Vacanze da leggere 4

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Vacanze 4

per Max
•Applausi

Vacanze 4

Applausi per Max

3 Eleonora Laffranchini

Max aveva un segreto speciale del quale erano a conoscenza solo pochi intimi.

Niente di eccezionalmente grande, in verità: su per giù un metro quadrato di segreto, ripieghevole e stropicciabile a piacere.

Infatti, quando la notte bussava ai vetri della case suggerendo di accendere la luce, Max correva a prendere la sua fedele coperta come fosse il mantello di un coraggioso cavaliere medioevale pronto a combattere il regno delle ombre.

Se in casa non c’era nessuno, se la posava sulle spalle proprio come una mantellina e sentiva il suo calore fin dentro al cuore. Faceva i compiti, guardava la tv, leggeva, con lei sempre accanto. Poi, quando era l’ora di dormire, la teneva stretta stretta con le mani finché il sonno non lo trasportava via.

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Quella coperta era stata, da sempre, la compagna di tutti i suoi sogni e da brava e fedele compagna aveva anche un nome: Umberta, la coperta.

Un giorno Max aveva scoperto che il suo migliore amico, oltre a non succhiarsi il pollice da tempo, non aveva nessuna coperta, per così dire, di fiducia.

La faccenda gli era parsa tanto strana che si era precipitato a chiedere spiegazioni alla mamma.

Lei, che di bambini se ne intendeva parecchio, così almeno diceva, gli aveva spiegato che lui era un bambino “prolungato”, e che questo è normale per tanti bambini.

Gli aveva spiegato che aveva bisogno della coperta perché lui era troppo grande per stare tutto dentro un metro di bambino e che quindi aveva bisogno di un altro pezzettino da portarsi dietro, così, per sicurezza.

Questo, almeno, era quello che aveva capito, ma a lui bastava avere la sua coperta tra le mani e non le aveva chiesto altro. Sapeva che quando sarebbe diventato abbastanza grande da stare tutto intero solo dentro il suo corpo, avrebbe potuto fare a meno di lei.

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Comunque, pensava, non l’avrebbe mai fatto, perché le era davvero molto affezionato.

Un freddo giorno di dicembre, Max tornò a casa eccitatissimo:

– Mamma – disse, – sarò Jack!

– Come? – lo interrogò lei fingendo di non capire. – Hai deciso di cambiare nome?

– Dai! Tra due giorni ci sarà il provino e io sarò scelto, vedrai!

Da qualche giorno, infatti, Max aveva sentito parlare di una piccola compagnia teatrale, composta soprattutto da bambini, che aveva da poco iniziato la sua attività e aveva intenzione di mettere in scena alcune favole.

Anche Max, come molti bambini, aveva qualche volta preso in considerazione l’idea di diventare un astronauta oppure un calciatore, ma quella di

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entrare a far parte di una compagnia di prosa gli frullava continuamente nel cervello dal giorno in cui era stato a teatro con la nonna: si metteva in scena Shakespeare, il Sogno di una notte di mezza estate, e lui non ci aveva capito quasi nulla, ma l’atmosfera del palcoscenico, il velluto rosso delle poltroncine, i volti curiosi delle persone intorno, il rumore degli applausi... Tutto questo gli aveva fatto sentire che il teatro era una specie di altra dimensione.

Sì: sarebbe stato quello il suo mondo da esplorare e così aveva lasciato da parte tutto il resto, compreso il calcio.

Quel giorno, quando lesse fuori dal cancello della scuola la locandina che invitava tutti gli interessati a presentarsi per un provino, sentì che era arrivata l’occasione di partire davvero per quell’avventura. Stavano cercando Jack, quello della pianta di fagioli. Jack, quello sarebbe stato il nome da apporre al suo primo “passaporto”, pronto per la partenza. Era sicuro che sarebbe diventato in pochissimo tempo un attore ammirato e richiesto da tutti, che avrebbe girato i maggiori teatri di tutte le citta.

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– Ah, parli di Jack e della pianta di fagioli ! Ora capisco! E che devi fare?

Finalmente la mamma lo stava prendendo in seria considerazione.

– Diventare Jack, in qualche modo. Hai qualche suggerimento?

– Tanto per cominciare... vuoi un contorno di fagioli per pranzo? – chiese Max.

– Sempre a scherzare, eh? Quando sarò un vero attore, ci ricorderemo di Jack e della sua pianta di fagioli!

Corse in cameretta per studiare il da farsi.

Di lì a un paio d’ore, ricomparve in cucina.

Lo sguardo della mamma fu catturato verso il basso da due ridicole babbucce di flanella con baffetti di spago e occhi-bottone. Più su: calzamaglia blu e dolcevita bianca sormontata dalla consunta coperta Umberta.

– Che te ne pare?

La fissò con uno sguardo d’intesa.

– Ma lei chi è? Un elfo? Un folletto?... Ma certo: Jack! – disse la mamma, e applaudì. – Perfetto! Potresti aggiungere un paio di guanti per completare l’opera... O forse no, così sei più realistico!

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– Credi che Lisa mi presterà la sua calzamaglia senza fare storie?

– Se gliela chiederai gentilmente, tua sorella sarà più che contenta di fornirti il tuo primo costume di scena!

Proprio in quel momento, la porta si aprì. Seguì un urlo rabbioso.

– Che cosa fa la pulce con la mia calzamaglia blu?

Lisa entrò come una furia e fece per avventarglisi contro.

La pulce, nel frattempo, era già saltellata via e si era chiusa a chiave in camera, accovacciata dietro la porta.

– Lisa – cercò d’intervenire la mamma, – cerca di essere un po’ gentile con lui: sta cercando il modo migliore per assomigliare a Jack della favola. Sai? Farà un provino! Va’ ad aiutarlo, dai!

– Vorrei che prima di prendere le mie cose chiedesse almeno! E poi, che m’importa di Jack della pianta di fagioli? Ho l’interrogazione di scienze domani, io! Non penso tutto il giorno al teatro, a Shakespeare, agli applausi!... E poi, non sto sempre attaccata a una coperta come un neonato!

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Queste ultime parole attraversarono come un pugnale la porta chiusa e raggiunsero Max al cuore. Cominciarono a scendergli dagli occhi calde lacrime silenziose, che pian piano sparivano nel morbido tessuto di Umberta.

– Va bene! Non ho tempo da perdere, devo decidere le battute di Jack : tra due giorni ho il provino!

Le ore che seguirono furono d’intenso lavoro.

Passo numero uno: studio accurato del personaggio. Chi è Jack? Jack è un bambino povero, ma furbo e intelligente, e le battute da fare dovranno esprimere perfettamente un bambino così. Con o senza calzamaglia, Jack si sarebbe riconosciuto dalle sue parole!

– Tutto a posto, Max? – lo salutò la mamma quando, finalmente, si decise ad aprire la porta e a uscire. – Non te la prendere per Lisa: è un’adolescente. Bisogna lasciarla un po’ in pace!

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Tutte le volte che si parlava di Lisa, usciva la parola “adolescente” come si trattasse di una malattia.

– Tutto a posto, mamma! Quella calzamaglia non mi sta bene. Non si addice neanche al mio personaggio. Insomma, sono un contadino, non un ballerino dell’Opéra di Parigi!

– Mi reciti qualcosa?

La mamma sapeva che gli faceva piacere quando qualcuno desiderava ascoltarlo durante le sue recite per gioco.

– Non ora. Sono troppo preso dal pensiero del provino.

– A proposito, quando ti dovrai presentare? –chiese la mamma.

– Dopodomani. Il regista e alcuni membri della compagnia teatrale aspettano gli aspiranti Jack nella palestra della scuola alle 18. Sono davvero emozionato: è il mio primo provino. Il manifesto dice che fra i bambini che si presenteranno verrà scelto quello che più avrà saputo esprimere la personalità di Jack.

– Vi daranno delle battute da recitare?

– No, la scelta delle battute da dire sarà libera. È per questo che penso di non avere molti

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concorrenti. Quanti bambini credi che avranno voglia di perdere tempo a inventare battute per fare la parte di Jack?

– Non sottovalutare l’orgoglio delle mamme.

Probabilmente saranno molte quelle desiderose di essere le mamme del piccolo Jack ! Ci penseranno loro a fornirli di battute!

Ma Max non aveva bisogno dell’aiuto della mamma per trovare le battute adatte. Anzi, decise che non le avrebbe neppure provate, né davanti a lei, né tanto meno davanti a quella serpe di Lisa.

Fece tutto da solo, scrisse le battute, le studiò, senza sottovalutare i minimi particolari, i gesti e l’intonazione. Rimaneva il piccolo particolare dell’abbigliamento. Poco prima di uscire per il provino, Lisa gli si avvicinò abbozzando un sorriso. Per lei, “malata” com’era di adolescenza, quello era già un gesto di gran valore.

Max rispose al sorriso.

– Sei emozionato, Max? – gli chiese dolcemente.

– No, per nulla! – mentì lui. – Se voglio diventare un vero attore, devo abituarmi e non lasciarmi prendere dalla paura del palcoscenico.

Verrai anche tu con me e la mamma?

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– Se vuoi – rispose lei e allungò verso di lui un sacchetto di plastica. – Potrebbe andare come costume di scena?

Max vi guardò dentro curioso ed estrasse uno a uno gli indumenti all’interno: una bella camicia da contadino, sgualcita al punto giusto; un paio di pantaloni al ginocchio in velluto marrone, rattoppati qua e là; due spessi calzettoni di lana grigia.

Le saltò al collo e l’abbracciò.

– Sono perfetti! Sono proprio i vestiti di Jack ! Grazie!

Max era davvero contento perché sapeva che, regalandogli quei vestiti, Lisa aveva voluto chiedergli scusa per la faccenda della calzamaglia. Di più non avrebbe potuto sperare perché Lisa, in tutta la sua vita, di scuse ne aveva pronunciate veramente poche.

– Non c’è di che! Sono contenta che ti piacciano! Ora dobbiamo solo aggiungerci un paio di scarpe. Perché non chiedi a papà di prestarti le sue da montagna? Sono abbastanza orribili e rovinate da fare al caso tuo!

Detto fatto. Anche la faccenda scarpe era sistemata.

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Mancavano ormai pochi minuti al provino. Bisognava affrettarsi.

Si avviarono all’auto tutti insieme, ma a un tratto Max si fermò e tornò velocemente verso casa urlando:

– Andate pure avanti! Arrivo subito!

Quel giorno avrebbe voluto fare a meno di Umberta, ma la prova era troppo importante per andare da solo. L’afferrò velocemente da sopra il suo letto e salì in fretta e furia in macchina.

Con un tonfo secco chiuse la portiera e la mamma avviò il motore.

– Non mi dire! – esclamò Lisa non appena oltrepassarono il cortile per parcheggiare. – Tutti questi bambini in fila sono qui per la parte? Davvero?

– Accipicchia! – si meravigliò Max. – Avevi proprio ragione tu, mamma!

Max infilò velocemente la sua coperta sotto il cappotto senza che nessuno se ne accorgesse.

La mamma aveva previsto giusto: mancavano solo pochi minuti all’ora stabilita per i provini e il cortile davanti alla palestra sembrava la piazza del mercato rionale. Piccoli aspiranti attori si aggiravano nervosamente in su e in giù,

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ripassando le loro battute e agitando le mani qua e là, mentre i loro accompagnatori li seguivano passo passo, pronti con i loro suggerimenti in caso di necessità.

– Ma quella non è la madre di Luigi? – chiese la mamma di Max, indicando una signora impellicciata e ingioiellata che rassettava i capelli di un bambino lentigginoso.

Max fece una smorfia profonda.

– Già, e quello è proprio Luigi in persona. Non avrei mai immaginato che si sarebbe presentato anche lui per la parte.

La signora, intanto, preannunciando una qualche banale frase di circostanza con un sorriso a trentadue denti, si stava dirigendo verso di loro.

– Caaara Miriam, caaaro Max, e... – aggiunse frettolosamente, – cara Lisa! Anche voi qui! Bene, sono sicura che i nostri bimbi daranno il meglio di sé! Peccato ne debbano scegliere uno solo!

– Già! – rispose la mamma di Max, un tantino imbarazzata.

Poi aggiunse ridendo:

– Dopotutto, Jack non ha fratelli gemelli! La mamma di Luigi mostrò una bocca che sembrava ingrandirsi a ogni parola.

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– Sai che ho sentito parlare molto bene di questa nuova compagnia teatrale? Pensa: il regista sta lavorando per un progetto sperimentale nelle scuole. Si prevedono grandi affari per chi ha vero talento... Non ho mai avuto il piacere di vedere Max recitare. Non aveva partecipato alla recita natalizia della scuola, l’anno scorso?

– No. Veramente lui non ama le recite natalizie. Dice che c’è poca azione!

– Oh, che peccato! Eppure, già dalle prime recite scolastiche si vede se un ragazzo ha talento oppure no. Sai, non spetta certo a me dirlo, ma il mio Luigi... Beh, io credo che farà molta molta strada! Mentre parlava, la mamma di Luigi si pavoneggiava nella sua pelliccia. Intanto il figlio si era avvicinato a Max e, muovendo le mani in avanti verso di lui, come volesse indicare la strada giusta alle parole, gli disse con gran cura per la corretta dizione:

– Ehilà, anche tu qui! Non sapevo che avessi deciso di partecipare alla selezione!

– Già, neppure io avrei creduto di vederti qui. Ti sei preparato la parte?

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– Certamente! – continuò Luigi scandendo le sillabe. – Ho passato tutto il pomeriggio a provarla. La mia mamma ha detto che è davvero un buon lavoro. E tu, cos’hai preparato?

– Beh, anche io ho studiato qualche battuta, ma la mia mamma non mi ha detto niente, perché... non gliel’ho fatta sentire! Ma tu hai già visto il regista? – chiese poi Max, che non vedeva l’ora di entrare in palestra.

La vicinanza di Luigi lo rendeva un po’ nervoso.

– No, ma la mia mamma ha detto che è bravissimo e sa riconoscere i veri talenti. Non vorrei scoraggiarti, ma se ci chiamano in ordine alfabetico, io sono prima di te. Puoi anche tornartene a casa!

La sua voce si era fatta stizzosa, cattiva.

Max strinse forte Umberta sotto il cappotto e raggiunse sua madre, salvandola dalle chiacchiere insopportabili dell’altra mamma.

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Il portone della palestra si aprì dall’interno e uscì una signorina.

Era la classica segretaria seria e impassibile.

– Benvenuti a tutti – disse. Il vociare del cortile si spense improvvisamente.

La segretaria continò con il suo linguaggio da scartoffie.

– Siete pregati di apporre i vostri nomi e cognomi sul modulo che abbiamo predisposto sul bancone all’ingresso. Procederemo in ordine alfabetico. Buona fortuna a tutti!

Max cercava di non dare nell’occhio, ma in realtà si sentiva emozionatissimo.

Mai e poi mai avrebbe immaginato di doversi misurare con una quarantina di Jack, di tutte le dimensioni. Aveva fatto proprio bene a portarsi Umberta, pensava fra sé.

Sbrigate le formalità, tutti i concorrenti furono fatti entrare nella grande palestra con preghiera di restare in silenzio. Uno a uno sarebbero stati chiamati per esibirsi davanti al regista.

Questo era proprio il classico prototipo del regista: maglione nero, sciarpa al collo, sguardo un po’ perso nel vuoto dietro pesanti occhiali dalla montatura colorata.

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La mamma di Max fece un rapido calcolo in base ai cognomi:

– Ne avrai almeno venti, davanti. Luigi compreso! – gli disse.

Ma Max non aveva fretta. Anzi, fremeva nell’attesa di vedere i suoi concorrenti all’opera, per giudicare se davvero la sua interpretazione poteva essere interessante.

Giovanni fu il primo Jack: un bambino piccolo piccolo, che tremava come una foglia per l’emozione.

Il regista gli disse di non preoccuparsi, di fingere di essere il piccolo Jack e di partire con le sue battute quando se la sarebbe sentita. Ma il piccolo Giovanni continuava a tremare, forse intimorito da tutto quel pubblico davanti. Rimase impalato per qualche istante, poi corse verso la sua mamma.

Il regista non ci fece molto caso e disse:

– Passiamo al prossimo!

I bambini che seguirono - una decina circadicevano più o meno le stesse cose:

– Mi chiamo Jack, sono un bambino povero. Ho una mucca che fa tanto latte. La mia mamma mi ha detto di andare al mercato. Bla bla. Bla bla. Bla bla.

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Il regista pareva visibilmente annoiato e lanciava occhiate complici alla segretaria come per dire:

– Ne mancano ancora molti?

Finalmente arrivò il turno di Luigi.

Quando lo chiamarono per cognome, la sua mamma si fece largo fra tutti gli altri per poter essere più vicina al figlio mentre recitava.

– Allora, credo che tu già sappia cosa fare! –disse il regista. – Quando sei pronto puoi partire.

Luigi avvicinò la mano sinistra alla gola e si schiarì la voce, poi si sistemò per bene la giacchetta di fustagno, mettendo in evidenza la borsa portadenari che portava a tracolla.

– Bel costume davvero! – esclamò il regista. – Molto realistico! Procediamo!

Luigi prese un’espressione triste triste:

– Il mio nome è Jack. Sono un povero bambino e dimoro in una angusta casa con mia madre, una povera donna che fatica da mane a sera per portare in tavola un tozzo di pane ogni giorno...

La mamma di Luigi muoveva le labbra come se stesse parlando lei stessa.

Il regista non riuscì a trattenere una risatina sommessa verso la sua segretaria, che lo guardava incuriosita.

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Ora Luigi muoveva sempre più animatamente entrambe le mani, raccontando del duro lavoro quotidiano, delle stalle da pulire, dell’orto da coltivare.

Dalla platea degli altri concorrenti scoppiavano qua e là piccole risate. Le mamme, invece, cercavano di mantenersi serie perché Luigi non ci rimanesse male.

A un certo punto il regista non ne poté più e sbottò:

– Ora basta, stiamo cercando il protagonista di una fiaba! Questa sembra una tragedia greca! Comunque, grazie e arrivederci! Non va bene proprio!

Luigi sgranò gli occhi per la sorpresa. Era convinto di aver fatto colpo con la sua interpretazione e rimase immobile come un baccalà.

Sua madre gli si avvicinò, lo prese per un braccio e lo trascinò via, urlando verso il regista:

– Si vede che è alle prime armi. Lei è un vero incompetente!

Di lì a poco sarebbe toccato a Max. Era emozionatissimo.

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Ancora non aveva osato togliersi il cappotto, per paura che Lisa e la mamma gli consigliassero di lasciare Umberta. Ora, però, non c’era più tempo da perdere: toccava proprio a lui.

Si levò velocemente il cappotto e si mise Umberta sulle spalle come una mantellina da pioggia.

Chiamarono il suo nome.

La mamma non fece in tempo a dirgli “Vai!” che Max era già bell’e pronto davanti al regista.

Lisa lanciò un’occhiatina complice verso la mamma:

– Ma dove aveva la coperta? – le chiese. – Ha rovinato tutto l’effetto coreografico del costume, con quella specie di orrendo mantello!

– Non dirgli nulla, prima o poi deciderà da solo di lasciarla da parte! – la zittì lei.

– Ma guarda che strano personaggio! – esordì il regista divertito. – Devi aver pensato a un Jack un po’ particolare per decidere di fargli portare un mantello del genere! Allora, dimmi, tu... chi sei? Chi sei?

La stessa domanda Max l’aveva sentita ripetere a decine di bambini prima di lui.

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Avrebbe potuto iniziare a recitare la piccola parte che si era preparato, ma quella era la parte di Max, e ora lui si sentiva davvero Jack. E solo Jack avrebbe potuto parlare di se stesso senza pensare prima a costruirsi le parole.

Strinse pian piano un lembo della coperta mentre sentiva le sue guance arrossire e bruciare.

Fece finta di nulla e incominciò:

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– Vede, Signore, quando nacqui mi chiamarono Jack ed è così che ancora mi chiamo. Lei mi vede qui vestito in questo modo. So di non essere elegante, ma la mia mamma mi ha mandato di buon’ora al mercato per vendere la mucca e il freddo della notte ancora non se n’è andato. Siamo molto poveri, mia mamma e io, e non posseggo un vero mantello. Così, quando esco presto presto, porto con me la coperta che mi scalda, e quando il sole arriva io la lego per i quattro lembi al mio bastone e diventa un prezioso zainetto per mettervi dentro ciò che raccolgo.

Così dicendo, prese Umberta per un lembo e se la tolse rapidamente dalle spalle. Fece velocemente un nodo con tutti e quattro i suoi lembi insieme e la appese al piccolo bastone che aveva tenuto fino ad allora sotto un braccio. Poi lo posò delicatamente su una spalla e si mise a saltellare, galoppando e fischiettando per la palestra.

– Bene! Bravo Jack ! – applaudì il regista. – Un’originale interpretazione del personaggio! Puoi andare!

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Poi si voltò verso la sua segretaria, facendole un lieve cenno affermativo con il capo.

– Brava Umberta! – disse Max fra sé e sé.

Al ritorno, in automobile, Lisa e la mamma si complimentarono con lui.

– E brava la pulce ! – esclamò Lisa, orgogliosa del fratello. – Sembravi proprio un furbo ragazzino di campagna! E il trucchetto della coperta che si trasforma in fagotto? Geniale, davvero! Hai visto come ha applaudito?

– Quando si saprà il nome del bambino scelto? – intervenne la mamma.

– Credo domani. Sarà appeso all’albo della scuola.

Il giorno seguente, infatti, all’albo della scuola c’era scritto a grandi lettere il nome di Max, sotto alla dicitura: RAGAZZO SCELTO PER LA PARTE DI JACK.

– Bella parte! – si sentì dire all’improvviso.

Luigi gli era arrivato alle spalle proprio mentre si trovava davanti al tabellone.

– Non avrei mai accettato un ruolo così stupido! – proseguì il compagno invidioso. – E con quel regista incapace! Non vorrei proprio essere nei tuoi panni quando vi fischieranno!

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Max non seppe trattenersi.

– Allora, perché ti sei presentato allo “stupido” provino? Avresti potuto rischiare di essere preso per quella stupida parte!...

Un attimo di pausa, poi: – Se solo non avessi confuso la parte di Jack della pianta di fagioli con quella della piccola fiammiferaia!

Luigi diventò rosso paonazzo dalla rabbia e se ne andò via in un baleno.

Le prove della compagnia si tenevano tre pomeriggi a settimana per due ore e mezza.

Il regista non era un tipo tenero, specialmente con i protagonisti. Quando gli pareva che qualcosa non quadrasse alla perfezione, si dimenticava dell’orologio e della stanchezza e faceva ripetere e ripetere finché tutto non gli sembrava a posto.

Max tornava a casa stanchissimo, ma sempre allegro.

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Il giorno del debutto si stava avvicinando rapidamente. In città, i più attenti potevano già notare, appesi qua e là, i primi manifesti dello spettacolo.

LA COMPAGNIA TEATRALE “I RANOCCHI” È

LIETA DI INVITARVI AL SUO DEBUTTO.

VI ASPETTIAMO NUMEROSI

Su ogni manifesto c’era anche il piccolo stemma della compagnia: alcuni simpatici ranocchi con le loro brave coroncine in testa, come per dire che in ogni ranocchio, a ben guardare, c’è un bel principe che aspetta, prima o poi, di rivelarsi.

Il giorno del debutto dei ranocchi arrivò.

Più si avvicinava l’ora fatidica, più Max trovava una qualche scusa per tenersi vicino Umberta.

– Fa un po’ freddo, oggi – diceva.

Oppure:

– Mi serve qualcosa da tenere in mano...

Comunque, Max sapeva che avrebbe potuto tenerla sulle spalle durante la recita e questo lo rassicurava, gli dava un senso di protezione.

La famiglia al completo, zii e parenti più prossimi compresi, aveva già preso posto in platea.

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Max, intanto, in una specie di camerino improvvisato dietro le quinte, stava cercando di non starnutire in faccia alla truccatrice che lo cospargeva di polvere rosa.

– Bene così – diceva soddisfatta, – un vero contadino!

Pur essendo seduto, le sue gambe iniziarono a tremare, prima piano piano, poi sempre più forte.

Quando la truccatrice ebbe finito, si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro.

– Ma dai! Che sarà mai? Ci saranno sì e no duecento persone! – diceva fra sé.

Provò a scostare leggermente il sipario, lanciò una rapida occhiata in platea e restò davvero allibito.

– Du-du-duecento persone! Tutti qui, per vedere me!

Corse a mettersi Umberta sulle spalle e si sentì subito un po’ rassicurato.

Proprio dietro la mamma e le nonna avevano preso posto Luigi e sua madre.

Lei era più ingioiellata che mai e la sua bocca spiccava per un rossetto arancione che la faceva sembrare ancora più grande.

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Luigi, invece, stava seduto composto come un damerino dell’ottocento, con un pomodoro maturo nascosto sotto la giacca. Non vedeva l’ora di poterlo lanciare sul palcoscenico approfittando della confusione generale. Quello era l’unico motivo che l’aveva portato a teatro.

Sua madre non poteva distogliere gli occhi dalla mamma di Max: avrebbe dovuto essere lei la madre del primo attore! Non riusciva a darsene pace. Avevano curato le battute di Luigi nei minimi particolari e quel regista incompetente non aveva saputo apprezzare il loro lavoro! E mentre nella sua mente turbinavano questi pensieri, ascoltò per caso una breve conversazione fra la mamma di Max e la nonna.

– Cosa mi dici del mio Max? È emozionato? –chiedeva la nonna.

– Moltissimo. Non ha fatto altro che provare e riprovare le battute da stamattina.

– E con la coperta come la mettiamo? Si è deciso finalmente a lasciarla da parte? Si è deciso?

– No, non esattamente. Anzi, volevo giusto parlartene – continuò la mamma un poco imbarazzata. – La porterà anche in scena, come

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un mantello. Per favore, fingi di non essertene accorta. Ho paura che ci rimarrebbe male, se tu lo rimproverassi per questo.

Gli occhietti vispi della mamma di Luigi s’illuminarono di curiosità e subito allungò il collo per ascoltare meglio il seguito del discorso.

– Non ti preoccupare, non gli dirò nulla. Mi chiedo quando crescerà, però. Non ti pare eccessivo che un bambino grande e grosso come lui abbia ancora bisogno di portarsi appresso una coperta per sentirsi a suo agio? Guarda un po’ se devo avere come nipote un Linus in carne e ossa!

– Guarda, stanno alzando il sipario! – la interruppe la mamma.

Fra gli applausi generali, la conversazione si fermò, mentre alle loro spalle ne iniziava un’altra, fitta fitta, fra Luigi e la sua mamma.

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La rappresentazione prevedeva due tempi separati da un breve intervallo, durante il quale non sarebbe potuta mancare un’estrazione della lotteria.

Lisa aveva anche in tasca un paio di biglietti ma, al termine del primo tempo non se ne ricordava neppure, presa com’era dall’orgoglio di essere la sorella maggiore del piccolo Jack. Max, infatti, aveva dato il meglio di sé.

– Mamma, sembra un vero attore! – non smetteva di ripetere. – Quella pulce è nata per saltellare su un palcoscenico!

La nonna aveva dovuto ripeterle più volte di stare zitta.

– Guarda – le aveva detto infine, – lì dietro c’è un posto libero. Perché non continui i tuoi commenti da là?

– Come, proprio vicino alla mamma di Luigi! –fu la risposta immediata. – Fossi matta!

E dopo un attimo, giusto per suscitare un altro po’ le ire della nonna, continuò:

– Strano, però, che lui non sia venuto!

Luigi, infatti, non c’era più. Al suo posto era rimasto solamente un minaccioso pomodoro.

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Quella terribile bestiaccia dell’invidia può far compiere azioni davvero incredibili. Persino ai bambini che paiono più innocui!

Luigi, dopo aver ascoltato la rivelazione di sua madre riguardo al costume “magico” di Max, si era messo in testa di togliere di mezzo quella coperta.

Era persino convinto che quell’azione fosse solo un atto di giustizia: dopotutto, secondo lui, Max stava barando, e aveva barato anche il giorno del provino. Era come portarsi un suggeritore a fianco!

Così, piano piano, si era allontanato dalla sala durante l’estrazione dei biglietti fortunati.

Nessuno l’aveva notato, anche perché si stava dando la caccia al vincitore del primo premio.

La porticina che conduceva al palcoscenico cigolava un po’. Luigi lo sapeva bene perché proprio lì aveva recitato in occasione del Natale.

Approfittò del rumore di un applauso per aprirla velocemente e penetrare all’interno schiacciandosi quatto quatto contro il muro.

Tutt’intorno era buio.

Gli attori stavano preparandosi per il secondo atto. Sentiva le loro voci una sopra l’altra.

In attesa di entrare in azione, si nascose sotto la scaletta che portava al quadro delle luci.

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Il secondo atto iniziava con la scena di Jack che si arrampica sulla pianta di fagioli fino ad arrivare alla casa del gigante.

Per costruire la pianta di fagioli due bravi scenografi avevano avuto l’idea di ricoprire di rami e foglie verdi una stretta scala a chiocciola.

Stava per alzarsi il sipario.

Di lì a poco, Jack, secondo le sue previsioni, avrebbe dovuto passargli a fianco per entrare in scena e lui, più veloce della luce, gli avrebbe tirato giù la coperta, lasciandolo senza parole.

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Ma, cosa stava facendo?...

Max non entrava da quel punto!

Inaspettatamente, quando il sipario si era aperto, lui era già in scena, avvolto dal buio più cupo.

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D’improvviso, un fascio di luce lo illuminò. Era al centro del palcoscenico, che guardava attonito la sua enorme pianta di fagioli.

Luigi si morse le mani per la rabbia.

– Come posso fare per togliergli la coperta? – si chiese. E intanto pensava a come raggiungere il centro del palcoscenico senza essere visto.

– Devo ammettere che Max è proprio bravo!

Sembra davvero sorpreso di trovarsi davanti una pianta così grande! Certo, però: ha una coperta magica!

Intanto Max recitava.

– Accipicchia! Quanto è cresciuta! Ma dove finirà? Forse in cielo? Non c’è che un modo per scoprirlo! Mi arrampicherò fino all’ultima foglia!

E, così dicendo, iniziava faticosamente a scalare la pianta, appoggiando le mani sui gradini più alti della scala a chiocciola e tirandosi su un piede dopo l’altro. Quando fu in cima, nessuno lo vide più.

Serviva un po’ di tempo per poter cambiare la scena.

Il sipario si abbassò velocemente.

Tutto si svolse in pochi secondi: la scala a chiocciola fu trasportata fuori facilmente perché aveva le rotelle e fu illuminato lo scenario.

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Si sentì bussare a una porta di legno e Jack entrò timidamente nella cucina del gigante.

Lo accolse sua moglie.

– È ancora troppo lontano da me! – disse fra sé Luigi. – Ma da qui la visuale è perfetta. Quanto è brutta la moglie del gigante!

– Mio sfortunato bambino – gli diceva, – sei capitato nella casa dell’orco! Se ti trova, ti mangerà.

Sul volto di Jack, nessuna paura.

– Veramente sono io che ho molta fame. Mi sono arrampicato a lungo per giungere fin qui. Non mi darebbe qualcosa da mettere sotto i denti? Rimbombarono dei forti passi dall’esterno: il gigante stava rincasando.

In realtà si trattava di un grosso gong percosso proprio a un paio di metri da Luigi, mimetizzato dietro la scala del vano luci.

– Presto! – fece la donna. – Nasconditi nel forno, o ti mangerà!

“Che fortuna!” pensò Luigi. “Il forno è proprio qui vicino. Finalmente riuscirò a togliergli la coperta dalle spalle!”

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– Fossi matto! – disse Jack. – Non sarà certo in un forno che mi rifugerò per non essere mangiato!

E si infilò velocemente nella dispensa, dall’altra parte del palcoscenico.

“Acc!... non è possibile!”

Luigi aveva voglia di urlare, e quando vide entrare il gigante dalla grossa porta poco distante da lui, lo fece veramente.

L’omone si voltò, pensando che stesse accadendo qualcosa.

Era davvero terrificante. Il viso era largo, rugoso, annerito di cenere e le mani grandi e pelose.

Pur sapendo che lì sotto c’era un uomo vero, buono e “normale” come tutti gli altri, Luigi non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, pietrificato dalla paura. Il gigante si muoveva lentamente e con grande rumore passeggiava sul palco avanti e indietro. Quell’uomo era davvero abile a camminare sui trampoli, ma a ogni passo il tonfo gli faceva rimbalzare il cuore in gola.

– Che mi hai preparato da mangiare, donna?

Sono stanco per il lavoro e mi devo rifocillare! Mi ci vorrebbe proprio un bel bambino, paffuto e roseo, con contorno di patate novelle, arrostite a puntino. Mi vuoi accontentare?

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– Mio caro consorte, signore e padrone, lo vorrei davvero, ma purtroppo i bambini li abbiamo finiti ieri, ricordi? Oggi ti ho cucinato un manzo lessato niente male. Siedi a tavola e te lo servirò immediatamente!

Il gigante annusò nell’aria come un cane segugio.

– Eppure, il mio fiuto non mi può ingannare.

Sento odore di bambino!

– Ti sbagli, tesoro. Bambini non ce ne sono più. Sarà ancora il profumino di quello di ieri. Avevo usato una nuova ricetta.

Luigi iniziò a tremare dalla paura.

Si sentiva gli occhi del gigante puntati addosso.

“Non avrei dovuto mettermi il dopobarba di papà, oggi. Forse è quello che sta annusando nell’aria. E se mi scopre?”

– Ti dico che sento un odore strano, donna. Cosa mi stai nascondendo?

Il gigante pareva impazzito e sollevava sedie, apriva armadi, cassetti...

Luigi era sempre più impaurito. Non si ricordava neppure perché era lì. Tutto era divenuto così reale, così incredibilmente vero.

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Finalmente il gigante si sedette e si addormentò.

Solo allora Luigi riprese a respirare normalmente e smise di tremare.

Max, intanto, che era sempre rimasto nascosto nella credenza, uscì quatto quatto, rubò una borsa di monete d’oro che pendeva dal taschino del gigante e uscì di scena tra gli applausi generali.

Il sipario si richiuse.

Luigi non poteva più aspettare lì impalato. Era giunto il momento di agire. Approfittò del via vai degli addetti alla scenografia per confondersi tra loro e intrufolarsi nella buca del suggeritore.

Un’altra scena stava per avere inizio. Non avrebbe più potuto fallire. Jack, di sicuro, sarebbe passato lì accanto e lui gli avrebbe tirato giù la coperta senza indugio.

“Ci sarà proprio da divertirsi!” pensava.

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Fu riportata la scala a chiocciola camuffata da pianta di fagioli e la scena successiva iniziò.

Solita arrampicata sulla pianta, solito incontro con la moglie dell’orco. E i passi del gigante di ritorno a casa.

Tutto procedeva secondo copione.

– Sta tornando mio marito! Ti devi nascondere: presto, nella stufa!

“Eh, che fortuna!” pensava Luigi. “La stufa è proprio qui davanti a me! Appena passa di qua, il gioco è fatto!”

– Fossi matto! Non sarà certo in una stufa che mi rifugerò per non essere mangiato! – disse Jack, e si rintanò nella solita credenza.

“Acc!... Mi è andata male anche stavolta!”

Ma proprio in quel momento le assi di legno del palcoscenico iniziarono a tremare.

“Oh, mamma, un terremoto! E io sono proprio qui, da solo. Su un palcoscenico, anzi sotto. Aiuto!”

Erano solo i passi del gigante trampoliere che stava tornando, ma ancora una volta per Luigi la finzione si trasformò in terribile realtà e ricominciò a tremare dalla paura.

– Eppure sento odore di bambino! Dov’è, donna? Ho fame!

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– Non c’è nessun bambino. Non ho avuto tempo di passare dal bambiniere, stamattina, ma domani, te lo prometto, ci andrò e ti comprerò il bimbo più tenero e paffuto del negozio. Ora siedi e ti servirò un paio di vitelli per antipasto!

– No, non mi siedo, lo devo trovare!

E intanto rovistava, spostava, apriva, annusava. Ma il momento più tragico arrivò quando, per caso, il gigante puntò i suoi tremendi occhi neri dentro la buca del suggeritore. Luigi si prese la testa tra le mani e si mise a singhiozzare:

– No, no, non sono un bambino! Sono solo un po’ piccolo!

L’attore che interpretava il gigante avrebbe voluto far finta di niente e continuare la sua parte, ma Luigi era talmente spaventato che non smetteva di urlare:

– Pietà, son qui per caso! Me ne vado subito. Pietà!

In sala, intanto, tutti si chiedevano quali sorprese avrebbe riservato quella strana interpretazione della favola di Jack e la pianta di fagioli. Tutti meno la mamma di Luigi, l’unica ad aver capito che quella voce che piangeva disperatamente non stava recitando.

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La curiosità degli spettatori era al culmine.

La moglie del gigante cercò di normalizzare la situazione:

– Caro, su, ora siediti: tutto è pronto!

Lui, ubbidiente, si sedette, ma i singhiozzi dalla buca del suggeritore non accennavano a placarsi.

– Uah, voglio la mamma!

A questa accorata richiesta d’aiuto, la mamma di Luigi schizzò in piedi.

– Tesoro, sono qui! Vengo a prenderti, ma dove sei?

Tutti si voltarono stupiti verso di lei.

– Geniale, questo regista! – disse un tizio in prima fila al vicino di posto. – Una trovata davvero riuscita: far interagire il palcoscenico con la platea! Davvero notevole!

Intanto il gigante, visibilmente imbarazzato, cercava di continuare:

– Ehm, hai proprio ragione, cara! – disse con una vocina mansueta. – Non c’è nessun bambino, qui. E poi, mi piacciono tanto i vitelli!

– Sono qui! Nella buca! Aiutami! – continuava a urlare Luigi, che ormai aveva perso completamente il controllo ed era fuori di sé.

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Max, dentro la sua credenza, aveva riconosciuto la voce di Luigi, ma non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Sapeva solamente che in queste situazioni impreviste un vero attore deve improvvisare.

E qualcosa avrebbe fatto.

Non sapeva ancora cosa. Umberta era lì, sulle sue spalle. Non era solo.

Contò mentalmente:

“Uno, due, tre”.

Poi aprì di scatto l’anta della credenza, urlando:

– Avevi ragione, orribile gigante, riguardo all’odore di bambino! Ma ti sbagliavi sul numero! Siamo in due!

E si precipitò a tirar fuori dalla buca del suggeritore Luigi, che sembrava stesse facendo l’imitazione della sirena dei pompieri.

– E io e mio fratello – continuò a urlare – non abbiamo nessuna intenzione di diventare il tuo antipasto come questi due vitelli!

In sala tutti seguivano con attenzione e interesse quello che stava succedendo. Il silenzio era totale, non si sentiva fiatare una mosca.

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La mamma di Luigi, che era già arrivata agli ultimi gradini del palcoscenico, si arrestò.

Luigi sembrava essersi calmato.

Il regista, da dietro le quinte, faceva segni a non finire che nessuno degli attori in scena riusciva a comprendere. Comunque, si doveva continuare:

– Ah sì? – urlò il gigante alzandosi dalla sedia e battendo i pugni sul tavolo. – Come osate entrare in casa mia con le vostre gambe?

– Abbiamo sentito dire che qui abita un gigante a cui piacciono i bambini e siamo venuti per fare la sua conoscenza! – disse Max-Jack, con una tenera vocina.

– Certo che mi piacciono i bambini!... – lo canzonò il gigante con lo stesso tono di voce – ...Ma da mangiare!!!

E fece per acchiapparli.

La moglie del gigante si gettò ai suoi piedi anche lei improvvisando:

– Ti prego, Ugo (chissà perché proprio Ugo, ma nessuno aveva mai pensato di dare un nome al gigante della fiaba, e Ugo era il primo nome che le era venuto in mente), lascia andare questi bambini. Guarda come si vogliono bene, come si tengono per mano... Guarda quanto sono teneri!

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– Giusto, teneri sono! – replicò lui impassibile. – È per questo che mi piacciono! Comincia ad accendere il forno, Clotilde!

Dalla platea si levò una debole eco.

– Clotilde?

Evidentemente nessuno si era mai chiesto prima come si chiamasse la moglie dell’orco di Jack e la pianta di fagioli.

Luigi si era calmato e iniziava a divertirsi nel suo ruolo di comparsa. Cosa sarebbe accaduto, ora? Non restava che aspettare: l’orco non gli faceva più paura.

Proprio in quel momento Max si rivolse con lo sguardo alla moglie dell’orco per chiedere rinforzo e i suoi occhi si posarono per caso dietro di lei: rimase pietrificato.

Incastrata dietro l’anta richiusa della credenza, c’era Umberta che pendeva fin giù quasi al pavimento.

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Max si toccò istintivamente le spalle. Umberta non era più lì. Si sentì le gambe tremare, e non riuscì più a dire una parola.

– Mamma, guarda! – esclamò Lisa. – Si è accorto di essere rimasto senza coperta. Poverino, non riesce più a parlare!

Anche Luigi capì che Max era in difficoltà e ne intuì facilmente il motivo.

L’orco, intanto, continuava a parlare:

– Sedetevi pure comodi, miei cari ospiti. Non è ancora l’ora di pranzo.

Max non riusciva neppure a fare un passo e continuava a tremare, in preda al panico. Luigi sentiva che doveva intervenire: fece un giro veloce intorno al tavolo e, passando accanto alla credenza, prese Umberta per un lembo e la tirò fuori. Poi si avvicinò a Jack con una sedia e, fingendo di farlo sedere, gliela posò delicatamente sulle spalle.

– Gra... grazie!

Max sembrava riprendersi. Si strinse ben bene Umberta intorno al collo e continuò:

– Certo che ci sediamo, ma per discutere, non per aspettare l’ora di pranzo. Vero, caro fratello? –disse rivolgendosi a Luigi.

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Lui gli strizzò l’occhio e si sedette lì accanto.

– E di cosa vorreste discutere, pulci ?

– Bella battuta, questa, vero mamma? – notò Lisa.

– Della nostra società – rispose Jack, senza battere ciglio.

– Socieché? – fece il gigante meravigliato.

– Mi sorprende che un gigante saggio e colto come te non sappia cosa è una società.

– Ma certo che lo so! – continuò il gigante, punto sull’orgoglio. – Volevo solo accertarmi che lo sapeste voi!

– Beh, visto che noi lo sappiamo, possiamo continuare! Altro che continuare!

In realtà Max non sapeva dove sarebbe andato a parare e sperava in Jack. Il regista, ormai, aveva rinunciato a dare ogni suggerimento e stava anche lui in attesa, a metà fra il divertito e il preoccupato.

– Noi siamo poveri, ma ricchi d’idee. Tu sei ricco, ma, scusa se mi permetto, un po’ scarso di fantasia!

– Come osi dirmi questo?! – fece il gigante risentito.

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– Sì, non hai fantasia! Ne parlavo proprio con tua moglie. Da quanto tempo non cambi il tuo menu?

Bambini arrosto, vitelli, manzi... Che noia! Non hai mai voglia di assaporare qualcosa di nuovo e insolito?

Il gigante ascoltava pensieroso.

– Davvero insolita, questa rappresentazione! –commentava nel frattempo il signore in prima fila, che doveva essere un intenditore.

– E cosa mi consiglieresti, pulce? Non conosco altro di commestibile per la mia portata – replicò l’orco incuriosito.

– Hai mai assaggiato dei fagioli? – disse Jack timidamente.

L’orco scoppiò a ridere e a battere i piedi rumorosamente.

– Non ne sento neppure il sapore. Sono più piccoli delle mie papille gustative!

– È vero! – intervenne l’orchessa. – Ho provato a cucinargli una pasta e fagioli, una volta, ma i fagioli sono così piccoli per lui che, perché riuscisse a percepirne il sapore, ho dovuto usarne venti chili.

E infine ha avuto il coraggio di chiedermi se avevo cambiato la marca del tè!

– Ma certo! È proprio qui che interviene l’idea

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della società! Io – propose Jack – potrei aiutarvi ad avviare una coltivazione di fagioli giganteschi.

– Tu parli a vanvera solo per aver salva la pelle. Ma ti avverto che ho un certo languorino... – lo interruppe l’orco.

– Lascia che ti mostri un fagiolo gigante e poi deciderai se sto mentendo!

Il regista, da dietro le quinte, si mise le mani tra i capelli: dove avrebbero trovato un fagiolo gigante da portare in scena? Fece cenno agli attrezzisti di mettersi subito al lavoro. Intanto, la conversazione proseguiva.

– E ammesso che quello che stai dicendo sia vero, a cosa mi gioverà? – continuò il gigante, con un vocione sempre più forte.

– Lo vedi che il pallino per gli affari proprio non ce l’hai? Hai bisogno di noi due come consulenti! Suvvia, per prima cosa assaggi un cibo nuovo e poi... Non hai degli amici giganti come te? Non credi che anche per loro sarebbe una grossa novità poter variare l’alimentazione con qualcosa di gustoso e insolito? Tu non avresti concorrenti, saresti l’unico gigante ad avere una coltivazione di fagioli giganti. A quel punto, i tuoi affari andrebbero a gonfie vele!

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– Uhm! – fece il gigante quasi convinto.

E sua moglie gli fece eco:

– Uhm!

Max lanciò un’occhiata veloce dietro le quinte per vedere se il fagiolo era stato completato. Il regista, sorridendo, gli mostrò il pollice verso l’alto. Si poteva andare avanti.

– Bene! Non dovete far altro che seguirci! –disse Jack per concludere anche quella scena.

E finalmente calò il sipario per lasciare il tempo di rimettere la pianta di fagioli al centro del palcoscenico.

Un enorme fagiolo di cartapesta era stato appoggiato all’ultimo gradino della scala.

L’ultima scena si aprì con Jack in cima alla pianta, Luigi sotto e l’orco e sua moglie, curiosi, ai lati.

– Questa è una pianta di fagioli gigante, come potete vedere – iniziò Jack – e su una pianta di fagioli gigante ci sono ovviamente dei fagioli...

– Giganti! – dissero in coro orco e orchessa.

Jack prese in mano a fatica il grosso fagiolo di cartapesta e lo mostrò alla coppia di orchi.

– Allora, vi siete convinti? Non vi resta che cucinarlo.

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Per farla breve, l’orco fu entusiasta del sapore di quel nuovo cibo. C’era persino la possibilità che l’orco diventasse vegetariano!

– Con i bambini e la carne ho chiuso! – disse entusiasta. – Ci daremo da fare per ingigantire e coltivare di tutto!

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Così l’orco accettò l’idea di entrare in società con Jack e suo fratello, che non aveva detto una parola da quando era uscito dalla buca.

Jack ci avrebbe messo la prima pianta di fagioli, la sua abilità negli affari e la sua furbizia, mentre l’orco prometteva di occuparsi dell’aspetto economico e soprattutto delle spese necessarie per iniziare la produzione su larga scala.

Il sipario calò sul quadretto felice di orco, orchessa, Jack e fratello timido che si stringevano le mani per dar simbolicamente vita alla JACKGIANT & C.

Fu un vero tripudio di applausi.

La mamma di Luigi urlava “Bravo!” e si spellava addirittura le mani per applaudire più forte di tutti. Lisa non era da meno. La mamma e la nonna di Max cercavano di mostrare un certo contegno anche nell’applaudire. Max, dal palcoscenico, le guardava e rideva.

La nonna gli fece ok con la mano e disse alla mamma:

– Avevi ragione che quando non avrebbe più avuto bisogno della coperta se la sarebbe tolta spontaneamente. Il nostro Max è cresciuto!

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Solo allora la madre di Max si accorse che Umberta non era più sulle spalle di Max.

– Oh, mamma! – esclamò. – Speriamo non se ne accorga!

– Come? – continuò la nonna. – Ma se l’è tolta lui, prima di salire sulla pianta a prendere il fagiolo gigante! Credo che gli rendesse più difficile la salita.

– Brava pulce ! – urlava Lisa.

– Avete notato che artista, il mio Luigi? – andava dicendo a destra e a manca sua madre. – Che portamento! Che interpretazione! Non lo dico certo perché è mio figlio, ma quel ragazzo ha del talento!

Nessuno ebbe il coraggio né la voglia di chiedere a Luigi cosa ci facesse nella buca del suggeritore, spaventato come un coniglio.

Dopotutto, quella era stata una grande interpretazione per tutti.

Il regista corse a stringere le mani ai suoi attori.

– Bravi, bravi! Non avete battuto ciglio! È così che agiscono dei grandi attori di fronte agli imprevisti in scena! Sono orgoglioso di essere il regista della Compagnia dei Ranocchi!

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La platea ormai si era quasi svuotata. Il palcoscenico era tornato buio. Gli attrezzi e gli oggetti usati in scena erano stati riposti alla bell’e meglio dietro le quinte.

Luigi si avvicinò imbarazzato a Max.

– Scusa – gli disse, – ho rovinato tutto! Non me ne volere. Ero invidioso di te, ma ora so che sei davvero il migliore!

Max lo abbracciò.

– Siamo stati bravissimi, tutti e due! Se tu non mi avessi ridato la mia coperta, non avrei saputo cosa fare!

Così dicendo si toccò le spalle.

– Ma dov’è Umberta? – si chiese.

– Te la sei tolta prima di salire a prendere il fagiolo gigante – rispose tranquillamente Luigi.

– Ed hai continuato a recitare come niente fosse. Lo vedi? Tu puoi fare a meno di quella coperta! Lo sapevo!

Max si guardò attorno:

– Sì, è vero. Non sono più “prolungato”!

– Cosa?

– Niente! Parlavo tra me e me... – rispose Max saltellando. – Ma adesso scusami, devo recuperare la mia coperta. Sai, ci sono affezionato!

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Luigi gli fece un grosso sorriso complice. – Beh, anch’io ho un peluche!

Fu una serata davvero strana, quella, strana un po’ per tutti.

Max scoprì di poter fare a meno della sua prolunga; Luigi scoprì di avere un amico; Lisa scoprì, quando finalmente se ne ricordò, di avere in tasca il biglietto vincente della lotteria.

Primo premio: un abbonamento per due persone alla stagione teatrale del teatro cittadino. Lo regalò subito a Max e alla nonna che ne furono contentissimi.

Umberta è appesa in camera di Max come un trofeo, ma il suo calore è dentro di lui, e quando Max sente un po’ di paura o un po’ di tristezza sa di avere una coperta sempre con sé, invisibile, che gli avvolge il cuore.

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giochiamo con Max

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LA STRADA GIUSTA

Max vuole raggiungere il teatro ma non ricorda la strada. Aiutalo tu. Attento a non sbagliare strada.

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AGUZZA LA VISTA

Osserva attentamente le due scene. La seconda differisce per 4 particolari: riesci a individuarli tutti?

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IL SUDOKU DEI COLORI

Ecco un gioco di ragionamento! Aiuta il regista a completare i sudoku.

Ricorda: un colore deve apparire una sola volta in ogni riga e in ogni colonna.

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IL SUDOKU SPORTIVO

Stessa cosa ma con gli oggetti sportivi. Ogni palla può comparire una sola volta in ogni riga e in ogni colonna.

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Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini

Team grafico: Mauda Cantarini

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