Spazio Arte - Edizione Compatta

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SPAZIO

ARTE

Storia dell’arte

Linguaggio dell’arte

• Apprendimento per competenze

• Percorsi trasversali

• Mappe e verifiche per la didattica inclusiva

• Storia dell’arte

• Codici visivi

•Tecniche

•Temi operativi

EDIZIONE COMPATTA

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All’interno del portale www.raffaelloscuola.it/studio-a-casa sono presenti materiali per ogni situazione didattica: video lezioni, contenuti interattivi, materiali di approfondimento e per il recupero; ogni materiale è suddiviso per classe e per disciplina ed è di libera consultazione. Sono presenti tanti video tutorial sull’utilizzo degli strumenti del Raffaello Player.

Claudio Cristiani

Cristina Francucci

Maria Isabella Mariani

ARTE SPAZIO

Storia dell’arte

EDIZIONE COMPATTA

Linguaggio dell’arte

L’Editore ringrazia sentitamente l’Istituto Comprensivo «Caio Giulio Cesare» di Osimo – Offagna (AN) e in particolare gli studenti delle classi della Scuola secondaria di primo grado per aver fornito gli elaborati presenti in questo volume.

Si ringrazia Ilaria del Gaudio per la realizzazione degli elaborati artistici, in particolare nelle rubriche Sentire e percepire

Si ringrazia l’artista Sissi per la gentile concessione di utilizzo delle immagini delle sue opere.

Le pagine Mappa, Verifica, Lettura attiva dell’opera, Laboratorio sono a cura di Maria Isabella Mariani.

Coordinamento redazionale: Silvia Civerchia, Emanuele Palazzi

Redazione: Stefania Bigatti, Luca Brecciaroli, Silvia Civerchia

Consulenza didattica: Marta Mancini, Silvia Tiano

Revisione bozze: Eleonora Dottori

Progetto grafico e impaginazione: Alessandra Coppola, Daniele Montalbini

Copertina: Alessandra Coppola, Barbara Bonci

Illustrazioni: Ivan Stalio, Oliver Mensa, Claudia Ciuffetti, Luca De Santis

Cartografia: LS International Cartography, Claudia Ciuffetti

Coordinamento digitale: Paolo Giuliani

Supervisione contenuti digitali: Ombretta Fusco

Redazione digitale: Silvia Di Loreto

Le parti ad alta leggibilità di quest’opera sono state realizzate con il font leggimi © Sinnos editrice

Stampa: Gruppo Editoriale Raffaello

Il Gruppo Editoriale Raffaello mette a disposizione i propri libri di testo in formato digitale per gli studenti ipovedenti, non vedenti o con disturbi specifici di apprendimento.

L’attenzione e la cura necessarie per la realizzazione di un libro spesso non sono sufficienti a evitare completamente la presenza di sviste o di piccole imprecisioni. Invitiamo pertanto il lettore a segnalare le eventuali inesattezze riscontrate. Ci saranno utili per le future ristampe.

Tutti i diritti sono riservati.

© 2022

Raffaello Libri S.p.A Via dell’Industria, 21 60037 Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it info@grupporaffaello.it

È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo, comprese stampa, fotocopie e memorizzazione elettronica se non espressamente autorizzate dall’Editore.

Nel rispetto delle normative vigenti, le immagini che rappresentano marchi o prodotti commerciali hanno esclusivamente valenza didattica.

L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.

Ristampa:

Referenze iconografiche

123rf - A. Dagli Orti/Scala, Firenze - Adagp Images, Paris/SCALA, FirenzeAGF/Scala, Firenze - Albright Knox Art Gallery/Art Resource, NY/Scala, Firenze - Album/Scala, Firenze - Archivi Alinari, Firenze - Archivio fotografico Gruppo Ed. Raffaello - Artothek/Archivi Alinari - Cameraphoto/Scala, Firenze - Christie’s Images, London/Scala, Firenze - DeA Picture Library, concesso in licenza ad Alinari - DeAgostini Picture Library/Scala, Firenze - Depositphotos - Digital Image Museum Associates/LACMA/Art Resource NY/Scala, Firenze - Digital image Whitney Museum of American Art/Licensed by Scala, Firenze - Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Firenze - DreamstimeFine Art Images/Archivi Alinari, Firenze - Foto Ann Ronan/Heritage Images/ Scala, Firenze - Foto Art Media/Heritage Images/Scala, Firenze - Foto Austrian Archives/Scala, Firenze - Foto Fine Art Images/Heritage Images/Scala, Firenze - Foto Musèe Jacquemart-Andrè/Inst. de France/Scala, Firenze - Foto Opera Metropolitana Siena/Scala, Firenze - Foto Scala Firenze/Heritage Images - Foto Scala, Firenze - Foto Scala, Firenze / su concessione Ministero della CulturaFoto Scala, Firenze/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin - Foto Scala, Firenze/Fondo Edifici di Culto, Ministero dell’Interno - Foto Scala, Firenze/Luciano Romano - Foto Scala, Firenze/Luciano Romano/Fondo Edifici di Culto / Ministero dell’Interno - Foto Scala, Firenze/Mauro Ranzani - Foto Scala, Firenze/V&A Images/Victoria and Albert Museum, Londra - Foto Scala/ SPL History - Foto Schalkwijk/Art Resource/Scala, Firenze - Foto Smithsonian American Art Museum/Art Resource/Scala, Firenze - Foto The Morgan Library & Museum / Art Resource, NY/Scala, Firenze - Foto The Philadelphia Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze - Foto The Print Collector/Heritage, Images/ Scala, Firenze - Foto Werner Forman Archive/Scala, Firenze - Fotolia - Getty Images - Gianni Oliva - Iberfoto/Archivi Alinari - Istockphoto - Manuel Cohen/ Scala, Firenze - Marie Mauzy/Scala, Firenze - Mario Bonotto/Scala, FirenzeMark E. Smith/SCALA, Firenze - Mary Evans/Scala, Firenze - Museo Nacional del Prado © Photo MNP/Scala, Firenze - Museo National Thyssen-Bornemisza/ Scala, Firenze - Museum of Fine Arts, Boston. Tutti i diritti riservati/Scala, Firenze - Photo Josse/Scala, Firenze - Photothèque R. Magritte/Adagp Images, Paris/ SCALA, Firenze - RMN, Grand Palais/Dist. Foto SCALA, Firenze - Scala/FEC, Ministero Interno/Opera di S. Croce - Shutterstock - Tate, London/Scala, Firenze - The Art Institute of Chicago / Art Resource, NY/Scala, Firenze - The Metropolitan Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze - The Museum of Fine Arts Budapest/ Scala, Firenze - The National Gallery, London/Scala, Firenze - The Solomon R. Guggenheim Foundation/Art Resource, NY/Scala, Firenze - The State Hermitage Museum, St. Petersburg - Photograph © The State Hermitage Museum /photo by Vladimir Terebenin - The Trustees of the British Museum c/o Scala, FirenzeThinkstock Photos - Veneranda Biblioteca Ambrosiana/DeAgostini Picture Library/ Scala, Firenze - White Images/Scala, Firenze - © SIAE, 2022 - Per le opere di Henri Matisse: © Succession H. Matisse, by SIAE 2022Adagp Images, Paris/ SCALA, Firenze - AGF/Scala, Firenze - Alamy - Albright Knox Art Gallery/Art Resource, NY/Scala, Firenze - Fine Art Images/Archivi Alinari, Firenze - Christie’s Images, London/Scala, Firenze - Colección Carmen Thyssen-Bornemisza en depósito en el Museo Nacional Thyssen-Bornemisza/Scala, Firenze - CooperHewitt, Smithsonian Design Museum/Art Resource, NY/Scala, Firenze - Copyright The National Gallery, London/Scala, Firenze - DeAgostini Picture Library/Scala, Firenze - Depositphotos - Digital image, The Museum of Modern Art, New York/ Scala, Firenze - Dreamstime - © Edward Burtynsky, courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto - Foto Austrian Archives/Scala, Firenze - Foto Fine Art Images/ Heritage Images/Scala, Firenze - Foto Scala, Firenze - Foto Scala, Firenze/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin - Foto Scala, Firenze/Luciano Romano - Foto Scala, Firenze/Luciano Romano/Fondo Edifici di Culto, Ministero dell’Interno - Foto Scala, Firenze su concessione Ministero della Cultura - Foto Schalkwijk/Art Resource/Scala, Firenze - Foto The Philadelphia Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze - Fotolia - Getty images - Granger, NYC/Archivi Alinari - The Metropolitan Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze - IstockphotoMarie Mauzy/Scala, Firenze - Mario Bonotto/Foto Scala, Firenze - Marka - Museo Nacional del Prado © Photo MNP/Scala, Firenze - Museum of Fine Arts, Boston/ Scala, Firenze - Photo Josse/Scala, Firenze - Photothèque R. Magritte/Adagp Images, Paris/SCALA, Firenze - Shutterstock - Tate, London/Foto Scala, Firenze - The Art Institute of Chicago/Art Resource, NY/Scala, Firenze - The Solomon R. Guggenheim Foundation/Art Resource, NY/Scala, Firenze - White Images/Scala, Firenze - Archivio fotografico Gruppo Ed. Raffaello - © SIAE, 2022

Spazio Arte è il nuovo corso di Arte e immagine per la Scuola secondaria di primo grado: in questo spazio, che prende molteplici forme, si trovano tutti gli strumenti didattici che permettono di conoscere, apprezzare e vivere l’arte attraverso esperienze significative.

Storia dell’arte - Volume A

Lo spazio collettivo, del patrimonio

I contenuti si sviluppano su un percorso che facilita l’apprendimento, attraverso una struttura che consente di procedere per gradi di approfondimento e di lavorare trasversalmente su architettura, pittura e scultura. Ricco di curiosità, attività laboratoriali, focus sul patrimonio artistico e percorsi di educazione civica, il testo cattura l’attenzione, guida alla scoperta graduale, all’analisi dei contesti e delle opere, all’approfondimento.

Linguaggio dell’arte - Volume B

Lo spazio dell’espressione artistica

Un innovativo manuale teorico e pratico per insegnare a studenti e studentesse a decodificare i messaggi visivi e a interagire con essi in modo attivo e critico. Comprende: i codici visivi, le tecniche artistiche, i temi operativi e la comunicazione visiva. Gli argomenti trattati sono quelli tradizionali, ma si è voluta offrire una nuova prospettiva didattica che privilegia la creatività degli studenti e delle studentesse attraverso laboratori e compiti di realtà che stimolano la formazione di un personale modo di sentire, percepire e interpretare la realtà. Il volume offre inoltre uno sguardo inedito sul panorama dell’arte contemporanea e una sezione dedicata all’educazione civica, con particolare attenzione alla parità di genere, all’ambiente e ai beni culturali.

Il mio Album da disegno

Lo spazio personale

Un vero e proprio album con 12 laboratori da realizzare utilizzando le più svariate tecniche, partendo dall’osservazione e dalla percezione della realtà. Contiene Il mio museo, uno spazio personale e un compito di realtà speciale in cui ragazzi e ragazze indossano i panni di un direttore o una direttrice alle prese con l’allestimento di una mostra. Gli studenti e le studentesse dovranno riflettere e scegliere con attenzione gli adesivi delle opere d’arte da incollare nelle sale del proprio poster Il mio museo

Risorse digitali

Lo spazio digitale

Inquadrando il QR code presente in apertura di ogni Unità del volume, si entrerà in uno spazio digitale che si presenta come la sala di un museo virtuale, ricco di contenuti pronti in un clic.

Oltre 90 video lezioni di sintesi e di approfondimento sulle opere e sugli artisti più importanti.

Più di 80 gallerie di immagini con numerose opere d’arte aggiuntive.

Oltre 50 letture guidate delle opere d’arte, con esplorazione dei dettagli.

16 videotutorial sulle tecniche artistiche a cura della youtuber Ombretta Fusco, autrice del canale Arte per Te. Navigazione interattiva delle linee del tempo, audiolettura integrale a cura di speaker professionisti, alta leggibilità e visualizzazione del testo modificabile, grazie al formato epub, esercizi e verifiche interattive.

Tour virtuali a Roma: visite guidate a tema, con aneddoti e curiosità, camminando virtualmente tra le meraviglie della capitale.

Inoltre, percorsi per l’Educazione civica, in risposta agli obiettivi dell’Agenda 2030: La figura femminile nella storia dell’arte

Guida per l’insegnante

Una guida ricca di materiali e risorse per la classe: programmazione triennale per competenze, compiti di realtà, idee per la flipped classroom, schede CLIL, esempi di UdA, percorsi per l’Esame, test d’ingresso, verifiche su due livelli, laboratori aggiuntivi, modelli operativi...

Volume semplificato

Lo spazio inclusivo

Tutte le lezioni di Storia dell’arte e sui codici visivi in versione semplificata, ad alta leggibilità, con esercizi dedicati e audiolettura specifica per studenti con DSA.

Contiene il Glossario di Arte e immagine in sei lingue: Inglese, Spagnolo, Francese, Romeno, Cinese e Arabo.

Com’è fatto il libro

Il volume è diviso in 11 Unità che corrispondono alle grandi scansioni cronologiche della storia dell’arte, dalla Preistoria fino ai giorni nostri. Ogni Unità inquadra il periodo storico-artistico attraverso un percorso che va dal generale al particolare. Seguono elementi per conoscere e approfondire il linguaggio dell’arte.

Entrare nell’arte...

Dopo aver analizzato il contesto geostorico e quello artistico, le chiavi di lettura permettono di «entrare idealmente» nell’arte di ogni periodo attraverso i concetti principali e le idee guida che lo caratterizzano.

Contesto geostorico

Apertura dell’Unità

Una doppia pagina che cattura l’attenzione per inquadrare subito il tema e avere i giusti riferimenti spazio-temporali, grazie alla linea del tempo sulla quale scorrono gli eventi storici e le opere più rappresentative per un primo apprendimento attraverso le immagini.

Contesto artistico

Vite da artisti

Splendide immagini ci invitano ad entrare negli studi degli artisti più rappresentativi, per raccontarci le loro storie e ciò che li ha resi grandi.

Glossario

Le parole evidenziate sono spiegate nel Glossario in fondo al volume.

Disegni ricostruttivi

Numerose illustrazioni dettagliate permettono di osservare e analizzare gli antichi complessi architettonici all’epoca del loro massimo splendore.

Lezione

Le pagine di studio sono chiare e ben integrate alle immagini, per favorire l’apprendimento.

Il percorso «La figura femminile nella storia dell’arte» affronta il tema del genere in maniera trasversale: guida attraverso un confronto tra le modalità rappresentative nel tempo e aiuta a riflettere sul ruolo di artista al femminile. Nel testo si propone la fruizione dei video indicativamente a conclusione di ogni anno scolastico, per ripercorrere attraverso una inedita chiave di lettura le principali tappe del percorso storico-artistico affrontato.

I «Tour di Roma» sono vere e proprie visite guidate virtuali e accompagnano gli studenti e le studentesse alla scoperta di Roma e dei suoi segreti.

Lettura dell’opera

Un’analisi guidata, approfondita e puntuale dei capolavori dell’arte, visti da vicino.

Com’è fatto il libro

Mappa

Una mappa al termine di ogni Unità aiuta a schematizzare i contenuti e facilita il ripasso.

Sia la mappa sia la verifica si prestano alla didattica inclusiva

Verifica

Competenti in arte

Attività operative utili a creare collegamenti tra i diversi periodi dell’arte. Richiamando alla memoria contenuti già studiati e confrontandoli con le nuove acquisizioni, diventa possibile individuare continuità, svolte, rotture e sviluppi all’interno del lungo cammino della storia dell’arte. Alcune attività sono da svolgere in gruppo (apprendimento cooperativo).

Esercizi e domande sulle conoscenze consentono di fare il punto su quanto studiato alla fine di ogni Unità.

Glossario

Più di cento termini specifici della Storia dell’arte raccolti, spiegati e tradotti anche in Inglese (CLIL).

Conoscere

I concetti fondamentali per conoscere e capire gli argomenti alla base delle discipline artistiche sono proposti attraverso esempi concreti e guidano all’acquisizione di conoscenze sugli argomenti trattati

Osservare la realtà e le opere d’arte

Ogni argomento relativo al linguaggio dell’arte viene introdotto dall’osservazione e dalla descrizione della realtà che ci circonda; al contempo alcune opere d’arte mostrano l’interpretazione che ne danno gli artisti.

Osservare e disegnare

I temi operativi dell’arte sono descritti con testi, immagini ed esempi pratici. Quindi ci si esercita con schizzi e disegni dalla realtà per affrontare tecnicamente il disegno dal vero.

Tecniche artistiche

Ogni tecnica artistica viene approfondita attraverso la storia, gli utilizzi e le caratteristiche relative agli strumenti e ai materiali specifici.

Le tecniche si possono mettere in pratica anche grazie ai numerosi videotutorial presenti.

Risorse digitali

Video utili anche per la flipped classroom

Galleria immagini

Approfondimenti, attività e verifiche interattive e autocorrettive presentate attraverso Google Moduli

NTENUTI

Il libro digitale è concepito per essere utilizzato in classe con la LIM e a casa dallo studente: è ricco di strumenti che permettono la creazione, la personalizzazione e la condivisione dei contenuti.

Collegandoti all’indirizzo raff.link/libro-digitale troverai la descrizione dettagliata di tutti gli strumenti.

PER TABLET E SMARTPHONE

La realtà aumentata permette di attivare i contenuti digitali tramite il proprio device.

devic

Inquadra il QR Code con una fotocamera e un’app a tua scelta: visualizzerai i contenuti del libro digitale.

Per ogni Unità didattica ti troverai nella stanza di un Museo virtuale, contenente le risorse digitali relative al periodo di riferimento.

condividi

salvare la pagina con le tue note, generando un PDF o un’immagine da condividere all’interno della classe virtuale.

Puoi

Audiobook

Ogni testo è stato letto, in tutte le sue parti, da speaker professionisti.

didattica

Alta leggibilità

Puoi aumentare la dimensione del testo e modificare il font (tra cui leggimi © Sinnos editrice).

È possibile attivare la traduzione in altre lingue di tutto il testo o di alcune parti.

Puoi accedere al dizionario di italiano.

Puoi creare documenti, come presentazioni, linee del tempo e mappe concettuali, e condividere tutto il materiale con la classe.

È possibile aggiungere dei collegamenti a risorse multimediali esterne al libro (documenti, immagini, video, audio, web link).

Troverai una ricca strumentazione per la scrittura e per la consultazione.

Con un clic, puoi condividere la pagina e i contenuti digitali a essa collegati, generando un web link o un link diretto alle più diffuse piattaforme per la gestione della classe virtuale.

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Presentazione Mappa concettuale Linea temporale

Contenuti integrativi del libro digitale

Educazione civica

Il nostro patrimonio

Una rubrica speciale per approfondire e valorizzare il patrimonio artistico e culturale italiano.

Educazione civica

Arte e cittadinanza

Pagine di approfondimento nelle quali si affrontano temi di attualità partendo da spunti storici e artistici.

Lettura attiva dell’opera

Oltre alla verifica dei contenuti, al termine di ogni Unità viene proposta la «lettura attiva» di un’opera d’arte rappresentativa del periodo, per verificare le capacità di studenti e studentesse di coglierne gli aspetti fondamentali

Vivi l’arte

Permette di sviluppare la competenza digitale attraverso una ricerca sul Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Debate

Le pagine di Arte e cittadinanza offrono spunti per il dibattito in classe.

Laboratorio

Prendendo come modello le tecniche usate nel passato, viene spiegato come realizzare, passo dopo passo, vasi, mosaici, rosoni, dipinti...

Sentire e percepire

Semplici esperienze permettono di acquisire una coscienza della realtà esterna utilizzando tutti i sensi, per sviluppare un sentire personale attraverso la percezione e stimolare una produzione di elaborati.

Spazio all’arte

Attività laboratoriali più complesse guidano alla realizzazione di elaborati sullo stile di artisti del passato e contemporanei.

Scoprire / Sperimentare / Rielaborare

Semplici istruzioni guidano alla creazione di lavori artistici personali, per mettere in pratica le conoscenze acquisite e per creare un proprio linguaggio comunicativo che si esprime attraverso il «fare».

Educazione civica

Una ricca sezione finale consente di affrontare temi centrali di educazione civica in maniera operativa e artistica, utilizzando varie metodologie didattiche (brainstorming, debate, ricerca ecc.).

Compiti di realtà e Unità di Apprendimento offrono spunti per attività operative e laboratoriali. Un Percorso per l’Esame permette di prepararsi all’Esame finale.

Contenuti integrativi del libro digitale

STORIA DELL’ARTE

Il nostro patrimonio

Il complesso nuragico di Barumìni

La Valle dei Templi ad Agrigento

Pompei: la città sepolta

Pisa: la Piazza dei Miracoli

Castel del Monte

Pienza: la città del papa

Santa Maria delle Grazie a Milano

Piazza Navona: geni a confronto

Il villaggio operaio di Crespi d’Adda

Ivrea, città industriale

Arte e cittadinanza

Andranno restituite?

La tolleranza difficile

L’arte dell’accoglienza

Le cento città d’Italia

L’arte negata, offesa alla libertà

Mecenatismo ieri e oggi

Architettura e ideali politici

Patria e Nazione

Arte e propaganda politica

Un nuovo rapporto fra arte e natura

Lettura attiva dell’opera

Un volto enigmatico

L’altare di Zeus

Uno scrigno di marmo che celebra la pace

Come una regina del mare

Il Campanile di Giotto

Il mistero della Resurrezione

Ritratti a confronto

Un monumento a Vittorio Alfieri...

Dipingere il «male di vivere»

La realtà del sogno

Un nuovo Rinascimento dopo la pandemia

Laboratorio

Disegna come i pittori egizi

Modellare un vaso greco

Crea un mosaico come gli antichi Romani

Modella a sbalzo come Vuolvinio

Dipingi su tavola come Cimabue

Disegna in prospettiva come Brunelleschi

Progetta una piazza come Michelangelo

Riproduci... come i vedutisti del Settecento

Dipingi la realtà come gli impressionisti

Tra pittura e collage... come i Cubisti

Ritrai con il colore come Warhol

LINGUAGGIO DELL’ARTE I CODICI VISIVI

Sentire e percepire

1. Il segno, il punto, la linea

2. La superficie e la texture

3. Il colore

4. Luci e ombre

5. Lo spazio

6. La composizione

Spazio all’arte

Punti d’autore

Estroflessioni di punti

Texture alla moda

Opere di carta

Contrasti di colori

L’orecchio che colora

A scuola di «mezzamacchia»

Una foresta di ombre

Un nuovo volto alla città ideale

Un intervento di Land Art

Tarsie di marmi policromi

Edifici di plastica

LE TECNICHE

Sperimentare

1. La matita, il carboncino e la sanguigna

2. Le matite colorate

3. I pastelli a olio e a cera

4. I pennarelli, le penne e gli inchiostri

5. Il graffito

6. Gli acquerelli

7. Le tempere e gli acrilici

8. I colori a olio

9. Affresco, murales e Street Art

10. Le tecniche di stampa

11. Le tecniche plastiche

12. Lo sbalzo

13. Il collage e l’assemblaggio

14. Il frottage e il grattage

15. Il mosaico

16. La vetrata

I TEMI OPERATIVI

Sperimentare e rielaborare

1. Le forme della natura

2. Il paesaggio naturale e urbano

3. Gli animali

4. Gli oggetti

5. Il volto umano

6. Il corpo umano

LA COMUNICAZIONE VISIVA

1. La percezione visiva

2. La grafica e la pubblicità

3. La fotografia

4. Il cinema

5. Il fumetto

6. Il design

EDUCAZIONE CIVICA

ARTE E PATRIMONIO - L’arte come strumento educativo

ARTE PER TUTTE E TUTTI - L’artista che c’è in me

AMBIENTE - Antropocene

MEMORIA - Comprendere per non dimenticare

LEGALITÀ - I temi sociali della Street art

BENI CULTURALI - Avere cura del nostro patrimonio

PARITÀ DI GENERE - Stessi diritti e stesse opportunità

Unità di Apprendimento

«Adotta» un albero

La guida sensoriale della tua città

Gli animali tra arte e attualità

Un’insolita installazione

Una mostra fotografica… personale

Atlante fantastico del corpo umano

Percorso per l’Esame

Il viaggio

Compito di realtà

Costruiamo il libro dei codici

E CIVILTÀ

UNITÀ 1 2

La Preistoria e le prime civiltà

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... preistorica 4

ARTE E CIVILTÀ

Il Paleolitico 6

LETTURA DELL’OPERA

La «Cappella Sistina» della Preistoria 6

La Venere di Willendorf, simbolo della fertilità 8

Graffiti e incisioni della Valcamonica 9

ARTE E CIVILTÀ

Dal Neolitico all’Età del bronzo 10

LETTURA DELL’OPERA

Stonehenge: un grande calendario di pietra 12

C HIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... mesopotamica ed egizia 14

ARTE E CIVILTÀ

I Sumeri 16

LETTURA DELL’OPERA

Lo Stendardo di Ur 17

ARTE E CIVILTÀ

I Babilonesi e gli Assiri 18

LETTURA DELL’OPERA

La porta di Ishtar 18

Un corteo di guerra 19

ARTE E CIVILTÀ

Gli Egizi: tombe alte fino al cielo 20

LETTURA DELL’OPERA

La piramide di Cheope 21

ARTE E CIVILTÀ

Grandi sepolcri scavati nella terra 22

ARTE E CIVILTÀ

I grandi complessi religiosi 24

ARTE E CIVILTÀ

La scultura egizia 26 LETTURA DELL’OPERA I simboli del potere di un re-dio 27

UNITÀ

CIVILTÀ Creta: la civiltà dei palazzi 40

LETTURA DELL’OPERA La scoperta di Cnosso 41

ARTE E CIVILTÀ L’arte, specchio di una civiltà elegante 42

LETTURA DELL’OPERA La tauromachia 43

ARTE E CIVILTÀ L’arte micenea 44

LETTURA DELL’OPERA Il Tesoro di Atreo 45

ARCHITETTURA L’arte della Grecia classica 48

ARCHITETTURA Il tempio 50

ARCHITETTURA Gli stili architettonici 52

ARCHITETTURA Il teatro 54

SCULTURA L’evoluzione della scultura greca 56

LETTURA DELL’OPERA La lenta evoluzione del kouros: alla ricerca della perfezione 56 Un discobolo perfetto 59 I Bronzi di Riace 61

PITTURA

La pittura greca 62

SCULTURA

L’arte nell’Età ellenistica 64

LETTURA DELL’OPERA

Laocoonte: la forza e la disperazione 65

66

67

L’arte etrusca e romana

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... etrusca e romana 70

ARCHITETTURA

L’architettura etrusca 72

SCULTURA

La scultura etrusca 74

LETTURA DELL’OPERA

La rappresentazione di Apollo 75

PITTURA

La vita dipinta nelle tombe 76

LETTURA DELL’OPERA

Una scena di pesca 76

Il banchetto nella Tomba dei leopardi 77

ARCHITETTURA

Roma, una città di marmo 78

LETTURA DELL’OPERA

Un anfiteatro «colossale» 82

ARCHITETTURA

Ponti, acquedotti e terme 84

ARCHITETTURA

Le abitazioni private: domus e insula 86

SCULTURA

Le sculture dei Romani 88

LETTURA DELL’OPERA

Lucio Cecilio Giocondo 88

SCULTURA

Archi trionfali e colonne onorarie 90

LETTURA DELL’OPERA

La colonna di Traiano 91

PITTURA

La pittura e i mosaici 92

LETTURA DELL’OPERA I quattro stili della pittura romana 93

Da Pompei alla Villa del Casale 95

L’arte nell’Alto Medioevo

CHIAVI DI LETTURA Entrare nell’arte... dell’Alto Medioevo 100

ARTE E CIVILTÀ L’arte paleocristiana 102

LETTURA DELL’OPERA I simboli dei primi cristiani 103

ARTE E CIVILTÀ

Gli edifici di culto 104

LETTURA DELL’OPERA Il sarcofago di Giunio Basso 105

ARTE E CIVILTÀ Lo splendore dell’arte bizantina 106

LETTURA DELL’OPERA Il gioiello di Istanbul 107

ARTE E CIVILTÀ

Ravenna: l’Oriente in Italia 109

LETTURA DELL’OPERA Il buon pastore 109 I cortei di Giustiniano e Teodora 112

ARTE E CIVILTÀ L’arte islamica 114

LETTURA DELL’OPERA La moschea di Cordoba 114

ARTE E CIVILTÀ

Tra Longobardi e Carolingi 116

LETTURA DELL’OPERA

Il tempietto longobardo 116

L’altare d’oro di Sant’Ambrogio 119

C HIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... romanica 120

ARCHITETTURA

Un nuovo stile: il Romanico 122

ARCHITETTURA

Le varianti del Romanico in Italia 124

LETTURA DELL’OPERA

San Miniato al Monte 125

ARCHITETTURA

Architettura e arte nei monasteri 128

SCULTURA

La scultura a servizio della fede 130

LETTURA DELL’OPERA

Un Giudizio universale 130

La Genesi di Wiligelmo 133

PITTURA

La pittura: in continuità con la tradizione bizantina 134

LETTURA DELL’OPERA La

C

L’architettura

ARCHITETTURA

I racconti su vetro delle cattedrali 148

LETTURA DELL’OPERA

Uno «scrigno di luce» nel cuore di Parigi 150

ARCHITETTURA

Il Gotico in Italia 152

LETTURA DELL’OPERA

Il caso particolare del Duomo di Milano 153

SCULTURA

La scultura: riemerge la figura umana 156

SCULTURA

La scultura gotica in Italia 160

LETTURA DELL’OPERA

Dal Romanico al Gotico: due stili a confronto 161

I pulpiti di Nicola e Giovanni Pisano 162

PITTURA

La pittura gotica in Italia: da Cimabue a Giotto 164

LETTURA DELL’OPERA Maestà di Santa Trinità 164 I crocifissi di Cimabue e Giotto a confronto 166

VITE DA ARTISTI

Giotto: il primo artista 167

PITTURA Giotto 168

LETTURA DELL’OPERA

Il bacio di Giuda 171

PITTURA Il Gotico senese 172

LETTURA DELL’OPERA Annunciazione 173

Un soggetto laico: l’Allegoria e gli Effetti del Buon Governo 174

PITTURA

Il Gotico internazionale 176

LETTURA DELL’OPERA Adorazione dei Magi 177

UNITÀ 6 180

Il Quattrocento

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... del Quattrocento 182

VITE DA ARTISTI

Filippo Brunelleschi - DonatelloSandro Botticelli - Jan van Eyck 184

ARCHITETTURA

Una città per gli esseri umani 186

ARCHITETTURA

Brunelleschi 188

LETTURA DELL’OPERA

La cupola di Santa Maria del Fiore 191

ARCHITETTURA

Leon Battista Alberti 192

LETTURA DELL’OPERA

Il Tempio Malatestiano 192

Santa Maria Novella 193

SCULTURA

Brunelleschi e Ghiberti: il rinnovamento della scultura 194

LETTURA DELL’OPERA

Chi ha vinto la sfida? 195

SCULTURA

Donatello 196

LETTURA DELL’OPERA

Due David di Donatello 197

SCULTURA

I Della Robbia 199

PITTURA

Masaccio 200

LETTURA DELL’OPERA

Tributo della moneta 200

Trinità 201

PITTURA

Paolo Uccello 202

LETTURA DELL’OPERA

Disarcionamento di Bernardino

della Carda 202

PITTURA

Antonello da Messina 203

LETTURA DELL’OPERA

San Girolamo nello studio 203

PITTURA

Beato Angelico 204

PITTURA

Piero della Francesca 205

LETTURA DELL’OPERA

Pala di Brera 206

Flagellazione di Cristo 207

PITTURA

Mantegna 208

LETTURA DELL’OPERA

Cristo morto: il ritratto del dolore 209

PITTURA

Botticelli 210

LETTURA DELL’OPERA

Calunnia 211 La Primavera misteriosa 212

PITTURA I pittori fiamminghi 214

LETTURA DELL’OPERA Ritratto dei coniugi Arnolfini 215 MAPPA 216 VERIFICA 217

UNITÀ 7 218

Il Cinquecento

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte ... del Cinquecento 220

VITE DA ARTISTI

Leonardo da Vinci - Michelangelo Buonarroti - Raffaello Sanzio - Andrea Palladio 222

PITTURA

Leonardo 224

LETTURA DELL’OPERA

Sant’Anna, la Vergine e il Bambino 225

La Gioconda 227

Un’Ultima Cena voluta dal Moro 228

ARCHITETTURA

L’architettura nei grandi centri culturali 230

LETTURA DELL’OPERA

Sagrestia nuova di San Lorenzo 230

Cupola di San Pietro 232

SCULTURA

Michelangelo 233

LETTURA DELL’OPERA

Il percorso di un artista: dalla Pietà vaticana alla Pietà Rondanini 234

Un David perfetto scolpito nel marmo sbagliato 235

PITTURA

Michelangelo 236

LETTURA DELL’OPERA

Tondo Doni 236

Giudizio Universale 237

La volta della Sistina 238

PITTURA

Raffaello 240

LETTURA DELL’OPERA

Sposalizio della Vergine 241

Scuola di Atene 242

PITTURA Giorgione 244

LETTURA DELL’OPERA La tempesta 245

PITTURA Tiziano 246

LETTURA DELL’OPERA Incoronazione di spine 247

PITTURA

Tintoretto 248

LETTURA DELL’OPERA Ritrovamento del corpo di san Marco 248

PITTURA

La pittura «di maniera» 250

LETTURA DELL’OPERA Due Deposizioni a confronto 251

SCULTURA La scultura manierista 254

LETTURA DELL’OPERA Perseo 254

ARCHITETTURA

L’architettura manierista 256

LETTURA DELL’OPERA

Basilica Palladiana 257

L’ultimo capolavoro: il Teatro Olimpico 258

UNITÀ 8 262

Il Seicento e il Settecento

CHIAVI DI LETTURA Entrare nell’arte... del Seicento 264

VITE DA ARTISTI

Gian Lorenzo Bernini - CaravaggioGiambattista Tiepolo - Antonio Canova 266

ARCHITETTURA

Nasce un nuovo stile: il Barocco 268

ARCHITETTURA Bernini 270

LETTURA DELL’OPERA Il Baldacchino di San Pietro 270 Il colonnato che abbraccia i fedeli 271

ARCHITETTURA Borromini 272

LETTURA DELL’OPERA Sant’Ivo alla Sapienza 273

SCULTURA Bernini 274

LETTURA DELL’OPERA Un David in movimento 275

PITTURA Caravaggio 276

LETTURA DELL’OPERA Canestra di frutta 276

Morte della Vergine 279 Vocazione di san Matteo 280

PITTURA I pittori «caravaggeschi» 282

LETTURA DELL’OPERA

Giuditta decapita Oloferne 283

PITTURA

I Carracci e Guido Reni: naturalismo e classicismo 284

LETTURA DELL’OPERA

L’eleganza di Atalanta e Ippomene 285

PITTURA

La pittura olandese del «Secolo d’oro»286

LETTURA DELL’OPERA

L’arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia 288

PITTURA

Velázquez e il Barocco in Spagna 289

LETTURA DELL’OPERA

Las Meninas e la finzione del ritratto 290

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... del Settecento 292

ARCHITETTURA

Le grandi regge e il Rococò 294

LETTURA DELL’OPERA

La Reggia di Caserta: una «Versailles italiana» 295

PITTURA

Tiepolo 298

LETTURA DELL’OPERA

La Sala Imperiale di Würzburg 299

ARCHITETTURA

Il ritorno alle forme classiche:

il Neoclassicismo 300

LETTURA DELL’OPERA

Teatro alla Scala 301

SCULTURA

La scultura neoclassica 302

LETTURA DELL’OPERA

Amore e Psiche 304

Le tre Grazie 305

PITTURA

La pittura neoclassica 306

LETTURA DELL’OPERA

La morte del rivoluzionario Marat 307

PITTURA

Il Vedutismo veneziano 310

UNITÀ 9 314

L’Ottocento

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... del primo Ottocento 316

VITE DA ARTISTI

Francesco Hayez - Claude MonetVincent Van Gogh - Antoni Gaudí 318

PITTURA I pittori del Romanticismo 320

LETTURA DELL’OPERA

La zattera della Medusa 320

La libertà guida il popolo 321

Viandante sul mare di nebbia 323

PITTURA

Il Romanticismo storico in Italia 326

LETTURA DELL’OPERA

I Vespri siciliani 326

Il bacio del patriota 327

PITTURA Goya 328

LETTURA DELL’OPERA

3 maggio 1808: fucilazione 329

PITTURA

Il Realismo in Francia e in Italia 330

LETTURA DELL’OPERA

Funerale a Ornans 330 Il pergolato 333

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... del secondo Ottocento 334

PITTURA

Manet e Degas: oltre la tradizione 336

LETTURA DELL’OPERA

Colazione sull’erba 336

PITTURA

La nascita dell’Impressionismo 338

PITTURA

Impressionismo, fotografia e cinema 340

PITTURA

Monet 342

LETTURA DELL’OPERA

I papaveri: due quadri in uno 3 44

PITTURA

Renoir 346

LETTURA DELL’OPERA

Ballo al Moulin de la Galette 348

PITTURA

Morisot 349

PITTURA

Cézanne 350

PITTURA

Il Puntinismo e il Divisionismo 352

LETTURA DELL’OPERA

Il Quarto Stato 353

PITTURA

Van Gogh 354

LETTURA DELL’OPERA

La quiete apparente di una Notte stellata 356

PITTURA

Gauguin 359

LETTURA DELL’OPERA

Da dove veniamo? Che cosa siamo?

Dove andiamo? 360

PITTURA

La Belle Époque 362

SCULTURA

Rodin 364

ARCHITETTURA

Architettura in ferro e vetro 366

ARCHITETTURA

Tra Ottocento e Novecento: l’Art Nouveau 368

LETTURA DELL’OPERA

La Sagrada Familia 370

MAPPA 372 VERIFICA 373

Il primo Novecento

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... del primo Novecento 376

VITE DA ARTISTI

Henri Matisse - Pablo PicassoUmberto Boccioni - Marc Chagall 378

ARCHITETTURA

Una nuova architettura: il Bauhaus 380

ARCHITETTURA

Fra Razionalismo e Art Déco 382

ARCHITETTURA

L’architettura di regime 384

PITTURA

L’Espressionismo: la pittura dei sentimenti 386

LETTURA DELL’OPERA L’urlo 386 Invalidi di guerra che giocano a carte 388 La danza della vita 390

PITTURA Il Cubismo 392

PITTURA Picasso 394

LETTURA DELL’OPERA

Guernica: una tragedia in bianco e nero 396

SCULTURA

Il Futurismo: un nuovo rapporto tra le forme e lo spazio 398

LETTURA DELL’OPERA

Forme uniche della continuità nello spazio 399

PITTURA

La pittura futurista 400

LETTURA DELL’OPERA

La città che sale 400

SCULTURA

La reazione al Futurismo 402

LETTURA DELL’OPERA

Testa meccanica 402

PITTURA

Una «scuola» di ar tisti indipendenti 404

LETTURA DELL’OPERA

Anna Zborowska 404

Ebreo rosso 405

PITTURA

L’arte astratta 406

LETTURA DELL’OPERA Cosacchi 406

NUOVE FORME

L’arte bizzarra di Dada 408

PITTURA

L’immobilità metafisica 410

LETTURA DELL’OPERA

Le muse inquietanti 410

PITTURA

Il Surrealismo 412

LETTURA DELL’OPERA

La persistenza della memoria 413

La firma in bianco 415

Il secondo Novecento e l’arte contemporanea

CHIAVI DI LETTURA

Entrare nell’arte... del secondo Novecento 420

VITE DA ARTISTI

Henry Moore - Andy WarholKeith Haring - Christo 422

ARCHITETTURA

Dalla ricostruzione all’architettura high-tech 424

LETTURA DELL’OPERA

Il Centre George Pompidou 426

ARCHITETTURA

Dal Postmoderno a oggi 427

LETTURA DELL’OPERA

Piazza Italia 427

Il Museo Guggenheim di Bilbao 428

SCULTURA

La scultura, fra tradizione e modernità 430

LETTURA DELL’OPERA

Figura giacente 431

SCULTURA

Le nuove frontiere

della scultura contemporanea 4 32

LETTURA DELL’OPERA

Sfera con sfera 433 PITTURA L’Arte informale 4 34 LETTURA DELL’OPERA

I 434 Pollock: l’azione e l’opera 436 Sacco e oro 4 39

La Pop Art 440 LETTURA DELL’OPERA Cow Triptych (Cow Going Abstract) 4 41 PITTURA

NUOVE FORME L’Arte povera 446 LETTURA DELL’OPERA Venere degli stracci 447

NUOVE FORME Land Art 448

NUOVE FORME

Body Ar t, Performance e Happening 450

LETTURA DELL’OPERA ANT 84. Antropometria senza titolo 450

NUOVE FORME

Installazioni e Arte concettuale 452

LETTURA DELL’OPERA Montagna di sale 453

NUOVE FORME Video Ar t e Computer Art 454

LETTURA DELL’OPERA Superstrada elettronica 454

LINGUAGGIO DELL’ARTE 458

I codici visivi

LEZIONE 1

Il segno, il punto, la linea 460

CONOSCERE E SCOPRIRE

Il segno 462

Il punto 463

La linea 463

LEZIONE 2

La superficie e la texture 464

CONOSCERE E SCOPRIRE

Le texture che compongono superfici 466

Texture grafiche, pittoriche, plastiche 466

LEZIONE 3

Il colore 468

CONOSCERE E SCOPRIRE

Che cos’è il colore? 470

La sintesi additiva 470

La sintesi sottrattiva 470

Le classificazioni dei colori 471

Colori acromatici 472

Colori caldi e colori freddi 472

Le terre 472

Le caratteristiche del colore 472

I contrasti e le armonie cromatiche 472

LEZIONE 4

Luci e ombre 474

CONOSCERE E SCOPRIRE

Le fonti luminose 476

Le ombre 476

Il volume 477

Il chiaroscuro 477

LEZIONE 5

Lo spazio 478

CONOSCERE E SCOPRIRE

Percezione dello spazio e indicatori di profondità 480

La prospettiva 481

La prospettiva centrale 481

La prospettiva accidentale 482

La prospettiva aerea 482

LEZIONE 6

La composizione 484

CONOSCERE E SCOPRIRE

Composizione, formato, inquadratura 486

La sezione aurea 486

I criteri della composizione 487

Il peso visivo 487

L’equilibrio 487

Le linee di forza 488

Simmetria e asimmetria 489

Modulo e ritmo 490

Staticità e dinamismo 490

LINGUAGGIO DELL’ARTE 492

Le tecniche

LEZIONE 1

La matita, il carboncino e la sanguigna 494

LEZIONE 2

Le matite colorate 495

LEZIONE 3

I pastelli a olio e a cera 496

LEZIONE 4

I pennarelli, le penne e gli inchiostri 497

LEZIONE 5

Il graffito 498

LEZIONE 6

Gli acquerelli 499

LEZIONE 7

Le tempere e gli acrilici 500

LEZIONE 8

I colori a olio 501

LEZIONE 9

Affresco, murales e Street Art 502

LEZIONE 10

Le tecniche di stampa 503

LEZIONE 11

Le tecniche plastiche 504

LEZIONE 12

Lo sbalzo 505

LEZIONE 13

Il collage e l’assemblaggio 506

LEZIONE 14

Il frottage e il grattage 507

LEZIONE 15

Il mosaico 508

LEZIONE 16

La vetrata 509

OSSERVARE E DISEGNARE Il volto in posizione frontale 5 36

Il volto di scorcio e di profilo 5 37

Le espressioni del volto 5 38

La caricatura 5 39

LEZIONE 6 Il corpo umano 540

OSSERVARE E DISEGNARE Il corpo umano 5 42

La figura umana in movimento 5 44

Le mani 5 45

LINGUAGGIO DELL’ARTE 510

I temi operativi

Le dieci regole per imparare a disegnare 512

LEZIONE 1

Le forme della natura 514

OSSERVARE E DISEGNARE

Gli alberi 516

Le foglie 517

I fiori 518

La frutta e la verdura 519

LEZIONE 2

Il paesaggio naturale e urbano 520

OSSERVARE E DISEGNARE

Il paesaggio naturale 522

Il paesaggio urbano 523

LEZIONE 3

Gli animali 524

OSSERVARE E DISEGNARE

Gli animali a quattro zampe 526

Il muso di un animale 527

Gli animali con le ali 528

Gli animali che vivono in acqua 529

LEZIONE 4

Gli oggetti 530

OSSERVARE E DISEGNARE

Gli oggetti 5 32

Le nature morte 5 33

LEZIONE 5

Il volto umano 534

GLOSSARIO 546

INDICE ARTISTI 549

La Preistoria e le prime civiltà

X millennio a.C.

Introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento

30000 a.C.

Pitture rupestri

nella Grotta di Chauvet

IV millennio a.C.

Prime città-stato in Mesopotamia

21000 a.C. Venere di Willendorf

2800-1

IV millennio a.C.

Invenzione della scrittura

III millennio a.C.

Unificazione dell’Alto e del Basso Egitto

a.C. Cromlech di Stonehenge

2500 a.C. Piramidi di Giza

2500 a.C. Stendardo di Ur

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XVIII sec. a.C.

Primo Impero babilonese

2100 a.C. Ziggurat di Ur

1500 a.C. Tempio di Karnak

VII sec. a.C.

Regno assiro di Assurbanipal II

VI sec. a.C.

Secondo Impero babilonese

1250 a.C. Tempio grande di Abu

575 a.C. Porta di Ishtar

Simbel

Entrare nell’arte... preistorica

I primi gruppi umani

Circa 35 000 anni fa, nell’ultima parte dell’Era paleolitica (iniziata circa 2 milioni di anni prima), fece la propria comparsa l’homo sapiens sapiens. Si trattava di esseri umani che vivevano di caccia e della raccolta di quanto la natura produceva spontaneamente, riuniti in piccoli gruppi nomadi che si spostavano da un luogo all’altro abitando perlopiù nelle grotte.

In Età neolitica i gruppi umani iniziarono a dedicarsi all’allevamento e all’agricoltura e lentamente divennero stanziali

Sorsero i primi villaggi fatti di capanne in legno o in pietra, di cui rimangono numerose tracce in Europa.

CHIAVI di

LETTURA

I principali siti preistorici in Europa.

1 Tra arte, magia e religione

La realizzazione dei dipinti dell’Età paleolitica era probabilmente accompagnata da gesti rituali, che oggi potremmo considerare legati alla magia o alla religione, finalizzati a garantire il controllo sulle forze della natura

Oceano

Atlantico

Reno

2 Le «veneri» e il culto della fertilità

Tra le prime sculture a essere realizzate vi furono le cosid dette «veneri»: statuette che avevano la funzione magicoreligiosa di propiziare la fertilità. Queste statuette erano oggetto di partico lare venerazione e ad esse si fa risalire il culto «della dea madre», associato anche alla terra, generatrice di vita.

Venere di Grimaldi (proveniente dai Balzi Rossi, presso Imperia), 20 000 a.C. ca. Saint-Germain-en-Laye, Musée d’Archéologie Nationale.

Pitture e graffiti
Cromlech
Dolmen
Menhir Nuraghe
Newgrange
Stonehenge
Carnac
Altamira Chauvet
Lascaux
Balzi Rossi
Valcamonica
Malta Djebel Mazela
Palmela
Mar Nero
Mare del Nord
Mar Mediterraneo
Danubio
Scena di caccia, 11 000 a.C. Cueva de Las Manos, Argentina.

L’arte è nata con gli esseri umani

Fin dagli albori della propria storia, l’essere umano ha dimostrato di essere un artista: pittore, scultore e, ci insegnano gli storici della musica, anche musicista. Nessuna delle espressioni artistiche che conosciamo oggi era estranea ai nostri antenati che vissero migliaia di anni fa. Dipinti e sculture risalenti alla Preistoria, come le pitture parietali (cioè realizzate sulle pareti delle grotte) del Paleolitico, costituiscono le prime manifestazioni artistiche e stupiscono per la bellezza e per le emozioni che, a distanza di millenni, ancora sanno suscitare.

Bisonte, 35 000-11 000 a.C. Grotta di Altamira, Spagna.

3 Le prime costruzioni in pietra

4 Civiltà e comunità

Nel Neolitico sorsero le prime costruzioni in pietra, i dolmen, che avevano perlopiù la funzione di tombe. Costituiscono importanti testimonianze del culto tributato ai defunti, almeno a quelli di un certo rango. Se ne trovano sparsi in tutta Europa, dal Galles alla Puglia, con caratteristiche molto simili.

Dolmen della Chianca, 3000 a.C. ca. Bisceglie.

Tra la fine del Neolitico e l’inizio dell’Età del bronzo sorsero i primi complessi megalitici: importanti testimonianze di una civiltà che andava maturando all’interno delle comunità. La loro costruzione, infatti, suppone una capacità già evoluta di progettare e di organizzare il lavoro in gruppo, per realizzare qualcosa di importante per la collettività.

Cromlech di Stonehenge, 2800-1500 a.C.

Piana di Salisbury, Regno Unito.

Il Paleolitico

Nelle grotte le prime espressioni artistiche

La Grotta di Lascaux, in Francia, è uno dei primi siti in cui sono stati rinvenuti, perfettamente conservati, dipinti e incisioni rupestri. Il luogo fu scoperto per caso nel 1940, quando un gruppo di giovani escursionisti, calandosi nella grotta, si trovò di fronte a immagini di una bellezza straordinaria.

Le suggestive immagini che si trovano nella Grotta di Lascaux sono in parte dipinte e in parte incise nella roccia. Per realizzarle, le donne e gli uomini del Paleolitico si servirono delle dita o di pennelli fatti con peli di animali, grazie ai quali riuscivano a creare le sfumature.

I colori, predominanti il rosso, l’ocra e le tinte brune, erano ricavati da impasti di terre colorate, mentre i contorni neri erano tracciati con pezzi di carboni di legna bruciata.

L’esecuzione di questi dipinti suppone anche una suddivisione e una specializzazione dei lavori: vi era chi procurava i materiali dai quali poi altri ricavavano i colori, e poi vi erano gli «artisti» veri e propri, che tracciavano e coloravano le figure sulle pareti. Per raggiungere le parti più alte della grotta si aiutavano con scale rudimentali ricavate dai tronchi degli alberi.

La «Cappella Sistina» della Preistoria

La Grotta di Lascaux è stata definita la «Cappella Sistina» della Preistoria. Al suo interno vi sono oltre 600 figure dipinte e altre 1500 incise sulle pareti di ambienti che si susseguono in una serie di gallerie e di «sale». Qui, circa 16 000 anni fa, i popoli del Paleolitico hanno lasciato una testimonianza formidabile non solo della loro abilità nel tracciare figure ferme o in movimento, ma anche del loro gusto per il colore e della loro sensibilità.

Volta della Sala dei tori, 15 000-14 500 a.C., pitture rupestri. Grotta di Lascaux, Francia.

COMPETENTI IN ARTE

Tra le prime immagini incise e dipinte nel Paleolitico, sono molto raffigurati gli animali.

Osserva le immagini su queste pagine e scrivi quali tipi di animali riesci a individuare.

• Si tratta di animali che ancora oggi vengono cacciati?

• Indica sulle immagini gli animali che non sai identificare e confrontati con i compagni e le compagne di classe.

rupestri.

Mani in una grotta

In Patagonia, regione meridionale dell’Argentina, esiste una grotta che si chiama Cueva de Las Manos, «Grotta delle mani»: dall’immagine riprodotta qui a fianco è facile rendersi conto del motivo del nome.

Le pareti di questa grotta, infatti, sono quasi interamente coperte da impronte di mani realizzate per lo più con la tecnica dello spruzzo in un periodo che risale a circa 13 000 anni fa.

Talvolta esse si sovrappongono o sono accostate a immagini di animali, con un evidente riferimento alla caccia. Il colore predominante è il rosso, ricavato da minerali ferrosi come l’ematite

CHE...

Piccoli e destrorsi

Dalle impronte rimaste sulle pareti della Cueva de Las Manos si ricavano almeno due informazioni interessanti su coloro che millenni fa le hanno realizzate. Anzitutto essi erano destrorsi: le impronte sono quasi tutte della mano sinistra, il che significa che hanno usato la destra per distribuire il colore intorno alla mano appoggiata contro la roccia. In secondo luogo, erano di corporatura piuttosto minuta, perché le dimensioni delle mani sono simili a quelle di un ragazzo di 12 o 13 anni. Insomma, erano uomini e donne che per la loro grandezza erano molto simili a te.

Le Grotte di Chauvet

e di Altamira

Sempre in Francia, ancora più antica della grotta di Lascaux è quella di Chauvet (dal nome dello studioso Jean-Marie Chauvet, che la scoprì nel 1994). I dipinti che vi si trovano risalgono a oltre 30 000 anni fa e colpiscono per la straordinaria varietà di animali raffigurati e per il dinamismo che essi comunicano. Alcuni particolari dei dipinti nella Grotta di Chauvet sono curiosi, ad esempio la presenza di rinoceronti, che evidentemente nel Paleolitico erano diffusi anche nella Francia meridionale. Contemporanei a quelli di Lascaux sono invece i dipinti rupestri che si trovano nella Grotta di Altamira, nella Spagna settentrionale, a ridosso della costa atlantica. Anche in questo caso si tratta di un complesso di ambienti che si snodano per oltre 250 metri, nei quali sono raffigurati animali e cacciatori

Rinoceronti e cavalli, 30 000 a.C., pitture
Grotta di Chauvet, Francia.
Impronte di mani, 11 000 a.C. ca., pitture rupestri. Cueva de Las Manos, Argentina.
SAPEVI

Scultori per caso

La nascita della scultura rivela in modo chiaro come l’essere umano sia naturalmente portato a essere un artista. Inizialmente, infatti, scolpire significava modellare utensili di vario genere (ad esempio pugnali o punte per lance e frecce ricavati scheggiando pietre) che presto l’essere umano iniziò ad abbellire.

Il gusto per la decorazione degli oggetti di uso quotidiano è visibile nei propulsori, strumenti in osso che servivano per lanciare lontano pietre o aste, dunque impiegati soprattutto nella caccia.

Arte per la vita

L’evoluzione della scultura si manifestò anche nella realizzazione di opere che avevano un significato più profondo. Tutto ciò che aveva a che fare con l’inizio e la fine della vita (momenti che suscitavano grandi interrogativi e timori) iniziò ben presto a essere oggetto delle prime manifestazioni artistiche

Tra le sculture più antiche vi sono le «veneri», figure femminili di dimensioni comprese fra i 5 e i 25 cm che servivano a propiziare la fertilità, come ad esempio la Venere di Willendorf.

Propulsore con uccello scolpito (proveniente da Le Mas d’Azil), 18 000-14 000 a.C., corno di renna. Saint-Germain-en-Laye, Musée d’Archéologie Nationale.

I propulsori erano spesso modellati con figure di animali, come questo alla cui base è stato scolpito un uccello.

La Venere di Willendorf, simbolo della fertilità

Alla donna, in quanto capace di generare figli, era fatta risalire simbolicamente l’origine dell’esistenza e per questo le parti del corpo direttamente coinvolte nella generazione (il ventre) e nel mantenimento della vita (il seno) erano esaltate e rappresentate in grandezza esagerata e sproporzionata rispetto al resto della figura.

Tutte queste caratteristiche si trovano sulla Venere di Willendorf (che prende il nome dalla località austriaca dove è stata rinvenuta nel 1908). La scultura, alta quanto il palmo di una mano, è in pietra calcarea ricoperta di ocra rossa.

Il volto non è caratterizzato, così da far risaltare in maniera ancora più evidente la fisicità e gli elementi coinvolti nella procreazione.

Come per tutte le veneri preistoriche, la mancanza dei piedi dipende probabilmente dal fatto che la statuina doveva poter essere conficcata nel terreno, così da renderlo fertile per il sostentamento della comunità.

Venere di Willendorf, 21 000 a.C. ca., pietra calcarea, h 11 cm. Vienna, Naturhistorisches Museum.

Graffiti e incisioni della Valcamonica

SAPEVI CHE...

Le origini di un simbolo

Incisa novantadue volte, sempre in modo differente, la «rosa camuna» è un simbolo misterioso. Il suo significato è ancora sconosciuto, ma resta evidente dalle incisioni che aveva una grande importanza. Spesso viene raffigurata circondata da guerrieri che danzano, quasi volessero difenderla. Nel 1975, un gruppo di designer, tra i quali Bruno Munari, rielaborò graficamente il disegno della «rosa camuna» ricavandone un logo, una rosa camuna bianca su campo verde, adottato come simbolo della Regione Lombardia

Rosa camuna, VII-I sec. a.C. Valcamonica, Foppa di Nardo.

In una delle valli più estese della Lombardia, la Valcamonica, si trova un ricchissimo patrimonio di testimonianze risalenti ai primi abitanti di queste terre, i Camuni, che vi si insediarono intorno al XIII millennio a.C Lungo l’intera vallata si può passeggiare attraverso otto parchi archeologici e osservare oltre 200 000 figure incise nella roccia in un periodo che va dalla fine dell’Era paleolitica fino all’epoca romana.

I soggetti, rappresentati con le tecniche della martellina (la pietra è picchiettata con una sorta di martello) e del graffito (incisione su pietra), sono scene di caccia, riti propiziatori, sacrifici e cerimonie religiose dei Camuni. Le incisioni rupestri dei Camuni furono scoperte nel 1909 dal geografo bresciano Walther Laeng e nel 1979 la vasta area archeologica della Valcamonica è stata il primo sito italiano ad essere riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio mondiale dell’umanità.

Guerrieri e animali, III millennio a.C., incisioni rupestri. Valcamonica, Parco Archeologico Comunale di Seradina e Bedolina.

Simbolo della Regione Lombardia.

Cervi, 11 000 a.C. ca., incisioni rupestri. Valcamonica, Capo di Ponte.

Dal Neolitico all’Età del bronzo

Menhir, dolmen e cromlech

Durante il Neolitico, in diverse regioni europee gli esseri umani abbandonarono il nomadismo e iniziarono a vivere stabilmente in gruppi più o meno numerosi. A questo periodo risalgono i megaliti, grandi pietre che, a seconda della forma e dell’uso, sono chiamate in modo diverso:

• menhir (nell’antica lingua bretone «pietra lunga»), grossi massi di pietra di forma allungata che venivano conficcati nel terreno. Potevano essere isolati, oppure collocati uno vicino all’altro. Avevano la funzione di indicare la presenza di tombe, oppure di segnalare un percorso sacro;

• dolmen (nell’antica lingua bretone «tavola di pietra»), strutture costituite da due o tre menhir che supportano una lastra di pietra orizzontale. Erano edificati sopra tombe individuali o collettive scavate nella terra sottostante;

• cromlech (nell’antica lingua bretone «circolo»), costruzioni complesse di forma circolare che servivano a delimitare un’area considerata sacra. Il cromlech più famoso, anche per le sue dimensioni, è quello di Stonehenge, nel Regno Unito.

Cromlech di Stonehenge, 2800-1500 a.C., pietra arenaria, diametro 100 m. Piana di Salisbury, Regno Unito.

SAPEVI CHE...

Menhir... e fumetti

I fumettisti francesi Uderzo e Goscinny sono diventati famosi per avere inventato le avventure di Asterix e Obelix. Uno dei compiti di Obelix è quello di trasportare sulla schiena grossi menhir, che spesso non raggiungono la destinazione voluta perché vengono prima scagliati, come enormi proiettili, contro i nemici. Le avventure sono ambientate nel I secolo a.C., durante la guerra tra Galli e Romani. Ora, anche se è vero che nell’antica Gallia erano presenti complessi megalitici risalenti al Neolitico, è escluso che nel I secolo a.C. qualcuno si desse ancora la briga di portare in giro dei menhir. Il compito assegnato al simpatico Obelix rappresenta quindi un anacronismo che non ha nulla a che vedere con la verità della storia dei megaliti.

Menhir
Dolmen

Il sistema trilitico

I dolmen e i cromlech erano costruiti usando il cosiddetto sistema trilitico. Si tratta di una tecnica costruttiva basata sull’uso di tre pietre (raramente quattro), delle quali due verticali conficcate nel terreno (chiamate piedritti) ne sostengono una terza, posta in orizzontale sulla loro sommità (detta architrave). Se i piedritti e l’architrave sono ben posati, la struttura che ne risulta è solida e il peso viene scaricato verso terra in maniera equilibrata, dando stabilità alla costruzione.

Schema ricostruttivo di struttura trilitica.

Complessi megalitici nell’Età del bronzo

L’evoluzione degli esseri umani è avvenuta con fasi e ritmi differenti nelle varie parti del mondo, per cui è possibile riscontrare costruzioni megalitiche in civiltà di epoche successive al Neolitico. L’esempio più vicino a noi è quello della civiltà nuragica, che fiorì in Sardegna a partire dal 1800 a.C. e si prolungò fino alla conquista romana, intorno al II secolo a.C. Le numerose grandi costruzioni in pietra presenti sul territorio sardo risalgono quindi all’Età del bronzo, epoca in cui si raggiunse un’elevata padronanza nella lavorazione dei materiali, testimoniata anche da interessanti manufatti artistici.

La civiltà dei nuraghi

La civiltà nuragica sarda prende il nome dai nuraghi, costruzioni cilindriche organizzate su diversi piani che potevano raggiungere anche i 20 metri di altezza. Erano composte da grossi massi di pietra («nuraghe» deriva dalla parola sarda nurra, che significa «ammasso di pietre») sovrapposti senza l’uso di malta: una tecnica che si definisce «muratura a secco». I nuraghi erano integrati all’interno di un villaggio e avevano probabilmente una funzione di difesa della popolazione, che in caso di pericolo vi trovava rifugio.

Nei villaggi più grandi potevano esserci anche più nuraghi di diverse dimensioni: in questo caso si parla di complesso nuragico

Al

Gruppo di due guerrieri, VIII sec. a.C., bronzo. Cagliari, Museo Nazionale di Cagliari. Questo gruppo di bronzetti, che rappresenta guerrieri in atteggiamento di preghiera, è stato rinvenuto nel villaggio santuario ad Abini, in provincia di Nuoro.

Dolmen della Chianca, 3000 a.C. ca. Bisceglie.
suo interno sono state rinvenute diverse sepolture.
Nuraghe di Santu Antine, detto anche Sa domo de su Re («La casa del re»), 1800-1450 a.C. Torrealba.
Architrave
Piedritto
Piedritto

Stonehenge: un grande calendario di pietra

Il complesso megalitico più famoso al mondo è il cromlech di Stonehenge, nell’Inghilterra meridionale. Costruito in fasi successive tra il 2800 e il 1500 a.C., era formato in origine da 30 megaliti, sulla cui sommità erano collocate delle enormi lastre in pietra. Oggi solo una parte del cromlech di Stonehenge è rimasta intatta, ma le tracce sul terreno permettono una ricostruzione precisa del suo aspetto originario. All’interno di questo «recinto sacro» c’erano cinque grandi triliti, altre pietre più piccole e una grande lastra chiamata «pietra dell’altare», che serviva probabilmente come punto di osservazione del ciclo solare. Intorno al cromlech di Stonehenge vi erano altri anelli di pietre, buche e persino un fossato. Tutti questi elementi delimitavano un’area ben precisa.

Il lungo viale d’ingresso era allineato in modo da coincidere con il punto in cui sorgeva il Sole nel solstizio d’estate. All’alba, la luce del sole penetrava nel cromlech attraverso la Pietra di Heel e andava a colpire la pietra dell’altare. A partire da quel momento, facendo riferimento ad altri massi del complesso era possibile stabilire in modo preciso il succedersi dei mesi e delle stagioni. Le 56 buche scavate nel terreno, che si trovano lungo il fossato, indicano probabilmente il tempo stimato tra il verificarsi di due eclissi lunari

è di 100 metri, ma tutta l’area del complesso è molto più ampia. Il monolite più grande utilizzato è alto 9 metri e pesa circa 40 tonnellate. Tutte queste grandi pietre furono trasportate sul luogo facendole rotolare su tronchi di legno. Si tratta di pietra arenaria proveniente da almeno 30 chilometri di distanza. Per innalzare questi enormi massi, i costruttori ricorsero alla tecnica impiegata per i dolmen: scavavano grosse buche nella quali facevano scivolare la base della pietra e poi la raddrizzavano utilizzando delle funi. Poi, costruendo una sorta di impalcatura costituita da diverse piattaforme in legno sovrapposte, issavano la lastra orizzontale. Si tratta di un lavoro che richiedeva molto tempo e molte persone!

Disegno ricostruttivo del cromlech di Stonehenge.

Tutta l’area del cromlech era delimitata da un fossato. L’ampio spazio interno era considerato sacro.

In una delle buche che circondano il complesso, ogni anno veniva collocata una grossa pietra, che veniva spostata di volta in volta in quella successiva: questa modalità permetteva di calcolare gli anni che intercorrevano tra un’eclissi lunare e l’altra.

La Pietra di Heel era punto di riferimento per stabilire il calendario solare: si trova sull’asse diretto verso la posizione del Sole all’alba del solstizio d’estate.

Cromlech di Stonehenge, 2800-1500 a.C., pietra arenaria, diametro 100 m. Piana di Salisbury, Regno Unito.
Stonehenge
REGNO UNITO Londra
Mare del Nord
Oceano Atlantico

Entrare nell’arte... mesopotamica ed egizia

I primi imperi della storia...

A partire dal IV millennio a.C., in una vasta porzione di territorio che si estende tra Africa e Asia nota con il nome di Mezzaluna fertile, nacquero grandi regni e potenti imperi. Nella Mesopotamia, la terra compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, sorsero le prime città-stato fondate dai Sumeri: centri indipendenti l’uno dall’altro che conobbero fin da subito una notevole fioritura economica e culturale. Successivamente, nello stesso territorio si affermarono gli imperi degli Assiri e dei Babilonesi

Contemporaneamente, lungo il fiume Nilo sorse il potente impero degli Egizi, destinato a durare per oltre tre millenni.

CHIAVI di LETTURA

1 Arte tra religione...

L’arte dei Sumeri trova la sua prima ispirazione nella religione. Questo è un tratto caratteristico di tutte le ci viltà antiche: statue di divinità edifici sacri, oggetti di vario genere impiegati per il culto sono tra le espressioni artistiche più antiche della storia dell’umanità.

L’area della Mezzaluna fertile.

Mar Mediterraneo

BASSO

EGITTO

Menfi Rosetta

El Giza Saqqara

ANATOLIA

Til Barsip

Gerusalemme Gaza

Statuetta raffigurante Salim (proveniente da Mari), 3000 a.C. Damasco, National Museum of Damascus.

Khorsabad

Ninive

Nimrud

Assur

Dur Kurigalzu

Tigri Eufrate

Babilonia

Uruk

Ur Nippur

Ecbatana

Susa

Pasargade

Persepoli

Nilo Asyut Karnac (Tebe)

Abu Simbel

SINAI Luxor (Tebe) Assuan

ALTO EGITTO

MarRosso

DESERTO ARABICO

...e potere

Oltre alla religione, grande importanza ricopriva nell’arte delle prime civiltà anche l’esaltazione e la celebrazione del potere regale. Nell’impero assiro, per esempio, accanto al tempio, sorgeva il palazzo del re, decorato con sculture che esaltavano la figura del sovrano e le sue imprese militari.

Assurbanipal dopo la battaglia di Elam (frammento proveniente dal Palazzo di Ninive), 645 a.C. ca. Parigi, Musée du Louvre.

Mar Caspio
GolfoPersico
Palazzi reali
Ziggurat Piramidi Templi egizi
Mezzaluna fertile

...e le prime grandi civiltà

Nelle città-stato dei Sumeri si svilupparono raffinate forme artistiche e fu inventata la scrittura. La civiltà dei Sumeri influenzò in maniera decisiva anche i popoli che in seguito conquistarono le loro città, creando i primi grandi imperi. Tracce ancora più importanti sono quelle rimaste in Egitto, che segnalano una straordinaria fioritura in tutte le espressioni della cultura: dalle arti figurative, agli studi di astronomia alla letteratura. I grandi monumenti funebri e gli imponenti edifici dedicati al culto delle innumerevoli divinità, ma anche i dipinti e gli oggetti di uso quotidiano, rimangono come testimonianza di una delle più raffinate civiltà della storia.

Ingresso del tempio di Abu Simbel, 1250 a.C. ca. Assuan, Egitto.

3 Il culto dei defunti

4 Le tombe dei faraoni

Anche l’arte egizia è strettamente legata alla religione e, in particolare, al culto riservato ai defunti . Pitture, sculture di grandi e piccole dimensioni, persino oggetti di uso quotidiano di straordinaria bellezza sono stati rinvenuti nelle tombe e avevano una funzione precisa: accompagnare il defunto nella sua vita nell’oltretomba.

, 1255-1265 a.C.

Nelle civiltà mesopotamiche spesso la figura del sacerdote coincideva con quella del sovrano. In Egitto, invece, il faraone è egli stesso una divinità, incarnazione di Horus, figlio di Ra, il dio-Sole. A lui venivano innalzate statue di dimensioni colossali e lo stesso edificio-simbolo della civiltà egizia, la piramide, è una tomba destinata ad accogliere il corpo del faraone.

Necropoli di Giza, XXVI sec. a.C. Il Cairo, Piana di Giza, Egitto.

Tomba della regina Nefertari
Luxor, Valle delle Regine, Egitto.

I Sumeri

La ziggurat, centro della città sumera

La civiltà mesopotamica risale al IV millennio a.C. e venne fondata dai Sumeri. Fra il Tigri e l’Eufrate vennero edificate le prime importanti città, ciascuna delle quali era autonoma (si parla infatti di città-stato) e sorgeva intorno alla ziggurat.

La ziggurat era una grande piramide a gradoni costruita in mattoni che costituiva il centro religioso perché, alla sua sommità, era collocato il tempio dedicato alla divinità

La sommità della ziggurat era piatta. Era il luogo in cui i sacerdoti officiavano i riti e scrutavano il cielo e le stelle.

protettrice della città. Era inoltre il centro economico, perché al suo interno vi erano magazzini e depositi dove venivano conservati i prodotti agricoli; infine, era anche il centro culturale, perché alcuni ambienti erano riservati ai giovani che apprendevano l’uso della scrittura per diventare scribi. Intorno alla ziggurat sorgevano le dimore dei sovrani e dei sacerdoti e, poco più distante, le più modeste abitazioni dei cittadini.

In cima alla ziggurat vi era un tempio al quale potevano accedere solo i sacerdoti.

Statuetta raffigurante Ebih-Il (proveniente da Mari), 2400 a.C., alabastro. Parigi, Musée du Louvre.

Le scale potevano essere una o più di una. La scalinata centrale era riservata ai sacerdoti

I gradoni consentivano di innalzarsi verso il cielo, sede della divinità. 16 Unità 1 • La Preistoria e le

Le offerte votive

Disegno ricostruttivo di una ziggurat

Gli scavi archeologici compiuti in prossimità dei templi mesopotamici hanno riportato alla luce piccole statue in alabastro o diorite raffiguranti persone in atteggiamento di preghiera, che per questo vengono chiamate oranti. Si tratta molto probabilmente di offerte votive. La scultura aveva la funzione di sostituire la persona reale, occupata a svolgere le faccende quotidiane, nelle azioni di culto da rendere alla divinità. Le figure sono rappresentate frontalmente e appaiono piuttosto rigide, con particolari anatomici semplificati e spesso sproporzionati. Nelle statuette colpisce la rappresentazione del volto: gli occhi grandi e spalancati, colorati con l’innesto di lapislazzuli, manifestano stupore di fronte alla divinità; l’espressione è sempre serena e fiduciosa.

Lo Stendardo di Ur

Una delle testimonianze più interessanti dell’arte sumerica è costituita dal cosiddetto Stendardo di Ur, una scatola di legno di circa 50 cm di lunghezza e 22 di altezza. Risale al III millennio a.C. ed è stato rinvenuto in una tomba nella città di Ur. Ogni faccia della scatola è decorata con intarsi colorati inseriti su uno strato di bitume spalmato in modo uniforme sul legno. I due pannelli più lunghi dello stendardo riportano l’uno episodi di guerra, l’altro raffigurazioni che riguardano i festeggiamenti per la pace seguiti alla vittoria. Entrambi sono suddivisi in tre fasce sovrapposte, che vanno lette dal basso verso l’alto. Le immagini rappresentano una testimonianza importante non solo sotto il profilo artistico, ma anche dal punto di vista storico, perché permettono di conoscere alcune caratteristiche della civiltà sumerica. Le figure sono in conchiglia e madreperla (di colore bianco), lo sfondo è in lapislazzulo (blu), mentre le cornici sono realizzate in madreperla, lapislazzuli e corniole (rosso).

Nel pannello dedicato alla pace (riprodotto sotto) è illustrato un banchetto imbandito per celebrare la vittoria militare.

La figura del sovrano è facilmente riconoscibile, perché è più grande degli altri personaggi raffigurati.

Due coppieri servono da bere al re e agli altri invitati al banchetto.

Carro militare (particolare del pannello raffigurante la guerra sullo Stendardo di Ur), 2500 a.C. Londra, British Museum.

Nel pannello della guerra, scopriamo che i carri erano provvisti di ruote piene formate da due semicerchi uniti intorno al mozzo. Proprio la ruota è una delle invenzioni attribuite ai Sumeri e lo stendardo ce ne offre conferma.

Funzionari e capi militari festeggiano insieme al re. Tutti i personaggi sono raffigurati con il volto di profilo, il busto in posizione frontale, le gambe e i piedi ancora di profilo

Un musico suona la lira, una piccola arpa in uso presso i popoli mediorientali.

Alcuni animali vengono condotti al sacrificio. Servi (o schiavi di guerra) portano il bottino: oggetti, cibo e animali.

Le fasce sono divise da elementi decorativi.

Stendardo di Ur (pannello della pace), 2500 a.C., legno intarsiato, 50 × 22 cm. Londra, British Museum.

I Babilonesi e gli Assiri

La grande città di Babilonia

Nella seconda metà del XVIII secolo a.C., le città-stato dei Sumeri furono conquistate dai Babilonesi, che fondarono il primo grande impero mesopotamico. Molti dei loro edifici, giunti fino a noi, testimoniano una civiltà ricca e fiorente, tesa a esaltare la grandezza di sovrani che per secoli estesero e consolidarono il loro dominio nella terra fra il Tigri e l’Eufrate. La città di Babilonia, capitale dell’impero, presentava edifici imponenti: alte ziggurat e palazzi diventati famosi per i loro giardini pensili, cioè costruiti su terrazzamenti. Tutte opere architettoniche che lasciano supporre capacità di progettazione e tecniche costruttive di altissimo livello.

La porta di Ishtar

Porta di Ishtar di Babilonia, 575 a.C. ca., mattonelle di terracotta colorata e smaltata, 14,73 × 15,70 × 4,35 m. Berlino, Pergamonmuseum.

BSAPEVI CHE...

«Una Babilonia!»

L’espressione comune «è una Babilonia» indica una situazione confusa o di disordine. Il detto si rifà a un testo della Bibbia (Genesi 11, 1-9) secondo il quale, agli albori della storia, gli esseri umani parlavano tutti la stessa lingua. Quando però decisero di costruire una torre alta fino al cielo, Dio, sentendosi sfidato, li punì facendoli parlare lingue diverse e impedendo loro di intendersi. La confusione fu tale che i lavori per l’edificazione della torre cessarono. La torre era detta «di Babele»: Babel è il nome originale di Babilonia.

abilonia era circondata da mura possenti, nelle quali si aprivano otto porte monumentali come quella dedicata a Ishtar, dea dell’amore e della guerra. La porta è completamente ricoperta da mattonelle di terracotta trattate con una miscela colorata a base di vetro che ne rende lucida la superficie. Su un fondo blu brillante risaltano animali come leoni e tori, ma anche creature fantastiche sacre alle divinità. Nel 1930 questa famosa porta fu ricostruita nel Pergamonmuseum di Berlino con i materiali recuperati dagli scavi archeologici.

L’arte a servizio del potere

I sovrani babilonesi si servirono della scultura per manifestare il loro prestigio e il loro potere. Sulle pareti dei palazzi vennero scolpite grandi scene che ne esaltavano le gesta: celebrate a volte con statue e monumenti.

Vi erano anche opere di dimensioni più piccole, come le stele, che avevano spesso come soggetto le imprese compiute dal sovrano, oppure riportavano iscrizioni con cui venivano fatte conoscere le leggi che i sudditi erano tenuti a rispettare, come la famosa stele con il Codice di Hammurabi.

Stele del Codice di Hammurabi, 1750 a.C., basalto, 225 × 65 cm (parte superiore). Parigi, Musée du Louvre.

Il re Hammurabi di fronte al dio della giustizia, Shamash.

Gli Assiri: un popolo di guerrieri

Nell’VIII secolo a.C. Babilonia fu conquistata dagli Assiri, una popolazione di guerrieri che, al pari dei Babilonesi, si pose anch’essa in continuità con la cultura sumerica.

L’arte assira è principalmente legata alla celebrazione dei sovrani e alle loro imprese militari. Numerosi sono i rilievi che descrivono battaglie, ritrovati soprattutto negli scavi archeologici di Ninive (oggi Mosul, in Iraq), antica capitale dell’impero assiro.

Un corteo di guerra

Il rilievo celebra una grande vittoria del re Assurbanipal. Un particolare presente nell’immagine testimonia lo sviluppo tecnologico di quel popolo: la ruota non è più piena come quella sumera, ma a raggi, più robusta e leggera.

Anche dal punto di vista artistico si nota un’evoluzione. Le persone sono ritratte completamente di profilo, con proporzioni più realistiche e con maggiore cura dei dettagli.

COMPETENTI IN ARTE

L’immagine riportata sotto ritrae il re assiro Assurbanipal II durante una battuta di caccia. Pare che quello della caccia fosse un soggetto molto apprezzato dagli Assiri, ma con un significato molto diverso rispetto a quello che abbiamo visto studiando l’arte preistorica. Osserva l’immagine e rispondi.

• Che cosa vuole comunicare?

• La raffigurazione ha un significato magico-religioso oppure di altro tipo?

• Quali differenze noti rispetto alle immagini delle pagine precedenti, riferite alle scene di caccia di epoca preistorica?

Assurbanipal a caccia (frammento proveniente dal Palazzo di Ninive), 650-620 a.C., alabastro. Londra, British Museum.

Prigionieri elamiti dopo la battaglia di Elam (frammento proveniente dal Palazzo di Ninive), 645 a.C. ca., alabastro, 163 × 77 cm. Parigi, Musée du Louvre.

Gli Egizi: tombe alte fino al cielo

Dimore per l’eternità

Le testimonianze più importanti della civiltà egizia ci vengono dalle tombe delle necropoli e dai templi. Soprattutto i luoghi di sepoltura di sovrani, o persone appartenenti a famiglie d’alto rango, sono ricchi di reperti utili a ricostruire la vita quotidiana e la cultura degli antichi Egizi. Essi credevano che il defunto avrebbe proseguito la sua esistenza all’interno della sua tomba, perciò veniva sepolto insieme a oggetti di vario genere (da quelli di uso domestico a statue, armi e arredi), che gli avrebbero consentito di mantenere le abitudini che aveva avuto durante la vita terrena.

La piramide e i suoi significati simbolici

Le tombe regali più importanti e famose dell’antico Egitto sono le piramidi. A questi imponenti edifici erano riconosciuti diversi significati simbolici. Tra i molti, vi era quello della scala che serviva per raggiungere il cielo: questo significato era attribuito soprattutto alle piramidi a gradoni, che furono le prime a essere edificate. Più suggestiva, però, è l’identificazione della piramide con un raggio di sole che dall’alto, con la sua forma triangolare, si diffonde sulla Terra. Se si pensa che il faraone era ritenuto figlio del dio-Sole Ra, è affascinante pensare che dopo la morte egli continuasse a vivere dentro un raggio di sole.

Piramide del faraone Gioser, 2660 a.C. ca., h 62 m. Menfi, Necropoli di Saqqara. Piramide a gradoni.

Necropoli di Giza, XXVI sec. a.C. Il Cairo, Piana di Giza. Piramidi a facce lisce

Piramide di Cheope
Piramide di Micerino
Piramide di Chefren. In cima conserva parte del rivestimento di calcare.

La piramide di Cheope

Le piramidi più famose sono quelle che costituiscono il complesso funerario di Giza dove, accanto a sepolture minori, sorgono quelle maestose e imponenti dei faraoni Cheope, Chefren e Micerino, costruite fra il 2620 e il 2500 a.C.

Tra le piramidi di Giza, la più grande è quella innalzata per il faraone Cheope. Fu costruita fra il 2580 e il 2540 a.C. circa e in origine arrivava fino a 147 metri di altezza, mentre i lati della base misuravano intorno ai 240 metri. Oggi queste misure sono un poco ridotte a motivo dell’erosione e del venir meno degli strati di copertura. La struttura interna della piramide era molto complessa: oltre alla camera destinata ad accogliere il corpo del faraone, vi erano cunicoli e passaggi segreti che servivano anche a scoraggiare i saccheggiatori di tombe. Poiché lo scopo principale della piramide era quello di conservare la mummia del sovrano, talvolta questa veniva nascosta in una camera segreta, in modo che non cadesse in mano ai profanatori.

Lastre di marmo disposte a intercapedine che scaricano il peso del soffitto ai lati della camera sepolcrale

Camera del re

Camera della regina

Spaccato della piramide di Cheope.
A guardia delle piramidi di Giza vi è una gigantesca statua di Sfinge, 2590 a.C., pietra calcarea, 20 × 73 × 19 m.
Condotto di ventilazione
Galleria
Pozzo
Camera sotterranea
Entrata

Grandi sepolcri scavati nella terra

Le tombe della Valle dei Re

A partire dal Nuovo Regno (circa 1580 a.C.), cessò l’uso di costruire le pira midi e le tombe reali iniziarono a essere scavate in un luogo nascosto le montagne che circondano Tebe (oggi Luxor): la Valle dei Re. La scelta fu dettata soprattutto da motivi di sicurezza: era necessario fare in modo che le tombe non venissero svuotate dei tesori che conte nevano e che il riposo del faraone fosse rispettato per l’eternità. Nonostante tutte le precauzioni, però, anche le tombe della Valle dei Re furono saccheggiate già nell’antichità da parte di predoni che, pur di impadronirsi delle ricchezze che custodivano, ignoravano le maledizioni scritte sulle pareti dei sepolcri contro coloro che avessero osato disturbare il sonno dei faraoni.

Statua del faraone Tutankhamon (proveniente dalla tomba del faraone), 1325 a.C. ca., legno ricoperto di pece nera, bronzo e oro, h 163 cm. Il Cairo, The Egyptian Museum.

Maschera funeraria in oro del faraone Tutankhamon. XIV sec. a.C., legno, oro e gemme, 54 × 39 × 49 cm. Il Cairo, The Egyptian Museum.

Una tomba ancora intatta

Vi è però una tomba che è giunta fino a noi pressoché intatta, con tutti i suoi tesori all’interno: quella di Tutankhamon («immagine vivente di Amon»), un faraone vissuto circa 3300 anni fa, salito al trono ad appena 10 anni e morto in circostanze rimaste misteriose quando ne aveva 18. Nella tomba di Tutankhamon i ladri penetrarono per due volte ed entrambe le volte i sacerdoti la risistemarono e sigillarono. Poi venne costruita un’altra tomba che la nascose definitivamente e non venne più profanata. Così, quando nel 1922 un gruppo di archeologi guidati dall’inglese Howard Carter, dopo mesi di ricerche scoprì la tomba di Tutankhamon, nessuno immaginava di trovare una sepoltura ancora capace di offrire un’idea completa e precisa di come fossero sepolti i faraoni.

SAPEVI CHE...

La maledizione di Tutankhamon

Una scritta posta su un sigillo all’ingresso della tomba di Tutankhamon avverte che «La morte colpirà con le sue ali chiunque disturberà il sonno del faraone». Questa maledizione rimase pressoché ignorata finché, un anno dopo la scoperta del sepolcro, il finanziatore della spedizione archeologica, Lord Carnarvon, non fu colpito da un’infezione che lo portò alla morte, a soli 57 anni. In realtà l’uomo era già malato da tempo, ma da quel momento si diffuse la leggenda della «maledizione del faraone», che contribuì a rendere ancora più affascinante la storia della scoperta della tomba.

Tuttavia, quello di Carnarvon fu l’unico caso di una morte avvenuta poco tempo dopo la scoperta: Howard Carter, protagonista del ritrovamento, morì di morte naturale 16 anni dopo e tutte le persone che parteciparono alla spedizione morirono in età avanzata. Insomma, pare non vi fosse nessuna vera maledizione (e se vi era non si dimostrò molto efficace).

Oggi la mummia di Tutankhamon riposa nella tomba che per oltre 3000 anni aveva custodito il suo segreto, chiusa nel sarcofago originale in legno dorato.

2 Camera sepolcrale

1 Anticamera

3 Stanza-deposito

Alla tomba si accedeva attraverso un corridoio che dava accesso a un’anticamera 1 dove era contenuta una grande quantità di oggetti appartenuti al faraone, tra cui il letto funebre e un carro smontato, mentre due statue di soldati in legno ai lati della porta della camera sepolcrale 2 avevano il compito di proteggere il riposo di Tutankhamon. Dietro l’anticamera vi era una stanza-deposito 3 colma di preziosi oggetti di uso quotidiano. Nella camera sepolcrale si trovavano quattro grandi «cappelle» (simili a casse) in legno dorato, poste una dentro l’altra, l’ultima delle quali conteneva a sua volta tre sarcofaghi, posti anch’essi uno dentro l’altro: uno in pietra, uno in legno dorato e l’ultimo in oro massiccio, del peso di 110 chili, che conteneva la mummia del faraone.

Annessa alla camera sepolcrale, separata da una porta murata, c’era la stanza del tesoro 4 , contenente arredi preziosi e una grande cassa di legno laminato in oro dove erano contenuti i canopi, cioè i vasi nei quali erano conservate le interiora del faraone asportate durante le operazioni della mummificazione.

Capolavori dell’arte egizia

Tra gli oggetti più belli e preziosi rinvenuti nella tomba di Tutankhamon vi è una maschera d’oro massiccio, del peso di circa 10 kg, che costituisce un vero e proprio capolavoro dell’arte egizia. Si tratta di una sorta di «casco protettivo» che era appoggiato sul volto del sovrano e ne riproduceva le fattezze. È formato da due lastre d’oro battuto e sbalzato, senza saldature, con incastonate paste vitree e pietre dure. Vi era poi un trono in legno dorato con un prezioso schienale che mostra il faraone insieme alla moglie che lo unge con oli profumati. All’interno della tomba furono rinvenuti ben 700 oggetti che, ognuno a suo modo, testimoniano in che modo venivano sepolti gli antichi sovrani dell’Egitto.

Trono di Tutankhamon (proveniente dal tesoro del faraone), XVI - XIII sec. a.C., legno, foglia d’oro, argento, paste vitree e pietre dure, h 102 cm. Il Cairo, The Egyptian Museum.

4 Stanza del tesoro

I grandi complessi religiosi

I capitelli delle colonne potevano essere decorati in modi diversi. Vi erano quelli che riproducevano la pianta di papiro 1 , quelli a forma di fiore di loto 2 , oppure di palma 3 o, ancora, con la figura della dea Hator 4

Il tempio: dimora della divinità

Gli Egizi veneravano moltissimi dèi, ma gli edifici di culto più importanti erano quelli dedicati ad Amon-Ra, il dio-Sole.

I templi erano considerati la dimora della divinità sulla Terra ed erano quindi edifici grandiosi e riccamente decorati. Si articolavano in una successione di cortili e grandi sale attraverso le quali si raggiungeva il luogo più sacro, ossia la cella dove era custodita la statua della divinità. Contrariamente alle piramidi, edifici massicci e pieni, i templi egizi si distinguevano per le altissime colonne che circondavano i cortili e sostenevano i soffitti delle ampie sale (perciò dette ipostile) dove avevano accesso i sacerdoti o il faraone. Tutti gli ambienti erano riccamente decorati e colorati con tinte brillanti.

Alcuni templi erano invece scavati nella roccia (ne è esempio il tempio di Abu Simbel, vedi p. 15).

I luoghi di culto più importanti erano composti da numerosi edifici, fatti erigere dai faraoni che via via si succedevano sul trono. Ad esempio, il complesso religioso di Karnak, presso Tebe, si andò accrescendo lungo un periodo di 1600 anni, diventando, insieme a quello vicino di Luxor, il più imponente dell’antico Egitto.

Disegno ricostruttivo con spaccato del tempio di Karnak.

La grande sala ipostila di Karnak, illustrazione da una rivista di Arti grafiche di William Gamble, «Penrose: Pictorial Annual», 1908-1909. Londra.

Sala ipostila
Vestibolo Cella
Pilone
Obelisco
Sfinge
Cortile interno

Statue colossali, sfingi e obelischi

Oltre a onorare la divinità cui erano dedicati, i templi avevano an che la funzione di esaltare il sovrano che ne ordinava la costru zione e che vi veniva celebrato attraverso statue, iscrizioni, rilievi e dipinti. Ai lati delle porte monumentali che introducevano nel com plesso religioso, generalmente venivano innalzate statue di grandi dimensioni raffiguranti il faraone, ma vi erano anche altre impor tanti sculture, come le sfingi, figure dal corpo di leone e la testa uma na (o di ariete, in altri casi), che avevano la funzione di custodire l’ingresso del tempio.

L’obelisco è una delle componenti più caratteristiche dell’architettura egizia. Durante la plurimillenaria storia del Paese ne furono innalzati a centinaia, soprattutto nei complessi religiosi. L’obelisco era un bolo di Amon-Ra, la divinità solare. La sua forma alludeva a un gio di sole che congiungeva la Terra con il cielo. Ogni faccia di queste enormi stele in pietra era decorata con geroglifici che celebravano la grandezza del dio e la potenza del faraone che le aveva fatte innalzare.

COMPETENTI IN ARTE

Molti obelischi dell’antico Egitto sono stati letteralmente razziati e si trovano oggi in diverse città d’Italia e d’Europa, a volte posti al centro di importanti piazze. La più alta concentrazione è a Roma, dove sono stati portati in epoca imperiale. Uno di essi, per esempio, risalente al VI secolo a.C., è alto ben 30 metri e si trovava nella città di Eliopoli (vicino al Cairo): fatto portare a Roma da Augusto, oggi è collocato nella piazza Montecitorio, di fronte al palazzo del Parlamento.

• Insieme all’insegnante, individuate gli altri 12 antichi obelischi di Roma. Ma fate attenzione, non tutti sono originali: alcuni sono delle copie fatte fabbricare dagli imperatori...

SAPEVI CHE...

Un obelisco a Washington

Come le piramidi, anche gli obelischi hanno sem pre esercitato un grande fascino e hanno alimen tato l’immaginazione di architetti e artisti di ogni epoca. Quando gli americani decisero di edifi care un monumento a George Washington nel la città che porta il suo nome, la capitale degli Stati Uniti, l’architetto Robert Mills (1781-1855) progettò un obelisco di dimensioni straordi narie. La sua costruzione si prolungò, con diverse interruzioni, per 40 anni e quando fu inaugurato, nel 1888, con i suoi 169 metri di altezza era l’edificio più alto del mondo.

Obelisco del faraone Ramses II, XIII secolo a.C., granito rosso, h 23 m. Luxor, ingresso del tempio.

La scultura egizia

Una scultura «viva»

Nell’antico Egitto, le sculture erano parti integranti delle strutture architettoniche. Potevano essere in granito o in pietra di altro tipo, a seconda dei luoghi e dell’importanza del soggetto rappresentato. Le statue, soprattutto, avevano un valore particolare, perché erano dotate di una forza vitale: in qualche modo rendevano presente la persona che veniva raffigurata, che si trattasse del sovrano o di una divinità. Nelle tombe dei faraoni, addirittura, erano collocate diverse statue del defunto, cosicché, se per qualche motivo il suo corpo fosse andato perduto, la sua anima avrebbe potuto vivere attraverso quelle raffigurazioni. Spesso venivano messe nelle tombe anche piccole sculture che raffiguravano servitori intenti alle attività più diverse: anch’essi avevano il compito di assistere il defunto durante la sua vita ultraterrena.

Cantanti e un suonatore d’arpa, XIV sec. a.C., rilievo. Tell el-Amarna, Tomba del sacerdote Meryra.

Statuetta di schiava che filtra la birra, fine III millennio a.C. ca. Firenze, Museo Egizio.

Busto della regina Nefertiti, 1350 a.C. ca. Berlino, Aegyptisches Museum.

La diffusione dei rilievi

Oltre alle statue, grande importanza hanno i rilievi che si trovano sulle pareti dei templi e nelle tombe. Si tratta di sculture che non sempre hanno carattere celebrativo o religioso, ma talvolta presentano soggetti che ritraggono scene di vita quotidiana. Sui monumenti più grandi, come templi, tombe e obelischi, venivano scolpiti anche i geroglifici, con l’accuratezza e la raffinatezza di vere opere d’arte. Le sculture in rilievo erano dipinte con tinte vivaci che contribuivano a rendere ancora più vivide le figure.

I simboli del potere di un re-dio

Tutta l’arte dell’antico Egitto è ricca di simboli, che accompagnavano soprattutto le raffigurazioni dei sovrani. Il faraone, infatti, in quanto ritenuto incarnazione del dio Horus, univa nella propria persona i simboli del potere politico e quelli delle divinità. Osserviamo, ad esempio, le rappresentazioni di Tutankhamon e di Amenofi III.

Il flagello (nekhekh) è lo scettro simbolo del dio Osiride e del potere politico del faraone.

Il faraone indossa il nemes, un copricapo di uso quotidiano, sul quale spiccano l’avvoltoio e l’ureo (il cobra), simboli rispettivamente della dea Nechbet, signora dell’Alto Egitto, e della dea Uadjet, signora del Basso Egitto.

L’unione dei due simboli stava quindi a indicare la sovranità su entrambi i regni

Amenofi III, 1350 a.C. ca., granito, 130 × 95 cm. Luxor, Luxor Museum.

La sovranità su entrambi i regni era espressa anche dalla doppia corona che univa quella bianca, simbolo del dominio dell’Alto Egitto, a quella rossa, che indicava la sovranità sul Basso Egitto.

Gli Egizi non portavano la barba, ma il faraone ne esibiva una finta (posticcia) durante le feste e le apparizioni pubbliche.

Generalmente la portavano dritta, come simbolo di regalità.

La barba posticcia ricurva verso l’alto era tipica del dio Osiride, signore dell’oltretomba.

Il pastorale (bastone tipico dei pastori), chiamato heca, indica il ruolo di guida del popolo, ma anche la signoria su tutto il bestiame dell’Egitto. Era il simbolo del potere economico.

Sarcofago d’oro del faraone Tutankhamon (particolare della parte superiore), 1325 a.C. ca., oro massiccio e pietre dure, h 187,5 cm. Il Cairo, The Egyptian Museum.

La pittura egizia

Uno stile rimasto invariato nei secoli

Le testimonianze della pittura egizia sono giunte a noi soprattutto attraverso i dipinti rinvenuti nelle tombe e dimostrano la loro funzione religiosa legata al culto dei morti. Prevalgono le raffigurazioni delle divinità (soprattutto quelle legate all’oltretomba), ma sono frequenti anche scene di vita quotidiana. Poiché gli Egizi credevano che il defunto avrebbe proseguito la propria vita nella tomba, sulle pareti dei sepolcri sono riprodotti aspetti dell’esistenza terrena: dai momenti di svago al lavoro dei servitori. È interessante osservare che lo stile tipico della pittura egizia è rimasto pressoché invariato per oltre trenta secoli, rispondente a regole e misure che l’hanno reso inconfondibile. Esso veniva applicato sia dipingendo sulle pareti sia disegnando sui fogli di papiro o su qualsiasi altro supporto (legno, pietra ecc.).

La figura umana, in particolare, doveva essere riprodotta secondo regole precise: per questo gli Egizi elaborarono un canone (cioè un insieme di regole) che ne stabiliva in modo rigoroso le proporzioni e la posizione.

Scene di vita quotidiana, 1398-1388 a.C., affresco. Sheikh Abd el-Qurna, Tomba dello scriba Nakht.

Un arpista cieco suona durante un banchetto, affresco. Sheikh Abd el-Qurna, Tomba dello scriba Nakht.

In questo dipinto della tomba dello scriba Nakht, sono raffigurati momenti di vita quotidiana. Nella rappresentazione del musicista cieco sono da notare la posizione inusuale del piede e i rotoli di grasso sull’addome: dettagli solitamente assenti nelle raffigurazioni ufficiali.

Regole precise per ritrarre la figura umana

Disegnata all’interno di un reticolo a quadretti, la figura umana doveva essere alta 18 quadretti e ogni quadretto doveva avere la dimensione del pugno di una mano. Il volto, dalla fronte al mento, doveva occupare 2 quadretti, il torso, dal collo all’ombelico, 5 quadretti, dall’ombelico al ginocchio altri 5 quadretti, dal ginocchio alla caviglia 5 quadretti e l’ultimo quadretto era per il piede, che doveva essere sempre raffigurato di profilo. Di profilo dovevano essere raffigurate anche le gambe e il bacino, mentre il torso, sino alle spalle, era ripreso di fronte. La testa tornava a essere di profilo, ma con l’occhio frontale. Le proporzioni usate nella pittura valevano anche per la scultura e tutti i tipi di rappresentazione.

Il faraone Menkaura (Micerino) con la regina, 2050 a.C. ca., basalto, h 142 cm. Boston, Museum of Fine Arts.
Il faraone Ramses I tra gli dèi Horus e Anubi, 1300 a.C. ca., affresco. Luxor, Valle dei Re, Tomba di Ramses I.

Colori brillanti e ricerca del realismo

I pittori egizi amavano i colori brillanti e decisi. Molto usato era il rosso (che veniva ricavato dalle terre ricche di ferro), i colori bruni e i gialli (ottenuti dalle terre del deserto), il nero (da legno combusto), il bianco (dal carbonato di calcio), mentre il verde e il blu erano i colori più preziosi, ottenuti macinando lapislazzuli, malachite o minerali di rame. I contorni erano tracciati spesso con un colore

più scuro, in modo da farli risaltare sullo sfondo chiaro. Le figure erano rappresentate sempre in modo abbastanza statico (anche quando sono in movimento) e appiattite sulle pareti, prive del senso della profondità. Tuttavia, i pittori egizi si sforzavano di dipingere con un certo realismo, soprattutto quando ritraevano gli animali o descrivevano qualche dettaglio particolare.

Contadini che raccolgono il grano, 1410 a.C., affresco. Sheikh Abd el-Qurna, Tomba dello scriba Menna. COMPETENTI IN ARTE

Alcuni dettagli dell’arte egizia e di quella sumerica sembrano coincidere. D’altra parte, non bisogna dimenticare che le due civiltà, quella egizia e quella mesopotamica, furono contemporanee. Qui puoi vedere una parte dello Stendardo di Ur, che hai già avuto modo di analizzare a p. 17. Osserva le figure: la loro posizione, le proporzioni, i dettagli...

• Scrivi le somiglianze che noti con le immagini che hai studiato in queste pagine (in particolare con quella che vedi qui sopra).

Stendardo di Ur (pannello della pace), 2500 a.C., legno intarsiato, 50 × 22 cm. Londra, British Museum.

La funzione religiosa della pittura

Le testimonianze più importanti della pittura dell’antico Egitto sono presenti nei templi e nelle tombe, non soltanto perché si tratta dei luoghi meglio conservati, ma perché l’arte egizia aveva principalmente una funzione di carattere religioso. I dipinti presenti nei templi avevano lo scopo di onorare ed esaltare la divinità, mentre nelle tombe dovevano accompagnare il defunto nella sua vita nell’oltretomba.

Le rappresentazioni che si trovano nelle tombe, in particolare in quelle di re e regine, o di persone di rango elevato, non di rado ritraggono il defunto impegnato nelle sue occupazioni quotidiane, nei suoi svaghi, o in compagnia delle divinità dell’oltretomba. Meravigliose decorazioni erano dipinte anche sui sarcofaghi e spesso accompagnavano iscrizioni con preghiere e formule magiche tratte dal Libro dei morti (antico testo funerario) che dovevano aiutare il defunto ad affrontare il lungo viaggio verso l’incontro con gli dèi nel mondo dei morti. Le medesime iscrizioni si trovano anche lungo le pareti delle tombe, come nel caso di quella fatta costruire per la regina Nefertari.

Tomba della regina Nefertari, 1290-1224 a.C. Luxor, Valle delle Regine.
La regina davanti a Thot, scriba divino, pronuncia la formula magica per ottenere i poteri del dio.
Il dio Anubi davanti al corpo mummificato del defunto, 1290-1224 a.C., affresco. Deir el-Medina, Tomba del servitore Khaemtora.

A caccia lungo il Nilo

Questo famoso dipinto proviene dalla tomba di un funzionario no al XV secolo a.C., di nome che qui viene ritratto insieme alla moglie e alla figlia mentre è impegnato a cacciare gli uccelli in una palude lungo il fiume Nilo. L’artista ha usato una vasta gamma di co lori e ha saputo produrre bellissime ture. Le proporzioni dei personaggi sono rigorosamente inscritte nel dell’arte egizia e tutta la scena suggerisce un senso di movimento e di voli. Inoltre, la varietà degli animali che vi è raffigurata fornisce importanti indicazioni sulla fauna che era possibile incontrare lungo le rive del fiume.

Nebamum è raffigurato molto più grande della moglie e della figlia: questo era un espediente per sottolineare la maggiore importanza di un personaggio. Nella mano destra tiene per le zampe tre uccelli che è riuscito a catturare.

Da un canneto di papiri si levano in volo alcuni uccelli, forse disturbati dal gatto, che sembra anch’esso impegnato nella caccia. Si distinguono poi diversi altri animali: oche, anatre, farfalle...

Nebamum e la famiglia navigano su una piccola barca fatta di giunchi. Sotto di essa si vedono nuotare dei pesci (tra cui un pesce palla), mentre sulla superficie dell’acqua galleggiano fiori di loto.

Lo scriba Nebamum a caccia di uccelli a Sheikh Abd el-Qurna), 1350 a.C., affresco. Londra, British Museum.

La scritta in caratteri geroglifici descrive il soggetto del dipinto: «Nebamum si diverte e considera quanto è bella la vita nell’oltretomba».

Gli abiti della moglie di Nebamum e i gioielli che tutti indossano rivelano l’elevato ceto sociale al quale apparteneva la famiglia.

La figlia di Nebamum con la mano sinistra cerca di raccogliere dall’acqua un fiore di loto, mentre con la destra si tiene alla gamba del padre per non cadere in acqua.

PALEOLITICO

30000 - 10000 a.C.

PITTURA

• Pitture rupestri

SCULTURA

• Statuette dette «veneri»

ARCHITETTURA

• Grandi costruzioni in pietra NEOLITICO

10000 - 4000 a.C.

Lo scopo dell’arte è magico, rituale e propiziatorio.

LE PRIME MANIFESTAZIONI ARTISTICHE

L’arte ha una funzione religiosa e celebrativa ed è al servizio del potere dei sovrani.

MESOPOTAMIA (Sumeri-Babilonesi-Assiri)

4000 a.C. - 6° sec. a.C.

ARCHITETTURA

• Grandi palazzi

• Templi

• Ziggurat

SCULTURA

• Bassorilievi

• Stele

PITTURA

• Terracotta smaltata

EGITTO

4000 a.C. - 6° sec. a.C.

ARCHITETTURA

• Piramidi

• Templi

SCULTURA

• Statue colossali

• Sfingi

• Obelischi

PITTURA

• Scene religiose o di vita quotidiana su pareti o su papiri

Menhir Dolmen Cromlech Nuraghe

1. Completa il seguente brano cerchiando l’alternativa corretta. Le prime manifestazioni artistiche risalgono al [Paleolitico / Neolitico]. Sulle pareti delle grotte erano dipinte o incise scene di [vita quotidiana / caccia]. Nelle grotte sono state ritrovate anche [colossali / piccole] statue dette «veneri», che erano simbolo di fertilità. Nel Neolitico i menhir e [gli obelischi / i dolmen] indicavano luoghi di sepoltura, mentre i [cromlech / nuraghi] indicavano luoghi sacri.

Le civiltà nate in Mesopotamia e in Egitto svilupparono grande abilità nell’architettura e nell’arte figurativa. La ziggurat è l’edificio tipico della Mesopotamia: sulla sua cima sorgeva il [palazzo del re / tempio]. Gli antichi Egizi costruirono splendidi [templi / palazzi] per gli dèi e tombe alte fino al cielo per i faraoni, chiamate [nuraghi / piramidi]. L’interno delle tombe egizie era dipinto con uno stile che [non cambiò / cambiò spesso] nel corso dei secoli.

2. Osserva le immagini, associa ciascuna opera al suo nome e indica se si riferiscono all’arte preistorica, mesopotamica o egizia.

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

Sarcofago di Tutankhamon

Porta di Ishtar

Nuraghe di Barumìni

Stendardo di Ur

Obelisco di Luxor

Graffiti della Valcamonica

Pitture rupestri di Chauvet

1. L’arte dei primi esseri umani aveva una funzione magica e religiosa.

2. Nelle pitture e nelle incisioni rupestri non compare mai la figura umana.

3. Il cromlech di Stonehenge era probabilmente un osservatorio astronomico.

4. La Porta di Ishtar era la porta di accesso alla città di Ninive.

5 Il palazzo del re assiro Assurbanipal era coperto di rilievi che celebravano le sue imprese.

6. Le piramidi sono tombe rupestri.

4. Come dipingevano gli Egizi? Osser va bene l’affresco, quindi rispondi alle domande.

• In quale posa venivano rappresentate le figure umane?

• Che cosa hanno inventato gli Egizi per rappresentare i personaggi secondo precise proporzioni?

• Per quale tipo di edificio veniva realizzato un affresco come questo?

L’arte nel mondo greco

III millennio a.C.

ARTE MINOICA

XV sec. a.C.

Nascita della civiltà minoica a Creta 2000 1500

Invasione di Creta da parte dei Micenei

ARTE MICENEA

XII sec. a.C.

Crollo della civiltà minoica

1700 a.C. Palazzo di

1500 a.C. Profilo di

1300 a.C.

Porta dei leoni a Micene

donna micenea
Cnosso

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XI sec. a.C.

Crollo della civiltà micenea

VIII sec. a.C. Nascita delle póleis in Grecia

VII-VI sec. a.C. ETÀ ARCAICA

VI-IV sec. a.C. ETÀ CLASSICA

Fine IV-Fine I sec. a.C. ETÀ ELLENISTICA

585 a.C. Kouros 190 a.C. Nike

a.C. Partenone

445 a.C. Doriforo di Policleto

350 a.C. Teatro di Epidauro

di Samotracia 447-432
ARTE GRECA

Entrare nell’arte... greca

Nel cuore del Mediterraneo...

Intorno al 2500 a.C. nell’isola di Creta, importante snodo per i traffici commerciali nel bacino del Mediterraneo, nacque la civiltà cretese (o minoica). Verso il 1450 a.C. Creta fu invasa dai Micenei (o Achei), abitanti del Peloponneso.

La fusione fra le tradizioni dei conquistatori con quelle dei Cretesi diede origine alla civiltà micenea.

L’egemonia degli Achei ebbe fine intorno alla metà del XII secolo a.C. dopo il quale, nel periodo noto come Età arcaica sorsero in Grecia ricche e potenti città-stato (póleis) come Sparta, Atene e Corinto, dove fiorì la civiltà greca

La cultura dei Greci si propagò anche nelle colonie fondate soprattutto in Sicilia e nell’Italia meridionale, che prese il nome di Magna Grecia (Grande Grecia).

CHIAVI di LETTURA

I principali centri della civiltà greca.

1 Le civiltà dei re: Creta e Micene

Le testimonianze più importanti dell’architettura cretese e di quella micenea sono costituite dai palazzi: grandi edifici che esprimono la centralità della figura del sovrano.

Metaponto Paestum

Mar Tirreno

Selinunte Agrigento

Mare Adriatico Mar Ionio

Crotone Peloponnneso

Pergamo Pella Delfi Olimpia

Micene Pilo

Mar Mediterraneo

Principali centri della:

civiltà cretese

civiltà micenea

Grecia classica

Magna Grecia

Grecia ellenistica

Mar Egeo

Corinto

Epidauro

Tirinto Argo Sparta

Creta

Malia Festo Atene

2 La ricerca dell’equilibrio

Il tempio è l’edificio che più di tutti rappresenta la civiltà dell’antica Grecia. Rispecchia nella sua architettura la ricerca del perfetto equilibrio nelle misure e nelle forme.

Tempio di Efesto, V sec. a.C. Atene.
Porta dei leoni, 1300 a.C. ca. Micene.
Mar Nero
Cnosso
Alessandria

sec. a.C.

3 L a bellezza delle forme

Gli scultori greci dell’Età classica erano alla ricerca continua della bellezza e della perfezione nelle proporzioni. Le sculture, per lo più in bronzo, ritraevano divinità, eroi mitici, scene di guerra e atleti impegnati in gare sportive.

Guerriero di Riace, V sec. a.C. Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale.

... la grande civiltà della Grecia antica

La civiltà greca raggiunse il massimo splendore intorno al V secolo a.C. e in tutte le città vennero costruiti templi, teatri e altri edifici pubblici ornati con statue di divinità o di atleti. Alle manifestazioni artistiche si accompagnarono anche la fioritura della letteratura, delle scienze naturali, della filosofia, degli studi matematici... Il centro più significativo della civiltà greca fu la pólis di Atene, dove sono rimaste alcune fra le testimonianze più importanti di un’arte che raggiunse una perfezione tale da essere considerata un modello da seguire per molti secoli. Alla fine del IV secolo a.C. le póleis greche furono sottomesse da Alessandro Magno e nei secoli successivi si andò affermando la civiltà ellenistica, che vide il diffondersi dell’arte e della cultura della Grecia anche nelle regioni dell’Asia fino al fiume Indo.

a vita e le storie dipinte sui vasi

Le pitture che decorano i vasi greci riproducono sia soggetti di carattere mitologico sia scene di vita quotidiana. I pittori tendevano all’eleganza delle forme, alla propornelle figure e alla riproduzione fedele della realtà.

Una veduta dell’acropoli di Atene con il tempio del Partenone, V
Cratere con figure rosse, 515 a.C. ca. Roma, Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia.

Creta: la civiltà dei palazzi

Le città-palazzo nell’isola di Minosse

Intorno al 2500 a.C. sull’isola di Creta, nel cuore del Mediterraneo, sorse una civiltà conosciuta anche come «minoica», dal nome del leggendario re Minosse. Era caratterizzata dalla presenza di grandi palazzi (si parla addirittura di «città-palazzo») che comprendevano, oltre alla dimora del sovrano, anche luoghi di culto, magazzini dove erano stivate le riserve di cibo, botteghe e semplici abitazioni. Il palazzo cretese era dunque un centro politico, economico, religioso e in esso si svolgevano tutte le attività più importanti della comunità.

I Cretesi erano dediti soprattutto all’agricoltura e ai commerci e pare fossero pressoché estranei alle attività militari: a differenza delle altre grandi civiltà antiche, quella cretese era del tutto pacifica. Anche per questo motivo i palazzi erano privi di mura difensive e si aprivano verso l’esterno con eleganti colonnati o giardini pensili.

Il Palazzo di Cnosso: un labirinto di splendore

Grandi palazzi sorsero in diverse parti dell’isola di Creta; i più importanti erano a Cnosso, Festo e Manlia, ma il più famoso e meglio conservato è quello di Cnosso, costruito a partire dal 1700 a.C.

Nel corso dei secoli successivi, l’edificio venne progressivamente ingrandito fino a raggiungere una superficie di oltre 20 000 m2. Intorno al cortile centrale si snodavano i numerosi edifici, tutti collegati l’uno all’altro con colonnati, corridoi, scalinate che seguivano le irregolarità del terreno.

La civiltà dei palazzi continuò a prosperare fino al 1450 a.C. circa, quando fu stroncata da un violento maremoto che sconvolse l’isola di Creta provocando il crollo di molti edifici.

Al cataclisma seguì poi l’invasione dell’isola da parte dei Micenei.

Ingresso all’ala est, 1550-1450 a.C. Creta, Palazzo di Cnosso.

Il mito del Minotauro

Secondo un mito antico, il re Minosse aveva fatto costruire a Creta un grande e inestricabile labirinto nel quale rinchiudere il Minotauro, una creatura mostruosa dal corpo umano e dalla testa di toro. Il Minotauro si cibava di carne umana e per nutrirlo venivano sacrificati ragazzi e ragazze provenienti anche da alcune città della Grecia continentale, come Atene. La parola labirinto deriva da lábrys, l’ascia bipenne simbolo del potere regale; labrynthos era il luogo in cui era esercitato quel potere, quindi il palazzo del re. Possiamo dunque dedurre che il mitico labirinto del Minotauro non fosse altro che l’intricato Palazzo di Cnosso

SAPEVI CHE...

La scoperta di Cnosso

Iresti del Palazzo di Cnosso furono scoperti nel 1900 dall’archeologo inglese Arthur Evans, che guidò le operazioni di scavo fino al 1935. In realtà, il palazzo era già stato riportato quasi completamente alla luce nel 1905, grazie all’opera di centinaia di sterratori e archeologi. Nei trent’anni successivi, però, Evans proseguì nell’opera di restauro degli edifici, talvolta decidendo per soluzioni non condivise dagli studiosi di oggi. Scelse ad esempio di ripristinare e completare gli affreschi, dei quali restavano solo alcuni frammenti, con criteri che lasciavano ampio margine alla creatività dei restauratori. La ricostruzione del Palazzo di Cnosso, così come la conosciamo oggi, è ancora in larghissima parte quella che fece Evans un secolo fa e permette di farsi un’idea di quello che doveva essere l’immenso complesso di edifici.

Una vasta parte del palazzo era occupata dai magazzini. Su un ampio spiazzo si aprivano poi le botteghe e i laboratori degli artigiani.

Il cortile centrale era il cuore del palazzo. In esso si svolgevano le celebrazioni religiose più importanti e le manifestazioni sportive, che spesso avevano anch’esse un valore religioso.

Sul cortile centrale si affacciava l’edificio che accoglieva la sala del trono e altri ambienti di rappresentanza.

Sul lato sud vi era un monumentale ingresso che introduceva agli edifici più importanti.

Sul cortile centrale si aprivano anche gli edifici dedicati al culto. Il più grande era un tempio strutturato su tre livelli

Le abitazioni si aprivano sull’esterno con logge, porticati e giardini pensili Le colonne erano per lo più di colore rosso o nero e avevano una struttura molto semplice: prive di base, si allargavano leggermente verso l’alto.

L’arte, specchio di una civiltà elegante

I colori e lo stile della pittura cretese

L’abilità pittorica degli artisti cretesi è testimoniata dai dipinti rinvenuti nelle sale del Palazzo di Cnosso. In tutti sono state impiegate tinte vi vaci ed è assente la prospettiva: il senso di profondità viene reso in modo efficace attraverso un uso sapiente dei colori, benché privi di sfumature. Le pitture cretesi sono anche caratterizzate da una grande eleganza e da una straordinaria raffinatezza. Tutto sembra evocare uno stile di vita sereno.

I dipinti di Cnosso colpiscono anche per il loro stile naturalistico. Animali e piante sono riprodotti in modo semplice e lineare, ma al tem po stesso con una straordinaria cura dei particolari, come i delfini e i pesci affrescati su una parete dell’Appartamento della regina.

Oggetti raffinati

Raffinatezza e cura dei dettagli caratterizzano anche i prodotti dell’ ficeria, le decorazioni del vasellame e le statuette votive in ceramica smaltata, uniche testimonianze giunte fino a noi della scultura cretese.

COMPETENTI IN ARTE

Nel rappresentare la figura umana i Cretesi mostrano alcune somiglianze con l’arte egizia. Qui puoi vedere il Principe dei gigli, un dipinto (molto ricostruito) rinvenuto nel Palazzo di Cnosso e risalente al XIV secolo a.C.

Confronta l’immagine con le raffigurazioni egizie alle pagine 28-33.

Individua poi somiglianze e differenze riguardo a:

• particolari anatomici (gli occhi, la forma degli arti e del busto...);

• colori impiegati;

• acconciatura, ornamenti;

• senso del movimento.

Brocchetta di Gurnià, XVI sec. a.C., ceramica. Heraklion, Archaeological Museum.

Delfini (frammento proveniente dal Palazzo di Cnosso, Appartamento della regina), XVI sec. a.C. ca., affresco. Heraklion, Archaeological Museum.

Dea dei serpenti, XVI sec. a.C. ca., ceramica smaltata, h 34,5 cm. Heraklion, Archaeological Museum.

La tauromachia

no dei dipinti più famosi rinvenuti a Cnosso è quello che riproduce la tauromachia, cioè la lotta con il toro. Si tratta di una sorta di gioco sacro che veniva eseguito durante alcune cerimonie religiose: prevedeva un abile esercizio di agilità con il quale giovani atleti (uomini e donne) si lanciavano contro l’animale superandolo con un balzo. Questa consuetudine conferma l’importanza attribuita al toro, animale sacro riprodotto spesso nei dipinti, negli elementi architettonici e in oggetti di vario tipo. Il dipinto della tauromachia che vediamo in questa pagina ci consente di osservare, oltre ad alcune caratteristiche della pittura cretese, altri interessanti particolari. Da notare, ad esempio, la differenza dei colori impiegati per raffigurare gli uomini e le donne : i primi con un colore scuro (perché la loro vita si svolgeva prevalentemente all’aperto), le seconde con un colore quasi bianco (perché vivevano soprattutto all’interno delle case). Inoltre, la presenza di ragazze ammesse a questi giochi fa intuire che nella società cretese le donne godevano di un trattamento molto simile a quello riservato agli uomini.

Vaso per uso rituale con testa di toro (proveniente dal Palazzo di Cnosso), XVIII-XV sec. a.C., steatite con elementi di cristallo di rocca, madreperla e dorature. Heraklion, Archaeological Museum.

Una ragazza afferra il toro per le corna, rallentandone i movimenti.

Con un salto acrobatico un ragazzo si afferra al dorso del toro e si dà una spinta per un ulteriore balzo per superare l’animale.

Un’altra ragazza si trova alle spalle del toro, pronta ad accogliere il giovane per agevolarne l’arrivo a terra.

Pur nell’eleganza della figura, le gambe flesse della ragazza suggeriscono lo sforzo che sta compiendo per trattenere l’animale per le corna.

Il fondo del dipinto è completamente azzurro: come altri dipinti cretesi, la scena non è inserita in un contesto preciso.

Il salto del toro (proveniente dal Palazzo di Cnosso), XVI sec. a.C., affresco. Heraklion, Archaeological Museum.

L’arte micenea

Le città-fortezza di un popolo guerriero

Se i palazzi cretesi si caratterizzavano per l’assenza di mura difensive, alcune delle più importanti città sorte nella Grecia continentale, al contrario, presentavano una struttura simile a una fortezza. Gli Achei, costruttori e abitanti di queste città, erano un popolo di guerrieri e spesso i vari centri urbani nei

Abitazioni riservate al ceto aristocratico dei guerrieri e agli artigiani.

Disegno ricostruttivo della città di Micene.

quali vivevano erano in lotta l’uno contro l’altro. L’esempio meglio conservato di queste città-fortezza è offerto da Micene, dove tra il 1400 e il 1100 a.C. si sviluppò la civiltà conosciuta come «micenea». Presentano lo stesso impianto urbanistico anche Tirinto, Argo e Pilo.

Palazzo del re con la sala del Mègaron (fuoco sacro).

Mura «ciclopiche»

A causa delle loro imponenti dimensioni (erano alte fino a 12 metri e avevano uno spessore di 6 metri), si credeva che fossero state edificate dai Ciclopi, i giganti dei quali narra la mitologia greca.

Alla città si accedeva attraverso una porta monumentale: la Porta dei leoni. Questo ingresso prende il nome da due leoni (o leonesse) scolpiti nella grande lastra di pietra triangolare alta circa 3 metri che sovrasta la porta.

Luoghi destinati al culto Tombe reali

Le tombe a thólos

Tipica dell’architettura micenea è la tomba a thólos (cupola), così chia mata per la caratteristica cupola conica. La tomba ha infatti una circolare che si sviluppa verso l’alto, con file di pietre concentriche sovrapposte l’una all’altra fino a ottenere la forma di un cono

La sepoltura a thólos più famosa è il cosiddetto Tesoro di Atreo appena fuori le mura di Micene. Costruita verso la metà del XV sec. a.C., deve il suo nome al re Atreo, mitico costruttore della rocca di Micene e padre di Agamennone, il re protagonista della conquista di Troia da parte degli Achei.

I corredi funerari

Dalle nove tombe a thólos rinvenute poco distante da Micene e dalle sepolture reali che si trovano nel grande recinto circolare vicino all’ingresso della città, sono emersi i reperti più significativi dell’arte micenea: maschere funerarie in oro, cop pe ornate con bellissimi rilievi, armi impreziosite con intarsi in materiali preziosi, gioielli di vario tipo...

Tra i manufatti più famosi dell’arte micenea vi è la maschera fune raria attribuita ad Agamennone, ma che in realtà ritrae il volto di un sovrano vissuto almeno 300 anni prima. Come altri preziosi manufatti micenei, la maschera è lavorata con la tecnica dello sbalzo: la lamina d’oro veniva modellata attraverso battitura su una scultura in legno che riproduceva le fattezze del defunto, per essere fissata sul drappo che rivestiva il corpo.

XVI sec. a.C., oro a sbalzo, diametro 20,5 cm. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Il Tesoro di Atreo

LIl drómos che conduce al Tesoro di Atreo (o Tomba di Agamennone), XV sec. a.C. Micene.

a tomba, che presenta la tipica struttura a thólos, era scavata nel fianco di una collina e coperta da un tumulo di terra. Ad essa si accedeva attraverso una porta preceduta da un corridoio esterno, chiamato drómos. L’ambiente circolare del thólos era destinato a contenere il corredo funerario del defunto, il cui corpo era deposto in una piccola camera laterale

Atreo.

Drómos
Corredo funerario
Thólos
Camera laterale
Spaccato del Tesoro di

L’eredità della civiltà cretese a Micene

I guerrieri achei avevano sottomesso i Cretesi, ma assimilarono o conservarono alcuni aspetti importanti di quella civiltà, che è possibile ritrovare soprattutto nelle manifestazioni artistiche. Tracce dei contatti con la cultura minoica sono riscontrabili nei dipinti rinvenuti nelle case delle città micenee, che rispecchiano in pieno lo stile cretese, sia per la raffinatezza dei tratti, come pure per la scelta dei colori e per la ricerca del naturalismo. Anche i soggetti rappresentati richiamano spesso i miti e le credenze dei Cretesi: in particolare sono frequenti i temi legati alla figura del toro, animale al quale la civiltà minoica attribuiva grande importanza.

COMPETENTI IN ARTE

Nella figura della donna che regge nelle mani dei ramoscelli, in un dipinto ritrovato in una casa di Micene, è possibile individuare affinità con gli stessi soggetti raffigurati nei palazzi cretesi, in particolare nel profilo del volto e nell’acconciatura. Nel palazzo di Tirinto, invece, è stato rinvenuto un affresco che illustra una caccia al cinghiale. I cani e il cinghiale sono dipinti con sorprendente naturalismo e anche il senso del movimento e i colori impiegati rimandano a modelli tipici dell’arte minoica.

• Confrontando queste immagini con quelle alle pagine 42 e 43 è possibile cogliere in maniera ancora più efficace le somiglianze tra la pittura minoica e quella micenea. Provate a individuarle.

• In piccoli gruppi, svolgete una ricerca su internet e cercate altre opere d’arte pittorica risalenti alla civiltà minoica e a quella micenea. Quindi individuate i tratti comuni presenti.

Coppa in oro rinvenuta in una tomba di Micene raffigurante una caccia al toro, XV sec. a.C. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Caccia al cinghiale, 1350 a.C. ca. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Profilo di donna micenea, XV sec. a.C. ca. Nauplia, Museo Archeologico.
Un «dilettante» alla scoperta della mitica città di Troia

Non sempre le grandi scoperte archeologiche sono dovute agli studiosi: in alcuni casi sono frutto addirittura del caso, oppure della passione e dell’intraprendenza di alcune persone. È questo il caso di Heinrich Schliemann (1822-1890), un ricco mercante tedesco che, appassionatosi alle vicende e ai personaggi raccontati nell’Iliade e nell’Odissea, a partire dal 1871 si dedicò completamente alla ricerca dei luoghi citati nei due poemi omerici.

Basandosi sui racconti di Omero, egli compì una serie di scavi nei luoghi che dovevano essere stati teatro della guerra di Troia, finché riuscì a individuare i resti dell’antica città nell’attuale Turchia presso la collina di Hissarlik, nome che in turco significa «fortezza», dove erano presenti tracce di antiche fortificazioni. Gli scavi di Schliemann rivelarono che Troia si trovava veramente in quel luogo e che la città era stata distrutta e ricostruita ben nove volte fra il III millennio a.C. e l’epoca romana. Egli si convinse di avere trovato i resti della città omerica al secondo strato, dove furono rinvenuti preziosi gioielli che volle identificare come il «Tesoro di Priamo».

Un tratto delle mura del sesto strato degli scavi, quello cui si riferiscono i resti della città omerica di Troia, narrata nell’Iliade e nell’Odissea.

Un orecchino rinvenuto negli scavi di Troia, erroneamente attribuito al Tesoro di Priamo e risalente a un periodo compreso fra il 2600 e il 2022 a.C.

In seguito, però, si capì che quelle rovine risalivano a un periodo compreso fra il 2600 e il 2450 a.C.: circa un millennio prima degli eventi narrati da Omero. Altri indizi, invece, portarono a identificare la città di Priamo con i resti corrispondenti al sesto strato. Schliemann morì prima di potere iniziare gli scavi che gli avrebbero permesso di portare alla luce la città che fin da ragazzo aveva sognato di vedere, ma ebbe comunque il merito di aver dimostrato che Troia era veramente esistita e che gli eventi narrati da Omero erano collocabili in un contesto storico e geografico ben preciso. Tutto il sito archeologico è oggi Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Sempre animato dalla stessa passione e dallo stesso interesse per gli eroi omerici, Schliemann compì altre esplorazioni nel territorio della Grecia, che condussero alla scoperta di Micene, del palazzo di Tirinto e di altri importanti centri micenei. Nei suoi scavi, egli fu affiancato da archeologi di professione, ma le intuizioni più importanti e decisive furono le sue, che era sicuramente un dilettante e un autodidatta, ma con un grande amore per la storia e per la cultura greca

Una ricostruzione dell’antica città omerica di Troia.

Agli dèi Atena e Poseidone era dedicato il tempio che conteneva la cella del mitico re attico Erettèo (da cui prende il nome). Composto da due edifici addossati l’uno all’altro, presenta sul lato rivolto verso il Partenone la Loggia delle Cariatidi, con caratteristiche colonne a forma di figure femminili.

L’arte della Grecia classica

La città, specchio della vita politica

L’evoluzione dell’architettura e della struttura delle città greche si andò evolvendo di pari passo con le profonde trasformazioni di natura politica. A partire dall’VIII secolo a.C., infatti, si formarono in Grecia e lungo le coste dell’Asia Minore (l’attuale Turchia) diverse città-stato indipendenti (in greco pólis, al plurale póleis).

Molte di queste città non erano più rette da un sovrano, ma da un regime democratico nel quale il governo era affidato ad assemblee di cittadini. Il centro della vita politica non era quindi il palazzo del re, ma la piazza (agorá) nella quale i cittadini si incontravano e prendevano le decisioni più importanti.

Statua di Atena, protettrice della città.

Un piccolo edificio vicino all’Erettèo custodiva la tomba di Cècrope, il mitico fondatore di Atene.

All’acropoli si accede attraverso i propilei («davanti all’ingresso»): un monumentale portico preceduto da una scalinata che separava l’area sacra dal resto della città.

Disegno ricostruttivo dell’acropoli di Atene.

L’acropoli, centro religioso

Sull’acropoli, la parte più alta della città, sorgevano gli edifici dedicati ai culti religiosi, tra i quali il più importante era il tempio intitolato alla divinità protettrice della pólis

Nei pressi dell’acropoli generalmente sorgeva anche il teatro, nel quale si svolgevano rappresentazioni alle quali partecipavano tutti i cittadini. Altri importanti luoghi di aggregazione erano le palestre e lo stadio, situato nella parte bassa della città e nel quale si svolgevano gare sportive talvolta in onore degli dèi.

Atene: il modello della pólis greca

Tra tutte le città-stato greche, Atene fu quella che ebbe lo sviluppo politico e culturale più significativo. È infatti ad Atene che si consolidò la più importante forma di democrazia e fu sempre là che nel periodo del suo massimo splendore, tra il VI e il IV secolo a.C., si ebbe una straordinaria fioritura culturale. In quel periodo, la cosiddetta Età classica, furono realizzati meravigliosi capolavori, molti dei quali sono giunti fino a noi.

Atene fu il punto di riferimento politico, culturale e artistico per molte póleis. La testimonianza più importante e suggestiva di quella stagione della vita politica ateniese è la stessa acropoli della città, i cui edifici erano, già nell’antichità, un modello per tutta la Grecia.

Il Partenone è il tempio più importante dell’acropoli. Dedicato alla dea Atena Parthénos («vergine»), protettrice della città, è l’edificio meglio conservato. Venne fatto costruire da Pericle, che governò Atene nella seconda metà del V secolo a.C., nel luogo in cui sorgeva un altro tempio dedicato ad Atena, distrutto da un’invasione dei Persiani nel 480 a.C.

Il piccolo tempio dedicato ad Atena Níke («vittoriosa») è il primo edificio che attrae l’attenzione di chi arriva in cima alla strada che porta all’acropoli. Ricorda l’egemonia politica e militare acquisita da Atene su gran parte della Grecia.

Il tempio

Il simbolo della civiltà greca

Il tempio è l’edificio più rappresentativo della civiltà greca. Che fosse costruito su un’acropoli, oppure parte di un santuario che comprendeva anche altri edifici dedicati a una divinità, rispondeva sempre a modelli architettonici precisi rimasti pressoché invariati nei secoli e che verranno poi ripresi dai Romani.

Come presso altre civiltà antiche, il tempio era per i Greci la casa della divinità: al suo interno, il luogo più sacro era la cella (naós) che custodiva la statua del dio. Il perfetto equilibrio nelle proporzioni e l’attenzione al suo inserimento armonioso nell’ambiente circostante erano tratti caratteristici dell’architettura del tempio greco.

L’architrave, generalmente liscio, e il sovrastante fregio, generalmente decorato con bassorilievi, costituiscono la trabeazione del tempio e sorreggono il frontone e il tetto.

Il frontone è composto da un timpano triangolare, normalmente decorato con sculture ad altorilievo e a tutto tondo, contornato da una cornice

Alla sommità del frontone era posta una statua o un’altra scultura decorativa chiamata acrotèrio

Il tetto era sostenuto da travi in legno e coperto da tegole. Era l’elemento più fragile del tempio, soggetto a crolli, incendi e a un veloce deterioramento.

Le colonne sono l’elemento portante della struttura. Sono costituite da un fusto cilindrico che può essere scanalato e terminano alla sommità con un capitello che sostiene l’architrave.

Il prònao è la parte del portico antistante l’ingresso della cella.

Lo stilobate è la base del tempio sulla quale si innalzano le colonne e i muri della cella.

L’antefissa è un elemento decorativo in terracotta dipinta collocato lungo la linea di gronda del tetto.

Disegno ricostruttivo del Partenone.

All’interno della cella si trovava la statua (o simulacro) della divinità alla quale era dedicato il tempio. In genere si trattava di una scultura di grandi dimensioni, che poteva essere composta di diversi materiali: marmo, avorio, oro...

Tempio di Hera, VI sec. a.C. Paestum.

Fidia, Atena Parthénos, II sec. d.C., copia romana dell’originale in marmo del V sec. a.C., h 100 cm. Atene, National Archaeological Museum.

Dell’originale, andato perduto, rimangono solo copie di epoca romana assai più piccole.

Le sculture in marmo che ornavano i templi, o che erano esposte nelle piazze o in altri edifici, non erano completamente bianche, come siamo abituati a vederle noi oggi, ma erano dipinte con colori vivaci, che il tempo ha del tutto cancellato. Nel disegno che raffigura una ricostruzione del frontone orientale del Partenone è possibile farsi un’idea di come dovevano presentarsi le statue a tutto tondo che lo ornavano e che con i loro colori creavano bellissimi effetti di contrasto con il bianco delle cornici e delle colonne. Il frontone raffigurava la nascita di Venere dalla testa di Zeus. Delle sculture, andate quasi completamente perdute, sono rimasti alcuni frammenti.

La pianta del tempio andò evolvendosi nei secoli. Da semplice cella con due colonne antistanti l’entrata, si arricchì di un portico a quattro colonne, poi di un doppio portico e, infine, di un colonnato che circondava la cella anche con una doppia fila di colonne. Tempio

Di tutti i colori...
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TIPOLOGIE DI TEMPIO GRECO

Gli stili architettonici

La struttura del tempio greco rimase invariata per molti secoli, sempre rispettando criteri di armonia e simmetria dell’insieme, nella costante ricerca delle proporzioni ideali. Alcuni elementi che lo compongono hanno tuttavia subito variazioni significative. Nel tempo si andarono sviluppando tre stili (o ordini) architettonici, che presero il nome dai popoli che abitavano la Grecia: il dorico (introdotto dai Dori), usato a partire dall’VIII secolo a.C., lo ionico (caratteristico degli Ioni), sviluppatosi nel VI secolo a.C. nelle regioni dell’Asia Minore, e il corinzio, comparso nella città di Corinto alla fine del V secolo a.C. e diffusosi soprattutto nei secoli successivi.

Lo stile dorico

È lo stile più antico e più semplice.

Colonne: lisce o scanalate che si allargano verso il basso e prive di base; il fusto poggia direttamente sullo stilobate.

Architrave: liscio.

Fregio: ornato con metope (lastre quadrate o rettangolari scolpite) intervallate da triglìfi (lastre scanalate).

Il capitello dorico è privo di decorazioni, con abaco ed echino

Lo stile ionico

Mostra una maggiore raffinatezza rispetto allo stile dorico.

Colonne: con scanalature più fitte e sottili; maggiormente slanciate, si allargano meno verso il basso e hanno una base tra il fusto della colonna e lo stilobate.

Architrave: diviso in due o tre fasce.

Fregio: continuo, decorato con delle sculture.

Il capitello ionico è decorato con due volute laterali.

Tempio di Hera, V sec.
Selinunte.
Tempio di Atena Nike, V sec.

Lo stile corinzio

È lo stile più elaborato, derivato da quello ionico.

Colonne: con scanalature e sottili come quelle ioniche, ma in genere hanno fusto più alto; anche la base può essere più elaborata.

Architrave: diviso in tre fasce.

Fregio: continuo, in genere senza sculture.

COMPETENTI IN ARTE

Per i Greci, così come per i popoli mesopotamici e quelli egizi, il tempio era un edificio molto importante e diffuso.

• Individua quali sono le differenze dei templi greci rispetto a quelli mesopotamici ed egizi riguardo a struttura, collocazione e funzione.

• Inserisci i seguenti termini in corrispondenza degli elementi della trabeazione: metopa, cornice, triglifo, architrave.

Il capitello corinzio è riccamente decorato con almeno una doppia fila di foglie d’acanto.

cornice
fregio
architrave
capitello
trabeazione foglie di acanto abaco
colonna base fusto stilobate
Tempio di Zeus Olimpio, II sec. a.C. Atene.

Il teatro

Il pubblico si disponeva sulla gradinata all’interno della cavea. In prima fila vi erano dei seggi in pietra riservati alle persone più importanti.

Due corridoi laterali consentivano l’ingresso e l’uscita dal teatro.

Gli attori recitavano sul proscenio, dietro il quale vi era la scena, una struttura in legno o in pietra spesso decorata con pannelli mobili su cui erano dipinti soggetti utili a contestualizzare la storia che veniva rappresentata.

L’orchestra era occupata dal coro, che recitava parti importanti delle tragedie e delle commedie greche, talvolta accompagnato da musicisti o danzatori.

Non solo svago

Ai piedi della cavea vi era un altare dedicato al dio Diòniso, protettore delle attività teatrali.

Il teatro ricopriva una grande importanza nella vita dei Greci e agli spettacoli assistevano gratuitamente tutti i cittadini. Non si trattava solo di un momento di svago; piuttosto, le rappresentazioni teatrali (tanto le tragedie quanto le commedie) avevano un altissimo valore formativo e culturale. Negli spettacoli venivano messi in scena gli eroi e le divinità della tradizione, riproponendo di volta in volta i miti intorno ai quali si era andata costruendo l’identità comune dei popoli greci che vi ritrovavano le proprie radici culturali e religiose. Per questo ogni pólis, come aveva un tempio dedicato alla divinità protettrice, aveva pure il proprio teatro, che doveva essere sufficientemente grande per accogliere un pubblico numeroso. Spesso era collocato vicino ai luoghi di culto.

Unità 2 • L’arte nel mondo greco

Disegno ricostruttivo di un teatro greco.

Vedere e ascoltare

I teatri greci erano strutture di forma semicircolare, generalmente scavate nel fianco di una collina. La loro forma era tale da consentire a tutti gli spettatori di vedere senza difficoltà ciò che veniva rappresentato e ascoltare chiaramente quanto dicevano i personaggi.

Il teatro più famoso fin dall’antichità e meglio conservato fino a oggi è quello di Epidauro, costruito intorno alla metà del IV secolo a.C. Nonostante la grandezza (può accogliere fino a circa 14 000 persone!), le proporzioni sono perfette e l’acustica è tale da permettere di percepire persino i sussurri degli attori fino all’ultima fila della gradinata in alto. Un fatto incredibile, in assenza di amplificazione, dovuto, oltre alla conformazione del teatro stesso, anche al tipo di pietra calcarea impiegata.

A ogni personaggio la sua maschera

Nell’antica Grecia la recitazione teatrale era riservata ai soli uomini

Gli attori indossavano una maschera con le sembianze del personaggio rappresentato: donna, schiavo, vecchio, ragazzo ecc.

Le maschere servivano anche a comunicare, con le loro espressioni, i diversi stati d’animo: nelle commedie erano buffe o grottesche, mentre quelle indossate per le tragedie esprimevano dolore o disperazione. Erano costruite con materiali diversi (sughero, legno e persino terracotta), dipinte e spesso completate con una parrucca.

La bocca era spesso un grande foro che fungeva da megafono per agevolare l’acustica.

Maschera comica maschile, IV sec. a.C., terracotta. Taranto, Museo Nazionale.
Teatro, 350 a.C. ca. Epidauro.
Maschera tragica femminile, V sec. a.C., terracotta. Londra, British Museum.
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L’evoluzione della scultura greca

Le prime sculture a tutto tondo

La scultura greca si caratterizza per la continua ricerca della bellezza e dell’armonia delle forme, soprattutto nella raffigurazione a tutto tondo del corpo umano, che arrivò a essere ritratto in modo sempre più perfetto e naturale.

Per raggiungere i risultati di perfezione, che sono stati definiti «classici», furono necessari diversi secoli e le sculture in marmo più antiche giunte fino a noi testimoniano questa evoluzione

La lenta evoluzione del kouros: alla ricerca della perfezione

Questo kouros presenta forme poco aggraziate: la testa appare piuttosto squadrata, il corpo è massiccio con una muscolatura imponente.

Nell’Età arcaica, compresa tra il VII e il VI secolo a.C., prevaleva il modello del kouros (kore al femminile), un giovane ritratto nudo e in piedi che ricorda molto da vicino le statue egizie. La sua posizione infatti è statica e il volto ha lineamenti idealizzati.

Nel corso degli anni e nei diversi territori del mondo greco, la produzione di kouroi si modificò però verso forme sempre più armoniche.

Polimede di Argo, Bitone, 585 a.C. ca., marmo, h 216 cm. Delfi, Archaeological Museum.

Il kouros rinvenuto ad Anavyssos, in Attica, è di qualche decennio posteriore. La figura è più proporzionata e le forme sono più morbide e aggraziate

Kouros di Anavyssos, 530-520 a.C. ca., marmo, h 194 cm. Atene, National Archaeological Museum.

Questa kore è coperta dal chitone, una tunica lunga fino ai piedi. Il corpo è quasi del tutto nascosto e la cura dei particolari si concentra sull’acconciatura e sulle pieghe della veste

Kore, 520 a.C. ca., marmo, h 182 cm. Atene, Acropolis Museum.

Dalla rigidità alla naturalezza

Fin dall’Età arcaica, le statue presso i Greci avevano prevalentemente funzione di carattere religioso. Si trovavano nei templi, oppure nelle tom be o nei santuari dove si svolgevano manifestazioni sportive panelleni che (che coinvolgevano cioè tutte le città della Grecia), come ad esempio le Olimpiadi che si celebravano nel santuario di Zeus a Olimpia. I soggetti giore frequenza sono di e personaggi legati ai diversi

Nei templi le sculture trovavano posto soprattutto nei frontoni (dove erano eseguite a tutto tondo) e nei fregi (dove invece erano realizzate con la tecnica del bassorilievo).

Tra il VI e il V secolo a.C. le figure abbandonano la rigidità tipica dell’Età arcaica, acquistando maggiore plasticità e dinamismo. I corpi e le espressioni dei volti iniziano a essere caratterizzati da una spiccata naturalezza e i panneggi degli abiti danno un più realistico senso del volume.

Auriga di Delfi, 478-474 a.C., bronzo, h 180 cm. Delfi, Archaeological Museum.

Il dio Hermes con il piccolo (proveniente dal Tempio di Hera a Olimpia), 400-326 a.C. ca., marmo, h 213 cm. Olimpia, Archaeological Museum. Questa statua è uno dei rari esemplari di

Policleto, Doriforo (proveniente da Pompei), II-I sec. a.C., copia romana in marmo da originale in bronzo del 445 a.C. ca., h 212 cm. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

La statua originale in bronzo, andata perduta, ci è nota per le numerose copie in marmo fatte in epoca romana.

La conquista della perfezione

Verso la metà del V secolo a.C. gli scultori greci arrivarono a definire un nuovo canone per la raffigurazione del corpo umano. Il modello della bellezza ideale venne individuato nel corpo dell’uomo giovane, poco più che adolescente, del quale erano messi in evidenza con cura i particolari anatomici

Il canone di Policleto

La scultura che esprime l’ideale della perfezione dell’Età classica è il Doriforo («portatore di lancia») dello scultore Policleto (attivo tra il 460 e il 420 a.C. circa).

Secondo Policleto, l’altezza del corpo doveva essere pari a otto volte quella della testa. L’altezza del viso, a sua volta, doveva essere tre volte quella del naso. Oltre a queste misure, poi, tutti i particolari della muscolatura dovevano essere ripresi con estrema naturalezza e i movimenti del corpo resi in modo armonico.

COMPETENTI IN ARTE

Quello di Policleto è il secondo canone che incontriamo. Qui ti riproponiamo quello usato dai pittori e dagli scultori egizi, che hai avuto modo di conoscere a pagina 29.

• Confrontalo con quello di Policleto: quali differenze puoi riscontrare?

Schema del canone di Policleto.

Il volto non esprime sentimenti e non lascia trasparire lo sforzo. Prevale un senso di bellezza e di armonia

Un discobolo perfetto

La statua del Discobolo dallo scultore Mirone

Atene tra il 480 e il 440 a.C. circa), è arrivata a noi in alcune copie in marmo di epoca romana. In questa pagina è riportata quella rinvenuta nella Villa Adriana, presso Tivoli, e conservata al British Museum di Londra. L’atleta vi è raffigurato mentre lentamente ruota su se stesso per raccogliere le forze necessarie a lanciare il disco. Nonostante lo scultore ritrag ga un momento preciso dell’azione compiuta dal discobolo, la statua esprime un smo e trasmette una straordinaria sensazione di movimento, che si può cogliere meglio se la si osserva da diversi punti di vista. Inoltre, essa testimonia in modo efficace la ricerca della fezione anatomica, della cui tendevano gli artisti greci dell’

Il busto piegato in avanti si torce per raccogliere le forze necessarie a lanciare il disco. La muscolatura dorsale è riprodotta con precisione e, nonostante venga sottolineato lo sforzo fisico, il gesto è compiuto con grande eleganza.

L’arco descritto dalle braccia aperte e dalle spalle si completa con la gamba sinistra, che si flette formando un semicerchio. La ricerca dell’armonia si integra con quella della perfezione nelle misure e nelle forme

Mirone, Discobolo (proveniente da Villa Adriana presso Tivoli), II sec. d.C., copia romana in marmo da originale in bronzo del 480-440 a.C. ca., h 170 cm. Londra, British Museum.

I muscoli addominali sono descritti con grande realismo anatomico, sottolineando la torsione del busto.

SAPEVI CHE...

Bellezza, bontà e coraggio

La bellezza e l’armonia delle forme per i Greci erano strettamente legate a caratteristiche morali come la bontà e l’onestà. Bellezza e bontà, dunque, erano doti che si accompagnavano e la perfezione esteriore era una manifestazione delle qualità interiori. Anche il coraggio e l’eroismo trovavano espressione in statue che ritraevano guerrieri dal corpo perfetto, capace di trasmettere non solo la sensazione della forza fisica, ma anche un carattere determinato e fiero nell’affrontare il pericolo. È possibile trovare un esempio di questo aspetto della scultura greca nei Bronzi di Riace.

Le sculture in bronzo

Accanto all’evoluzione nella tecnica rappresentativa, in Età classica si manifestò anche un’importante innovazione nell’uso dei materiali. I Greci, infatti, elaborarono una nuova modalità di lavorazione del bronzo che consentiva la realizzazione di statue di grandi dimensioni, ma vuote al loro interno e quindi più leggere. Con questa tecnica, detta della fusione a cera persa, sono stati scolpiti anche i due guerrieri di Riace. Il lavoro consisteva nel creare inizialmente una statua in creta, detta «anima», dotata di un’armatura al suo interno. La scultura era cotta in forno e poi ricoperta di cera. Con questa operazione si dava forma definitiva alla figura, perciò era richiesta una particolare attenzione e molta cura per i dettagli. Successivamente si applicavano dei tubicini, o «sfiatatoi», dei chiodi di sostegno e un ulteriore strato di creta che lasciava liberi i buchi dei tubicini. La statua era quindi nuovamente cotta in forno e la cera, sciogliendosi, colava via lasciando vuota un’intercapedine fra i due strati di creta in cui sarebbe stato colato il bronzo fuso. Una volta raffreddata, la statua veniva liberata dall’«anima» in terracotta e levigata in superficie.

Portati a galla con un pallone

I Bronzi di Riace, universalmente riconosciuti tra i capolavori più preziosi dell’arte greca del V secolo a.C., sono stati trovati per caso il 16 agosto 1972 da un subacqueo dilettante che stava facendo immersioni nelle acque di fronte alla città calabrese di Riace. Attratto da un braccio che spuntava dal fondale marino a soli 8 metri di profondità, si accorse delle grandi statue che giacevano sepolte nella sabbia. Si poneva a quel punto il problema di come recuperare le sculture senza danneggiarle. Per riportarle a galla venne gonfiato un grosso pallone, al quale furono assicurate le statue liberate dalla sabbia. Fatto risalire lentamente in superficie, il pallone trascinò con sé prima l’uno, poi l’altro guerriero, permettendone il recupero. In seguito, furono necessari ben sette anni di lavoro per ripulire i due capolavori, prima a Reggio Calabria e poi a Firenze. Un ultimo restauro è stato compiuto fra il 2009 e il 2013.

Il laboratorio allestito all’interno del palazzo del Consiglio regionale della Calabria per l’ultimo restauro dei Bronzi di Riace.

La tecnica della fusione a cera persa
Strato di cera

Sulle braccia e sulle mani le vene sono descritte accuratamente.

La muscolatura è tonica e tesa, modellata con estrema precisione, immortalata nel momento che precede il movimento.

Guerrieri di Riace, V sec. a.C., bronzo, h 198 cm ca. ciascuno. Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale.

I Bronzi di Riace

Idue guerrieri in bronzo, risalenti al V secolo a.C., non solo rispettano nelle proporzioni i canoni dell’arte greca, ma riflettono nella serena fierezza dello sguardo le qualità di coraggio e di umanità che si trovano esaltate anche nelle opere letterarie degli antichi Greci.

È evidente il sostegno degli scudi sul braccio sinistro di ogni statua; è probabile la presenza di una lancia nella mano destra.

La sommità del capo non lavorata fa supporre la presenza di un copricapo.

La pittura greca

I dipinti perduti

I dipinti che ornavano gli edifici delle póleis greche sono andati quasi completamente perduti. Importanti tracce sono rimaste in pochi affreschi rinvenuti in alcune tombe scoperte a Paestum (città della Magna Grecia situata in Campania), risalenti al 480 a.C. circa.

Il ritrovamento più importante riguarda la Tomba del tuffatore, databile intorno al 470 a.C.: una sorta di grande cassa formata da lastroni in pietra e chiusa da un coperchio, il cui interno è completamente affrescato. La scena del tuffo (che richiama simbolicamente il passaggio nell’aldilà)

è dipinta sul coperchio, mentre le pareti interne rappresentano scene di un banchetto con danze e giochi.

La pittura vascolare

Per studiare la pittura greca è possibile anche basarsi su opere diverse dagli affreschi, come i vasi dipinti, dove i pittori usarono la stessa precisione e la stessa eleganza degli scultori nel descrivere le figure, unite alla medesima attenzione nel rendere gli effetti di movimento. Gli stili della pittura vascolare variarono nel corso del tempo.

Nell’Età arcaica (VII-VI secolo a.C.) inizialmente le decorazioni erano di tipo geometrico e le figure umane erano rappresentate in forma stilizzata. Più tardi le figure iniziarono a essere più curate e realistiche e comparirono temi tratti da racconti mitologici, scene di guerra, gare sportive, ma anche soggetti legati alla vita quotidiana. Queste scene erano dipinte usando un nuovo stile: colore nero steso sul fondo ocra della terracotta. Successivamente, dalla fine del VI secolo, prevalse ad Atene l’uso di coprire i vasi con un fondo nero, lasciando libero lo spazio di colore ocra destinato alle figure, che venivano poi rifinite con dei sottilissimi tratti di colore nero (stile ocra su fondo nero). In questo modo era possibile descrivere meglio i dettagli e anche imprimere un maggiore senso di profondità e movimento. I vasi greci avevano diverse forme, ciascuna delle quali era destinata a un uso preciso.

Il tuffatore (dalla copertura interna della Tomba del tuffatore), 470 a.C. ca., pittura su lastra calcarea. Paestum, Museo Archeologico Nazionale.

Anfora con motivi geometrici, 760 a.C., terracotta, h 155 cm. Atene, National Archeological Museum. Scena di banchetto (particolare dell’interno della Tomba del tuffatore), 470 a.C. ca., pittura su lastra calcarea. Paestum, Museo Archeologico Nazionale.

Exekias, Cratere con figure nere, VI sec. a.C. ca.

Città del Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco.

Il vaso (fase delle figure nere su fondo ocra) raffigura

Achille e Aiace che giocano a dadi.

Il cratere era un vaso molto grande, usato soprattutto durante i banchetti per trasportare il vino, che veniva poi travasato nell’oinochoe (una brocca più piccola) per essere portato in tavola. I crateri si differenziavano a seconda del colore delle figure: prima nere su fondo ocra e nel periodo successivo rosse su fondo nero.

Eufronio, Cratere con figure rosse, 510 a.C. ca., h 45,7. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Il vaso (fase delle figure rosse su fondo nero) raffigura la morte di Sarpedonte nella guerra di Troia.

Il kylix era una coppa usata per bere il vino, utilizzata dal VI fino al IV secolo a.C., quando venne sostituita dal cantaro

Una coppa usata per bere nelle libagioni rituali era il ritone, che terminava con una decorazione a forma di testa di animale (spesso un toro) o di figura umana.

L’idria era un contenitore per liquidi dotato di tre anse; uguale funzione aveva anche l’anfora, che però aveva una pancia meno arrotondata e solo due anse.

L’ariballo era un contenitore piuttosto piccolo, destinato a racchiudere gli oli utilizzati dagli atleti per ungere il corpo prima delle gare, oppure i profumi usati dalle donne.

La pittura greca

Pittura
Orlo
Collo
Spalla
Pancia
Piede
Ansa

Nike (proveniente da Samotracia), 190 a.C., marmo, h 295 cm. Parigi, Musée du Louvre.

Galata morente, I sec. a.C., copia in marmo da originale in bronzo del 230-220 a.C., 93 × 185 cm. Roma, Musei Capitolini.

Nella statua del Galata morente l’uomo appare sfinito, piegato dallo sforzo della battaglia e dalla ferita mortale infertagli nella parte destra del costato. Il volto e l’intera figura, a differenza dei modelli greci, esprimono la sofferenza per la sconfitta subita.

L’arte nell’Età ellenistica

La diffusione dei modelli greci

Fra il III e il I secolo a.C. l’arte greca si andò diffondendo soprattutto grazie alle conquiste di Alessandro Magno (356-323 a.C.), il re macedone che, dopo avere conquistato la Grecia, ingrandì il proprio impero sino ai confini con l’India. L’arte di questo periodo è chiamata «ellenistica», proprio a testimoniarne la derivazione diretta dalla Grecia, che in lingua greca si dice Elládes. Rispetto ai modelli dell’Età classica, l’arte ellenistica mostra alcune differenze importanti. Anzitutto, rivela una maggiore attenzione nel trasmettere le emozioni e i sentimenti. Alla perfezione dei corpi, dunque, si accompagna uno studio più approfondito dei gesti e delle espressioni dei volti, così da rendere in modo efficace le passioni, il dolore, il desiderio... Un’altra caratteristica tipica dell’arte ellenistica è il grande dinamismo che le figure riescono a esprimere, senza abbandonare l’armonia, l’esattezza delle proporzioni e l’eleganza tipiche delle statue greche.

La Nike di Samotracia

Nella Nike di Samotracia è particolarmente evidente la resa del movimento. L’opera ritrae la dea alata della Vittoria (Nike), nel momento in cui si posa sulla prua di una nave per annunciare ai soldati la vittoria imminente. Lo scultore ha fissato proprio l’istante nel quale il piede destro si appoggia, mentre la gamba sinistra è ancora sollevata. Si capisce che il volo della dea non si è ancora

Unità 2 • L’arte nel mondo greco

Laocoonte : la forza e la disperazione

Le caratteristiche della scultura ellenistica trovano piena espressione nel Laocoonte, un gruppo scultoreo che ci è giunto attraverso una copia marmorea di epoca romana. Questa imponente scultura, alta quasi 2 metri e mezzo, ritrae il momento drammatico in cui Laocoonte, sacerdote di Poseidone nella città di Troia, viene aggredito e ucciso insieme ai figli da due enormi serpenti marini. Il mito greco, tramandato dal poeta latino Virgilio nell’Eneide, narra infatti che Laocoonte subì questa sorte per aver tentato di convincere i Troiani a non introdurre il cavallo di legno ideato da Ulisse entro le mura di Troia. La dea Atena, che proteggeva gli Achei, impedì al sacerdote di raggiungere lo scopo facendo uscire dagli abissi i serpenti i quali prima aggredirono i ragazzi e poi il padre, che cercava di salvarli.

Agesandro, Polidoro, Atenodoro di Rodi, Laocoonte e i suoi figli, 40-30 a.C., copia romana in marmo da originale in bronzo del 150 a.C. ca., h 243 cm. Città del Vaticano, Musei Vaticani.

Il corpo di Laocoonte è possente e la sua grandezza è quasi sproporzionata rispetto ai corpi dei figli. I muscoli del corpo e la torsione del busto comunicano lo sforzo compiuto.

Sul volto del figlio più piccolo appare la sofferenza e l’abbandono alla morte.

I serpenti si avviluppano intorno alle figure, intrecciati tra loro tanto da non poterli quasi distinguere l’uno dall’altro. Il muso che addenta il fianco di Laocoonte mostra un’espressione di crudele voracità.

La composizione è fortemente dinamica. L’impressione del movimento è data soprattutto dalle contorsioni della figura di Laocoonte e dalle volute e intrecci dei serpenti intorno ai corpi.

Il volto di Laocoonte esprime il dolore per la fatica di liberarsi dalle spire del serpente e per i morsi che sta ricevendo. La bocca semiaperta accentua il senso di disperazione in questa lotta senza scampo.

Il figlio più grande cerca di liberarsi dal serpente che, dopo essersi attorcigliato intorno a lui, sta mordendo il padre. Nel suo sguardo ci sono invocazione di aiuto, sorpresa, incredulità. L’anatomia e i tratti del volto rispondono ai canoni greci della bellezza maschile

CRETA

L’ARTE NEL MONDO GRECO

2500-1450 a.C. ca.

ARCHITETTURA

• Città-palazzo

SCULTURA

• Statuette votive: raffinatezza e cura nei dettagli

PITTURA

• Stile naturalistico, tinte vivaci

MICENE

1400-1100 a.C. ca.

ARCHITETTURA

• Città fortificate, mura ciclopiche, tombe a thòlos

SCULTURA

• Maschere funerarie

PITTURA

• Stile naturalistico e raffinato

NELLE PÓLEIS E IN MAGNA GRECIA

dall’8° alla fine del 1° sec. a.C.

ARCHITETTURA

• Templi di ordine: - Dorico - Ionico - Corinzio

• Teatri: all’aperto, di forma semicircolare

SCULTURA

• Età arcaica

7°-6° sec. a.C. kouros e kore, figure statiche

• Età classica

6°-4° sec. a.C. Canone di Policleto, bellezza ideale e proporzioni perfette

• Età ellenistica

4°-1° sec. a.C. Rappresentazioni realistiche, dinamiche ed espressive

PITTURA

• Pittura vascolare in tre stili:

- Geometrico

- Figure nere su sfondo rosso

- Figure rosse su sfondo nero

• Affreschi: testimonianze nelle decorazioni delle tombe

VERIFICA

1. Completa il seguente brano cerchiando l’alternativa corretta. Nel mondo greco si succedettero diverse civiltà. Abbiamo testimonianze artistiche della civiltà cretese, di quella micenea ma soprattutto dell’arte sviluppatasi in Grecia e nelle sue colonie a partire dal [V sec. a.C. / VIII sec. a.C.]. Quest’arte si è evoluta nel tempo ma [ha / non ha] mantenuto sempre la ricerca della perfezione e dell’armonia. In architettura troviamo tre stili, detti [canoni / ordini]. Sono il dorico, lo ionico e il corinzio: essi si differenziano soprattutto nell’aspetto [dei capitelli / dell’abaco] e nella decorazione [della facciata / del fregio]. In scultura, in Età arcaica la figura umana (kouros e kore) era rappresentata [in movimento / statica] e con lineamenti del volto [idealizzati / espressivi]; in Età classica [Policleto / Mirone] definì un canone, ossia delle regole per raffigurare il corpo umano con proporzioni perfette e armoniche; in Età ellenistica venivano rappresentati anche i gesti e le espressioni del viso che trasmettono sentimenti. La pittura greca si è conservata soprattutto nella decorazione [delle tombe / dei vasi di terracotta].

2. Indica con A gli elementi architettonici del tempio greco, con B quelli del teatro greco.

Orchestra Cavea Abaco Metopa Proscenio Triglifo Trabeazione

3. Osser va le seguenti immagini e scrivi accanto ad ognuna il numero corrispondente.

Nello spazio sotto, indica se fanno parte dell’arte cretese, micenea o greca.

1. Discobolo. 2. Il salto del toro. 3. Laocoonte e i suoi figli. 4. Partenone. 5. Bronzi di Riace. 6. Porta dei leoni. 7. Tesoro di Atreo. 8. Palazzo di Cnosso.

4. Osser va l’immagine del Tempio della Concordia di Agrigento, quindi rispondi alle domande.

• A quale stile architettonico appartiene il tempio? Da cosa lo deduci?

• Il fregio del tempio è composto da due elementi architettonici alternati. Quali sono? Elencane i nomi e descrivili.

L’arte etrusca e romana

VIII sec. a.C.

Fondazione delle principali città etrusche

ETRUSCHI

753 a.C. Fondazione di Roma

509 a.C.

Inizio dell’Età repubblicana a Roma

VII-VI sec. a.C. Necropoli etrusche

V sec. a.C. Declino della potenza etrusca

490-470 a.C.

Banchetto nella

Tomba dei leopardi

V-IV sec. a.C. Chimera di Arezzo
ROMA REPUBBLICANA

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44 a.C.

Morte di Giulio Cesare

27 a.C. Inizio del Principato di Augusto

14 d.C.

Morte di Augusto. Inizio dell’Età imperiale

313 d.C. Editto di Costantino

395 d.C. Divisione dell’Impero romano

476 d.C. Caduta dell’Impero romano d’Occidente

d.C. Pantheon

Entrare nell’arte... etrusca e romana

Nella Penisola italica...

Fin da tempi molto antichi la Penisola italica era abitata da popolazioni diverse che hanno lasciato sul territorio testimonianze significative della loro cultura. Tra queste, una posizione di primo piano fu occupata dagli Etruschi, che a partire dall’VIII-VII secolo a.C. si organizzarono in fiorenti città-stato sparse dalla valle del Po fino alla Campania. Negli stessi anni nei quali si andava affermando la potenza etrusca, nel Lazio venne fondata la città di Roma (tradizionalmente la data della fondazione è il 753 a.C.).

Nel corso dei secoli successivi Roma riuscì a estendere il proprio dominio prima sulla Penisola italica, assorbendo di fatto le città-stato etrusche, poi in tutto il bacino del Mediterraneo e su una vasta parte dell’Europa continentale. La cultura dei Romani si diffuse in tutto il vasto impero, contribuendo anche a rafforzarne la coesione politica.

CHIAVI di LETTURA

L’Impero romano.

1 Gli Etruschi e la gioia di vivere

I dipinti rinvenuti nelle tombe degli Etruschi rivelano la gioia e la spensieratezza che dominavano il loro stile di vita. L’arte etrusca è quasi sempre finalizzata a esaltare la vita e a prolungarne la bellezza anche dopo la morte.

Oceano Atlantico

Londra

Lutetia (Parigi)

Lione Nimes

Segovia

Toletum (Toledo)

Massalia (Marsiglia) Tarquinia

Milano

Aquileia

Ravenna

Roma

Ercolano

Cartagine

Sirmio

Efeso

Etruria, 750 a.C.

Confini dell’Impero romano alla sua massima estensione, 117 d.C.

2 Le grandi costruzioni dei Romani

Strade, ponti, anfiteatri, acquedotti e altre costruzioni testimoniano l’ingegno degli architetti romani, che seppero sfruttare al massimo le tecniche apprese da altri popoli e inventarne di nuove.

Acquedotto romano, I-II sec. d.C. Segovia.

Tomba dei leopardi (particolare), V sec. a.C. Tarquinia.
Mar Mediterraneo
Mar Nero
MarCaspio

3 Perfezione e naturalismo

Nella rappresentazione delle persone, gli scultori romani accompagnavano alla ricerca della perfezione anatomica e del naturalismo il tentativo di trasmettere anche il carattere e le doti morali della persona.

...fioriscono le civiltà degli Etruschi e dei Romani

Tra le antiche civiltà sorte nella Penisola italica nell’arco del I millennio a.C., quella degli Etruschi, fiorita a partire dall’VIII secolo a.C., ha lasciato le testimonianze artistiche più importanti e raffinate.

Fino al VI secolo a.C. anche Roma subì fortemente i condizionamenti della civiltà etrusca. In seguito, però, l’affermazione della Repubblica portò al rapido sviluppo della potenza politica romana e al conseguente incontro con altre civiltà. Grazie alla rapida espansione del loro Impero, i Romani vennero in contatto con modelli artistici diversi da quelli etruschi, in particolare quelli greci, che esercitarono un’influenza decisiva sullo sviluppo dell’arte romana.

Statua equestre di Marco Aurelio, 161-180 d.C. Roma, Musei Capitolini.

4 Gli «inganni» della pittura

Uno dei tratti più originali della pittura romana è l’uso della prospettiva per «sfondare» le pareti delle case e aprire lo sguardo su paesaggi o altre strutture architettoniche con effetti ottici sorprendenti, anche se ancora intuitivi.

Bruto Capitolino, III sec. a.C. Roma, Musei Capitolini.
Parete decorata, fine I sec. a.C. Ercolano.

L’architettura etrusca

Una civiltà urbana

Le più antiche testimonianze della civiltà etrusca risalgono all’VIII-VII secolo a.C. In quel periodo, nel territorio compreso fra l’Arno e il Tevere sorsero centri come Populonia, Vetulonia, Tarquinia, Cerere, Chiusi, Veio. Nel VI secolo a.C. gli Etruschi estesero i loro possedimenti verso sud, in Campania, e verso nord, in gran parte della Pianura Padana, dove fondarono importanti centri come Felsina (l’odierna Bologna), Piacenza, Parma, Modena e Mantova.

Quella etrusca, dunque, si caratterizzò fin da subito come una civiltà urbana, basata su città-stato indipendenti. Dopo il V secolo a.C. gli Etruschi furono assoggettati ai Latini e, più tardi, ai Romani, sui quali esercitarono una fortissima influenza. Dagli Etruschi, infatti, i Romani acquisirono la tecnica costruttiva dell’arco e l’organizzazione delle città lungo due direttrici principali (cardo e decumano), oltre ad alcuni aspetti fondamentali della religiosità

L’uso dell’arco a tutto sesto

Gli Etruschi furono i primi a utilizzare l’arco in tutto l’Occidente mediterraneo. L’arco a tutto sesto, cioè a forma semicircolare, distribuisce il peso delle costruzioni lungo le parti laterali della struttura, permettendo così di praticare ampie aperture anche lungo muri imponenti per altezza e spessore.

Costruzioni caratterizzate dall’impiego dell’arco a tutto sesto si sono conservate fino a oggi in diverse città di origine etrusca.

Chiave di volta

Struttura dell’arco a tutto sesto.

Porta dell’Arco (o arco etrusco), IV-III sec. a.C. Volterra.

L’arco che dà accesso al centro storico di Volterra conserva ancora, seppure poco riconoscibili, tre teste di divinità etrusche

Conci

Disegno ricostruttivo di un tempio etrusco.

Scala d’accesso

Il tempio etrusco

Le città etrusche erano circondate da possenti mura e nella parte più elevata sorgeva un tempio. I resti dei templi etruschi giunti fino a noi sono assai scarsi, soprattutto a motivo della deperibilità dei materiali impiegati (in prevalenza il legno). Ne abbiamo testimonianza dai resoconti di Vitruvio, un architetto romano vissuto nel I secolo a.C., e da rari modellini in terracotta che si sono conservati. Il tempio etrusco, apparentemente simile a quello greco, era generalmente costruito in legno, con decorazioni in terracotta, soprattutto acroteri e antefisse, dipinte a colori vivaci e poste sulla sommità e lungo gli spioventi del tetto. Presentava tre piccole celle e poggiava su una base sopraelevata in pietra con una scalinata sul lato anteriore che conduceva al prònao, sorretto da colonne lisce di stile detto tuscanico, simile a quello dorico.

Tomba dei Rilievi (particolare dell’interno), IV sec. a.C. Cerveteri, Necropoli della Banditaccia. In rilievo sulle pareti, attorno ai loculi, utensili e suppellettili di uso quotidiano sorprendentemente realistici.

Le città dei morti

A somiglianza delle città dei vivi erano strutturate le città dei morti, grandi necropoli nelle quali si trovavano decine o talvolta centinaia di tombe.

Le tombe etrusche erano di diversi tipi:

• a tumulo, ricoperte da una piccola montagnola di terra;

• a ipogeo, ossia sotterranee, alle quali si accedeva attraverso un corridoio (drómos) o una scala;

• a edicola, simili a una piccola casa dal tetto spiovente. Vi erano poi sepolture scavate nella roccia (soprattutto nel tufo, in Lazio). Le tombe potevano avere diversi ambienti e in genere conservavano anche vasi e suppellettili, come pure armi e gioielli, che vi venivano posti per accompagnare i defunti nella loro vita oltre la morte.

Colonna tuscanica
Frontone
Tomba a edicola, VI sec. a.C. Populonia, Necropoli del Casone.
Antefisse

La scultura etrusca

In bronzo e terracotta

Le testimonianze più importanti della scultura etrusca riguardano opere destinate alla vita religiosa e ai culti funerari. Molte sono le statue votive in bronzo che, fin dall’inizio della civiltà etrusca, accompagnavano i riti pubblici e privati. Tra queste, famosa è la Chimera d’Arezzo, che ritrae una mostruosa creatura della mitologia greca con il corpo e la testa di leone, un serpente al posto della coda e una testa di capra sulla schiena.

I sarcofaghi

Chimera d’Arezzo, V-IV sec. a.C., bronzo, h 65 cm. Firenze, Museo Archeologico Nazionale.

Cavalli alati, IV sec. a.C. ca., terracotta. Tarquinia, Museo Nazionale Etrusco.

Decoravano il monumentale santuario dell’Ara della Regina a Tarquinia: offrono un esempio straordinario dell’abilità raggiunta dagli artisti etruschi.

La scultura era impiegata anche nell’arte funeraria. Inizialmente venivano decorati con piccole figure i canopi, vasi in bronzo o in terracotta destinati ad accogliere le ceneri dei defunti. A partire circa dal VI secolo a.C., si affermò an che l’usanza di inumare i defunti dentro ta. Sul coperchio il solo o in compagnia del marito o della moglie. Generalmente il richiamato dalle sculture dei sarcofaghi è l’espressione tranquilla che contraddistingue i volti rimanda alla convinzione di una vita ultraterrena serena e gioiosa.

Sarcofago degli sposi, 520 a.C. ca., terracotta, 140 × 202 cm. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Il sarcofago, proveniente dalla necropoli della Banditaccia a Cerveteri, reca ancora tracce dei vivaci colori che originariamente lo decoravano.

Canopo in terracotta (proveniente da Chiusi), VII sec. a.C., terracotta. Chiusi, Museo Archeologico Nazionale.

La rappresentazione di Apollo

Apollo era una delle divinità che gli Etruschi avevano conosciuto attraverso i loro contatti con i Greci e che adattarono al proprio culto identificandola con il dio dei tuoni Aplu, o Apulo, ma forse anche con il dio della profezia, Suri.

Sono giunte a noi diverse statuette votive raffiguranti Aplu/Apollo e due statue più grandi in terracotta, entrambe parte di edifici dedicati al culto.

Si tratta di due sculture che testimoniano l’evoluzione della scultura etrusca la quale, venendo a contatto con i canoni tipici dell’arte greca, ne risulta influenzata e si modifica accogliendone le linee di sviluppo fino allo stile ellenistico.

La prima scultura, detta Apollo di Veio, è un acroterio che era collocato sulla sommità del tempio di Portonaccio, a Veio. È stata realizzata in un periodo compreso fra il 510 e il 500 a.C., probabilmente da uno scultore di nome Vulca, uno dei pochi artisti etruschi di cui ci è stato tramandato il nome.

La seconda statua è il busto di Apollo che si trovava nel frontone del tempio dello Scasato, nei pressi di Civita Castellana, costruito tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C.

I lineamenti del viso sono fortemente accentuati, caratterizzati da un sorriso sereno e al tempo stesso enigmatico.

Il volto di questo Apollo ha perso le caratteristiche tipiche delle sculture etrusche e risulta invece più vicino ai modelli ellenistici, come testimoniano la definizione dei capelli e i lineamenti morbidi.

La precisione nel descrivere i dettagli anatomici e le proporzioni del corpo corrispondono ai canoni della scultura greca della tarda Età classica.

L’impianto della statua ricorda i kouroi greci, ma in questo caso la posizione delle braccia suggerisce maggiore senso del movimento.

Il panneggio della tunica risulta più elaborato rispetto ai modelli greci e lascia intravvedere le forme del corpo.

La posizione delle gambe contribuisce ad accentuare la dinamicità della figura.

Apollo di Veio, 510-500 a.C., terracotta policroma, h 181 cm. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Apollo di Scasato, IV-III sec. a.C., terracotta. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

La vita dipinta nelle tombe

Una vita serena e spensierata

La pittura degli Etruschi ci è nota attraverso gli affreschi che si sono conservati nelle tombe. Sia le tombe a ipogeo sia quelle a tumulo presentano spesso al loro interno dipinti dai colori vivaci che ritraggono situazioni di festa o di svago, come banchetti, battute di caccia, danze e gare sportive.

Gli Etruschi credevano in una vita ultraterrena durante la quale i buoni erano destinati a godere di un’eterna felicità, mentre ai malvagi venivano inflitte pene terribili da parte di spaventose creature demoniache.

Le tombe riportano immagini di feste e divertimenti amati in vita, come auspicio per il defunto che quello sarebbe stato il destino che lo attendeva.

Mitologia greca su vasi etruschi

Un’interessante testimonianza della pittura etrusca è anche quella che si trova nelle decorazioni vascolari, che riprendono temi tipici della mitologia greca. Le figure sono però disegnate in modo originale e nettamente distinto dai modelli greci, anche se è evidente il loro influsso. Anche i colori sono differenti e un tratto caratteristico della pittura vascolare etrusca è dato dalle figure che, seppure descritte con minore precisione, trasmettono un maggior senso di movimento Vasi caratteristici della civiltà etrusca erano i buccheri, plasmati con argilla cotta in modo tale da fare acquisire all’impasto un caratteristico colore nero.

Anfora con incisione di una biga (proveniente da Vulci), V sec. a.C., bucchero. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Una scena di pesca

In questo dipinto, se pur non particolarmente raffinato, è possibile cogliere la ricerca del naturalismo nella descrizione degli animali e dei gesti compiuti dai pescatori con reti, lenze e arpioni. Persino lo scafo dell’imbarcazione è decorato e riproduce le fattezze di un pesce.

Tutta la scena, con i suoi colori e il volo degli uccelli, trasmette un’impressione di dinamismo e vivacità. Esempi analoghi si trovano nella civiltà cretese: è probabile che gli Etruschi abbiano conosciuto quello stile attraverso i contatti con i Greci.

Scena di pesca (particolare), 520-510 a.C., affresco. Tarquinia, Tomba della caccia e della pesca.

Il banchetto nella Tomba dei leopardi

Tra i dipinti meglio conservati della civiltà etrusca vi sono gli affreschi che si trovano nella Tomba dei leopardi, nella necropoli di Monterozzi, a Tarquinia, risalente al 490-470 a.C. Sulla parete di fondo è rappresentata la scena di un banchetto: uno dei temi ricorrenti nell’arte funeraria etrusca. Quattro uomini e due donne, distesi a coppie su tre klínai (letti conviviali), sono intenti a conversare e a mangiare. Gli uomini sono raffigurati a torso nudo, mentre le donne indossano dei chitoni (tuniche senza maniche) chiari. Come abbiamo già avuto modo di osservare nella pittura cretese, gli uomini sono dipinti con un colore rosso bruno, mentre le donne sono dipinte con un colore più chiaro, quasi bianco.

Il pittore, probabilmente etrusco, risente solo in parte dell’influsso greco. Vi è infatti grande cura dei dettagli ma le figure, seppure vivaci, sono sproporzionate e appaiono a tratti rigide nei loro contorni. Nonostante ciò, sono da ammirare l’eleganza dell’insieme e la brillantezza dei colori che trasmettono un senso di leggerezza e di gioia

I due spioventi del tetto della tomba sono decorati con un motivo a scacchi ricorrente nelle tombe etrusche e che richiama forse i padiglioni di stoffa usati per i banchetti all’aperto.

La tomba prende il nome dai due leopardi dipinti sulla parete di fondo, sopra la scena del banchetto.

Sulla parete di destra sono raffigurati dei servi e dei musici che allietavano il banchetto. Qui è visibile un flautista.

Banchetto, 490-470 a.C., affresco. Tarquinia, Tomba dei leopardi.

Due giovani nudi servono i convitati. Portano sul capo una corona di foglie ed entrambi reggono nella mano destra una brocca, l’olpe, usata per servire il vino.

Uomini e donne partecipano al banchetto in condizione di assoluta parità. Questo fatto, inconcepibile per i Greci, testimonia il riconoscimento del ruolo della donna all’interno della famiglia e della società etrusche.

Roma, una città di marmo

Capitale di un impero

Lo storico romano Svetonio racconta che Ottaviano Augusto si vantava di «avere trovato Roma di mattoni e di averla lasciata di marmo». È vero infatti che quando Augusto conquistò il potere, nel 27 a.C., gli edifici di Roma erano quasi tutti costruiti con mattoni cotti al sole e sostenuti da intelaiature di legno, il che spiega anche i frequenti incendi che periodicamente devastavano la città. Augusto volle celebrare la potenza di Roma, ormai diventata capitale di un vasto impero, innalzando splendidi edifici pubblici in marmo: un’impresa che si prolungò anche oltre la sua morte, avvenuta nel 14 d.C.

Il foro, centro della vita politica e religiosa

Tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. fu portato a termine il rifacimento del foro romano, con la costruzione di edifici monumentali. Il foro era la grande piazza (inizialmente di forma rettangolare) dove, come nell’agorá greca, si concentravano le attività economiche, politiche e amministrative della città. Era anche il centro religioso, nel quale si trovavano numerosi templi dedicati a diverse divinità. Nei secoli successivi, gli imperatori che si succedettero sul trono fecero innalzare via via edifici sempre più maestosi, i cui resti in alcuni casi sono giunti ancora ben conservati fino a noi. Si venne così a creare una vasta area nota come Fori imperiali

Ricostruzione di Roma in Età imperiale (particolare), plastico. Roma, Museo della Civiltà Romana. Nel riquadro è indicato il dettaglio dei Fori nel momento della loro massima estensione. L’area più vasta era occupata dagli edifici fatti costruire dall’imperatore Traiano

Una parte dei Fori imperiali come appaiono oggi.

Basiliche ispirate all’agorá greca

La basilica era uno degli edifici più importanti del foro. Struttura tipica dell’architettura romana, può essere considerata uno sviluppo dell’agorá greca e dei portici che la circondavano: era infatti il luogo in cui i cittadini si incontravano per i dibattiti pubblici, sbrigavano i loro affari e dove veniva amministrata pubblicamente la giustizia.

La basilica era un edificio coperto di pianta rettangolare e poteva svilupparsi anche su tre piani, con loggiati aperti sull’esterno. Era composta da un’aula centrale fiancheggiata da navate laterali, divise da colonne e pilastri che, nelle basiliche a più piani, sorreggevano i livelli superiori. Le due estremità dell’aula rettangolare potevano concludersi con due vani di forma semicircolare chiamati absidi.

Disegno ricostruttivo e planimetria di una basilica romana.

Resti della Basilica Emilia a Roma
Abside Ingresso
Abside

Un tempio innovativo

I templi romani riprendevano in genere il modello etrusco. A differenza dei templi etruschi, però, erano costruiti in marmo e in pietra e le colonne erano per lo più in stile dorico o corinzio.

Del tutto originale, invece, è il Pantheon, il tempio fatto costruire dall’imperatore Adriano tra il 118 e il 125 d.C. nel quale erano venerate tutte le divinità dei popoli conquistati dai Romani. L’edificio, a pianta circolare, è stato concepito dagli architetti come uno spazio inscritto in un’enorme sfera, con una cupola che alla sua sommità si apre in un grande lucernario, anch’esso rotondo, che diffonde luce in tutto il tempio. L’altezza dell’edificio, pari a 43,3 metri, corrisponde esattamente al diametro della cupola. All’esterno, nel prònao, e all’interno, la struttura è sorretta da alte colonne in stile corinzio

Dall’arco alla cupola

Gli edifici romani di età imperiale furono progettati all’insegna della grandezza e della maestosità. Alla base di quelle imponenti costruzioni c’è il perfezionamento della tecnica di costruzione dell’arco appresa dagli Etruschi. Dall’arco, i Romani derivarono infatti altre strutture architettoniche: la volta a botte (ottenuta con l’unione di più archi in successione), quella a crociera (che risulta dall’incrocio di due volte a botte) e la cupola (generata dalla rotazione dell’arco intorno all’asse di simmetria).

Pantheon, 118-125 d.C. Roma.

SAPEVI CHE...

La cupola più grande

La cupola del Pantheon, con i suoi 43,3 metri di diametro, è ancora oggi la più grande del mondo fra quelle costruite in muratura. La cupola della Basilica di San Pietro ha un diametro interno di circa 42 metri e quella della Basilica di San Paolo, a Londra, di 31 metri. Ma la vera curiosità non sta nella grandezza della cupola, quanto nei sistemi e nei materiali impiegati per costruirla. La cupola, infatti, è stata realizzata in calcestruzzo, un’amalgama di calce, acqua e sabbia con l’aggiunta di scaglie di pietra, colato in una grandissima armatura in legno e il suo spessore diminuisce mano a mano che si avvicina al lucernario. Così, alla base il suo spessore è di 5,2 metri, mentre in corrispondenza dell’apertura è di appena 1,4 metri. Inoltre, mentre alla base l’amalgama del calcestruzzo contiene materiali più pesanti, come i mattoni, salendo ha materiali leggeri come il tufo e la pietra pomice. Tutto ciò contribuisce a far sì che la cupola sia resistentissima alla base e molto leggera alla sua sommità. Questo è uno dei motivi per cui si regge in piedi da quasi 2000 anni!

Schema ricostruttivo del Pantheon.
Volta a botte.
Cupola.
Volta a crociera.

A teatro come i Greci

Alcuni tra gli edifici più caratteristici dell’architettura e della civiltà romana sono i teatri, i circhi e gli anfiteatri.

Il teatro romano richiamava nell’impianto quello greco: cavea semicircolare, orchestra, scena e proscenio. L’unica differenza di rilievo era data dal fatto che la cavea non era scavata nel fianco di una collina, ma si reggeva su strutture in muratura sorretta da una serie di arcate sovrapposte. Questo edificio, quindi, poteva trovare posto in qualsiasi luogo, anche nel centro di città collocate in luoghi pianeggianti.

Come in Grecia, nel teatro venivano rappresentate commedie, tragedie, spettacoli di danza e di musica. Gli spettacoli avevano una funzione educativa ed erano perciò gratuiti, così da permettere a tutti di parteciparvi.

Teatro di Marcello, 13 a.C. Roma.

Ricostruzione del Teatro di Marcello, plastico. Roma, Museo della Civiltà Romana.

Il teatro, voluto da Giulio Cesare, dedicato al nipote Marcello, fu inaugurato nel 13 a.C

Circhi e anfiteatri

Ricostruzione del Circo Massimo, plastico. Roma, Museo della Civiltà Romana.

I circhi e gli anfiteatri ospitavano spettacoli orientati allo svago e al divertimento.

Il circo si sviluppava molto in lunghezza: l’arena, circondata da gradinate dove prendeva posto il pubblico, era divisa in due da una sorta di barriera in muratura chiamata spina, che poteva essere decorata con statue, obelischi o altre sculture celebrative. Qui si svolgevano soprattutto le corse dei cavalli e manifestazioni sportive di vario genere. Il circo più grande dell’antichità era il Circo Massimo di Roma, che poteva contenere ben 250 000 spettatori.

Gli anfiteatri erano invece edifici di forma ellittica che nell’impianto erano risultato dell’accostamento di due teatri: da qui il nome anfiteatro, che letteralmente significa «doppio teatro». Lì si svolgevano i giochi dei gladiatori, uomini armati di spade chiamate gladium che dovevano combattere tra loro oppure affrontare animali feroci come tigri, leoni, orsi... Si trattava di spettacoli sanguinosi, dove i gladiatori (per lo più schiavi appositamente addestrati per questo tipo di spettacoli) spesso perdevano la vita.

Gli anfiteatri più grandi erano dotati anche di impianti idraulici che permettevano di inondare l’arena e simulare battaglie navali.

Un anfiteatro «colossale»

L’Anfiteatro Flavio, meglio noto con il nome di «Colosseo», è l’anfiteatro più grande costruito in epoca romana. Fu voluto dall’imperatore Vespasiano nel 72 d.C., ma venne inaugurato solo nell’80 d.C. dal suo successore, Tito, entrambi della dinastia dei Flavi. Il nome Colosseo non è dovuto alle sue dimensioni (effettivamente assai importanti), ma al fatto che venne costruito accanto a una grandissima statua di Nerone (detta «colosso di Nerone»).

Di forma ellittica, come tutti gli anfiteatri, era però particolarmente sviluppato verso l’alto, con un’altezza complessiva che originariamente era di 52 metri (oggi ridotta a 48,5).

Ha un perimetro di 527 metri e gli assi dell’ellisse misurano 187,5 e 156,5 metri.

Le sue gradinate permettevano di accogliere fino a 70 000 spettatori. Nel Colosseo si svolgevano soprattutto combattimenti cui prendevano parte i gladiatori e battaglie navali. Non è vero invece, come erroneamente a volte si crede, che vi furono martirizzati i cristiani, soprattutto durante la persecuzione di Nerone, nel 64 d.C.; anzitutto perché in quell’anno il Colosseo non era ancora stato costruito e poi perché per eventi di questo tipo erano utilizzati i circhi.

Anfiteatro Flavio (Colosseo), 80 d.C. Roma.

I blocchi di marmo che componevano le gradinate sono scomparsi: asportati nel corso dei secoli per costruire altri edifici. Sono però rimasti visibili i grossi muri di sostegno, percorsi internamente da gallerie che davano accesso alla cavea.

L’arena è rimasta senza copertura e sono visibili i corridoi e gli ambienti sotterranei che accoglievano i depositi, le gabbie degli animali e gli ambienti dove i gladiatori attendevano il momento del combattimento. Sono anche visibili le condutture idrauliche che servivano a convogliare nell’anfiteatro l’acqua necessaria per le battaglie navali.

I muri perimetrali del Colosseo sono costituiti da tre arcate sovrapposte, sovrastate da un alto muro pieno. Anticamente, nelle due arcate superiori erano collocate delle statue in bronzo, andate perdute. Alla sommità del muro erano posti pali che servivano a reggere una copertura in stoffa che riparava gli spettatori seduti sulle gradinate: il velarium.

SAPEVI CHE...

I pilastri che sorreggono le arcate sono rinforzati con semicolonne che si rifanno a tre diversi ordini: al primo livello sono in stile tuscanico, nell’intermedio ionico e in quello superiore in stile corinzio

Nuovi anfiteatri

L’impianto architettonico dell’anfiteatro romano ha ispirato la costruzione dei moderni stadi in tutto il mondo. Il campo di calcio ha preso il posto dell’arena, ma la forma ellittica, le gradinate e i sistemi di accesso sono rimasti pressoché invariati. Uno degli stadi moderni che ripete lo schema dell’anfiteatro romano è lo Stadio Olimpico di Londra, costruito nel 2012 in occasione delle Olimpiadi.

Ponti, acquedotti e terme

Ponti per trasportare l’acqua

I Romani hanno costruito molti ponti per attraversare i fiumi (primo fra tutti il Tevere, intorno al quale è sorta Roma) e per trasportare l’acqua da un luogo all’altro: gli acquedotti. Gli uni e gli altri si assomigliano, perché in entrambi i casi sono state impiegate strutture ad arco

Gli acquedotti, in particolare, sono costituiti da sequenze di archi che si snodano anche per molti chilometri, così da convogliare l’acqua dalle sorgenti o dai fiumi fino alle città.

Acquedotto romano, I-II sec. d.C., granito. Segovia.

Gli acquedotti erano strutture complesse che per essere realizzate richiedevano competenze diverse, dall’architettura all’ingegneria idraulica. L’acqua partiva da una diga, veniva subito incanalata e fatta scorrere con una pendenza costante fino alla destinazione. Questo comportava a volte la costruzione di viadotti e ponti che potevano raggiungere anche i 15 metri di altezza. Lungo il tragitto potevano esserci sifoni che permettevano all’acqua di superare le depressioni più profonde, dove non era possibile costruire ponti: l’acqua veniva fatta precipitare a una velocità fortissima, che le forniva la spinta necessaria a risalire fino a raggiungere il viadotto o il canale successivo e così proseguire il viaggio fino al serbatoio di distribuzione, posto alla fine del percorso.

Le terme: ovunque e per tutti

L’acqua che veniva convogliata nelle città serviva anche ad alimentare le terme, edifici nei quali si trovavano grandi vasche con acqua calda e fredda, ambienti per rilassarsi...

L’abitudine di usare le terme si diffuse in tutto l’Impero romano. Naturalmente vi erano edifici differenti a seconda dei ceti sociali cui appartenevano coloro che li frequentavano. Per le persone più facoltose, che potevano permettersi di passarvi molto tempo, gli impianti termali comprendevano anche portici sotto i quali passeggiare e conversare e persino biblioteche e negozi. Per coloro che appartenevano ai ceti più poveri le terme erano poco più che bagni pubblici, utili comunque per un momento di pausa e per garantire l’igiene personale.

Canale Sifone Conduttura su viadotto
Conduttura in galleria
Pozzi per la manutenzione
Ponte
Serbatoio
Tepidarium
Piscina all’aperto
Spogliatoio

Un antico centro benessere

In Età imperiale le terme divennero veri e propri capolavori di architettura e di ingegneria idraulica. All’esterno si presentavano come dei grandi palazzi, mentre all’interno raccoglievano una varietà di costruzioni che andavano dai colonnati alle piscine, dalle ampie sale coperte da cupole agli eleganti ambienti riscaldati che servivano come sauna. La permanenza nelle terme prevedeva il passaggio da vasche d’acqua fredda (frigidarium) ad altre di acqua tiepida (tepidarium) e infine calda (calidarium). Vi erano poi palestre e piscine. Poiché alle vasche si accedeva completamente nudi, vi erano ambienti separati per le donne e per gli uomini. Per garantire la giusta temperatura dell’acqua e delle sale, un sofisticato sistema di caldaie portava il calore in una sorta di intercapedine sotto i pavimenti (ipocausto). Così l’acqua delle vasche veniva riscaldata secondo le diverse gradazioni desiderate. Lo stesso sistema permetteva di portare a temperature elevate gli ambienti destinati alla sauna.

Ipocausto nelle terme di Cesarea, II metà del I sec. a.C. Israele.

Terme di Caracalla (veduta aerea), 212-216 d.C. Roma.
Disegno ricostruttivo di terme romane.
Ipocausto
Calidarium
Palestra
Caldaia
Frigidarium

Le abitazioni private: domus e insula

Le case dei Romani

Oltre alle opere di edilizia pubblica, i Romani hanno lasciato testimonianze significative anche degli edifici destinati all’uso privato. Le tipologie principali di abitazione privata erano due: la domus e l’insula Esisteva poi un altro tipo di abitazione, la villa, che però era meno diffusa: si trattava di una casa collocata fuori dalla città, di dimensioni molto grandi, che poteva essere la residenza estiva di famiglie particolarmente ricche (e persino dell’imperatore). In epoca tardo-imperiale, la villa divenne anche il centro di vere e proprie aziende agricole nelle quali lavoravano schiavi e servi.

La casa dei ricchi: la domus

La domus era l’abitazione cittadina dei ceti più ricchi, nella quale viveva di norma una sola famiglia, insieme ai servi e agli schiavi. Era costruita in muratura ma non mancavano colonne, pavimenti e finiture in pietra e in marmo. Gli ambienti che la caratterizzavano erano spesso decorati con sculture, affreschi e mosaici. Ogni domus aveva una quantità di ambienti variabile, ma sempre tale da permettere una vita comoda e agiata.

Disegno ricostruttivo di una domus.

Le camere da letto, dette cubicola, erano in genere piccole e situate lungo l’atrio, disposte su uno o due piani.

Al piano terra potevano trovare posto anche uno studio o una biblioteca.

Il tetto a tegole dell’atrio spioveva verso il compluvio, che faceva confluire l’acqua piovana in una vasca poco profonda (impluvio). Quando superava un certo livello, l’acqua veniva convogliata in una cisterna sotterranea.

In un giardino circondato da un portico chiamato peristilio si trovavano una o più fontane. Impianti idraulici sofisticati portavano acqua corrente negli ambienti della domus

La domus disponeva di un giardino interno compreso nella cinta muraria che circondava tutta la casa.

La domus si apriva direttamente sulla strada, ma l’ingresso all’abitazione vera e propria era preceduto da un disimpegno.

La cucina era in genere molto ampia e dotata di una dispensa dove venivano raccolte soprattutto le anfore e gli orci con olio, vino e altri cibi non deperibili.

Intorno al portico centrale vi erano ambienti destinati ad accogliere e a intrattenere gli ospiti

La sala da pranzo era chiamata triclinium, dal nome dei letti sui quali i Romani, come i Greci e gli Etruschi, stavano semicoricati per mangiare.

Abitare in appartamento: l’insula

L’insula era un edificio simile ai moderni condomini e poteva raggiungere anche quattro piani sovrapposti. Era costruita in muratura e in legno e i diversi piani avevano caratteristiche differenti.

L’insula, infatti, ospitava persone appartenenti a ceti sociali diversi, dai commercianti che godevano di un certo benessere a individui di condizioni più modeste, anche se non indigenti.

L’acqua usata per impieghi domestici veniva rovesciata fuori dalla finestra... guardando che sotto non ci fosse nessuno!

Gli appartamenti al primo livello sopraelevato avevano ambienti più ampi e spaziosi, mentre quelli posti ai piani superiori erano più stretti e angusti. Sulla strada si aprivano botteghe, taverne o depositi di merci. Le insulae erano collocate in zone della città piuttosto affollate, addossate l’una all’altra lungo strade più o meno strette, e le condizioni igieniche erano in genere piuttosto precarie.

Disegno ricostruttivo di un’insula.

Le finestre non avevano vetri ma imposte di legno. Durante l’inverno gli abitanti si riparavano dal freddo chiudendo le imposte o applicando alle finestre pellicce o coperte. Ai piani alti vi erano gli alloggi più modesti, occupati dalle persone meno abbienti

Gli abitanti dell’insula attingevano acqua dalle fontane vicine.

Al pianoterra si aprivano botteghe e taverne. Gli ambienti erano spesso soppalcati per conservare derrate alimentari.

Al primo piano vi erano gli appartamenti migliori, con i soffitti più alti e meglio arieggiati.

Dove non esistevano impianti fognari sotterranei, gli scoli scendevano lungo le strade e per attraversarle bisognava passare su alcune pietre rialzate.

Le sculture dei Romani

Ritratti pubblici e privati

I Romani hanno lasciato numerose e significative testimonianze della loro scultura, di cui veniva fatto ampio uso sia a livello pubblico, sia nella più ristretta dimensione privata. In entrambi i casi, grande spazio ebbe la ritrattistica, con alcune differenze significative.

Nelle statue e nei busti dei personaggi pubblici importanti (generali, imperatori, senatori ecc.), destinati a essere esposti e ammirati da tutti, vi era la tendenza a mostrare un’immagine idealizzata, che esaltava le virtù morali, come il coraggio, la nobiltà d’animo… I ritratti che si trovavano nelle case private si distinguono invece per il loro realismo.

La cura dei dettagli

Gli scultori romani subirono fortemente l’influsso dei modelli greci ed ellenistici, che in molti casi furono studiati e copiati fedelmente. Ne sono dimostrazioni evidenti la cura posta nella resa dei particolari anatomici e l’attenzione nella definizione di elementi come le acconciature e i panneggi delle vesti, nelle statue a figura intera come nei busti.

L’attenzione a cogliere il carattere

I ritratti di epoca romana oltre alle fattezze fisiche cercavano di restituire anche il carattere del personaggio che rappresentavano. L’espressione del volto, lo sguardo, la posizione del capo... erano tutti elementi che venivano curati con particolare attenzione. Persino la scelta e l’accostamento dei diversi materiali (bronzo, marmi colorati, pasta di vetro utilizzata per modellare gli occhi ecc.) servivano ad accentuare questo aspetto.

Gli antenati al funerale I ritratti degli antenati conservati nelle case dei nobili romani erano inizialmente ottenuti modellando un calco di cera direttamente sul volto del defunto. In questo modo veniva realizzata una vera e propria maschera che ne riproduceva fedelmente le fattezze. Le maschere erano conservate gelosamente e quando un membro della famiglia moriva venivano indossate dai parenti durante il funerale: in questo modo, non solo i discendenti ancora in vita, ma, simbolicamente, anche gli antenati partecipavano alla cerimonia. Da questa usanza antica derivò la consuetudine di avere ritratti il più possibile fedeli all’originale e, di conseguenza, lo scrupoloso realismo nelle sculture in bronzo e in marmo.

Togato Barberini, I sec. a.C., marmo, h 165 cm. Roma, Centrale Montemartini.

Questa statua ritrae un aristocratico romano di Età repubblicana con i busti degli antenati che venivano esposti in particolari occasioni e che erano oggetto di venerazione.

Lucio Cecilio Giocondo

Questo busto offre un esempio tipico di ritrattistica privata. Lucio era un facoltoso banchiere e alla sua morte un liberto (uno schiavo liberato) che gli era affezionato gli volle dedicare un ritratto. Il viso segnato da profonde rughe, le orecchie sporgenti e la vistosa verruca sulla guancia non lasciano dubbi sulla fedele corrispondenza al volto dell’uomo. L’espressione del volto denota intelligenza e gli occhi sottili fanno intuire una certa furbizia.

Testa di Lucio Cecilio Giocondo, I sec. d.C., bronzo, h 35 cm. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

SAPEVI

Scultura e propaganda politica

In Età imperiale la scultura venne ampiamente usata dai Romani con fini propagandistici per assicurare ai protagonisti della vita politica e militare ammirazione e consenso. Le statue degli imperatori innalzate in tutto l’impero (talvolta di dimensioni colossali) erano ispirate ai modelli classici e la figura del sovrano appare idealizzata: perfetta nelle proporzioni, ripresa in atteggiamenti solenni e con il volto (per lo più giovane) segnato da un’espressione che ne sottolinea l’autorevolezza e la decisione.

COMPETENTI IN ARTE

Nelle loro opere gli scultori ro mani amavano rifarsi ai modelli della Grecia classica. Questo appare particolarmente evi dente in alcune sculture, come l’Augusto di Prima Porta samente simile al licleto (vedi p. 58). Nella statua di Augusto la proporzione tra l’altezza della testa e quella del corpo è di 1:7 anziché 1:8 come nel Doriforo. Tuttavia, poiché la statua era posta su un piedi stallo e doveva essere guardata da sotto in su, la percezione vi siva riportava alle proporzioni del canone classico.

Osserva le due statue.

• In che cosa si somigliano?

• Anche se rivestito dell’armatu ra, quali particolari anatomici della statua di Augusto sem brano combaciare perfetta mente con quelli del

• Pare davvero, come qualcuno ha osservato, che la statua di Augusto sia semplicemente un «Doriforo vestito»?

Policleto, Doriforo (proveniente da Pompei), II-I sec. a.C., copia romana in marmo da originale in bronzo del 445 a.C. ca., h 212 cm. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Augusto di Prima Porta, 12-8 a.C., copia in marmo da originale in bronzo andato perduto, h 204 cm. Città del Vaticano, Musei Vaticani.

Archi trionfali e colonne onorarie

Gli archi di trionfo

L’arco non fu impiegato dai Romani soltanto in molte tipologie di edifici pubblici e privati, ma anche per celebrare le vittorie degli imperatori e dei generali che tornavano dalle campagne militari, ai quali veniva tributato l’onore del trionfo. I comandanti, insieme ai loro soldati, percorrevano il foro tra la folla acclamante, fino a passare sotto l’arco trionfale innalzato in loro onore. Questi archi erano costruiti in muratura e ricoperti di marmi nei quali erano scolpite le imprese militari più importanti compiute dai vincitori. Una volta celebrato il trionfo, essi restavano a memoria delle conquiste romane e contribuivano a esaltare la grandezza di Roma

Arco di Tito, 90 d.C., marmo, 15,4 × 13,5 m. Roma, Foro Romano. Terminato nove anni dopo la morte dell’imperatore, l’arco è stato eretto per ricordare la vittoria di Tito nella guerra giudaica, celebrata con un trionfo nel 71 d.C.

Le colonne onorarie

Un altro modo per ricordare i trionfi militari era quello di innalzare nel foro altissime colonne sulle quali venivano scolpiti bassorilievi che illustravano le gesta compiute dall’imperatore.

Si tratta di sculture che si sviluppano a coclide, ossia a spirale intorno a tutto il fusto della colonna, dal basso verso l’alto, come una sorta di enorme striscia di fumetti. Le immagini raffiguravano i successi ottenuti e l’eroismo dimostrato dal sovrano, in modo da suscitare ammirazione e consolidare il consenso dei cittadini nei suoi confronti.

Arco di Costantino, 312-315 d.C., cementizio e marmo, 21 × 25,70 × 7,40 m. Roma, Fori imperiali.

Un arco a forma di cubo

Nel 1989 fu inaugurato a Parigi un grandioso monumento chiamato Grande Arche de la Fraternité («Grande arcata della Fraternità»), noto anche, semplicemente, come «Grande Arco» o «Arcata della Défense», dal nome del quartiere dove sorge. Si tratta di una costruzione imponente, alta 110 metri, larga 112 e profonda 108. La prima cosa che colpisce di questo arco è che di fatto è un cubo quasi perfetto, svuotato al suo interno e ricoperto esternamente da candido marmo di Carrara. Il fatto che un cubo venga chiamato arco è già di per sé strano. Ma l’idea veramente originale dell’architetto danese che lo progettò, Johann Otto von Spreckelsen, sta nel suo significato. Rispetto ai tanti archi edificati nei secoli per celebrare le guerre vittoriose, Spreckelsen propose un arco consacrato a esaltare la fraternità e gli ideali umanitari

La colonna di Traiano

La Colonna Traiana venne fatta innalzare all’inizio del 113 d.C. dall’imperatore Traiano nel foro di Roma, che da lui ha preso il nome. Ideatore dell’opera fu probabilmente l’architetto Apollodoro di Damasco. La colonna, alta quasi 30 metri, è rivestita da una fascia a spirale lunga circa 200 metri nella quale sono rappresentate 155 scene che si susseguono con un ritmo ininterrotto, animate da oltre 2500 figure. Le scene si riferiscono alle vittoriose campagne militari condotte da Traiano fra il 101 e il 106 d.C. in Dacia, l’attuale Romania. Vi sono rappresentate battaglie, cerimonie religiose, marce e attraversamenti di fiumi... insomma, tutto ciò che può accadere durante una guerra.

La colonna aveva lo scopo di ricordare le vittorie dell’imperatore, ma era anche un monumento funebre; infatti, nel basamento fu approntato un vano che avrebbe dovuto accogliere le ceneri di Traiano.

L’interno della colonna è vuoto e una scala a chiocciola permette di salire fino alla sommità, dove anticamente si trovava una statua di Traiano, andata poi perduta e sostituita nel XVI secolo con una statua di san Pietro.

L’altezza della Colonna Traiana, 30 m (quasi 40 se si includono il piedistallo e la statua in cima), è equivalente a un palazzo di 8 piani: è la stessa della collina che esisteva nel luogo dove essa sorge e che l’imperatore fece sbancare per edificare il foro che porta il suo nome.

Un prigioniero dacio viene condotto di fronte all’imperatore. Alle sue spalle infuria la battaglia.

I soldati romani si apprestano a sbarcare.

Traiano è raffigurato insieme ai suoi generali, mentre organizza le truppe.

Traiano, raffigurato in piedi su un piedistallo, riceve un’ambasciata.

Colonna Traiana, 113 d.C., marmo, h 29,78 + 10,72 m di basamento; circonferenza 3,83 m. Roma, Foro di Traiano.

La pittura e i mosaici

La pittura si distacca dai modelli etruschi

Le domus dei Romani e gli edifici pubblici più importanti erano decorati al loro interno con pitture che ricoprivano completamente le pareti. Per fissare i colori veniva usata la tecnica dell’affresco: i pigmenti, mescolati a sostanze collose, erano applicati su uno strato di intonaco ancora fresco, che asciugando li incorporava favorendone la conservazione nel tempo.

I resti più importanti della pittura romana, provenienti soprattutto dagli scavi di Ercolano e di Pompei, mostrano un decisivo distacco dai modelli etruschi. Assai diffusa doveva essere anche la pittura su tavola, della quale però ci sono giunte scarse testimonianze, anche a motivo della deperibilità dei supporti in legno su cui era realizzata.

Precisione, naturalismo e profondità spaziale

Le espressioni pittoriche, come quelle scultoree, sono improntate a uno spiccato naturalismo e a una scrupolosa precisione nel definire i dettagli, soprattutto per quanto riguarda i soggetti di carattere figurativo.

Dai dipinti ritrovati a Ercolano e a Pompei emerge anche una ricerca della prospettiva: le figure non sono più schiacciate su una sola dimensione, come per esempio nella pittura cretese o in quella vascolare greca, ma iniziano ad acquistare volume attraverso l’uso delle sfumature e il modo di trattare i drappeggi delle vesti. La raffigurazione di scorci di paesaggio e di architetture crea invece effetti di profondità spaziale.

Giardino (particolare con rose e uccello), 30-35 d.C., affresco. Pompei, Casa del Bracciale d’Oro.

Fregio del triclinio (particolare), I sec. d.C., affresco. Pompei, Villa dei Misteri.

Questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti contrassegnato), è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE, GRATUITO, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 L. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d). Esente da bolla di accompagnamento (D.P.R. 6-10-1978, n° 627, art.4. n° 6).

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