IoArch71 Jul-Aug 2017

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› INDUSTRIALIZZAZIONE EDILIZIA E ARCHITETTURA

foto Leo Sorel, Cooper Union

Nader Teherani Nader Tehrani è preside della scuola di architettura dell’Università Cooper Union di New York. Precedentemente professore e capo del dipartimento di Architettura presso il Mit di Cambridge (Ma), è il fondatore e direttore di Nadaaa, uno studio di architettura il cui lavoro è orientato verso l’innovazione nel progetto, la collaborazione interdisciplinare e il dialogo con l’industria delle costruzioni.

sia importante sviluppare un naturale senso di sospetto verso le tecnologie, o addirittura renderle di utilizzo ovvio – non semplicemente di utilizzarle, ma di maltrattarle, interferirle e modificarle per adeguarle ai nostri scopi. Quali sono le tue principali fonti di ispirazione? L’architettura emerge da molti luoghi della mente e certamente da molte sorgenti intermedie tra natura e cultura. È un fair play, e della gerarchia tra le varie fonti credo mi importi poco. In realtà la vera questione non è tanto il come ma il cosa. Mentre l’enfasi viene spesso posta negli aspetti curatoriali creando liste, sfere di gusto estetico e clichè, penso che le fasi più interessanti siano quelle nelle quali è possibile identificare i lineamenti dove le trasformazioni hanno luogo – e qui sto utilizzando il termine “trasformazione” secondo la sua capacità inventiva di prendere convenzioni, manufatti generici e cose del mondo, e poi talvolta, tramite capovolgimenti molto sottili, rivederli sotto forme completamente nuove. Certi schemi che si manifestano nel nostro lavoro possono peraltro essere collegati a fonti di ispirazione che non mi è possibile sopprimere. Hanno a che fare con il desiderio di “configurare” e il bisogno di trovare i percorsi per realizzarlo.

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Ovviamente non tutte le figure sono sempre e necessariamente ben allineate con le modalità secondo le quali l’architettura funziona, viene costruita o con le sue prestazioni. Per questo motivo la nostra ulteriore forma di ispirazione emerge dal modo in cui si pensa, che è spesso allineato con una mentalità investigativa. Pertanto, gli “alibi” per un progetto possono lasciare il passo a linee di ragionamento che sono persuasive, sia ingannevolmente che in modo del tutto innocente. Queste fonti di ispirazione formano una narrativa storica della quale noi stessi diventiamo parte. In questo senso, la narrativa diventa più importante delle realizzazioni stesse; o in alternativa, le realizzazioni sono incorporate in queste narrative ed è necessario scavare per portarle alla luce. Basti considerare i geniali Serpentine Walls dell’Università della Virginia, e come questi, allo scopo di minimizzare l’utilizzo del materiale, presentino un profilo sinuoso e inconsueto. L’accoppiata tra l’impulso figurativo e l’economia di utilizzo del materiale è una sorta di bonus. Naturalmente, dopo un’ulteriore approfondimento, abbiamo compreso la connessione storica tra il progetto dell’Università della Virginia e i muri crinkle crankle della vecchia Inghilterra o lo Slangenmuur olandese, e guardando in avanti, il suo legame con la chiesa di Atlántida di Eladio Dieste. Possiamo anche osservare il curioso sviluppo della tecnologia del mattone nelle mani di Sigurd Lewerentz, operato secondo principi differenti ma con pari insistenza. In Lewerentz osserviamo lo spessore notevole della malta, molto eccendente quella convenzionale. In realtà la malta è distribuita in modo tanto generoso da sfidare la proporzione figura-sfondo fino al punto che la si può definire una parete di malta con qualche mattone che la tiene insieme. Quest’ultima osservazione ci ha portato a sposare lo Slangenmuur con Lewerentz per la Casa La Roca: la casa dove abbiamo utilizzato intervalli disomogenei tra i mattoni (lo spazio normalmente occupato della malta) per permettere il passaggio di luce e aria attraverso un muro strutturale: in sostanza il nostro contributo al racconto è stato quello di integrare struttura, illuminazione e controllo del clima in una struttura continua. Chi sono i tuoi maestri? Mi tengo a distanza dall’idea di un maestro, non certo al punto di affermare che non sia possibile

imparare da grandi pensatori bensì per la volontà di produrre un dialogo, piuttosto che estendere un precetto, un mestiere o una metodologia. In questo senso, immaginare l’architettura come parte di un dialogo critico ha la funzione di portare avanti l’idea di una conversazione con la storia e con il dibattito che genera. Allo stesso tempo resto sempre incantato dalla scoperta delle voci che non si sono allineate direttamente in un canone, come da coloro il cui discorso non è stato mai considerato facilmente digeribile. I meno noti, i più importanti! Sono stato molto influenzato da coloro i cui nomi non sono sempre apparsi nei titoli principali. La fama di alcuni maestri è stata spesso amplificata da relazioni con i media di cui nomi meno noti non hanno mai goduto. Gli “altri” nomi sono ovviamente quelli di altre parti del mondo ma che hanno avuto su di me un’influenza specifica e molteplice: Togo Murano in Giappone; Lina Bo-Bardi in Brasile; Jože Plečnik in Slovenia; Miguel Fisac in Spagna; Luigi Caccia Dominioni in Italia; Julio Vilamajó in Uruguay; Victor Lundy negli Stati Uniti; Robin Boyd in Australia; Clorindo Testa in Argentina. E naturalmente la lista va avanti, continuiamo a imparare tutti i giorni. Curiosamente infine, il modo in cui abbiamo imparato architettura – e la sua storia – qualche anno fa, era attraverso il grande racconto dei protagonisti. Con l’Internet non solo si ha accesso all’informazione in modo più orizzontale, ma anche l’impeto della narrativa sui maestri si è in qualche misura disteso. I nuovi studi si sviluppano su una serie di figure il cui lavoro è stato cruciale per molte regioni o nazioni, e tuttavia sempre ai margini della ribalta internazionale. Il tuo messaggio per il futuro? E per gli architetti? Mantenere le cose semplici e conservare un livello di curiosità sufficiente per disimparare ciò che ormai padroneggiamo. Restare sempre studenti, essere capaci di scoprire qualcosa, di nuovo, sempre. Osservare attentamente il nostro modo di lavorare, anche solo per capire come questo può essere importante non solo nei confronti della disciplina stessa, ma anche per comprenderne il ruolo, ed eventualmente l’importanza, rispetto a un ben più ampio contesto sociale, economico e politico, che si estenda verso il mondo andando oltre la stessa architettura

intervista raccolta da Carlo Ezechieli


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