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REALTÀ DEL TERRITORIO > PAG
La Nuova Chiesa, 25 anni fa…
— Elio Maltagliati —
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Don Silvio torna a Tavernerio per l’anniversario.
“Dove eravamo rimasti?” La domanda è risuonata in Chiesa il 26 ottobre scorso come esordio dell’omelia.
“Ti è stato annunciato, o uomo, ciò che è bene e ciò che Dio cerca da te: nient’altro che praticare la giustizia, amare con tenerezza, camminare umilmente con il tuo Dio.”
Dodici anni dopo aver lasciato la parrocchia di Tavernerio, don Silvio ha ripreso e commentato le parole del profeta Michea, fulcro del suo messaggio di saluto di allora.
Forte richiamo per la comunità parrocchiale di Tavernerio che numerosa ha partecipato alla S. Messa, in occasione della ricorrenza del venticinquennale della consacrazione della Chiesa dell’Eucaristia.
Al termine della celebrazione, don Silvio ha ripercorso i passaggi che portarono alla realizzazione del progetto.
La prima spinta arrivò da Mons. Ferraroni, Vescovo di Como, che, con grande lungimiranza, già negli anni Ottanta del secolo scorso, considerò la costruzione di questa Chiesa come futuro polo di riferimento della Comunità Pastorale di Tavernerio, Solzago e Ponzate, oggi divenuta solida realtà.
Le difficoltà erano molteplici. Don Silvio accolse l’invito del Vescovo e si mise subito al lavoro, affiancato dai membri della Commissione Parrocchiale Affari Economici.
Furono incaricati di sviluppare l’idea gli architetti Beppe Reynaud e Alberto Ostinelli, due professionisti della nostra Comunità. E vennero coinvolti prevalentemente artigiani ed imprese del paese. Don Silvio ha raccontato qualche aneddoto verificatosi nel corso dei lavori, citando anche il nome di alcuni protagonisti. Non ha mancato di esprimere riconoscenza verso tutti coloro che hanno collaborato.
Ha poi offerto una descrizione di alcuni particolari e significati dell’edificio.
Fu consultato un architetto, sacerdote della Diocesi di Milano, in quegli anni impegnato nel seguire la costruzione di nuove chiese. Egli suggerì la forma tonda, superando la paura che potesse generare pericoli per l’ascolto, e, soprattutto, perché avrebbe valorizzato la rappresentazione dell’accoglienza unitamente alla bellezza del tempio.
Nel frattempo, a Mons. Ferraroni succedette Mons. Maggiolini. La pressione crebbe. Per il Vescovo, era la prima nuova Chiesa e fin da subito la sentì sua. Volle porre al centro dell’abside un altare ‘potente’: un chiaro invito a mettersi a tavola per i fedeli che sarebbero entrati in Chiesa. Desiderò ‘un ambone imponente’, per evidenziare l’importanza della Parola di Dio e il tabernacolo in posizione centrale per esaltare la presenza del Santissimo, in coerenza con la dedicazione della Chiesa alla Eucaristia, da lui stesso decisa.
Il portico esterno rappresenta il primo approccio all’accoglienza che poi si manifesta meglio nella forma tonda dell’edificio, assecondata dalle trame del pavimento tutte orientate verso l’altare.
I fedeli che entrano nel tempio vengono coinvolti in una esperienza di purificazione. Accolti dall’abbraccio materno della Madonna, percorrono l’esperienza della Via Crucis, transitano davanti al Battistero e siedono di fronte all’altare. Anche il sacerdote, uscendo dalla sacrestia, prima di salire all’altare per la celebrazione, passa davanti al Battistero. “Chi potrà salire al monte del Signore?”, recita il salmo. E la risposta segue: “Chi ha mani innocenti e cuore puro...”
Mons. Maggiolini, quando vide la prima volta i quadri della Via Crucis li giudicò troppo laici. Gli sfuggì un particolare dell’ultimo quadro, la XIV stazione, la deposizione del Cristo morto. Quando si accorse, cambiò idea e fu entusiasta di quanto rappresentato. Gli autori hanno dipinto una mano, la mano di Dio, che rompe la clessidra del tempo e va oltre il tempo: simbolo della resurrezione del Cristo.
Don Silvio ha descritto il ciclo pittorico posto nel tondo dell’aula ecclesiale, opera del pittore Alcide Gallani. Dalla Genesi si giunge all’istituzione dell’Eucaristia, passando attraverso le Tavole della Legge, il ritorno degli ebrei a Gerusalemme, la natività di Gesù e la parabola del buon seminatore: resta da realizzare il quadro del Battesimo di Gesù.
Ha concluso con un accenno agli affreschi, appesi nella Cappella Feriale, che descrivono i tre momenti fondamentali della vita della Madonna, realizzati dal nostro compaesano Giampiero Carcano.
Una bella “Chiesa di mattoni” pronta per essere “Chiesa di persone”.
E con questo auspicio, don Silvio si è congedato e ha ripreso il suo cammino.
Quando si dice cibo…
— Padre Gabriele Ferrari — Missionari Saveriani di Tavernerio
In uno dei miei viaggi, un giorno ho visto una scena che, come uno schiaffo in pieno viso, mi ha sconvolto e mi ha aperto gli occhi. Mi trovavo nella periferia della Città di Guatemala e c’era una frotta di ragazzini che giocavano ai bordi di una grande discarica, ma che, si vedeva, attendevano qualcosa.
All’arrivo di un camion dell’immondizia, tutti insieme gli corsero dietro e mentre quello scaricava la sua massa maleodorante, i ragazzini, insieme a uno stormo di uccelli bianchi, si slanciarono su quel carico “prezioso”. In men che non si dica, setacciarono il mucchio di roba, alla ricerca di quello che poteva servire loro.
Che cosa cercavano? I rifiuti commestibili della popolazione della Città, dei ristoranti e delle case, i resti di ciò che noi chiamiamo cibo, ma che a quel punto era materia avariata e anche in putrefazione. Era il loro cibo quotidiano per sfamarsi e sfamare anche i loro genitori e fratelli.
“Cibo”, secondo il dizionario Treccani, significa “genericamente, tutto ciò che si mangia. In senso più ristretto, cibo può indicare anche semplicemente l’insieme degli alimenti che si assumono durante un pasto”. Questo cibo è ciò che cercavano affannosamente quei ragazzi di Guatemala nei rifiuti delle case della Città, per portarlo a casa loro, dove i genitori li attendevano per metter insieme un pasto per la famiglia. Quella scena mi mise a disagio, soprattutto perché sapevo che qui da noi ogni giorno si gettano tonnellate di avanzi che sarebbero ancora commestibili, mentre nel mondo ci sono milioni di uomini, donne e bambini che soffrono la fame. Non potevo e non posso far finta di niente. Meno male che in tanti luoghi oggi si raccoglie ciò che avanza e lo si ricicla per i poveri (il banco alimentare).
Quando ero bambino e mi cadeva per terra un pezzo di pane, il babbo me lo faceva raccogliere e me lo faceva baciare: mi diceva che era un dono di Dio, il segno dell’amore di Dio che ci dona il pane quotidiano. “Tu apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente”, si legge nella Bibbia. Dio ha creato per noi il sole, l’aria, l’acqua e la terra fertile che insieme ci offrono il frumento, la vite e l’uva, l’olivo e l’olio, l’erba e i frutti del campo perché tutti possiamo mangiare e vivere felici.
È compito di ciascuno allora cercare di incrementare la produzione in tutti i modi possibili per metterla a disposizione di tutti i viventi: nessuno, infatti, ha il diritto di accaparrarsi ciò che non è necessario per vivere, non ha senso accumulare se non per condividere, perché tutti siamo fratelli, figli dello stesso Padre creatore.
Nel Vocabolario Treccani cibo ha anche un altro significato: “In senso figurato, la parola cibo indica tutto ciò che costituisce un arricchimento dal punto di vista intellettuale o spirituale (si dice: i buoni libri sono un buon cibo per la mente; la preghiera è il cibo dello spirito) o, per analogia con l’assoluta necessità del cibo per la sopravvivenza, anche ciò che per una persona rappresenta un motivo di interesse talmente importante da costituire la sua ragione di vita (la filosofia è il suo cibo, si dice)”. In questo senso figurato, un tipo di nutrimento necessario per la nostra vita sono anche le relazioni che ci permettono, come e meglio del cibo materiale, di vivere pienamente. Stare insieme, collaborare, condividere con gli altri gioie e sofferenze ci sostiene e ci offre energia e forza per continuare a vivere. Infatti, se non avessimo più nessuno con cui parlare e condividere il nostro vissuto, ci sentiremmo soli, isolati, e perderemmo la voglia di vivere.
Guardiamoci attorno: quanta solitudine, quanta fame di relazioni vere sentiamo intorno a noi! Questa è fame come quella di chi non ha nulla da mangiare, una fame che è cresciuta oltre misura negli anni della pandemia. A questa fame dobbiamo dare attenzione, come a quella materiale dobbiamo dare una risposta.
Ma c’è ancora un cibo che viene dal Cielo, cioè, dono di Dio, per saziare la fame del nostro cuore e darci una vita piena. È Gesù stesso, la sua Parola e il suo Corpo: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”. E continua: “Chi mangia di questo pane non avrà più fame”, sarà saziato, si sentirà bene, potrà camminare speditamente e gioiosamente nel cammino della vita. Sì, perché nella vita vengono i momenti e i tempi in cui ci sentiamo soli e stanchi, come in un deserto, anche se in mezzo alla folla, senza più energie per proseguire. Allora sarà saggio cercare quel Pane che può saziarci e darci la forza per continuare. Sappiamo Chi è e dove si trova.
“Cibo”, secondo il dizionario Treccani, significa “genericamente, tutto ciò che si mangia. In senso figurato, la parola cibo indica tutto ciò che costituisce un arricchimento dal punto di vista intellettuale o spirituale.
Villa Santa Maria e il valore del cibo
— Dino Bondavalli — Responsabile Comunicazione Villa Santa Maria

Perché l’educazione alimentare è fondamentale anche per le relazioni con il prossimo
Non solo equilibrio tra i nutrienti, qualità degli ingredienti e cura dell’apporto vitaminico.
Quando si parla di cibo e alimentazione in realtà c’è molto di più.
Che si tratti di un pasto consumato in famiglia o del pranzo che viene servito a scuola, del panino mangiato con i colleghi di lavoro al bar o dell’uscita a cena con gli amici, nel cibo c’è infatti un richiamo diretto all’affettività, alla relazione con il prossimo e all’educazione. Una serie di aspetti che valgono a prescindere dall’età, ma che diventano ancora più rilevanti quando questi riguardano i bambini.
Fin dalla nascita l’alimentazione rappresenta per il bambino non il semplice soddisfacimento della fame, ma il modo in cui instaura una relazione con il prossimo, a partire dalla mamma. Allo stesso modo, la fase dello svezzamento non è solo un momento di cambio di alimentazione, ma è anche un momento di distacco dalla madre, sia dal punto di vista fisico, sia da punto di vista psicologico.
I bambini osservano cosa mangiano gli altri e come lo fanno. E, attraverso questa fase di osservazione, attraverso la manipolazione del cibo e attraverso un rapporto ludico con gli alimenti, imparano a relazionarsi anche con la realtà e le persone che li circondano.
Il fatto che in questo caso ci riferiamo alla prima infanzia non tragga in inganno: l’alimentazione, la scansione dei pasti e la relazione con il cibo sono aspetti cruciali per tutto l’arco delle nostre vite. Partendo da questi presupposti, è evidente che l’educazione di un bambino alla corretta alimentazione rappresenta un passaggio a cui prestare grande attenzione. Tanto più in un paese come l’Italia, nel quale la socializzazione avviene spesso intorno a una tavola imbandita e nel quale la cura e il trattamento delle materie prime sono un patrimonio collettivo che si tramanda da una generazione all’altra con una serie di rituali che danno valore e senso alle relazioni.
È per tutti questi motivi, oltre che per gli aspetti legati alla salute degli oltre 200 bambini e ragazzi che quotidianamente consumano i propri pasti all’interno della struttura, che Villa Santa Maria presta la massima attenzione alla qualità del cibo, alla sua presentazione e al modo in cui questo viene somministrato a pazienti che in certi casi hanno esigenze molto particolari. La cucina interna, che ogni giorno prepara i pasti per i pazienti e il personale, garantisce piatti preparati freschi, menù definiti in collaborazione con la nutrizionista del Centro, preparazioni ad hoc che tengono conto di regimi alimentari particolari per intolleranze, allergie, scelte delle famiglie e motivi religiosi.
Il personale di Villa Santa Maria addetto alla somministrazione dei pasti prevede un organico di una quarantina di operatori specializzati, in grado di rendere non solo più fruibile la somministrazione anche nei casi più delicati, ma anche di eseguire nel modo migliore tutti quei trattamenti educativi e riabilitativi che si svolgono durante il pasto e che sono di grande utilità per i bambini. Oltre al gusto e agli aspetti nutrizionali, viene curata la relazione con gli alimenti, in continuità con quanto fanno le famiglie, e la socialità tra i bambini e i ragazzi.
Il tutto con la consapevolezza che una corretta educazione alimentare fin da piccoli riesce non solo a fare prevenzione rispetto a una serie di disturbi alimentari, ma rappresenta anche un patrimonio culturale prezioso per i bambini di oggi e per gli adulti di domani.