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Notiziario e rassegna stampa della Sezione Rino Nanni Partito Comunista Italiano Bologna Territorio Reno Bazzanese

(Casalecchio di Reno,

Sasso Marconi, Zola Predosa, Monte San Pietro, Valsamoggia, Marzabotto)

Numero 3 IN RASSEGNA STAMPA

NOTE DI ATTIVITA’ POLITICA E ISTITUZIONALE Il PCI è tornato in vita Sostegno alla lotta dei lavoratori della Fiera di Bologna Continua il progetto antibarriere a Sasso Marconi

Lavoro Banche protette da soldi pubblici Referendum contro l’italicum La deforma costituzionale Europa

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A cura del nucleo di redazione

Nello Orivoli: 3471398555i

/pci.rinonanni

@PciRinoNanni

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Note settimanali di attivitĂ politica e istituzionale A tutte/i, queste note iniziano con l'informazione straordinaria della rinascita del Partito Comunista Italiano approvata dall' assemblea nazionale congressuale dei giorni 24, 25 e 26 luglio 2016. Riportiamo di seguito il comunicato stampa della nostra sezione sull' importante evento:

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Con la Costituente Comunista, svolta a San Lazzaro il 24, 25 e 26 Giugno, ha ripreso vita il Partito Comunista Italiano. La folta assemblea era composta da compagni del disciolto PCd’I, da fuoriusciti da Rifondazione Comunista e da compagni dello storico PCI. Tutti con un obiettivo comune: costruire una casa per i comunisti italiani. L’obiettivo, al quale ha lavorato l’Associazione per la Ricostruzione del partito comunista, è raggiunto: il vecchio PCd’I, soggetto promotore, fa spazio al PCI. La Sezione Rino Nanni sui territori di Casalecchio di Reno, Zola Predosa, Valsamoggia, Sasso Marconi e Marzabotto continua la sua attività acquisendo il nuovo simbolo e il nuovo statuto nell’auspicio, sempre vivo, di allargarsi e di accogliere sempre più compagni e compagne che si riconoscono in questo nuovo progetto. 29 Giugno 2016 PCI Rino Nanni Facebook: https://www.facebook.com/pci.rinonanni/ Twitter: @PciRinoNanni

Come primo atto politico concreto il PCI a livello provinciale esprime la piena solidarietà e il nostro contributo di lotta contro i licenziamenti dei lavoratori della Fiera di Bologna. A tale proposito riportiamo il comunicato stampa della della nostra Federazione di Bologna dell/1 luglio 2016.

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PASSATE LE ELEZIONI ARRIVANO I LICENZIAMENTI Due giorni fa è arrivata la conferma di 123 esuberi tra i lavoratori della Fiera di Bologna. I lavoratori di Bologna Fiere avevano, tramite una lettera aperta ai soci, lanciato un allarme rispetto alla gestione dell'allora dirigenza e chiesto l'apertura di un confronto sul futuro a maggio 2015. Da allora, nel più totale diniego di confronto da parte di soci pubblici e privati, i lavoratori hanno continuato ad assistere a giochetti politici, rimpalli di responsabilità, proclami e minacce, sempre e solo a mezzo stampa. Infatti, non vi è mai stato un confronto serio, teso a creare risposte economiche e di programmazione che si facessero promotrici delle eccellenze che il territorio può sviluppare, la conseguenza è che adesso ci si trova a parlare di esuberi. Si apprende che ci sarebbero buchi di bilancio e che in questi anni non si è fatto abbastanza. L’unica soluzione che è venuta in mente a chi ha la responsabilità di tale fallimento è quella di mandare di licenziare 123 lavoratori. Noi crediamo che occorra un'assunzione di responsabilità da parte di chi ha gestito Bologna Fiere, compresi i soci pubblici e privati, e che i lavoratori non possono, sempre e solo, pagare i prezzi degli errori di gestione. Ancora una volta i lavoratori pagano l'insipienza della politica. Ma chi l'ha detto che debbano essere sempre e soli i lavoratori a dover pagare in prima persona, in termini di licenziamento o cassa integrazione, l'incapacità di manager nominati dalla politica o, peggio ancora, dagli amici degli amici nella più becera logica del do ut des. I sindacati prima della campagna elettorale avevano chiesto al presidente della Regione Stefano Bonaccini e al sindaco uscente di Bologna Virginio Merola, un incontro per avere un quadro chiaro sullo stato dell'arte della nostra Fiera. Silenzio, senza avere una risposta. Ora, a ballottaggio archiviato, arriva la sorpresa. Come purtroppo spesso succede certa politica ha fatto i suoi giochini sulla pelle dei lavoratori e delle loro famiglie. Tutto questo nonostante il patto per il lavoro e il patto per la Città metropolitana, siglati in pompa magna, prevedano espressamente che a fronte dell'avvio di una procedura di mobilità di un'azienda, le parti sociali siano coinvolte. Bene la Fiera è un'impresa per di più in mano pubblica. Gli esuberi sono, a parere nostro, un atto gravissimo che era nell'aria da qualche settimana e che si è colpevolmente taciuto. In campagna elettorale Merola annunciava che il Comune era uno dei pochi soci disposti ad investire nel rilancio del quartiere fieristico bolognese mentre in verità erano già pronti i

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licenziamenti. Alla fine è stato solo un "teatrino sulla pelle di quei lavoratori che oggi vengono buttati in mezzo ad una strada e di quelli a cui si prospetta un taglio di stipendio e delle condizioni di lavoro nel suo complesso. Non è giusto che a pagare la crisi della Fiera siano i dipendenti, gli unici che hanno garantito, in questi anni, un servizio di qualità nonostante le evidenti carenze strutturali e la mancanza di un vero piano di sviluppo. Non è certo riducendo il costo del loro lavoro, creando altra disoccupazione e precarieta'' che si curano i mali della Fiera". I Comunisti saranno al fianco dei lavoratori che rischiano il posto di lavoro e criticano fortemente le dichiarazioni del Sindaco Merola che asserisce che i licenziamenti sono necessari e suggerisce che si proceda, come in altre fiere, con le esternalizzazioni

PARTITO COMUNISTA ITALIANO – BOLOGNA

Passando alle informazioni amministrative locali vi aggiorniamo sulla situazione di Sasso Marconi. Sasso Marconi, il progetto barriere architettoniche continua informazione a cura di Federico Feliziani Novità riguardo al progetto per l’abbattimento delle barriere architettoniche a Sasso Marconi. Grazie alle maggiori entrate da oneri di urbanizzazione che andranno a finanziare i lavori di restauro della piscina comunale, struttura molto importante per il territorio, nell’ultimo Consiglio Comunale si è approvata una variazione di bilancio con la quale si prevede, nella parte investimenti, l’accensione di un mutuo di 150.000 Euro da destinare alla manutenzione strade. Inizialmente il mutuo avrebbe dovuto essere destinato alla piscina tuttavia, si è scelto di mantenerlo ugualmente per la sistemazione di alcune situazioni sulla rete viaria. Nella delibera approvata dal Consiglio Comunale si legge espressamente che, all’interno del capitolo d’investimento inerente alle strade, rientra il progetto di abbattimento delle barriere architettoniche.

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Con questo atto la Giunta mantiene l’impegno da noi richiesto in Consiglio al fine di migliorare le condizioni di accessibilità del centro cittadino. Gli uffici competenti sono già stati dotati dell’elenco di manutenzioni prioritarie: in questa lista rientrano i passaggi pedonali, per i quali si procederà con lavori ordinari di copertura avvallamenti, e rampe già installate che presentano necessità di manutenzione.

Buona lettura e cordiali saluti Il nucleo di redazione del notiziario Federico Feliziani Alessandro Musolesi Nello Orivoli

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Rassegna stampa

Lavoro TTI

L’Osservatorio Indipendente di Bolognamorti sul lavoro Fonte: Casalecchio Notizie giugno /luglio 2016 Di: Carlo Soricelli

Carlo Soricelli, affermato e conosciutopittore/scultore di Casalecchio, ha creato nel 2006, assieme ai figli Lorenzo e Lisa, in seguito allo scandalo legato ai tragici eventi della Thyssen Group a Torino (6- 7 dicembre 2006) l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, con relativo sito sul web. http://cadutisullavoro.blogspot.it/ Soricelli, oltre ad aver lavorato in fabbrica per decenni, ha avuto sempre come artista tematiche legate al sociale, dalla parte dei deboli, dei lavoratori, degli sfruttati, degli animali indifesi. La realizzazione dell’Osservatorio rientra quindi pienamente nel suo DNA di uomo e artista sensibile all’umano e alla socialità. Facciamo alcune domande al sig. Soricelli. Come si è attuata la realizzazione e la implementazione dell’Osservatorio? Da subito nella realizzazione e nella implementazione dati del sito ci siamo accorti di un fatto molto strano, ossia che, dalle nostre ricerche, il numero reale e documentato dei morti sul lavoro annuale era di parecchio superiore a quello ufficiale attestato dall’INAIL. Interpellando l’Istituto, mi sono accorto che INAIL non dichiarava in maniera trasparente i propri dati ed i sistemi di monitoraggio. Qual era allora l’origine della discrepanza, poi ammessa e rilevata dallo stesso INAIL? Non venivano rilevati i dati da incidenti sul lavoro relativi alle partite IVA individuali, gli agricoltori (il 20% dei morti sul lavoro annuali deriva dal rovesciamento dei trattori) e dei lavoratori in nero, soprattutto quelli del settore agricolo ed edile. Come è andata in seguito?

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Ho avuto, grazie alle mie scoperte e attività, il sostegno e l’incoraggiamento di un famoso giornalista impegnato nel sociale, Santo della Volpe, orascomparso, e del senatore Paolo Nerozzi, oltre che segnalazioni, articoli ed interviste in tutta Europa e persino negli Stati Uniti. Ogni giorno il sito ha da 200 a 400 visite e riceve regolarmente molte segnalazioni da tutta Italia. Il primo dato che ho riscontrato è che in quelle realtà lavorative dove è presente una qualche forma di rappresentanza sindacale il dato della mortalità sul lavoro si abbassa in maniera considerevole. Il problema attuale è che molti lavori sono senza forma possibile di controllo, come ad esempio i vari tipi di impiego in subappalto o il lavoro a voucher. Come si collega il lavoro sull’Osservatorio al suo essere un artista? Oltre alle tematiche abituali ho anche sviluppato una forma d’arte che ho ribattezzato “Rifiutismo” e cioè l’ideazione e la realizzazione di oggetti artistici assemblando oggetti dalle discariche dei rifiuti o tutti quegli oggetti abbandonati dalla società dei consumi. Oltre a sviluppare questa forma inusuale di creatività, con questa attività artistica voglio dare valore, in un società del consumo e dello scarto, a quegli oggetti apparentemente senza valore ma che in realtà hanno avuto una vita d’uso importante, a volte anche affettivamente. ll rischio di un società come la nostra è che anche i morti sul lavoro siano considerati inevitabili scarti, incidenti di percorso di un società impietosamente consumistica e che non tiene più conto dei valori umani.

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Referendum, in Cassazione oltre 3,3 milioni di firme Fonte: Rasssegna.it 01 luglio 2016

Camusso: è "il frutto del lavoro volontario dei militanti e dei delegati della Cgil, oltre che dell'impegno di tutti i dirigenti, funzionari e collaboratori dell'organizzazione". Nei prossimi tre mesi si prosegue con la raccolta per la Carta È un risultato straordinario e importante, che testimonia il consenso che le proposte della Cgil incontrano nel Paese". Così il segretario generale del sindacato di Corso d'Italia, Susanna Camusso, commenta la raccolta di oltre 1,1 milioni di firme per ognuno dei tre quesiti referendari che accompagnano e sostengono la proposta di legge di iniziativa popolare 'Carta dei diritti universali del lavoro'. I referendum riguardano: la cancellazione del lavoro accessorio (voucher), la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti, una nuova tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende al di sopra dei cinque dipendenti. Per il leader della Cgil il numero delle firme raccolte, che questa mattina sono state depositate in Corte di Cassazione, è "il frutto del lavoro volontario dei militanti e dei delegati della Cgil, oltre che dell'impegno di tutti i dirigenti, funzionari e collaboratori dell'organizzazione, ai quali vanno il mio ringraziamento e quello di tutta la Cgil". "Ora attendiamo con fiducia aggiunge Camusso - che la Corte di Cassazione si pronunci sull'ammissibilità dei nostri quesiti referendari e siamo pronti per la prova del voto, convinti delle nostre ragioni Il segretario generale della Cgil ha poi ricordato che nei prossimi tre mesi proseguirà la raccolta di firme per la proposta di legge di iniziativa popolare 'Carta dei diritti universali del lavoro'. "Abbiamo raccolto oltre un milione di firme per ciascuno dei tre referendum abrogativi, possiamo fare ancora di più con le firme a sostegno della Carta. La #SfidaXiDiritti continua", conclude Camusso.

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Banche protette da soldi pubblici Banche protette per sei mesi con 150 miliardi di fondi pubblici Fonte: Il Manifesto 3 luglio 2016 Di: Roberto Ciccarelli

Le banche italiane in sofferenza avranno un paracadute per i prossimi sei mesi. La Commissione Europea ha autorizzato, dopo giorni di incertezze e trattative, l’introduzione di uno schema di garanzia da 150 miliardi di euro (stima il Wall Street Journal) fino al 31 dicembre 2016. Il paracadute si potrà aprire in caso di onde sismiche prodotte da una speculazione finanziaria sul rischio rappresentato dai titoli tossici pari a 200 miliardi presenti nella «pancia» degli istituti di credito. Il coniglio pescato dal cappello ieri è stato presentato come una «misura precauzionale» dato che il governo ammette che la situazione è «grave», ma non «drammatica». La soluzione è stata trovata all’indomani del consiglio dei capi di Stato e di governo durante il quale l’esecutivo italiano ha avanzato l’ipotesi di una «flessibilità» di spesa rispetto al patto di Stabilità. Il «Brexit» peggiorerà le previsioni della crescita economica per il 2016 – lo hanno ammesso sia il presidente del Consiglio Renzi che il ministro dell’Economia Padoan. Il problema è anche quello di rifinanziare il fondo «Atlante» creato dalle banche per affrontare la spesa per l’acquisizione della Popolare Vicenza e di Veneto Banca, quasi fallite. Servono 5 miliardi in più, oltre ai 4,2 a disposizione, 2,5 miliardi dei quali già spesi. Al momento ci sono 1,75 miliardi destinati all’acquisto di «Non performing Loans» (Npl), i crediti deteriorati che non ripagano capitale e interessi ai creditori. Costi che hanno reso necessaria una nuova richiesta italiana di «flessibilità» del patto di stabilità, respinta dalla Cancelliera Merkel: «Non possiamo cambiare le regole ogni due anni» ha detto. Affermazione che ha innescato le recriminazioni da parte italiana. Renzi ha ricordato a Merkel che la Germania e la Francia sono gli unici paesi che hanno beneficiato, fino ad oggi, della «flessibilità». Nel 2003, ad esempio, quando alla presidenza di turno dell’Ue c’era Berlusconi. Un favore che Merkel non sembrava intenzionata a restituire. La portavoce del vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis non ha commentato le «speculazioni» su una richiesta italiana di «bail-in» alla luce degli effetti del «Brexit» sulle borse. L’approvazione della garanzia pubblica per le banche è un punto a favore del governo sostenuto dal presidente della

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Commissione Juncker, dopo il via libera definitivo al decreto banche con il rimborso all’80% ai risparmiatori di Banca Etruria, Marche, Carife e Carichieti. La sospensione temporanea arrivata da Bruxelles è un lasciapassare alle manovre già in atto in Italia per rifinanziare «Atlante» senza incorrere nelle procedure contro gli aiuti di Stato. Restano da sciogliere le perplessità diffuse tra i banchieri – ad esempio il presidente dell’Abi Patuelli e l’amministratore delegato di Intesa San Paolo Carlo Messina sull’ipotesi di un intervento del governo nel capitale delle banche in difficoltà. In questo uso del denaro pubblico per sostenere, in maniera precauzionale, le perdite delle banche c’è anche il rischio di mobilitare le risorse della Cassa Depositi e Prestiti (6-700 milioni), frutto del risparmio postale degli italiani. La Cassa dovrebbe distogliere una parte del suo capitale destinato all’«economia reale» nelle banche. In più dovrebbe probabilmente modificare il suo statuto per partecipare all’operazione. Perplessità, e opposizioni, sono arrivate dai fondi previdenziali privati, come Inarcassa (la cassa di ingegneri e architetti) che si è detta contraria all’investimento in «Atlante». «Non siamo mucche da mungere – ha detto il presidente Giuseppe Santoro – mettiamo, allora, sul tavolo la questione della tassazione al 26% sui rendimenti finanziari» che grava sugli Enti. Noi paghiamo pensioni, non facciamo speculazione». «Bisogna vedere prima le condizioni» ha detto il presidente del’Adepp (l’Associazione nazionale degli enti previdenziali privati) Alberto Oliveti. Davanti alla richiesta del governo di impiegare le pensioni dei professionisti, Oliveti ha ribadito che l’imperativo dei fondi è garantire le pensioni in un’ottica prudente. Al fondo del barile resta un’altra ipotesi: rianimare la «Sga» che negli anni Novanta aveva gestito i titoli tossici del Banco di Napoli. Il problema è che ha pochi centinaia di milioni. Per finire c’è l’idea di ripescare i «Monti Bond»

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Referendum contro l’Italicum Referendum Italicum dati e dichiarazioni raccolta firme Fonte: coordinamentodemocraziacostituzionale.net

Comitato per il Si nei due referendum abrogativi relativi alla Legge 6 maggio 2015 n.52 Dichiarazione di Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino del Comitato contro l’Italicum che ha promosso i due referendum abrogativi Le firme raccolte per i due referendum abrogativi di norme dell’Italicum sono giunte a 420.000 (418.239 per il premio di maggioranza e 422.555 per i capilista bloccati). Non bastano, ma sono comunque uno straordinario risultato della mobilitazione organizzata dal Comitato nazionale e dai comitati territoriali. Abbiamo proposto l’abrogazione del premio di maggioranza, compreso il ballottaggio senza soglia, che consegna i poteri di governo a un singolo partito, anche ampiamente minoritario nei consensi reali, e dei capilista a voto bloccato, per cui almeno i 2/3 dei futuri deputati sono nominati dai vertici di partito. Norme ancora più gravi alla luce delle modifiche costituzionali – volute dal governo e oggetto del referendum di ottobre – che affidano alla sola camera dei deputati il rapporto di fiducia con il governo e tolgono al senato la natura di assemblea elettiva. Abbiamo inteso inserire i due quesiti abrogativi sull’Italicum in una più vasta stagione referendaria, volta anche a decisivi temi sociali come la scuola, il lavoro, l’ambiente. Siamo convinti di avere per la nostra parte contribuito a un fondamentale recupero di partecipazione e di consapevolezza democratica. L’impegno di decine di migliaia di cittadini, che hanno dato vita a 400 comitati locali, è di grandissimo valore. Si sono spesi senza limiti nel raccogliere le 420.000 firme, avendo un unico, comune, interesse: la rinascita collettiva della democrazia nel Paese e l’impegno a diffondere e a comprendere quanto siano vitali coscienza e responsabilità di essere cittadini. A loro va il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine. Il loro generoso impegno ha confermato che ci sono importanti potenzialità democratiche nel paese, che dovrebbero essere valorizzate da quanti hanno a cuore una democrazia viva.

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Denunciamo gli ostacoli palesi e occulti frapposti alla raccolta delle firme, che nonostante le chiacchiere sul radioso futuro informatico del nostro paese viene fatta secondo modalità che si possono definire ottocentesche. Il governo non ha mosso un dito per consentire l’uso della Pec per ottenere le certificazioni dai comuni. Con l’istituzione delle aree metropolitane i funzionari hanno perso il potere di certificazione che avevano nelle preesistenti province. Ringraziamo il Comitato promosso dai radicali per avere fatto con noi questa denuncia pubblica. Ha pesato l’assenza pressoché totale dell’informazione sulla raccolta delle firme e sulle sue ragioni, effetto del prevalente conformismo dettato dai gruppi di potere dominanti nell’informazione e da autocensure che non fanno onore alla categoria. Ringraziamo i pochi che ci hanno sostenuto, come il Fatto e il Manifesto. Questo assordante silenzio mediatico ha grandemente ostacolato il contatto con l’opinione pubblica, rendendo difficile spiegare perché Italicum e modifiche costituzionali sono un tutto unico, da valutare e modificare insieme. Soprattutto per questo deficit informativo non siamo riusciti a rendere evidente che meccanismi elettorali e modifiche costituzionali non riguardano solo la “casta”. Determinando le scelte politiche e la loro traduzione in regole giuridiche toccano in prospettiva le concrete condizioni di vita delle persone come, ad esempio, l’occupazione, l’istruzione, la salute, le pensioni. La convinzione di questo nesso inscindibile ci ha indotto a perseguire con la via referendaria anche quella del giudizio davanti alla Corte costituzionale, avviando iniziative giudiziali in venti tribunali con l’obiettivo di far sollevare una questione di costituzionalità. Una iniziativa particolarmente gravosa, che ha già prodotto un primo risultato. La Corte si pronuncerà il prossimo 4 ottobre. Auspichiamo che voglia accogliere le nostre motivazioni di incostituzionalità. Denunciamo i tentativi di premere sulla Corte, fino ad anticiparne il giudizio, segno evidente del degrado di comportamenti pubblici che richiederebbero ben altro stile. E se l’Italicum dovesse superare indenne il giudizio della Corte, non escludiamo la possibilità di riprendere in futuro l’iniziativa referendaria, se ci sarà l’appoggio non episodico di organizzazioni politiche e sociali che possono consentire di raggiungere l’obiettivo. In ogni caso, la raccolta delle firme è stata un’esperienza positiva e importantissima. I 400 comitati territoriali fin qui sorti sono presenti in ogni parte del paese. Siamo oggi molto più radicati e diffusi di quando siamo partiti. Questo patrimonio va pienamente messo a frutto nella campagna elettorale per il referendum costituzionale di ottobre, Questo è l’impegno

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prioritario per la difesa della Costituzione e della democrazia, nel quale dobbiamo spendere tutte le nostre energie nazionali e locali con un secco e forte NO alle deformazioni della Costituzione. Un successo del NO riaprirebbe anche il confronto sulla legge elettorale, che, non a caso, le oligarchie nazionali ed internazionali vorrebbero tale da imbrigliare la volontà popolare e bloccare la partecipazione democratica. La riunione congiunta dei Comitati direttivi per il No alle modifiche della Costituzione e contro l’Italicum, convocata per l’8 luglio, varerà un programma per la campagna elettorale per il referendum costituzionale e per il suo autofinanziamento. Queste proposte verranno portate ad un incontro nazionale dei comitati territoriali convocato per il 16 luglio a Roma. Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino

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La deforma costituzionale Cosa penso della Riforma costituzionale. Parla il Prof. Alessandro Pace Fonte: Formiche: analisi, commenti e scenari 3 Luglio 2016 Di: Federico Quadrelli

La riforma della Costituzione è una cosa seria. Per questo è importante discuterne in modo approfondito. Ascoltare prima di tutto, le varie posizioni e le argomentazioni che vengono proposte. Di seguito propongo una lunga intervista con Alessandro Pace, professore emerito di Diritto Costituzionale e Presidente del Comitato per il No. Prof. Pace, lei è il Presidente del Comitato per il No alla Riforma Costituzionale. Chi fa parte di questo comitato oltre a lei? Giuristi come Gianni Ferrara, Lorenza Carlassare, Massimo Villone, Giuseppe Ugo Rescigno, Mauro Volpi, Gaetano Azzariti e Francesco Bilancia; magistrati come Domenico Gallo, Armando Spataro, Giovanni Palombarini e Nicola D’Angelo; sindacalisti come Alfiero Grandi e Mauro Beschi; ex parlamentari come Francesco Pardi, Vincenzo Vita, Giovanni Russo Spena. Successivamente si sono aggiunti ex giudici costituzionali come Franco Bile, Riccardo Chieppa, Gustavo Zagrebelsky e Paolo Maddalena; politologi come Gianfranco Pasquino, Michele Prospero, Nadia Urbinati e Maurizio Viroli; storici di discipline umanistiche come Nicola Tranfaglia, Luciano Canfora, Paul Ginsborg, Salvatore Settis, Marco Revelli e Tomaso Montanari; filosofi come Gianni Vattimo, Girolamo Cotroneo e Giuseppe Rocco Gembillo; fisici come Piergiogio Odifreddi, Giorgio Parisi e Giorgio Nebbia; registi cinematografici come Giuliano Montaldo e Citto Maselli; attori come Monica Guerritore, Toni Servillo e Moni Ovadia; un attore-autore come Dario Fo, e infine due sacerdoti impegnati nel sociale come don Luigi Ciotti e don Alex Zanotelli. E cosa vi ha spinti a compiere questa scelta? Ciò che ci ha spinti a questa scelta è stata la difesa dei principi della nostra Costituzione, che con questa riforma verrebbero travolti, in quanto essa va ben oltre alla modifica della seconda parte.

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Secondo alcuni, i sostenitori del No sono dei conservatori. Persone che vorrebbero impedire che questo paese venga riformato. È così? Si ritrova in questa descrizione? Niente affatto! Un filosofo indiano, Inayat Khan, molti anni fa, scrisse che non tutto quello che viene dopo, è progresso. E la riforma Boschi costituisce complessivamente un regresso rispetto alla Costituzione del 1947. E’ una riforma pasticciata: 1) perché i senatori, nella falsa ed infondata pretesa di rappresentare gli enti territoriali minori – che si potrebbe avere soltanto negli Stati federali – , svolgerebbero part-time sia le funzioni di consiglieri regionali o di sindaci, sia quelle di senatore, ancorché le funzioni del Senato siano notevoli e impegnative; 2) perché i tipi di procedimento legislativo, dagli attuali due, diventerebbero almeno otto, con notevoli rischi di contrasto tra Camera e Senato; 3) perché la distribuzione delle attribuzioni legislative tra Stato e Regioni, oltre ad essere fortemente sperequata a favore dello Stato, è piena di errori e di dimenticanze con riferimento anche a materie importanti; 4) perché, in prospettiva, grazie all’Italicum - che della riforma costituzionale ha costituito il perno -, il Presidente del Consiglio, con il Senato ridotto ad un ombra, avrebbe il dominio incontrastato dei deputati in parte da lui stesso nominati, con un implicito e strisciante ridimensionamento degli organi di garanzia. Arriviamo alla sostanza della questione: la riforma della Costituzione. Nel testo “la Costituzione Bene Comune” lei dà un giudizio molto severo dell’operato di questo Parlamento. Cita la sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale e il “principio fondamentale della continuità dello Stato”. Lei sostiene che questo Parlamento non era legittimato a intraprendere un percorso di riforme come quello messo in atto con Renzi? Non lo dico io. Lo ha scritto la Corte costituzionale – nella sentenza n. 1 del 2014 – che la legge n. 270 del 2005, il così detto Porcellum, era incostituzionale perché la governabilità veniva assicurata a danno della rappresentatività. L’intendimento della Consulta in quella sentenza era chiaro: le Camere, ancorché delegittimate, avrebbero potuto e dovuto approvare al più presto le nuove leggi elettorali, non già in forza della legge elettorale dichiarata incostituzionale, ma in forza del «principio fondamentale della continuità degli organi dello Stato», e subito dopo avrebbero dovuto essere sciolte. Invece, le Camere hanno continuato ad operare. Anzi, nonostante non fossero

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rappresentative, venne loro affidato, grazie all’allora Presidente della Repubblica, e soprattutto al PD (con il nuovo segretario privo di mandato elettorale) e a Forza Italia, il compito più oneroso che possa essere attribuito ad un’assemblea politica: la “riforma” della Costituzione. Un vero e proprio azzardo perché la Consulta, aveva fatto capire, con due esempi, che il «principio fondamentale della continuità degli organi dello Stato» può operare solo per brevi periodi di tempo. La Consulta citò infatti gli articoli 61 e 77 della Costituzione, i quali consentono bensì la prorogatio delle funzioni dei parlamentari in caso di scioglimento delle Camere, ma tutt’al più solo per un paio di mesi di tempo. Chi ha sbagliato allora, il Presidente della Repubblica o la Corte Costituzionale nel non intervenire? È ben vero che all’inizio del 2014, lo scioglimento anticipato delle Camere avrebbe portato alle stelle lo spread nei confronti del Bund tedesco. Ma per evitare questo pericolo sarebbe stato sufficiente soprassedere, per il momento, allo scioglimento delle Camere. Invece si è messa in cantiere una riforma costituzionale da parte di un Parlamento delegittimato, con parlamentari insicuri del proprio futuro e quindi pronti a cambiar casacca. Il che è appunto accaduto, essendoci state ben 325 migrazioni, se non di più, da un gruppo parlamentare ad un altro. La responsabilità ricade in effetti sia sull’allora Presidente Napolitano – che la Ministra Boschi ha ripetutamente omaggiato come il “padre della riforma” -, sia sul Presidente del Consiglio Renzi, sia infine, come Lei suggerisce, sulla Corte costituzionale, anche se ipotizzo che ci sia stato un tempestivo intervento del Quirinale per evitare pubbliche prese di posizione da parte dell’allora Presidente della Corte costituzionale. Torniamo un momento indietro. La riforma della Costituzione riguarda la modifica del ruolo e delle funzioni del Senato, primariamente. Quali sono gli aspetti tecnici che valuta negativamente? Sono svariati. In primo luogo, la violazione dell’articolo 1 della Costituzione, secondo il quale il fulcro della sovranità popolare sta nell’elettività diretta negli organi legislativi, come sottolineato dalla stessa Consulta nella sentenza citata, laddove i senatori verrebbero eletti non dal popolo bensì dai consigli regionali. E poi c’è tutta una serie di scelte irrazionali.

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E dove sono, secondo lei, le ambiguità, le scelte irrazionali o le fratture che hanno spinto alcuni, come il prof. Zagrebelsky, a parlare di una “democrazia svuotata”? In primo luogo, nonostante l’importanza e la quantità delle loro funzioni, i senatori dovrebbero nel contempo esercitare le funzioni di consigliere regionale o di sindaco. In secondo luogo, la eccessiva differenza tra il numero dei deputati (630) e quello dei senatori (100), con la conseguenza dell’assoluta irrilevanza della presenza dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica o dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. L’incongruità della nomina da parte del Presidente della Repubblica di cinque senatori per un periodo corrispondente alla durata del suo mandato. La sproporzione tra i due giudici costituzionali eletti dai 100 senatori e i tre giudici costituzionali eletti dai 630 deputati, con la conseguenza che l’elezione selettiva da parte del Senato potrebbe rischiare di introdurre nella Corte una logica corporativa. Ma le ragioni per le quali si è giustamente parlato di democrazia svuotata stanno solo in parte nell’eliminazione del Senato come possibile contropotere. Esse stanno altresì nella mancata previsione di contropoteri in capo alle opposizioni, come la previsione del potere d’inchiesta parlamentare ad iniziativa di una minoranza qualificata, che in Germania esiste sin dalla Costituzione di Weimar. Nella riforma Boschi essa costituì l’oggetto di più emendamenti che non furono accettati dal Governo. Ma c’è di più: nella riforma Boschi i diritti delle minoranze parlamentari e lo statuto delle opposizioni sono rimessi ai regolamenti parlamentari che, com’è noto, devono essere approvati dalla maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea. Se dovesse citare solo pochi aspetti concreti, diciamo due, per dire che è importante e giusto votare no alla riforma costituzionale, quali sarebbero? Il pericolo maggiore, già accennato in precedenza, sta nella combinazione della riforma Boschi con l’Italicum, grazie alla quale il leader del partito vittorioso, anche con solo il 25 per cento dei voti, sarebbe, di fatto, un “premier assoluto”. Ma quand’anche, prima del referendum, venisse modificata la legge elettorale attribuendo il “premio di maggioranza” (sic!) alla coalizione vincitrice anziché al partito, l’atteggiamento critico nei confronti della riforma non cambierebbe, non solo per quanto detto in risposta alla

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precedente domanda, ma anche perché il Senato, così come disegnato, non funzionerebbe. Perché? Il futuro articolo 55 proclama che il Senato rappresenterebbe le istituzioni territoriali, ma le funzioni elencate in quell’articolo sono del Senato non in quanto rappresentante delle istituzioni territoriale, ma in quanto organo dello Stato (funzione legislativa, partecipazione alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione Europea ecc.). Inoltre la partecipazione del Senato alla funzione legislativa, sia quella bicamerale, sia quella eventuale concernerebbe soltanto gli aspetti organizzativi. Per cui, nei rapporti dello Stato con le Regioni, le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato verrebbero disciplinate dalla sola Camera dei deputati. La riforma della potestà legislativa nel rapporto Stato-Regioni è talmente sbilanciata a favore del potere centrale, da potersi addirittura prospettare la violazione dell’art. 5 Cost. che riconosce e tutela le autonomie locali. Le cinque Regioni a statuto speciale resterebbero immuni dalle modifiche della legge Boschi e di conseguenza ad esse non si applicherebbero gli indicatori del “costi-standard”, il che determinerebbe, nel sistema, una gravissima contraddizione di fondo. Per contro, le Regioni ad autonomia ordinaria verrebbero private della potestà legislativa concorrente, ingiustamente accusata di essere la causa dell’immane contenzioso costituzionale StatoRegioni. Verrebbero invece previste due potestà legislativa esclusive: una dello Stato in ben 51 materie e l’altra delle Regioni in una quindicina di materie prevalentemente organizzative. Materie tipiche di ogni assetto autonomistico, quali la tutela della salute, il governo del territorio, l’ambiente e il turismo, verrebbero attribuite allo Stato ma al solo fine di dettare «disposizioni generali e comuni», senza però attribuire a chicchessia, e quindi nemmeno alle Regioni la relativa potestà di attuazione. E materie importanti come la circolazione statale, i lavori pubblici, l’industria, l’agricoltura, l’attività mineraria, le cave, la caccia e la pesca non sono state attribuite esplicitamente né allo Stato né alle Regioni, il che costituisce più il frutto di una dimenticanza che di una consapevole ma implicita scelta in favore delle Regioni. Recentemente il Ministro Boschi è stata a Berlino per parlare alla sede della Konrad-Adenauer Stiftung, associazione vicina alla CDU di Angela

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Merkel. Ha raccontato di uno sforzo per avere un Senato simile a quello tedesco. Ravvede queste somiglianze? Nessuna. Nel Bundesrat sono infatti presenti, a proprio titolo, i Governi dei sedici Länder, preesistenti alla stessa Legge fondamentale tedesca (1949) e addirittura alla stessa Costituzione imperiale del 1871. I Länder, per il tramite di loro rappresentanti (uno o più), hanno a disposizione, a seconda dell’importanza del Land, da un minimo di tre ad un massimo di sei voti per ogni deliberazione. Abbiamo già accennato a un aspetto importante, che molti esponenti del vostro Comitato sottolineano, cioè il combinato disposto con la legge elettorale. Perché si deve parlare della legge elettorale, se il Referendum di ottobre sarà sulle modifiche al Senato? Perché, grazie alla legge elettorale denominata comunemente Italicum - che ripete i due vizi per i quali il Porcellum fu dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 1 de 2014, cioè il voto “bloccato” limitatamente ai capilista e premio di maggioranza assegnato, a seguito di ballottaggio, alla lista più votata ancorché abbia raggiunto anche solo il 25 per cento – il partito di maggioranza otterrebbe 340 seggi alla Camera dei deputati. Conseguentemente si avrebbe, da parte dell’elettorato, un’investitura quasidiretta del leader del partito alla Presidenza del Consiglio, come ho già accennato. Il nostro ordinamento si orienterebbe perciò, di fatto, verso un “premierato assoluto”, non già grazie a particolari poteri ma in conseguenza dell’assenza di adeguati contro-poteri, come ho già avvertito. Quali sono gli scenari che lei immagina per il Referendum di ottobre? Se vince il Sì davvero il Paese rischia una deriva autoritaria? Se vince il No, Matteo Renzi e una intera classe dirigente dice che lascerà la politica, e per Benigni significherà che questo Paese è irriformabile. Ritengo eccessivo sostenere che con la vittoria del Sì ci sarebbe di per sé una svolta autoritaria. Certamente però la riforma porrebbe in essere i presupposti necessari perché un politico spregiudicato possa ridurre gli spazi di democrazia delle istituzioni repubblicane. Renzi ha sbagliato a condizionare la sua permanenza alla vittoria nel referendum di ottobre. E’ un tentativo di ricatto al quale gli elettori non devono soccombere. Ma costituisce l’ovvia conseguenza dell’azzardo dell’allora Presidente della Repubblica e dell’attuale Presidente del Consiglio, di aver voluto iniziare un percorso costituzionale in una Legislatura, come la XVII, notoriamente delegittimata,

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un azzardo tanto più sbagliato in quanto l’iniziativa della riforma costituzionale è stata del Governo, e non del Parlamento, con tutte le numerose storture procedurali che ho già ripetutamente denunciato altrove. Quanto a Benigni, non credo che abbia chiara la distinzione tra revisione costituzionale e riforma costituzionale, ma sono d’accordo con lui che la nostra Costituzione non può essere modificata con riforme. Potrebbe esserlo ma solo con le revisioni costituzionali previste dall’art. 138 della Costituzione. Queste, a differenza delle riforme, concernono infatti soltanto le modifiche puntuali e omogenee della Costituzione a fronte delle quali l’elettore è libero di dire Sì o No. Le riforme concernono invece la modifica contestuale di varie parti della Costituzione, come la riforma Berlusconi che fu bocciata dal popolo nel 2006, e come la riforma Boschi, la cui intitolazione è significativa: «Superamento del bicameralismo paritario, riduzione del numero dei parlamentari, contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, soppressione del CNEL e revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione». A parte il fatto che l’intitolazione della legge Boschi è addirittura parziale, perché tace, tra l’altro, delle modifiche del procedimento legislativo e dell’elezione dei giudizi costituzionali, è del tutto evidente che, a fronte delle modifiche indicate, l’elettore sarà costretto a rispondere con un solo Si o No, il che viola la libertà di voto, che costituisce uno dei principi fondamentali del nostro sistema costituzionale. Ad esempio, io voterò No, ma con riferimento all’abolizione del CNEL, se avessi potuto, avrei votato Sì. Quindi… In conclusione, la mia personale convinzione, da tempo maturata, è che, se si vogliono effettuare dei cambiamenti costituzionali partecipati dalla maggioranza dei cittadini, ci si dovrebbe limitare a proporre solo modifiche puntuali ed omogenee, quali la diminuzione bilanciata del numero dei deputati e dei senatori; l’attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo; la trasformazione del Senato in una effettiva camera territoriale; l’attribuzione alla Corte costituzionale del giudizio sull’incompatibilità e sull’ineleggibilità dei parlamentari; l’introduzione del potere d’inchiesta parlamentare ad iniziativa di una minoranza qualificata; l’abolizione del CNEL e così via.

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Europa "L'accordo Ue-Turchia viola il diritto internazionale". La denuncia di Save the Children che presenta un dossier con le testimonianze Fonte: Agenzia Dire 3 luglio 2016 L'accordo tra UE e Turchia viola il diritto internazionale, come dimostrano le sempre piu' corpose evidenze raccolte sul campo. Questo l'allarme lanciato nei giorni scorsi da Save the Children ai leader europeiriuniti a Bruxelles per il Consiglio Europeo. Le famiglie siriane le cui richieste di asilo sono state rifiutate e che attendono di essere deportate in Turchia hanno espresso gravissime preoccupazioni a Save the Children riguardo la legalita' del processo di asilo sancito dall'accordo UE-Turchia. "Abbiamo appreso che, per effetto dell'accordo, la Turchia viene ritenuta un Paese sicuro anche per le famiglie curdo-siriane. Abbiamo seguito il caso di una famiglia curdo-siriana bloccata in un centro di detenzione su una delle isole greche che si sta appellando a tale decisione perche', non sapendo in quale area della Turchia verrebbero deportati, temono di ritrovarsi in un'area non sicura per i curdi- ha dichiarato Amy Frost, Responsabile di Save the Children in Grecia- Altre famiglie ci hanno riferito che nonostante fossero arrivate prima del 20 marzo, primo giorno dell'applicazione dell'accordo, rischiano di essere deportati in Turchia, anche se questa procedura non dovrebbe riguardarli in prima istanza. Ăˆ stato detto loro che non erano stati in grado di dimostrare il loro arrivo prima del 20 marzo, anche se erano in possesso di documenti di arrivo datati. Ăˆ riprovevole che proprio le leggi in materia di diritti umani e rifugiati redatte e promosse dall'Unione Europea vengano ora aggirate dall'Europa stessa. Non possiamo accettare una situazione nella quale chi ha rischiato tutto per fuggire da guerra e violenze e portare la propria famiglia in salvo venga alla fine punito in questo modo". "Questo- prosegue Frost- stabilisce un pericoloso precedente per l'Unione Europea stessa, che per decenni ha insegnato ad altri governi il rispetto dei diritti umani e dei diritti dei rifugiati ma ora li calpesta nella gestione di una crisi umanitaria che la riguarda direttamente". Le violazioni segnalate dai richiedenti asilo nei centri di detenzione sulle isole greche includono: Famiglie convocate a colloquio senza preavviso, nell'impossibilita' quindi di avere il tempo indispensabile per produrre la documentazione necessaria. Nel caso di una famiglia, ad esempio, questo ha

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significato affrontare la deportazione per l'impossibilita' di documentare la disabilita' del loro bambino di due anni, che avrebbe consentito loro di rimanere in Grecia; alcuni richiedenti asilo hanno evidenziato un servizio di traduzione inadeguato durante le interviste, ritrovandosi a dover correggere essi stessi i traduttori; I richiedenti asilo all'interno delle strutture chiuse hanno riportato di non avere accesso ad alcuna assistenza legale e che i funzionari incaricati non sono stati in grado di fornire alcun supporto legale ne' prima ne' durante i colloqui. Nel frattempo, le condizioni all'interno dei centri di detenzione e degli hotspot si deteriorano ogni giorno. Anche se il numero delle persone arrivate sulle isole si e' ridotto drasticamente, i campi sono sovraffollati e le persone dormono in ogni minimo spazio dove riescono a montare una tenda o ammassati in piccole camere con piu' di 30 persone. Le famiglie vivono in tende di fortuna e alcune sono costrette a dormire sul terreno roccioso. I genitori stanno cercando di costruire ripari per proteggere i propri figli dalle ustioni solari, con le temperature che questa settimana in Grecia hanno raggiunto i 38 gradi. Se la valutazione delle richieste di asilo continuera' al ritmo attuale, i profughi bloccati sulle isole greche dovranno probabilmente attendere, in queste condizioni, almeno un anno, prima che le loro richieste siano valutate. Secondo i dati del Servizio di Asilo Greco, sono state registrate piu' di 7.000 richieste di asilo da parte di profughi arrivati sulle isole dopo il 20 marzo 2016 e al momento, tre mesi dopo, solo 1.429 richieste sono state valutate a causa del mancato stanziamento dell'UE delle risorse necessarie per applicare il programma da lei stessa definito. Delle 1.429 richieste di asilo valutate, 267 sono state rifiutate dal Governo greco perche' considerate inammissibili in considerazione del fatto che la Turchia e' un Paese terzo sicuro per i richiedenti. Piu' di 250 richiedenti, in maggioranza siriani e curdi siriani, si sono appellati a questa decisione e due di queste richieste sono state respinte anche in seconda istanza.

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