Rassegnàti mai 24

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Rassegnàti mai raccolta settimanale di informazioni di stampa della Sezione Rino Nanni Partito dei Comunisti Italiani Bologna Territorio Reno Bazzanese (Casalecchio di Reno,

Sasso Marconi, Zola Predosa, Monte San Pietro, Valsamoggia)

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Numero 24, Venerdì 25 Aprile – Mercoledì 30 Aprile 2014

INDICE ARGOMENTI: Lavoro

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Il Governo Renzi

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Europa

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Internazionale

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La Liberazione di Bologna

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A cura del gruppo di lavoro Comunicazione Politica e Istituzionale

Massimo Masetti 338 6952071

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Lavoro È boom di cassa integrazione Fonte: Il Manifesto 19/4/14

avoro. Più di mezzo milione i lavoratori coinvolti. A marzo 100 milioni di ore

È boom della cassa integrazione. A marzo le ore complessive registrate sono state più di 100 milioni, molte di più rispetto alla media di 80 ore registrata da gennaio 2009 ad oggi. E la cig aumenta in tutti i suoi segmenti (ordinaria, straordinaria e deroga). Dietro questa mole di ore sono coinvolti da inizio anno circa 520mila lavoratori che hanno subito un taglio del reddito per 1 miliardo di euro, pari a 1.900 euro netti in meno per ogni singolo lavoratore in busta paga. A rilevarlo è la Cgil nel rapporto di marzo, dalle elaborazioni delle rilevazioni Inps. «Lo stato in cui versa il nostro sistema produttivo, insieme alla condizione dei lavoratori, continuano ad essere una seria e drammatica emergenza da affrontare», sostiene il segretario confederale della Cgil, Elena Lattuada. «Al netto degli interventi fiscali il paese ha bisogno di una prospettiva che non può non prescindere dalla difesa e dalla valorizzazione del lavoro» aggiunge. Per questo, secondo la Cgil «vanno contrastate operazioni di ulteriore frammentazione del mercato del lavoro, così come

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vanno immediatamente sbloccate le risorse per gli strumenti di sostegno in deroga». Dall’analisi di corso d’Italia si rileva come il totale di ore di cassa integrazione a marzo sia stato pari a 100.136.978 di ore richieste e autorizzate. Un dato in aumento sul mese precedente del +20,28% mentre è in calo l’insieme del primo trimestre, pari a 264.755.636 di ore, del –1,16% sui primi tre mesi dello scorso anno. Nel dettaglio emerge che la cassa integrazione ordinaria (cigo) aumenta a marzo su febbraio del +16,32%, per un totale pari a 27.379.903 di ore. Da inizio anno la cigo invece ha raggiunto quota 76.696.078 di ore per un – 23,43% sul periodo gennaio-marzo del 2013. La richiesta di ore per la cassa integrazione straordinaria (cigs), sempre per quanto riguarda lo scorso mese, è stata di 45.491.245 per un +17,07% su febbraio mentre il primo trimestre dell’anno totalizza 128.212.748 ore autorizzate per un +10,21% sullo stesso periodo dello scorso anno. Infine la cassa integrazione in deroga (cigd) ha registrato a marzo un deciso aumento sul mese precedente pari a +30,71% per 27.265.830 ore richieste. Nei primi tre mesi dell’anno, rispetto allo stesso periodo dello scorso, la crescita della cigd è stata del +14,56% per un totale di 61.846.810. Cresce il numero di aziende che fanno ricorso ai decreti di cigs. Da gennaio sono state 1.901 per un +20,70% sullo stesso periodo del 2013 e riguardano 3.667 unità aziendali (+36,37% sull’anno passato). Nello specifico si registra un aumento dei ricorsi per crisi aziendale (953 decreti per un +3,36%) che rappresentano il 50,13% del totale dei decreti. Diminuiscono invece le domande di ristrutturazione aziendale (52 in totale da inizio anno per un –5,45% sullo stesso periodo del 2013).

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“Licenziati 80 operai”, Primo maggio di lotta alla Manutencoo Fonte: Repubblica Bologna 23/4/14 Di: Marco Bettazzi

L’azienda perde un appalto e annuncia gli esuberi. I sindacati protestano. Il Comune: salvate quei posti

Senza lavoro dal Primo maggio, festa del lavoro. È il destino di ottanta persone oggi impiegate da Manutencoop nella gestione del verde pubblico dopo che il colosso dei servizi ha perso un appalto quinquennale da 33 milioni di euro col Comune di Bologna. «Ci hanno annunciato l’avvio dei licenziamenti con la scadenza del servizio il 30 aprile», denunciano i sindacati, che ieri hanno indetto sciopero e portato i lavoratori a protestare sotto al Comune, in piazza Liber Paradisus, per chiedere l’intervento della giunta Merola. E oggi si replica davanti alla Manutencoop a Zola Predosa: nuovo sciopero e nuovo presidio. «Siamo i primi a farci carico dei problemi occupazionali», minimizza l’azienda, che dice di non aver ancora avviato i licenziamenti. «Siamo in contatto con Manutencoop per cercare di rinviare la decisione assunta di procedere con i licenziamenti», replicano in Comune. Nel mezzo delle dichiarazioni incrociate ci sono le persone che da anni lavorano alla

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manutenzione dei parchi e dei giardini pubblici di Bologna, 40 lavoratori assunti da Manutencoop e altrettanti inquadrati come lavoratori avventizi, i cosiddetti stagionali. «La verità è che noi siamo carne da macello», protestava una di loro ieri, tra striscioni e bandiere. «Ci usano come soprammobili, io dal Primo maggio dovrò razionare i cereali ai miei figli», aggiunge un altro dipendente. L’antefatto dell’ennesimo groviglio legato al sistema degli appalti è l’assegnazione della gara per la manutenzione del verde comunale, fino a oggi affidata a una catena di aziende, guidate da Manutencoop, che stavolta hanno partecipato a ranghi separati. Da una parte Manutencoop con la Cooperativa edile appennino (Cea) e Ares, dall’altra L’Operosa, Agri 2000, Avola e Sic. A spuntarla è stata quest’ultima cordata, per 92 punti a 80, che dunque dal Primo maggio è la nuova aggiudicataria dell’appalto. Dove finiscono le 80 persone che ci lavorano? Per il momento Manutencoop ha inviato l’elenco dei 40 «fissi» alle aziende vincitrici, così come avviene per esempio nei servizi e nelle pulizie per il passaggio del personale. «Ma venerdì ci hanno detto che avvieranno il licenziamento collettivo per i fissi e non chiameranno più gli stagionali, perché quello era l’appalto principale nel verde e non sanno dove impiegare quei lavoratori — spiega Donatella Zilioli, della Flai Cgil — Mentre le nuove aziende dicono che non possono assumerli tutti perché nel frattempo il Comune ha inserito la clausola per le persone svantaggiate, che privilegia chi impiega lavoratori disoccupati. Un paradosso». «Anche noi saremo svantaggiati se perdiamo il lavoro, io ho una figlia di un anno da mantenere», protesta Dante Cristiani, 43 anni, operaio specializzato. «Siamo in Manutencoop dal 2008, sempre come stagionali e con un solo aumento di livello in sei anni», protestano Elisa e Giacomo, mentre un altro sostiene di aver lavorato 200 giorni in un anno, ben oltre il limite di 180 giorni dopo cui scatterebbe l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato. «Ci sono casi in cui è stata fatta firmare una rinuncia», denuncia Zilioli. Ma le lamentele sono le stesse anche tra i fissi. «Io prendo 1.150 euro netti dopo 19 anni di lavoro in Manutencoop, e sono anche socia. Ma questo adesso non fa differenza per loro», lamenta Patrizia Romagnoli. La Cgil chiede dunque a Manutencoop di non far partire i licenziamenti e al Comune un incontro urgente, prima del 30 aprile, per mediare tra le aziende e salvare i posti di lavoro. Ma la versione dei sindacati viene contestata da Manutencoop, un colosso da oltre un miliardo di euro di fatturato. «Non abbiamo avviato licenziamenti, le persone per il momento resteranno a nostro carico, ma abbiamo

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inviato’elenco dei nomi per suggerire alle vincitrici i nostri lavoratori — spiega l’azienda — e questo anche se il contratto dell’agricoltura non lo prevede». L’azienda si dice disponibile a qualsiasi incontro, ma ammette che l’appalto perso era il principale nel verde pubblico e questo complica la ricerca di altri impieghi quelle persone. «Il bando — spiega invece Palazzo d’Accursio — ha recepito il regolamento per l’inserimento di una percentuale di soggetti svantaggiati. Tra 1015 giorni ci sarà un altro incontro». Ma secondo i sindacati potrebbe essere troppo tardi.

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Gli errori del Testo unico, senza discussione Fonte: Il Manifesto 19/4/14

Cgil - lettera aperta. Scrivono le delegate e i delegati «Per il lavoro e la democrazia» di Roma e Milano: "Non siamo d’accordo sulla Rappresentanza: riteniamo sbagliato il modello sindacale tracciato e consideriamo pericolose le ricadute sui lavoratori" Per dare luogo a un confronto costruttivo fra tutte le posizioni presenti in Cgil sul Testo Unico, a partire dalla prima assemblea di Bologna abbiamo organizzato assemblee e incontri a Roma, in Campania, a Milano, a Reggio Emilia, a Mantova e in altre città, invitando anche segretari e sostenitori dell’accordo. Purtroppo però i contributi al dibattito sono stati solo quelli delle posizioni contrarie all’accordo. La convocazione delle nostre assemblee anticipava le consultazioni, perché pensavamo fosse importante per tutta l’Organizzazione aprire un confronto generalizzato e preventivo al voto, con la pluralità delle posizioni. A questo punto pare lecito chiedersi se sia sempre possibile discutere ampiamente del Testo Unico, visto che nei Congressi — quando più e quando meno — non è stato possibile: pertanto scegliamo anche noi, dopo aver letto sui giornali quella a firma dei segretari generali di Roma-Lazio e Lombardia, di scrivere una lettera aperta. Non siamo d’accordo con i contenuti del Testo Unico sulla Rappresentanza: riteniamo sbagliato il modello sindacale tracciato e consideriamo pericolose le ricadute sui lavoratori. Crediamo, inoltre, che la firma sul Testo Unico senza alcun confronto preventivo con delegati e lavoratori abbia creato un precedente dannoso per la democrazia nella nostra organizzazione e che le peraltro pochissime assemblee informative che si stanno tenendo, con la sola posizione favorevole, con Cisl e Uil che non hanno sentito neanche il dovere di far votare i propri iscritti, creino un altro precedente altrettanto grave. I lavoratori non hanno più l’ultima parola: il Testo Unico rende validi i contratti aziendali approvati dal 50%+1 della Rsu senza bisogno di metterli al voto. I delegati hanno più responsabilità, ma con meno «potere» (perché esposti alle sanzioni e affiancati dalle strutture sindacali solo quando si tratta di andare in deroga con modifiche peggiorative) e questo li rende più deboli e ricattabili. Non saranno le sanzioni e gli arbitrati a evitare azioni unilaterali e accordi separati, anzi le tensioni aumenteranno, i rapporti tra le organizzazioni sindacali e i lavoratori saranno ancora più difficili e i delegati di base non

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avranno la libertà di azione finora esistente. Non è ammissibile avallare un sistema che esclude le sigle sindacali non firmatarie del Testo Unico. Inoltre, il Testo Unico lega la fruizione di alcuni diritti sindacali alla firma del Contratto collettivo nazionale di lavoro o comunque alla definizione della piattaforma, contravvenendo in questo senso alla sentenza della Corte costituzionale. La Cgil ha bisogno di un confronto vero e dialettico sul merito dell’accordo a tutti i livelli dell’organizzazione e in tutti i luoghi raggiungibili. La portata delle questioni in ballo è tale da rendere ineludibile questo ragionamento evitando, come hanno fatto i segretari Cgil di Roma-Lazio e della Lombardia, di acquistare pagine di giornale per fare «editti». Utilizzare il logo Cgil per esprimere pensieri individuali non è lo stile dell’organizzazione da noi conosciuta, usare la propria posizione e le risorse per scaricarle come fosse una «clava» è stato un errore grave, tra l’altro senza alcuna approvazione degli organismi preposti. Questo nuovo stile rende urgente il chiarimento «interno» all’organizzazione con gli strumenti esistenti e se necessario lottando fino in fondo contro questi «personalismi». Dobbiamo attivarci ed essere vigili per evitare la deriva della nostra organizzazione. Delegate e delegati «Per il lavoro e la democrazia» della Cgil di Roma e Milano

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Cesare Procaccini, segr. Pdci: “Sulla povertà dati drammatici. Subito iniziative concrete per l’occupazione” Fonte: pdci.it 22/4/14

<Oltre un milione di famiglie senza reddito, quattro milioni di italiani costretti a chiedere un aiuto per sopravvivere, dati drammatici che mostrano un Paese allo stremo, in ginocchio, dove le classi sociali più deboli continuano a pagare il costo pesantissimo di una crisi provocata da altri>. Lo afferma Cesare Procaccini, segretario nazionale del Pdci. <Di fronte a queste cifre – prosegue il segretario dei Comunisti italiani – servono politiche innovative che rompano con gli attuali vincoli dell’Unione europea e che abbiano come priorità assoluta la creazione di nuovi posti di lavoro. Invece nulla di nuovo si vede all’orizzonte e il governo Renzi sembra più che mai impegnato in operazioni di immagine, a partire dalle proclamate riforme elettorali e costituzionali, anziché in serie iniziative in grado di riequilibrare i redditi e rilanciare l’occupazione>.

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Expo, Maroni scatenato: ora vuole tutti i lombardi precari Fonte: Il Manifesto 22/4/14 Di: Mirco Rota

Il caso. Il governatore propone ai sindacati di estendere i "junk jobs" a tutta la regione. Anche alle imprese non legate all'evento

In questi giorni la Regione Lombardia ha presentato a Cgil, Cisl e Uil regionali un testo per un “Patto per il lavoro” legato all’Expo 2015. Si tratta sostanzialmente di un possibile accordo che prende spunto da quanto sottoscritto lo scorso luglio a Milano, un’intesa per mezzo della quale, oltre 300 apprendisti e 18.500 volontari (definizione che significa lavorare praticamente gratis) dovrebbero essere utilizzati per l’Expo non si capisce bene secondo quali modalità. A oggi non si conoscono in realtà, né i numeri effettivi, tantomeno i risultati conseguiti dalla manifestazione tanto pubblicizzata in questi mesi. La regione Lombardia ora però rilancia chiedendo a Cgil Cisl Uil lombarde un accordo estendibile a tutta la Regione fino a metà 2016. Per Maroni & Company – vale a dire le associazioni imprenditoriali che vedono di buon occhio questo evento, anche in chiave di deregolamentazione delle norme contrattuali – vi è la pretesa di dover aumentare la flessibilità, non solo per chi lavorerà a stretto legame con Expo, ma per tutta la Lombardia. Infatti la proposta non si limita solamente a coinvolgere le realtà o le imprese che raccoglieranno i benefici dell’Expo, bensì a tutto il territorio lombardo. Non fa niente se attualmente la stragrande maggioranza delle imprese, non solo industriali, non ha ricevuto nessuna commessa da questo evento e non la riceverà nemmeno nel prosieguo della manifestazione.

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Nonostante questo, secondo la Regione Lombardia anche le imprese non coinvolte potrebbero beneficiare indirettamente di questa fiera mondiale, non tanto dal punto di vista delle opportunità di mercato, ma almeno per rendere ancora più flessibile l’utilizzo della propria manodopera. La proposta che arriva dal Pirellone punta a modificare radicalmente i vincoli contrattuali per il contratto a termine – come se ce ne fosse ancora bisogno dopo le modifiche della coppia Poletti-Renzi – a rendere gli orari di lavoro adattabili alle esigenze di flessibilità dell’evento, e a declinare una flessibilità mansionaria e organizzativa. Nella sostanza si dovrebbe lavorare in modo totalmente flessibile, dall’orario di lavoro al tipo di contratto di assunzione, evitando che nessun contratto collettivo nazionale e nessuna norma di legge possa garantire qualche modesto diritto a chi lavora. Expo inoltre dovrebbe avere a disposizione anche un nuovo tipo di apprendistato, definito «mini-apprendistato», della durata di 7 mesi, dove «mini» risulterebbe non solo la retribuzione, ma anche la formazione e il diritto di essere confermato definitivamente. Tutto talmente «mini» che non si capisce perché chiamarlo apprendistato e non «periodo ridotto di lavoro sgravato dagli oneri contributivi per le imprese». Naturalmente non viene tralasciato il diritto di sciopero durante tutto l’evento. Dovrebbe essere contemplato tuttavia uno sciopero versione light, che eviti di mettere a rischio l’immagine del Paese. Una preoccupazione seria, altroché. Senonché a oggi in pochi si sono preoccupati del fatto che arresti e malaffare legati all’Expo abbiano trasmesso un’immagine davvero negativa di come si è proceduto con gare, appalti e rapporti poco trasparenti tra politica e imprese. Ecco perché la proposta si configura come inaccettabile, non solo per chi lavora ma per chi è seduto al tavolo di trattativa. A meno che la logica di chi ha questa responsabilità sia quella di riprendere qualche punto decimale di occupazione solamente per qualche mese, al fine di dare un giro di vite e diminuire ancora le tutele e i diritti. Di certo, se così fosse, questo evento darebbe davvero l’idea che nemmeno quando si è in presenza di investimenti e di possibilità di sviluppo per le imprese, ci possa essere la possibilità di contrattare e definire condizioni migliori, accettabili per chi lavora. Infatti questa vicenda non parla solo di deroghe alle norme e ai contratti, ma rappresenta un elemento di prova anche per le imprese, affinché si accetti il fatto – in caso di eventi di questo genere – che il sindacato contratti tutta la flessibilità possibile senza alcun risultato da consolidare.

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Si parte dalla Lombardia, come spesso è avvenuto in questi anni, ma il campo di gioco è quello nazionale. *Segretario generale Fiom Cgil Lombardia

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Il Governo Renzi Il volo elettorale di Renzi Fonte: Essere Comunisti – Quotidiano online 23/4/14

Negli ultimi mesi, sugli F35 — dal governo e dal Pd — si sono rincorse le voci più disparate: non si toccano, anzi no, ne tagliamo la metà; riduciamo il programma, anzi no, lo rimoduliamo o, per dirla con l’ultimo tweet di Renzi, lo «revisioniamo». E poi: entro il 2013 decidiamo (così diceva la mozione parlamentare approvata a giugno del 2013), anzi, meglio aspettare fino ad aprile del 2014, per far finire i lavori di inchiesta alla Commissione Difesa. Viene convocata dunque la riunione della Commissione il 4 aprile, ma poi si rinvia al 17 aprile e poi si prolunga il rinvio all’8 maggio. Non è finita: la riunione della Commissione Difesa potrebbe essere inutile, perché dal governo e dal Pd dicono ora: meglio fare il “libro bianco” sulla difesa. Quando? Prima della fine dell’estate. Anzi, no: meglio entro la fine del 2014. Sembra una partita a poker, con diversi bluff in corso, o più banalmente un gioco delle tre carte, dove le carte non vengono mai scoperte. Nel frattempo si rincorrono le voci e i “piani segreti”, come quello anticipato da Repubblica di ieri, secondo cui il governo starebbe pensando — per l’appunto — a un dimezzamento (da 90 a 45) del numero di cacciabombardieri da acquistare e produrre. Ma senza dirlo esplicitamente, rinviando di un po’ i nuovi acquisti, magari limando qui e là qualche esemplare dai lotti di acquisto in programmazione. Così, fino al 2016 problemi comunque non ce ne sono: abbiamo già contratti (alcuni siglati a settembre del 2013 e a marzo del 2014, violando gli impegni previsti dalla mozione parlamentare di giugno

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che chiedeva la sospensione dei nuovi acquisti) per portare a termine le produzioni previste. Tra l’altro non si tratta solo di “piani segreti”. Il contratto tipo degli F35 è un “contratto segreto”: nessuno lo ha mai visto. Visto che Renzi promette di desecretare le carte di tanti misteri drammatici del nostro paese, perché intanto non fa una cosa molto più semplice e ci fa vedere che cosa c’è scritto nei contratti siglati dall’Italia per gli F35? Sta di fatto che per il momento — quanto a ipotetici tagli di F35 — si tratta di voci e di supposizioni: la Commissione Difesa non ne può parlare e nemmeno la Camera. La ministra Pinotti dovrebbe rispondere a una «informativa urgente» sugli F35 presentata dai deputati di Sel: si è dimostrata disponibile a venire in aula, ma ovviamente ha rinviato a data da destinarsi la sua presenza alla Camera. Nel frattempo vanno avanti i “piani segreti” che sembrano essere utilizzati più come merce elettorale in vista delle prossime europee che come seria materia di di dibattito e approfondimento nelle sedi preposte, cioè il Parlamento. I giornali sono caduti nel tranello anche la settimana scorsa quando dopo la presentazione del decreto dell’Irpef hanno titolato «Renzi taglia gli F35» quando si trattava semplicemente del taglio (o meglio dello spostamento della spesa di un anno) di un aereo e mezza ala di un altro (153 milioni di euro). Se fosse vero quanto previsto dal “piano segreto” sarebbe comunque una buona notizia: tagliare 45 F35 è comunque un passo avanti verso la decisione definitiva della cancellazione totale del programma. Ma sarà così? Aspettiamo di vedere le carte. Renzi è maestro negli annunci e negli spot e potrebbe essere anche questo il caso. Speriamo che dietro questo “piano segreto” non ci sia il solito tranello: rinviare, stagliuzzare qui e là, rimodulare e «revisionare», e nel frattempo andare avanti con il programma. Sarebbe ora di scelte chiare e nette. Se — come disse Renzi in campagna elettorale l’anno scorso — gli F35 sono un programma «insensato» è ora di dimostrarlo con i fatti e non con tatticismi degni della vecchia politica. Giulio Marcon - il manifesto

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Europa L'Unione Europea e gli USA aumentano le aggressioni in Africa Fonte: Marx21 22/4/14 Di: Carlos Lopes Pereira | da www.avante.pt

Gli Stati Uniti e la Spagna prolungheranno di più di un anno la presenza di truppe nordamericane nel Sud della Penisola Iberica. Sostengono che l'instabilità nel Nord Africa e in particolare nel Sahel mettono a rischio la sicurezza e gli interessi dei due paesi. L'accordo tra Washington e Madrid prevede l'aumento degli effettivi e il raddoppio degli aerei che stazionano nella base militare di Moron de la Frontera, a 66 chilometri da Siviglia. Nella base in Andalusia, gli USA passano a disporre da 850 a 1.100 marines e da 17 aerei da guerra – una dozzina di MV -, di 22 a decollo verticale, quattro KC-1 di rifornimento in volo e un apparecchio di appoggio logistico. L'obiettivo di questa forza, creata nell'aprile 2013, sotto il comando di Africom, è “la protezione di cittadini e installazioni” degli USA in Africa, e come risposta a “situazioni di crisi”. Questo è un altro segnale recente dell'aumento dell'interventismo militare degli USA e dell'Unione Europea (UE) in Africa – direttamente o attraverso intermediari e con la connivenza di alcuni governi tra i più reazionari -, nell'intento di imporre il dominio imperiale ai paesi del continente per saccheggiare le ricchezze dei suoi popoli. Un altro esempio che illustra l'espansionismo bellicista dell'UE è il previsto invio di truppe nella Repubblica Centrafricana, nel quadro della missione Eurofor RCA. Si tratta di un contingente di circa 1.000 militari e poliziotti, di diverse nazionalità, che in Aprile si dislocherà a Bangui, la capitale del paese,

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con il pretesto di aiutare a “ristabilire l'ordine Secondo El Pais, la Spagna contribuirà con 65 militari e 25 guardie civili a questa operazione europea nella RCA. Secondo il Diario de Noticias, anche il Portogallo potrebbe inviare un plotone (20 elementi) di un'unità di intervento della GNR. Per gli spagnoli, la presenza di suoi soldati in Africa non è una novità, dal momento che Madrid dispone già di 300 militari a Gibuti, in Somalia, nel Senegal e nel Mali. Nel Mali dove, dopo l'operazione Serval, nel 2013 – quando i francesi sono intervenuti in soccorso del regime di Bamako, minacciato da ribelli islamici e separatisti tuareg -, rimangono truppe africane, “caschi blu” e, anche, una missione militare dell'UE. In questo momento, oltre i 2.200 soldati francesi che combattono, ci sono circa 560 istruttori e consiglieri europei che addestrano e inquadrano l'esercito maliano. Il mandato della missione dell'UE termina nel mese di maggio e dovrà essere rinnovata per altri 24 mesi. Nella Repubblica Centrafricana la tragedia si ripete. Nel marzo dell'anno scorso una coalizione armata aveva rovesciato il governo eletto di François Bozizé, sostituendolo con il suo leader, Michel Djotodia. A dicembre la Francia ha inviato la legione straniera – operazione Sangaris – ha esiliato Djotodia e ha collocato alla presidenza Catherine Samba-Panza, cambiamenti che non hanno impedito un sanguinoso conflitto tra fazioni rivali. Per fronteggiare la situazione umanitaria catastrofica, e nonostante la presenza di 2.000 componenti della spedizione francese e 6.000 militari dell'Unione Africana, le Nazioni Unite hanno ritenuto necessario inviare nella RCA, fino alla metà di settembre, più di 12.000 soldati e poliziotti. In questa operazione, che costerà centinaia di milioni di dollari, i “caschi blu” sostituiranno le truppe africane. Prima di allora, si recherà a Bangui la missione militare dell'UE, per aiutare a “pacificare” il paese e, dopo, chiaramente, per consentire un programma di “aiuto economico” che approfondirà la dipendenza della RCA e favorirà lo sfruttamento delle sue ricchezze da parte dell'Occidente...

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Il

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gendarme

dell'imperialismo

Nei recenti conflitti in Africa – aggressione della NATO alla Libia, golpe in Costa d'Avorio, occupazione del Mali, intervento nella RCA -, la Francia, prima con Sarkozy, ora con Hollande, è stata il più fedele poliziotto dell'imperialismo nordamericano. Sotto la copertura di questa alleanza, la borghesia francese, con una lunga esperienza coloniale e neo-coloniale, è sempre più attenta agli affari africani, in collaborazione con gli amici indigeni. Affari che vanno dallo sfruttamento del petrolio e dell'uranio alla pesca, passando per la vendita di armi e le telecomunicazioni. In un articolo su Jeune Afrique, Christophe Boisbouvier calcola che il bilancio di Parigi per le “operazioni estere” , nel 2014, raggiungerà i 450 milioni di euro. L'operazione Serval è costata 650 milioni di euro nel 2013 e la Sangaris già oltre 100 milioni. Per assicurare gli interessi economici, la Francia rafforza il dispositivo militare in Africa. Ha basi permanenti a Dakar (Senegal), Libreville (Gabon) e Gibuti, occupa il Mali e la RCA E mantiene truppe stazionate in paesi come Mauritania, Niger, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Camerun e Ciad...

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Internazionale Evgenij Tsarkov interviene sul tema del separatismo in Ucraina Fonte: Marx21 22/4/14 Traduzione di Flavio Pettinari di Marx21

La giunta di Kiev, su istigazione, in particolare, del partito neofascista Svoboda, sta procedendo alla repressione e all’arresto di chi sta promuovendo il referendum sulla riforma federale dello stato, con l’accusa di “separatismo”. Il Partito Comunista d’Ucraina è la prima forza politica a vedere nel federalismo la possibilità di risolvere il conflitto in atto, evitando la secessione delle regioni sudorientali (NdT). Oggi il popolo ucraino può dare una prima valutazione dell’operato del cosiddetto “nuovo governo” ucraino, che ha portato il paese sull’orlo del collasso e del conflitto fratricida: lo afferma Evgenij Tsarkov, deputato della 6a legislatura della Verhovnaja Rada e segretario del Comitato Regionale di Odessa del Partito Comunista d’Ucraina. «La stessa Svoboda - secondo Tsarkov - è il principale agente provocatore e la principale leva su cui fa forza il separatismo. La stessa Svoboda ha voluto l’abolizione della legge Kolesnichenko-Kivalova sulle lingue, fatto da cui è derivata la crisi in Crimea. Sempre Svoboda è impegnata nel vandalismo e negli incendi contro le sedi dei suoi oppositori politici. Queste operazioni spingono i residenti delle regioni di lingua russa a resistere e a proteggersi contro tutto questo». «La serie di attacchi dei militanti di Svoboda contro i candidati alle presidenziali, soprattutto contro i comunisti impegnati nella campagna elettorale, dimostra che chi oggi è contro lo svolgimento delle elezioni è lo stesso soggetto ad essere interessato ad avere nel paese un governo illegittimo e il perdurare del caos».

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«La deputata di Svoboda Farion ha dichiarato, a proposito degli abitanti delle regioni sudorientali, che “le misure adottate dovrebbero essere molto più dure, la nostra gente ha dato la propria vita, questi esseri quindi meritano una cosa sola: la morte” - ha ricordato Tsarkov. A questo proposito, il Partito Comunista d’Ucraina chiederà alla Procuratura Generale di valutare questi incitamenti alla violenza, all’odio etnico e allo scontro sociale. Queste dichiarazioni di un rappresentante del partito al potere non spingono alla pace, ma alla guerra». «Il separatismo pertanto non nasce nel vuoto, ed è necessario affrontare coloro che lo stanno provocando». Per quanto riguarda le dichiarazioni di Tjagnibok (capo di Svoboda, NdT), Tsarkov ha osservato che “anche le persone con una cultura media conoscono la differenza tra il separatismo, che prevede la separazione del paese, e il federalismo, che presuppone l’unione e il mantenimento dell’integrità territoriale a fronte della suddivisione dei poteri”. Se il federalismo è il male, - conclude il deputato comunista - perché i paesi più sviluppati al mondo prosperano con un simile ordinamento?

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La Liberazione di Bologna 21 Aprile : la Liberazione di Bologna dai fascisti e dagli invasori nazisti Fonte: Pdci Bologna 21/4/14

Oggi ricordiamo la Liberazione di Bologna dai fascisti e dagli invasori nazisti. Il Pdci di Bologna esprime il più vivo ringraziamento ai tanti patrioti che lottarono per ridare la libertà all'Italia dopo 20 anni di dittatura fascista. I Comunisti svolsero un ruolo primario nella lotta di Resistenza, che videro coinvolti tantissimi lavoratori, uomini e donne, organizzate in Brigate Partigiane. Vogliamo ricordare con queste parole la liberazione della nostra città: All'arrivo delle truppe alleate i partigiani avevano già preso possesso della Prefettura, della Questura, del Comune, del Pirotecnico, del carcere, delle caserme e controllavano tutti i punti nevralgici della Città. Alla testa di un corteo che raggiungerà Piazza Maggiore, Onorato Malaguti - che poi sarà il

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primo segretario generale della Camera del Lavoro - salendo su un tavolino da caffè indirizzò ai partigiani e ai soldati alleati il primo caloroso saluto: "I nazifascisti sono stati cacciati e non ritorneranno mai più. Ma se Bologna è libera non è così per tutta l'Italia. La guerra deve continuare contro i tedeschi e i fascisti fino alla loro completa sconfitta".

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