Rassegnàti mai 102

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Rassegnàti mai Notiziario settimanale e rassegna stampa della Sezione Rino Nanni Partito Comunista d’Italia Bologna Territorio Reno Bazzanese (Casalecchio di Reno,

Sasso Marconi, Zola Predosa, Monte San Pietro, Valsamoggia, Marzabotto)

Numero 102, Giovedì 10 Marzo – Giovedì 17 Marzo 2016 NOTE DI ATTIVITA’ POLITICA E ISTITUZIONALE

IN RASSEGNA STAMPA Lavoro

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Sabato 12 Marzo: manifestazione NO GUERRA NO NATO a Bologna

Il gioco dei numeri

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NO Triv

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Sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori delle coop sociali di Bologna

La guerra in Libia

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A cura del nucleo di redazione

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Note settimanali di attività politica e istituzionale Alle lettrici e ai lettori, vi informiamo che Sabato 12, a partire dalle 15.00, in Piazza San Francesco a Bologna si terrà una manifestazione contro la NATO e contro la guerra. Di seguito il testo del volantino diffuso dalla Federazione di Bologna del PCd’I.

#NO GUERRA NO #NATO Le politiche imperialiste degli USA e della NATO si spingono sempre più sui fronti di guerra, ritenendo quest'ultima come risoluzione primaria sia delle proprie difficoltà economiche che delle contraddizioni geopolitiche. La NATO, che avrebbe dovuto estinguersi dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, si è trasformata invece in un nuovo soggetto bellico volto alla difesa dell’ordine imperialista mondiale. L’Italia, suddita silente della NATO, assume integralmente le spinte belliche imperialiste e si pone anch’essa, con moto automatico, sui fronti tragici del riarmo totale e della guerra, come evidenzia la spesa militare di circa 30 miliardi di euro, ovvero circa 80 milioni di euro al giorno: una spesa militare impressionante, una ricchezza immensa sottratta ai diritti e al welfare, un tributo di dolore sociale quotidiano pagato dal popolo italiano alle spinte imperialiste belliche degli USA e della NATO. Dalla Jugoslavia all’Afghanistan l’Italia è in guerra permanente da oltre vent’anni: in questa lunga fase temporale si è drammaticamente rafforzato il rapporto di subordinazione servile del nostro Paese agli USA e alla NATO; attraverso la violazione continua dell’articolo 11 della Costituzione si è accentuato il processo di costruzione di un nuovo ordine autoritario e liberista nel nostro Paese; le immense spese militari hanno contribuito notevolmente al manifestarsi di una miseria sociale di massa. Di fronte “al salto di qualità” delle basi USA e NATO in Italia, sempre più dotate di ordigni nucleari; di fronte alla genuflessione del governo Renzi ai chiari, imminenti e ulteriori progetti bellici imperialisti; di fronte al pericolo incombente di un nuovo impegno militare italiano in Libia, è tempo che tutte le forze comuniste, di sinistra, pacifiste, democratiche si uniscano

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nell’obiettivo, quanto mai urgente, di rimettere in campo, in questo Paese, un movimento di massa contro la guerra. Sei contro la guerra? Sei contro la NATO? E' ora di dimostrarlo, è ora di scendere in campo, ognuno con la propria identità ma marciando insieme per lo stesso obiettivo. FUORI L'ITALIA DALLA NATO, FUORI LA NATO DALL'ITALIA Alla fine della manifestazione vi aspettiamo presso la nostra sede per rifocillarci e continuare il confronto sulle future iniziative da mettere in campo. APERICENA DI AUTOFINANZIAMENTO - dalle 19:3 Passiamo adesso allo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori delle coop sociali di Bologna del 3 Marzo scorso. Sull’argomento pubblichiamo la nota del compagno Feliziani di Sasso Marconi.

Feliziani (Pcdi Sasso Marconi) : Solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori delle Coop Sociali di Bologna Oggi, come anche negli altri giorni dell'anno. Molto spesso ci si concentra su un tema solo quando l'informazione ne parla sui giornali e nei Tg; ci si dimentica che le tematiche, le richieste, i problemi evidenziati oggi persistono anche nel resto dell'anno. Il tema trattato nello sciopero di oggi riguarda molti lavoratori del settore sociale che tutti i giorni supportano persone all'interno della loro vita quotidiana attraverso vari servizi attivi sul territorio. Dagli asili all'affiancamento scolastico, dal tempo libero ai percorsi di autonomia; e molto altro. Bisogna dire che nella Regione Emilia-Romagna sono molto presenti queste tematiche che si concretizzano attraverso progetti sviluppati sul territorio. Lavoratrici e lavoratori che, nonostante il prezioso ruolo all'interno della società, non si vedono riconosciuti molti diritti che supporterebbero il loro servizio quotidiano. Sul momento mi viene in mente la retribuzione a ore, dinamica che porta con sé una serie di conseguenze per il lavoratore al fine di raggiugere uno stipendio dignitoso. Ricordo la non valorizzazione dei titoli di studio dei singoli operatori che porta a sostenere spese per il conseguimento del titolo di studio appropriato, sempre che non venga

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modificata la certificazione richiesta. Ancora: il rinnovo contrattuale, le tutele per il welfare degli operatori, la tutela della retribuzione in caso di riduzione di ore di servizio e molto altro che invito a indicare sotto nel caso qualcuno volesse precisare. Oltre a scrivere questo post, come tanti altri, io e il mio percorso di vita siamo stati segnati dalla collaborazione continua con questi lavoratori: dalla scuola materna al liceo, poi anche attualmente con forme e in servizi diversi. Sono persone che segnano concretamente il percorso di vita delle famiglie in cui operano: lo indirizzano verso una miglior qualità di vita per tutti i componenti dei nuclei. Il ringraziamento per questo avviene a parole, attraverso i riscontri che danno i diretti interessati; tuttavia, siccome tutti converranno con me che con i ringraziamenti non si mangia, è ora che questi lavoratori vengano riconosciuti per il loro ruolo sociale e conseguentemente gli vengano riconosciuti tutti que diritti che fin ora non hanno visto. Iniziando da uno stipendio sicuro e non così volubile. Non posso distinguere i miei ruoli: sono sia utente, sebbene il termine lo trovi assolutamente brutto, che amministratore. La concomitanza di questi due status mi hanno fatto comprendere come da queste persone il sistema sociale non possa prescindere; quindi penso sia necessario, indispensabile iniziare a investire sulle persone che operano con le altre persone. Questo porterebbe a un livello qualitativo dei servizi ancora più alto. So bene che stiamo vivendo l'epoca del risparmio pubblico che ha prodotto, a mio parere, lo stereotipo della "spesa pubblica tutta negativa e tutta da abbattere"; tuttavia, oltre a farci passare questa febbre, è necessario investire nel welfare, termine sparito dalla politica nazionale. Investire nel welfare vuol dire anche investire sugli operatori che lo fanno funzionare perchè altrimenti, senza questo criterio, il sistema non sta in piedi. Grazie per l’attenzione e cordiali saluti Il nucleo di redazione Federico Feliziani Alessandro Musolesi Nello Orivoli

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Rassegna stampa

Lavoro Il caso della Reggia di Caserta: «Una montatura contro i sindacati» Fonte: Il Manifesto 6 Marzo 2016 Di: Roberto Ciccarelli

Beni culturali. Nella lettera dello «scandalo» non c’è scritto che il direttore del museo Felicori «lavora troppo». La Uil ha sospeso un suo funzionario che risponde: «Nessuna accusa a Felicori di lavorare troppo, anzi c'è la preoccupazione di tutelarlo predisponendo il servizio di vigilanza anche negli orari in cui si intrattiene». Il documento dei sindacati Ugl, Usb, Uil e delle Rsu della Reggia di Caserta porta la data del 22 febbraio e solleva problemi già affrontati in un'interrogazione parlamentare. E' diventato un caso quando Renzi l'ha scelta per una crociata contro i sindacati. Ecco il testo

Sindacalisti sconfessati dalle loro organizzazioni, fuoco e fiamme contro i sindacati sui quali ha soffiato il presidente del consiglio Renzi nella sua enews agli iscritti al Pd. «La pacchia è finita» avrebbe detto un visitatore ieri a un custode della Reggia di Caserta, replicando la stessa espressione usata da Renzi. Uil-pa, Usb, Ugl-Intesa e le Rsu avrebbero protestato contro il

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direttore Mauro Felicori che lavora troppo, oltre l’orario di chiusura della reggia. Il segretario Cgil Susanna Camusso ha detto che «i sindacati che hanno sottoscritto la lettera hanno sbagliato». «Mi fa piacere che mi difenda» ha risposto Felicori che ha ribadito di essere «esterrefatto». «Quello che è accaduto è grave e incredibile – ha rincarato la dose il segretario Cisl Anna Maria Furlan – Ma noi siamo un sindacato responsabile». «Sono indignato – ha detto il numero uno della Uil Carmelo Barbagallo che parla dei suoi funzionari che avrebbero «abusato del loro ruolo cercando di intimidire chi fa il proprio lavoro. Ci schieriamo contro truffatori e assenteisti in un momento in cui i giovani hanno fame di lavoro». «Non eravamo a conoscenza di tale iniziativa – ha assicurato Nicola Turco segretario Uilpa che critica l’«atteggiamento irresponsabile dei sindacalisti coinvolti». La Fp-Cgil ha pubblicato su facebook il testo della lettera incriminata datata 22 febbraio. Nella versione postata manca la firma della Cgil, apparsa inizialmente in un’altra versione della lettera diffusa su twitter. «Una lettera sbagliata a partire dalla forma per arrivare al metodo scelto» spiega Fp-Cgil. Ma il danno è fatto. È stata l’occasione per Renzi di continuare la crociata contro i «corpi intermedi» e l’elogio della propria efficienza com’è avvenuto nei casi delle assemblee a Pompei e al Colosseo. «Se c’è qualcuno che rema contro – ha detto il premier parlando di «certi sindacati» – remeremo più forte». «Il fatto che sotto quella lettera non ci sia la nostra firma non risolve le cose – ammette Fp-Cgil – Tutti finiscono nel calderone dei «sindacati». Il sindacato ha rinnovato la fiducia al direttore Felicori e intende essere «protagonista del rilancio» delle Reggia che ha aumentato visitatori e incassi. Ma cosa c’è scritto nella lettera che ha scatenato l’indignazione universale undici giorni dopo l’invio? «Il direttore permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura museale» si legge nel passo incriminato. Discutibile quanto si vuole, ma in questo passaggio manca la frase dello scandalo: «lavora troppo». Si afferma invece la necessità di predisporre un servizio oltre l’orario di apertura 07-18,30 permettendo al direttore di svolgere il suo lavoro. Il documento analizza la gestione della Reggia a cinque mesi dall’insediamento del nuovo direttore. Secondo i firmatari Felicori «disattende la legislazione che affida la custodia

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delle sale aperte alla vigilanza e quella delle sale non aperte al pubblico alla sottoguardia di turno». Adriana Galgano (Scelta Civica) ha presentato a febbraio un’interrogazione al ministro dei beni culturali Franceschini. Il direttore avrebbe intenzione di spostare gli assistenti «alla fruizione, accoglienza e vigilanza» (Afav) negli uffici. L’iniziativa sguarnirebbe le fila degli addetti alle sale. Gli spazi della Reggia sarebbero stati concessi a titolo gratuito per eventi di «terzi». «Il personale impiegato dovrebbe svolgere il servizio al di fuori dell’orario di lavoro». I firmatari lamentano inoltre il mancato rispetto del decreto della direzione generale dei musei. Sono ordinarie schermaglie nelle relazioni sindacali. Angelo Donia, sospeso dalla Uilpa e firmatario del comunicato, sostiene che continuerà le sue «battaglie»: «non ho poltrone da difendere»: «Nessuna accusa a Felicori di lavorare troppo, anzi c’è la preoccupazione di tutelarlo predisponendo il servizio di vigilanza anche negli orari in cui si intrattiene». «Si è scatenata una battaglia mediatica contro i sindacalisti della Uil – ha aggiunto – sembra un’azione premeditata, organizzata a tavolino. Abbiamo preso tutti un abbaglio, compreso Renzi. E la Uil, invece di sospendere i suoi affiliati pensi a tutelarli come dovrebbe. Eviti una brutta figura». Carmelo Egizio, Rsu dell’Ugl e firmatario del documento parla di «strumentalizzazione»: «Il nostro unico errore è stato difendere i lavoratori in un sito di grande importanza come la Reggia».

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Il gioco dei numeri L’arte di dare i numeri Fonte: pcdi.it 6 Marzo 2016 Di: Giorgio Langella

Il 12 febbraio di quest’anno l’ISTAT aveva diffuso la stima preliminare della crescita del PIL per il 2015. Era di uno 0,6%, inferiore allo 0,8% stimato da Renzi. Pochi giorni fa la stessa ISTAT rivedeva la stima del PIL 2015 dopo gli “aggiustamenti” relativi al 2014 e diffondeva il nuovo dato: la crescita per il 2015 era dello 0,8%, uguale a quella preannunciata da Renzi qualche settimana prima. A questo punto, il presidente del consiglio si lasciava andare a dichiarazioni entusiastiche del tipo «I numeri dimostrano che l’Italia è tornata. Non la lasceremo in mano ai catastrofisti che godono quando le cose vanno male» o «Con questo Governo le tasse vanno giù, gli occupati vanno su, le chiacchiere dei gufi invece stanno a zero». Ieri, infine, i nuovi dati forniti dall’ISTAT riconfermavano quelli del 12 febbraio e cioè che la crescita del PIL del 2015, “corretto gli effetti del calendario” si assesta sul +0,6%. In poche settimane i dati sono modificati in maniera sostanziale. Si dirà che sono assestamenti dovuti a ricalcoli statistici e che, in definitiva, qualche decimo di punto non cambia le cose. Tutto vero, ma è comunque imbarazzante assistere a un balletto di cifre che viene sfruttato da un presidente del consiglio per dimostrare i suoi “clamorosi” successi e lasciarsi andare a quello che sa fare meglio e cioè alla propaganda e agli slogan. Comunque tutti i dati dell’ISTAT mettevano il nostro paese in fondo alla classifica dell’andamento del PIL dei principali paesi europei. La realtà è ben diversa dagli annunci renziani. Fotografa un paese in forte difficoltà che viene governato senza prospettive di cambiamento. Un paese senza una politica

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seria, che segue la corrente senza neppure riuscire a rimanere al passo di altri paesi. Fornire i dati a vanvera è proprio di governi incompetenti (o perlomeno inadeguati) che non sanno come affrontare la realtà. Utilizzare slogan e frasi ad effetto per “fare politica” è proprio dei venditori di fumo. Entusiasmarsi per una crescita di fatto inesistente (si tenga conto che, da qualche anno, la stima del PIL include alcune attività illegali come la commercializzazione della droga, la prostituzione e il contrabbando di sigarette e che questo comporta, secondo stime ISTAT del 2014, una rivalutazione del PIL pari a circa 1 punto percentuale) e farla passare per un successo è proprio dei regimi.

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NO Triv In Emilia Romagna nasce il Comitato contro le trivelle Fonte: Repubblica Bologna 4 Marzo 2016

Dall'Arci al Wwf, da Greenpeace a Libera: ecco lo schieramento per votare sì al referendum e abrogare la norma contro le attività di estrazione

Dall'Arci al Wwf, passando per Greenpeace, Legambiente e tutta una serie di comitati e associazioni locali. E' nato a Bologna il comitato regionale per il "si'" al referendum sulle trivelle del prossimo 17 aprile, con l'obiettivo di "portare i cittadini a partecipare e votare sì per abrogare la norma". In EmiliaRomagna sono a oggi 47 le concessioni attive per piattaforme e pozzi sottomarini per l'estrazione di gas ubicati entro le 12 miglia dalla costa, per un totale di 150 pozzi attivi che producono il 50% del gas estratto in mare sull'intero territorio nazionale. Le cui riserve totali, però, "non basterebbero a coprire il fabbisogno nazionale di gas nemmeno per un anno". L'attività di estrazione entro le 12 miglia, prosegue il comitato, non solo non è considerata utile per l'indipendenza energetica del Paese, ma mette anche a "serio rischio" l'intero sistema costiero essendo la principale causa antropica

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della subsidenza. Dunque per 7,5 milioni di euro di Royalties, lo 0,5% del bilancio annuale regionale, "si sta affossando il sistema economico basato sul turismo costiero, per non parlare del pericolo di danni ad ecosistemi fragili e unici come il Delta del Po". Ecco perchè il comitato si impegna a una diffusione capillare delle informazioni e a fare crescere la mobilitazione, spiegando che il vero quesito è: "Vuoi che l'Italia investa sull'efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l'innovazione? Noi vogliamo che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l'inquinamento e i cambiamenti climatici".

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La guerra in Libia Renzi ora diventa prudente: «Serve equilibrio Fonte: Il Manifesto 6 Marzo 2016 Di: Andrea Colombo

Libia. L’impegno bellico italiano non è escluso, però «solo sulla base della richiesta di un governo legittimato «Prudenza, equilibrio, buon senso»: sono queste le stelle polari del governo italiano quando si tratta di guerre libiche, «ben diverse da chi immagina di intervenire in modo superficiale e poco assennato». Parola di Matteo Renzi, che alla fine, visto che non erano bastate le assicurazioni di Nicola Latorre, e le «note informali» di palazzo Chigi, si è messo alla tastiera per intervenire di persona. «La guerra – prosegue a partire proprio dalla tragedia dei due ostaggi uccisi – è una parola troppo seria per essere evocata con la facilità con cui viene evocata in queste ore». L’impegno bellico italiano non è escluso, però «solo sulla base della richiesta di un governo legittimato». E comunque dopo «tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari». Specifica in realtà superflua dal momento che, come fa notare il capo dei deputati di Sinistra italiana Scotto, «non è una sua gentile concessione, ma è la Costituzione che lo prevede». Scotto insiste perché il governo non aspetti che prenda forma l’auspicato governo «legittimato» libico: «Vorremmo che il Parlamento venisse informato passo dopo passo». Non è una richiesta avanzata solo dalla sinistra. Anche Forza Italia, con Debora Bergamini,

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chiede la stessa identica cosa: «Il governo dovrebbe spiegare in Parlamento cosa intende fare, in quale quadro e per quali ragioni». Capita che sia precisamente ciò che Renzi intende evitare. La furia con la quale, in questi giorni, reagisce ai tamburi di guerra che rullano sulle colonne dei principali quotidiani è certamente dovuta in parte alle preoccupazioni elettorali, che nella mente del premier non sono mai secondarie. Ma non bastano a spiegare la reazione irritatissima trapelata nelle ultime 48 ore, dovuta davvero alla delicatezza della situazione diplomatica, però non solo e forse non tanto in Libia quanto in Europa. L’ira del premier italiano va addebitata in parte al clamore mediatico degli ultimi giorni, in parte alle pressioni dei futuri alleati perché l’Italia rompa gli indugi, e in parte anche maggiore all’intreccio tra i due livelli, dal momento che i fari accesi dei media rischiano di indebolirlo nella trattativa con gli altri Paesi che dovrebbero far parte della coalizione, Il punto è che intorno alla terra libica si giocano e si intrecciano diverse partite e che l’annientemento dell’Isis è solo una delle poste in gioco. Renzi non ha dimenticato l’esito disastroso dell’avventura imposta da Giorgio Napolitano nel 2011. Ieri l’ha ricordata Berlusconi, che all’epoca era contrarissimo a quella guerra e che ora rivendica le proprie effettivamente ottime ragioni, glissando però sul quello che per l’Italia è stato il bilancio più negativo, la perdita dei vantaggi che il regime di Gheddafi assicurava alla penisola sul fronte del petrolio e del gas, come su quello dell’immigrazione. Che oggi una guerra in Libia possa prescindere da un preventivo e non facilmente realizzabile accordo spartitorio tra le potenze europee è di fatto impossibile. Del resto è noto che una delle difficoltà principali sulla strada della formazione del governo unitario libico è proprio la diversa opinione delle potenze europee, Francia in testa, sulla composizione di quel governo. Matteo Renzi, insomma, vuole giocare la partita che porterà forse alla guerra senza luci della ribalta. Non sul piano diplomatico e neppure su quello militare. Se le navi salperanno, il Parlamento dovrà dire la sua. Ma quando a partire saranno squadre di incursori, meno se ne saprà più il governo sarà soddisfatto. Grazie all’emendamento al decreto sulle missioni approvato il 16 novembre scorso il capo del governo ha la facoltà di inviare nuclei operativi armati senza chiedere il permesso a nessuno e senza dettagliare cosa quei nuclei vadano a fare. Intende avvalersene fino in fondo.

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Del resto anche in Parlamento saranno in pochi a chiedergliene conto. Non è ancora stato stabilito se alle comunicazioni del ministro degli Esteri di mercoledì prossimo farà seguito o no un voto. Il governo vorrebbe evitare ma anche se non ci riuscirà, difficilmente si tratterà di un voto particolarmente rilevante, sia perché la reticenza di Gentiloni non sarà meno pronunciata di quella di Renzi, sia perché l’opposizione, almeno quella di destra, balbetta. La Lega accosta al no di Maroni alla spedizione le dichiarazioni truculente di Salvini, che vuole «intervenire per cancellare l’Isis dalla faccia della terra». I fittiani, con Capezzone, chiedono chiarezza ma plaudono al decreto che fa del capo del governo una specie di comandante assoluto. Fi oscilla. Alla fine il dibattito si concentrerà giocoforza sui molti misteri della liberazione dei due ostaggi in Libia e dell’uccisione degli altri due. Ma anche su quel fronte si può star certi che dal governo una parola di verità non potrà arrivare.

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A un passo dalla guerra Fonte: pcdi.it 5 Marzo 2016 Di: Fosco Giannini, segreteria nazionale PCdI

L’assassinio, nei pressi di Sabrata, di Fausto Piano e Salvatore Failla, i due tecnici italiani rapiti, assieme a Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, lo scorso 20 luglio a Mellitah, accelera tragicamente il piano di guerra del governo italiano in Libia, divenendone, anzi, il più facile dei detonatori. Un detonatore ferocemente ed ipocritamente utile ad un governo, quello di Renzi, già col coltello tra i denti e pronto all’ennesimo intervento imperialista e neocolonialista italiano in Africa. La più grande operazione militare italiana dal 1943, per il nuovo sbarco Libia, è, infatti, da tempo, in via di preparazione. Da mesi gli stati maggiori dell’esercito italiano, al di là dei falsi minuetti di Matteo Renzi – che finge di coltivare dubbi in relazione all’intervento militare, cosi come finge una critica alle politiche liberiste dell’Unione europea – stanno organizzando tutti i piani e i “dettagli” della guerra: circa 7 mila soldati sono stati già addestrati e preallarmati; la Divisione “Acqui”- erede dei “martiri di Cefalonia” – si sta preparando a guidare l’intervento bellico; nell’aeroporto di Centocelle, si va assemblando il comando operativo della missione; nei bunker sotterranei della base romana – il “Pentagono” italiano – fervono i

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lavori per la delineazione dei piani strategici da portare sul terreno libico; la portaelicotteri “ San Giorgio” è da tempo preallarmata al fine di far sbarcare in Libia un battaglione di “marines” italiani (con i blindati anfibi) della “San Marco”; i cacciabombardieri “Amx” sono già pronti a levarsi dall’aeroporto di Trapani, come pronto è il grande hangar sotterraneo della base di Pantelleria a fungere da scalo per un ponte aereo di guerra per elicotteri e cargo; nella base di Sigonella scaldano da tempo i motori i “Predator” italiani e nord americani, come pronto da tempo alla guerra è lo squadrone di elicotteri “Mangusta”. Tutto ciò mentre già i militari USA, francesi e inglesi sono entrati nel territorio libico e la grande portaerei “Charles De Gaulle” ha passato il canale di Suez e si approssima alle coste libiche. La guerra, la nuova guerra imperialista in Libia, è vicina. Questione di giorni. Una guerra che troverà impreparato ciò che rimane del movimento per la pace, più incline, in questa fase, a coltivare le proprie differenze interne che a trovare la propria, necessaria, unità. Una guerra che esploderà a giorni e che deve vedere, invece, i comunisti in primissima fila ad intrecciare i legami unitari, i più vasti possibile, del movimento per la pace. Ma per muoversi, per costruire il movimento sul campo, occorre anche avere le idee chiare, ricordare e capire. Ricordare e capire, intanto, come si preparò la guerra contro la Libia del 2011 e ciò che essa produsse. L’intervento militare contro la Libia, contro il legittimo governo libico, contro lo stato e il popolo libico, iniziò il 19 marzo del 2011. L’attacco alla Libia, da parte delle forze imperialiste, fu successivo all’attacco all’Iraq, al legittimo governo e stato di Saddam Hussein e concomitante all’attacco all’altrettanto legittimo governo Assad. Infatti, la cosiddetta “crisi siriana”, iniziata il 15 marzo del 2011 con le prime dimostrazioni pubbliche contro il presidente Bassar al- Assad, altro, e ben presto,non si sarebbe rivelata che una crisi direttamente indotta dalla Casa Bianca, “un’altra forma” dell’intervento bellico diretto degli USA e della NATO, stavolta contro la Siria, altro Paese “ribelle” e non filo israeliano: le dimostrazioni anti Assad, attraverso il massiccio appoggio economico, politico, militare e mediatico degli USA, della NATO e del campo imperialista ( con Cina e Russia contrarie e volte alla difesa del governo Assad) si estesero, in breve, in tutto il Paese; attraverso la guerra civile anti Assad si costituì, sul campo, un grande esercito armato sostenuto dagli USA e dalle potenze filo americane del Golfo Persico, un esercito armato di tutto punto e avente l’obiettivo di scalzare Assad e il Partito Ba’th, instaurando il potere fondamentalista della Shari’a in Siria. Dopo cinque anni dall’inizio della “crisi siriana” organizzata dagli USA e dalla NATO il quadro è

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pauroso: morte e distruzione in tutta la Siria, consolidamento, indotto innanzitutto dagli USA, dell’ISIS; rafforzamento dell’esercito “ ribelle” organizzato e sostenuto dagli USA, che solo in questa fase, grazie all’intervento della Russia, retrocede lasciando spazio al possibile ripristino dell’unico governo legittimo: quello di Assad. L’intervento bellico imperialista contro Tripoli del 19 marzo 2011 concludeva, in verità, un disegno generale imperialista volto alla distruzione delle “opposizioni” e delle “resistenze” all’egemonia degli USA, della NATO, degli imperialismi di Francia, Italia, Inghilterra, Germania e Israele in Medio Oriente. Un disegno generale dal carattere antipalestinese e anti iraniano e volto al rafforzamento, in quell’area del mondo, del gendarme “atomico” e filo americano israeliano. L’attacco alla Libia era parte di questo disegno generale e aveva anche sue caratteristiche peculiari: era un tentativo chiaro di riappropriarsi delle risorse petrolifere libiche, che il potere “verde” di Tripoli non regalava più all’Occidente capitalistico, ed era il tentativo di normalizzare una volta per tutte la Libia ribelle di Gheddafi, che aveva persino osato lavorare, con il Sud Africa dell’ANC e del Partito Comunista sudafricano, ad un asse continentale africano di natura antimperialista. L’attacco militare alla Libia – sospinto da tempo e innanzitutto dagli USA e dalla NATO – fu inaugurato, previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dalla Francia, con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, seguito, dopo poche ore, dal lancio dei missili da crociera “Tomahawk” da navi statunitensi e britanniche. L’attacco alla Libia, partito e avallato da una risoluzione ONU, solo 6 giorni dopo ( il 25 marzo 2011) passò sotto il comando diretto degli USA e della NATO, in un’operazione chiamata “ Unifield Protector ”, alla quale si aggregarono Belgio,Canada, Danimarca,Italia, Francia,Norvegia, Qatar, Spagna e Gran Bretagna: un intero mondo capitalista contro la Libia “ribelle”! L’Italia, governata da Berlusconi, iniziò i bombardamenti contro la Libia, il 28 aprile: i cacciabombardieri italiani, per unirsi alla guerra contro l’ex colonia italiana, decollarono dalla base di Trapani Birgi e dalla portaerei “ Garibaldi ”, partecipando così ad un attacco che si sarebbe rivelato un massacro di popolo di immensa portata e la distruzione di un intero Paese. Poche settimane prima dell’entrata in guerra dell’Italia, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva dichiarato solennemente ( come sino a qualche giorno

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fa ha fatto Matteo Renzi) che l’Italia non doveva partecipare attivamente alla guerra, soprattutto in virtù del fatto che la Libia era una ex colonia italiana. Cosa convinse il governo Berlusconi ad entrare in guerra contro la Libia? Lo convinse il ruolo da protagonista che stava svolgendo, sul piano militare e politico, la Francia di Sarkozy, e dunque la paura, da parte del capitalismo italiano, che premeva su Berlusconi spingendolo alla guerra, di perdere quel ruolo centrale, rispetto al petrolio e ai gas libici, che l’Italia colonizzatrice aveva conquistato a Tripoli.Dobbiamo ricordare, in relazione all’intervento italiano contro la Libia, che il principale partito di opposizione al governo di Berlusconi, il PD di Pier Luigi Bersani, sostenne apertamente la guerra e che l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ne fu una colonna istituzionale e politica. La guerra contro la Libia ha prodotto centinaia di migliaia di morti nel popolo libico; distrutto città, infrastrutture, pozzi di petrolio, un intero Paese. E, soprattutto, ha distrutto tragicamente il più importante risultato della rivoluzione gheddafiana: l’unità libica, il superamento della divisione tribale, la costruzione di un solo Paese e di un solo popolo. Producendo invece, la guerra imperialista, il ritorno alla massima divisione tribale, al caos civile totale, alla fine della Libia post coloniale. Producendo, inoltre, le condizioni, anche in Libia, per lo sviluppo e il rafforzamento del Califfato dell’Isis. La cronologia degli eventi, il rispetto della realtà dei fatti, e solo questo, ci portano ad individuare i responsabili veri, originari e prioritari dei massacri e della distruzione dell’Iraq, della Libia, della Siria: e i cruenti e feroci responsabili sono, innanzitutto, l’imperialismo USA e la NATO, con le altre forze imperialiste ai fianchi. Ed è solo a partire dai fatti concreti che possiamo rispondere a chi non vuol vedere la realtà, mischiando tra i responsabili anche Saddam Hussein, Gheddafi, Assad e i loro governi. Chi mischia così le carte, unendo in un solo mazzo aggressori e aggrediti, assassini e assassinati, fa il gioco dell’imperialismo e dei guerrafondai, che debbono fingere di parlare di guerra per la “democrazia”, di guerra contro i “regimi tirannici” per nascondere il vero senso della loro guerra: il controllo geopolitico della regione e il controllo del petrolio e delle risorse energetiche primarie. L’Italia è, di nuovo, pronta alla guerra in Libia. Di fronte alla residua ipocrisia di Renzi, che non vuol mettere ancora l’elmetto in televisione, appare disvelante la posizione assunta, quasi a nome di tutto l’arco politico filo Usa e

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filo NATO, che include il PD, del capo gruppo al Senato di Forza Italia, Paolo Romani: “La morte di Piano e Failla riconferma l’assoluta gravità della situazione e la necessità ed urgenza di un intervento in quell’area del mondo per ristabilire le minime condizioni di convivenza civile, senza dimenticare, ovviamente, la difesa degli interessi economici italiani”. Ovviamente: nel senso che è proprio da ciò, dagli interessi della borghesia italiana, che anche Renzi ha già scelto la guerra, al di là dei suoi balletti, ormai comici. Renzi, per cercare il via alla guerra, attende ancora, ipocritamente, la richiesta di intervento da parte di un sempre più fantomatico “governo unitario libico”, rimuovendo il fatto che proprio le bombe anti Gheddafi, tribalizzando di nuovo la Libia, hanno reso quel governo unitario, allo stato delle cose e chissà per quanto tempo ancora, impossibile. Dunque, ciò che è chiaro è che se, in tempi brevissimi, l’Occidente non si inventa un governo libico unitario, finto e fantoccio, che chieda l’intervento imperialista e metta a posto la cattiva coscienza di Renzi, l’attacco partirà lo stesso. D’altra parte, giorni fa è stato lo stesso “Wall Strett Journal” a rivelare che a Roma esiste già un “ Centro di Coordinamento Alleato” composto da comandanti militari americani, francesi, inglesi e italiani”, che prepara la guerra. E il rapporto di subordinazione totale del governo Renzi agli USA e alla NATO non depone certo a favore di una scelta autonoma italiana per l’attacco in Libia. Un rapporto di subordinazione totale, quello del governo Renzi, che la dice lunga sull’effettiva natura di “guida della coalizione militare” che gli USA, la Francia e l’Inghilterra hanno affermato di voler affidare all’Italia. Sarà una nuova guerra colonialista e imperialista, dunque, quella che l’Italia si accinge ad iniziare in Libia. Sarà una guerra in difesa degli interessi capitalistici italiani. Non sarà una guerra contro l’Isis, poiché contro l’Isis occorrerebbe che scendesse in guerra un esercito libico unito, prodotto da un governo libico unico, assieme al popolo libico. Un popolo che però è stato polverizzato dalla guerra imperialista, che non può combattere, dunque, se non riacquista la propria unità, la propria sovranità, la propria autonomia, la propria dignità, quella che la rivoluzione gheddafiana gli aveva consegnato e che l’occidente gli ha violentemente sottratto. Il massimo storico italiano della Libia, Angelo Del Boca, ha già chiaramente affermato che “ Contro l’Isis occorrerebbe un esercito di 300 mila soldati, non i 3 mila italiani, e che la nuova guerra non farà altro che infoltire i ranghi dell’Isis”.

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Ed è la stessa Russia ad evocare la possibilità di un incubo: l’Isis può mettere le mani sulle 700 tonnellate di agenti chimici che si trovano in Libia e scatenare l’inferno, contro l’intervento armato del fronte occidentale. Di fronte a tutto ciò la ricostruzione di un movimento di massa contro la guerra diviene l’obiettivo prioritario delle forze comuniste e di classe, che hanno il compito, non certo facile, di estendere l’impegno per la pace ad un arco di forze sociali, politiche, sindacali e culturali il più ampio possibile. Compito difficile, anche in presenza di una sinistra, sul tema della guerra, ancora balbettante; difficile ma ineludibile, poiché tocca a chi ha più coscienza, a chi più capisce cos’è questa nuova guerra, tocca ai comunisti essere in prima fila, pronti per la piazza, pronti a cucire e ricucire, incessantemente, i mille e necessari legami per costruire un movimento contro la guerra all’altezza del pericolo e della determinazione guerrafondaia imperialista. Essere alla testa, essere comunque protagonisti attivi di un movimento vasto e unitario contro la guerra alle porte: il prossimo 12 marzo sono già state indette manifestazioni di fronte ad ogni base militare USA e NATO in Italia. Andiamoci. Lottiamo. Impegniamoci a costruire un movimento ancora più largo, di popolo: non può esserci un’azione più centrale e determinante di questa per chi lavora al progetto della ricostruzione di un Partito Comunista in Italia.

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Guerra alla guerra! Fonte: pcdi.it 4 Marzo 2016 Di: Milena Fiore, Comitato centrale PCdI dal sito donneinrosso.wordpress.com

Il 12 marzo, nell’ambito della mobilitazione contro la guerra che coinvolgerà varie città d’Italia, saremo in piazza assieme al nostro partito e alle altre forze che si stanno attivando nella lotta per la pace, esprimendo le nostre posizioni e portando il nostro contributo di idee e di impegno. Già da mesi questi temi sono al centro dell’attenzione del Partito e di tutto l’arco delle forze più avanzate del nostro paese; importante in questo quadro è la campagna per “l’uscita dell’Italia dalla Nato e per un’Italia neutrale” alla quale hanno già aderito molte compagne e molti compagni del PCdI.

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Da sempre il movimento femminista internazionale è in prima fila nella lotta contro la guerra, oggi più che mai prioritaria nel mondo intero. A un secolo dallo scoppio della prima guerra mondiale, ricordiamo con orgoglio l’impegno fortissimo di donne comuniste come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Aleksandra Kollontaj nel promuovere quel movimento internazionale e internazionalista contro la guerra che tanta importanza ebbe nella nascita dei partiti comunisti e della Terza internazionale, intrecciandosi alla lotta per l’emancipazione femminile, del proletariato e dei popoli oppressi. Nel quadro drammatico di oggi, le donne – come dimostrano gli appelli che costantemente ci giungono dalle organizzazioni femminili siriane, sahrawi, libanesi, palestinesi, russe, latinoamericane – sono di nuovo in prima fila nella difesa della pace, contro la Nato e l’imperialismo. Sarebbe importante che la stessa data dell’8 marzo, ormai vicinissima, fosse l’occasione per riportare al centro dell’attenzione questo problema centrale nella nostra epoca. In vista del 12 marzo, facciamo nostro e rilanciamo il documento col quale il nostro Partito aderisce alle manifestazioni, con la sua posizione autonoma e unitaria. Nel ricordare la lotta secolare delle donne, e delle comuniste in primo luogo, contro la guerra, l’imperialismo e il fascismo, pubblichiamo l’audio del discorso col Clara Zetkin nel 1932, intervenendo al Reichstag, si oppose ai nazisti ormai vicini al potere.

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