Santa Alleanza dei popoli (1849) che prospettava di «ricostituire l’Europa ordinandovi a seconda delle vocazioni nazionali un certo numero di Stati equilibrati possibilmente per estensione e popolazione»8 .
Una associazione dei popoli europei, costituita sulla base di un patto di fratellanza fra “nazioni sorelle”, unite anche da una comune fede, doveva portare a riscrivere la carta d’Europa, comprendendo in un equilibrio di popoli «le tre grandi famiglie, Greco-Latina, Germanica e Slava»9. Di questo disegno avrebbe tratto particolare vantaggio l’Italia, che avrebbe assunto un ruolo centrale nel nuovo contesto europeo e nei rapporti internazionali.
Le insurrezioni armate e la capacità di organizzazione politica degli slavi davano concretezza alle speranze di Mazzini, che, fra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta dell’Ottocento, si inseriva con le sue associazioni ed i suoi agenti nei territori e nei movimenti dell’Europa orientale, puntando a mantenere una sorta di leadership del movimento democratico internazionale. E in effetti il fascino delle sue idee, l’influsso dei suoi scritti, l’imitazione delle sue tipologie associazionistiche, erano sempre più presenti nei movimenti e nei protagonisti del mondo slavo. Una cultura politica di stampo mazziniano si
6 Lowe’s Edinburgh Magazine, New Series, No. IX, July 1847, vol. II, pp. 182-191. 7 «Tutte queste provincie – scriveva – eccetto la Bulgaria, parlano in fondo uno stesso linguaggio, salve le inevitabili modificazioni», Mazzini, On the Slavonian National Movement, in Scritti, cit., vol. XXXVI (Scritti politici, XII) p. 133. 8 Mazzini, Santa Alleanza dei popoli, (1849), in Scritti, cit., XIX [pp. 203-221] p. 214. 9 Mazzini, Dell’ordinamento del partito, (1858), in Scritti, cit., LXII, [pp.33-62], p. 61.
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diffondeva a vasto raggio orientando le posizioni e le modalità di azione dei patrioti slavi. Dall’Ungheria alla Polonia, dalla Croazia alla Bulgaria, gli emergenti movimenti nazionali avevano in Mazzini e nei suoi scritti un imprescindibile punto di riferimento e un modello ideale. Così, per esempio, nel 1848, ispirandosi all’idea mazziniana di una confederazione danubiana, gli ungheresi Albert Pàlfi e Làszlo Teleki proposero una confederazione ungherese favorevole anche alle minoranze etniche, senza però ottenerne l’approvazione dal governo autonomo magiaro costituito dal conte Lajos Batthyàny de Németújvár dopo i moti di Pest. Nel 1849 a Torino si costituiva la Società per l’alleanza italo slava, che mirava alla coesione fra ungheresi, slavi del sud, rumeni e polacchi. Nel 1850 lo stesso Mazzini insieme ad Aurelio Saffi dava vita al Comitato centrale democratico europeo, che vedeva la partecipazione di esponenti del nazionalismo slavo come il polacco Albert Darasz e il romeno Dimitru Brặtianu. Né va dimenticato il rapporto di Mazzini con Lajos Kossuth, che – pur prendendone le distanze, per motivi politici, in varie occasioni, soprattutto non condividendone l’impostazione sovranazionale danubiana e balcanica – ne era fortemente influenzato. E sempre lo spirito mazziniano era dietro il progetto di «Stati Uniti del Danubio», di Nicolae Bặlcescu e György Klapka per riunire i popoli cechi, polacchi, slavi meridionali, romeni e ungheresi, cui naturalmente Kossuth si oppose, proprio per la parte che riguardava l’Ungheria, presentando a Mazzini, allegato ad una lettera, un suo piano di assetto che garantiva le varie nazionalità senza però mettere a rischio l’integrità dell’Ungheria10. Nella Guerra di Crimea Mazzini e Kossuth si trovarono di nuovo in piena sintonia contro l’imperialismo russo che aveva allungato i suoi artigli sui principati danubiani di Moldavia e Valacchia. Pur non giustificando la guerra e soprattutto l’intervento piemontese voluto da Cavour, Mazzini si rese conto che il conflitto metteva definitivamente in crisi il sistema della Santa Alleanza e questo poteva provocare una nuova occasione di rivoluzione dei popoli europei, che andava molto al di là dello scontro fra l’occidente liberale e l’autocrazia zarista e puntava all’abbattimento dei troni e all’istituzione di un nuovo ordine europeo.
La conclusione del conflitto con il Congresso di Parigi del 1856, indebolendo la Russia, ne provocò un accresciuto interesse per il panslavismo, come mezzo di rivalsa per la sua politica espansionista. È infatti proprio in questo periodo che il panslavismo si diffonde in Russia come un movimento pubblico e con una impostazione integralista, che favoriva i gruppi nazionalistici dell’Europa orien-
10 Exposé des principes de la future organisation politique de l’Hongrie, Kütahia, 25 aprile 1851. Cfr., M. Menghini, Luigi Kossuth nel suo carteggio con G. Mazzini, in «Rassegna Storica del Risorgimento Italiano», VIII, 1921, n.1-2; E. Koltay-Kastner, Mazzini e Kossuth, (Lettere e documenti), Firenze 1929.
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tale incanalandoli in un programma dalla forte connotazione filozarista11 .
A questo panslavismo si opporrà decisamente Mazzini, considerandolo la negazione dei principi di libertà, nazionalità e indipendenza dei popoli, da lui propugnati. Il risveglio dei popoli slavi, il loro Risorgimento parallelo a quello italiano, era esattamente il contrario del “Leviatano” panrusso che veniva prospettato sotto l’egida dello zar.
I tempi erano maturi per una riproposizione organica del pensiero mazziniano in materia. Nel 1857, con alcune varianti e col nuovo titolo di Lettere slave, Mazzini ripubblicò in traduzione italiana il suo saggio «On the Slavonian movement», sull’Italia e Popolo di Genova12 .
Il giornale, fondato con il concorso di 150 azionisti, dopo la chiusura di un’altra testata – Italia e popolo – aveva iniziato le pubblicazioni il 21 febbraio 1857 ed era oggetto di particolare vigilanza da parte della censura. Come riporta Piero Cironi: «ogni volta che il giornale conteneva una parola del Mazzini avveniva il sequestro»13. Nel solo 1858 venne sequestrato ben 38 volte in cinque mesi. A questo si aggiungevano altre misure di polizia, dal carcere preventivo alle multe, dalle perquisizioni domiciliari alle condanne, finché fu costretto al silenzio e il suo direttore, proprio per tale funzione, venne condannato a dieci anni di lavori forzati con sentenza del 20 maggio 185814 .
La nuova versione in italiano del pensiero mazziniano sul movimento slavo era suddivisa in quattro lettere, datate dall’11 al 19 giugno – ma senza menzione dell’anno – indicate progressivamente con un numero romano, sottoscritte con una generica «Y» e indirizzate ad un anonimo «amico».
Mazzini non perdeva occasione per scagliarsi contro il panslavismo. Sul numero del 15 dicembre 1858 del periodico Pensiero e Azione, di seguito a un estratto dei Discorsi di Kossuth in Glasgow, in un commento a p. 118 firmato semplicemente «La Direzione», il Genovese ribadiva:
«Siamo dichiaratamente avversi al Panslavismo, concetto ostile alla libera vita dell’Europa e, per ventura, ineseguibile. La riunione dei 78
11 M. Boro Petrovich, The Emergence of Russian Panslavism 1856-1870, New York 1956. 12 Il nuovo titolo riprendeva quello di una pubblicazione del 1853 del poeta e drammaturgo polacco Krystyn Piotr Ostrowski, Lettres slaves, che preconizzava la soluzione della “querelle slave” fra Russia e Polonia con l’avvento di una Polonia indipendente in una federazione slava. 13 P. Cironi, La stampa nazionale italiana, 1828-1860, Prato 1862, p. 55. 14 Ancora quarant’anni dopo Napoleone Colajanni, nel capitolo VIII (intitolato «L’opera della reazione») del suo volume L’Italia nel 1898 (Tumulti e reazione), ricordava i motivi della soppressione del giornale mazziniano: «era un giornale repubblicano e pubblicavasi in una città dove c’era lo stato di assedio» (p. 112).
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milioni appartenenti alla razza Slava e disseminati dalla Dwina ad Oriente alle frontiere Germaniche in Occidente, dal Mare del Nord al Mare del Sud Europeo, sotto lo Tsar, ch’è il pensiero fondamentale del Panslavismo, uscì, sogno d’ambizione da un lato e di servilità dall’altro, dai dominatori di Pietroburgo, da principi cortigiani, e da letterati raggiratori, e scema di prestigio ogni giorno. Ma l’ordinamento dei rami diversi della razza Slava in quattro gruppi distinti è concetto interamente avverso al Panslavismo, senza pericoli per l’Europa, e fondato sul Principio stesso che invocheremo noi, Germanici e Italiani, a fondare, ciascuno di noi, la nostra Unità. Uno di quei gruppi è, chiaramente per noi, l’Illirico, contenente la Serbia, la Croazia e alcune popolazioni Slovene».
I sommovimenti polacchi del 1863-64 ridestarono in Mazzini l’antica predilezione per questo popolo, cui dedicò alcuni scritti15 e un rinnovato impegno di azione cospiratrice e attivazione di volontari.
Nel manifesto Ai Patrioti della Serbia e dell’Ungheria, del 5 dicembre 1863 ribadiva le parole d’ordine della sua concezione di un’Europa di nazioni libere e di popoli consapevoli della propria identità. Ancora una volta era la letteratura, la poesia, ad animare lo spirito risorgimentale e rivoluzionario. In una delle lettere a Daniel Stern, il 26 settembre 1864, Mazzini scriveva degli Slavi: «Ils sont seuls aujourd’hui, depuis la mort de Goethe et de Byron, la seule poésie spontanée, vivante, respirant l’action, qu’il me soit donné de connaître». E citava Malczeski, Garcziynski, Zaleski, Krasinski, mettendoli sullo stesso piano di Mickiewicz, di Lamartine, di Hugo.
La stessa Polonia veniva vista realizzarsi solo come parte essenziale del mondo slavo: «la Pologne sera la fille ainée de la mère commune que le monde appelle Slavie, ou elle ne sera pas», scriveva nel 1868 in un manifesto indirizzato all’Alleanza repubblicana polacca, mettendo in guardia dallo sbilanciamento a favore dell’impero ottomano in funzione antirussa. Solo il Risorgimento degli Slavi poteva aver ragione del dispotismo zarista, contrapponendogli libere repubbliche e concludeva esortando i Polacchi «Soyez les guides de la pensée Slave, dont vos pères ont été les prophètes.».
Ma sono noti anche i legami diretti di Mazzini con esponenti dello slavismo democratico e liberale, come Vladimir Jovanovič e con il movimento studentesco ispirato alla Giovine Italia, Ujedinjena omladina srpska - Gioventù serba unita (fondato nel 1866 in un raduno di 400 serbi a Novi Sad, nell’aula magna del ginnasio)16, oltre che con Vasil Levski e il movimento bulgaro di liberazione
15 La Polonia. Agli editori del Dovere; Polonia e Italia; Lettera a un patriota polacco. 16 Cfr., L. Toševa Karpowicz, Mazzini e il Risorgimento serbo (1848-1878), in Il mazzinianesimo nel mondo, vol. II, cit., pp. 513-567
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dalla dominazione ottomana17 .
Tutte le argomentazioni, le preoccupazioni, le speranze, le esortazioni, i progetti politici che il Genovese aveva stratificato e sistematizzato negli anni sul rapporto fra l’Europa e l’Oriente, nell’economia politica della dialettica fra nazionalità e imperialismi, fra democrazia e oppressione, fra libertà e asservimento, trovarono la loro sintesi nel saggio «Politica internazionale» pubblicato nel 1871 su La Roma del Popolo, numeri 4, 5, 6 (1871).
In esso Mazzini auspicava che l’Italia divenisse «anima e centro d’una Lega degli Stati minori Europei stretta a un patto comune di difesa contro le possibili usurpazioni d’una o d’altra grande Potenza» così da promuovere il «futuro riordinamento Europeo: Unità Nazionali frammezzate possibilmente di libere confederazioni». Grazie soprattutto alla «predicazione» di agenti italiani si sarebbero dovute realizzare nuove nazioni: l’Iberica, comprendente Spagna e Portogallo, la Confederazione delle Alpi, costituita dalla Svizzera unita alla Savoia e al Tirolo, l’Unione Scandinava e la Confederazione repubblicana dell’Olanda e del Belgio. L’altro caposaldo della nuova Europa si fondava «nell’alleanza colla famiglia Slava», il cui sommovimento avrebbe provocato «il disfacimento dell’Impero d’Austria e dell’Impero Turco in Europa». Anche in questo caso il ruolo dell’Italia appariva fondamentale, sia per un corretto rapporto dialettico con il confine orientale e l’Adriatico meridionale, che per il legame con le «terre DacoRomane» e con i paesi baltici.
Tuttavia, mentre asseriva che «il moto delle razze Slave» andava «salutato e aiutato come fatto provvidenziale», Mazzini riaffermava nuovamente il pericolo di una saldatura fra gli slavi del sud e del nord che «cerchi il proprio trionfo negli aiuti Russi e conceda allo Tsar la direzione delle proprie forze»: ciò – avvertiva – costituirebbe «un gigantesco tentativo per far cosacca l’Europa» dando l’avvio a «una nuova era di militarismo» dispotico, e mettendo «Costantinopoli, chiave del Mediterraneo, e gli sbocchi verso le vaste regioni Asiatiche in mano allo Tsar». Sarebbe la negazione e la fine del principio di nazionalità e si avrebbero «invece di quaranta milioni d’uomini liberi ordinati dal Baltico all’Adriatico a barriera contro il dispotismo russo, cento milioni di schiavi dipendenti da un’unica e tirannica volontà».
Lo stato della “Questione orientale”, in cui si collocavano i moti delle popolazioni slave, veniva infine delineato con estrema chiarezza:
«L’Impero Turco è condannato a dissolversi, prima forse dell’Austriaco; ma la caduta dell’uno segnerà prossima quella dell’altro. Le popolazio-
17 Cfr., K. Šarova, L. Genova, Il movimento nazional-rivoluzionario bulgaro e le idee di
Mazzini, in Il mazzinianesimo nel mondo, vol. II, cit., p. 270.
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ni che insorgeranno in Turchia per farsi nazioni sono quasi tutte ripartite fra i due imperi e non possono agglomerarsi senza emanciparsi dall’uno e dall’altro. L’Impero Austriaco è una Amministrazione, non uno Stato; ma l’Impero Turco in Europa è un accampamento straniero isolato in terre non sue».
Il ruolo e gli interessi dell’Italia erano altrettanto evidenti. Non solo - avvertiva Mazzini – il focus è verso il mondo asiatico, è lì, «se guardiamo nel futuro e oltre ai nostri confini, che convergono oggi le grandi linee del moto Europeo» e l’Italia, «prima un tempo e più potente colonizzatrice nel mondo», non può sottrarsi alla «missione civilizzatrice» cui la chiamano i tempi e soprattutto le ragioni economiche e commerciali. L’Europa «popolata un tempo dalle emigrazioni Asiatiche» doveva «riportare all’Asia la civiltà sviluppata» da quelle antiche trasmigrazioni. Si trattava di una «missione morale trasformatrice dell’idea religiosa, un vasto terreno alla nostra attività industriale e agricola trasformatrice del mondo esterno».
Il programma politico veniva indicato con chiarezza e inglobava tutto il sistema geopolitico elaborato da Mazzini nei decenni precedenti:
«Schiudere all’Italia, compiendo a un tempo la missione d’incivilimento additata dai tempi, tutte le vie che conducono al mondo Asiatico: è questo il problema che la nostra politica internazionale deve proporsi colla tenacità della quale, da Pietro il Grande a noi, fa prova la Russia per conquistarsi Costantinopoli. I mezzi stanno nell’alleanza cogli Slavi meridionali e coll’elemento Ellenico fin dove si stende, nell’influenza Italiana da aumentarsi sistematicamente in Suez ed in Alessandria ed in una invasione colonizzatrice da compirsi quando che sia e data l’opportunità nelle terre di Tunisi. Nel moto inevitabile che chiama l’Europa a incivilire le regioni Africane, come il Marocco spetta alla Penisola Iberica e l’Algeria alla Francia, Tunisi, chiave del Mediterraneo centrale, connessa al sistema sardo-siculo e lontana un venticinque leghe dalla Sicilia, spetta visibilmente all‘Italia. Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte importantissima per la contiguità coll’Egitto e per esso e la Siria coll’Asia, di quella zona Africana che appartiene veramente fino all’Atlante al sistema Europeo. E sulle cime dell’Atlante sventolò la bandiera di Roma quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò Mare nostro».
In questo quadro Mazzini sottolineava l’importanza di una politica internazionale, ricordando che «la vita internazionale dà valore e moto alla vita interna d’un popolo. La vita nazionale è lo stromento; la vita internazionale è il fine».
È questa la conclusione coerente e rigorosa di un percorso politico e ideologico che si proponeva un nuovo assetto mondiale, nel quale dovevano essere ridimensionate le potenze tradizionali – Russia, Turchia, Impero asburgico – e con-
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temporaneamente raffreddate le tendenze egemoniche germaniche e francesi, a favore di una equilibrata lega di Repubbliche sorelle, sostenuta dall’Italia unita e con l’appoggio anche dell’Inghilterra. Una nuova Europa, unita e forte nella pluralità di nazioni indipendenti ma confederate, con al centro l’Italia e la sua civiltà millenaria, avrebbe guardato ad Oriente come a un nuovo orizzonte su cui proiettare la propria cultura e nel quale sviluppare la propria economia.
Ulteriori indicazioni bibliografiche
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